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Artribune segnala Leggere uno spettacolo multimediale tra i volumi d’arte appena pubblicati da non perdere
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Lo ammetto che non me lo aspettavo. L’articolo a firma di Claudia Giraud che ringrazio colloca il mio libro appena uscito Leggere uno spettacolo multimediale tra “i volumi appena usciti da non perdere”. Collocandolo tra cataloghi e libri d’arte. Grazie!!!! E buona lettura!

https://www.artribune.com/editoria/libri/2020/05/libri-arte-pubblicati-ecco-6-uscite-non-perdere/

L’inizio e la fine: tre diversi modi di morire di Amleto. Dedicato alle vittime del Coronavirus
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Abstract: Nella prima settimane di quarantena a causa del virus, stavamo dedicando le lezioni on line ad Amleto, quando ci siamo accorti che, reclusi nella nostra Danimarca-prigione, eravamo Amleto. Una mail del 18 marzo ci ha ispirato: un videomessaggio di Bob Wilson che ci suggeriva come leggere il nostro terribile tempo con Shakespeare e ci esortava ad andare avanti con tre frasi pronunciate da Amleto. La prima è quella con cui lui stesso apriva il suo Hamlet a monologue nel 1995: If I had time (ripetuto dal principe di Danimarca tre volte) e che corrispondeva a una delle frasi finali della tragedia, la seconda è quella di Amleto a Ofelia Don’t doubt I love, la terza è quella rivolta a Orazio quando tutto si è concluso, The rest is silence.

In quest’epoca di pandemia, quando molte azioni sono state fatte intempestivamente, è giusto chiederci quale tempo abbiamo mancato. E quando non c’è più niente da fare, chiediamo che almeno i morti non muoiano da soli. E invano. 

Frame dal video messaggio registrato da Bob Wilson per gli studenti di Storia della Scenografia, Università Statale di MIlano, corso di Anna Monteverdi il 18 marzo 2020

Se avessi tempo- If I had the Time

I could tell you a thing or two if I had the time (though this cruel officer, Death, doesn’t allow much free time). Let it be.—Horatio, I’m dying. You’re alive. Tell everyone what happened; set the story straight. Hamlet

Queste sono le parole che pronuncia Amleto poco prima di morire e affida a Orazio il compito di raccontare la sua storia. La morte che incombe non gli permette altro che diventare protagonista di una tragedia di cui Orazio è stato muto e impotente testimone: lui avrà il duro compito di spiegare quale tempo è mancato. Non c’è più tempo. A dirlo in un video sono gli infermieri e i medici della sezione Infettivi dell’ospedale Sacco di Milano, impegnati in prima linea insieme ai medici nella battaglia contro il coronavirus.

Non c’è più tempo, non abbiamo più posti letto dove ricoverare le persone, siamo costretti a riutilizzare i dispositivi di protezione personale perché scarseggiano e in molte realtà quelli disponibili non sono idonei.  Sappiamo di rischiare ogni giorno il contagio oltre a vivere la paura di portare il virus nelle nostre case”. (Milano, 16 marzo, askanews)

Bob Wilson nel suo Hamlet a Monologue fa cominciare la tragedia con questa stessa frase If I had time poco prima della morte del protagonista; la storia che viene racconta è già accaduta:

“It started just before he dies, and ended with his last speech. This one second before he dies, one sees the whole play, the whole life”.  

Amleto sta morendo e in pochi secondi rivede la sua vita in un flashback, riannodando i fili, trovando simboli, persone, relazioni. Quel flashback lo rende così umano, così triste, così malinconico, così vicino a noi.

La caratteristica del suo Hamlet non è la variazione della trama, ma è l’abolizione della trama stessa all’interno della più generale abolizione del tempo della storia.
Tutto è presente contemporaneamente: passato e futuro.

Amleto è morto e sta per morire, soffre per una tragedia che non è ancora avvenuta: nella compressione del tempo della storia, l’intera azione drammatica viene espressa sinteticamente nel corpo di Amleto, futura vittima sacrificale in cui passato e futuro si sommano trasformandolo in un essere che questo è stato e questo sarà.

Ricorda Roland Barthes nella lettura del ritratto fotografico scattato da Alexander Gardner al condannato a morte Lewis Payne (1865).

“Qualcosa nella foto che osserviamo è stato e non è più. Dandomi il passato assoluto della posa (aoristo) la fotografia mi dice la morte al futuro. Fremo per una tragedia che non è ancora accaduta”.

L’inizio è anche la fine: Peter Brook fa iniziare il suo Hamlet con l’apparizione del fantasma del padre in carne ed ossa, un padre che vuole vendetta, un padre che conosce le conseguenze delle sue parole. Porge la mano al figlio, in un gesto simbolico di nascita e lo abbraccia teneramente come per un commiato di morte.

“Vai a dormire, tanto non muoio. Devo solo trovare la posizione”. Ma Diego non si è più svegliato. Erano le 3.30 della notte tra venerdì 13 e sabato 14 marzo. Due ore dopo, alle cinque e mezza del mattino, la moglie – volontaria alla Croce Rossa di Seriatte -, tornando in camera lo ha trovato in fin di vita. Diego operatore del 118 di Bergamo se ne era andato a 46 anni per coronavirus.

Ofelia e gli incidenti di percorso.

Doubt thou the stars are fire; Doubt that the sun doth move; Doubt truth to be a liar; But never doubt I love

Amleto morirà sotto i colpi di Laerte, il vero vendicatore della tragedia shakespeariana e soffrirà le conseguenze degli “effetti collaterali”: Ofelia diventata folle per l’abbandono e vittima predestinata della altrui malvagità, si lascia andare all’incontro ultimo con la natura annegandosi. La macchina della Storia si mette in marcia travolgendo tutti, colpevoli e innocenti. La morte di Ofelia è la tragica e sofferta risposta al più straziante dubbio di Amleto.

Le morti “scomode” sono gli incidenti di percorso nella catena dell’epidemia: nel giro di una ventina di giorni dall’inizio del contagio l’Italia supera la soglia dei 10 mila contagi in Lombardia, focolaio dell’epidemia:

 “I dati sulla mortalità si vanno approfondendo con le cartelle cliniche dei deceduti: i pazienti morti con il coronavirus hanno una media di oltre 80 anni, 80,3. L’età media dei deceduti è molto più alta degli altri positivi. Il picco di mortalità c’è tra 80-89 anni. La letalità, ossia il numero di morti tra gli ammalati, è più elevata tra gli over 80” (comunicato della Protezione civile 8 marzo 2020)

Il quadro estremo causato dal contagio, secondo la Società scientifica, «comporta di non dover necessariamente seguire un criterio di accesso alle cure intensive di tipo “first come, first served”» (si assiste per primo chi arriva prima). Al Punto 3 delle Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivisi legge che in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili: «Può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva».

All the rest is silence

Sai qual è la sensazione più drammatica? Vedere i pazienti morire da soli, ascoltarli mentre t’implorano di salutare figli e nipotini. I pazienti Covid-19 entrano soli, nessun parente lì può assistere e quando stanno per andarsene lo intuiscono. Sono lucidi, non vanno in narcolessia. Muoiono nel silenzio“. Francesca Cortellaro, medico primario del pronto soccorso dell’Ospedale San Carlo Borromeo:

Nella versione di Nekrosius della tragedia di Shakespeare l’immagine potente del fantasma del padre di Amleto appare in due modi distinti: trasfigurato nel lampadario di ghiaccio, le cui candele poste ravvicinate sgelavano sotto gli occhi di un Amleto incredulo, impaurito; e nel momento finale in carne ed ossa, contrariamente a quanto scrive Shakespeare.

La verità richiama una vendetta che deve compiersi, affinché il ghiaccio sgeli completamente. E glaciale e cupa è l’atmosfera generale, i personaggi si passano blocchi di ghiaccio, Amleto muore congelato nella pietra del dolore.

L’immagine del lampadario è una lama metallica che scende dal soffitto sulla cui superficie cadono le gocce di ghiaccio risuonando terribilmente e vaporizzando nell’aria. Riappare nel momento del monologo To be or not to be e alla lama si unisce un lampadario formato da ghiaccioli e candele. Amleto esita se stare dentro il suo perimetro e lasciarsi bagnare dalle gocce d’acqua del ghiaccio che si fonde al calore. Prendere o no questo fardello sulle proprie spalle? Agire, o uscire dal cerchio dell’assassinio che richiama altri assassinii? La terribilità associata a questa immagine è data dall’urgenza: non c’è più tempo, il ghiaccio si scioglie, le candele si stanno consumando. Occorre agire ora.

Nekrosius elimina dalla scena finale Orazio; tuttavia non ci sta a far morire Amleto da solo, e interviene la piètas latina. Il padre che non è mai apparso fisicamente in scena, entra, abbracciandolo e trascinandolo via. Ma prima prova a instillargli calore, a farlo tornare in vita come con un massaggio cardiaco, il pugno precordiale: il tamburo che Amleto ha in grembo non risuona più ma il vecchio re prova in tutti i modi a farlo tornare in vita. E alla fine, impotente di fronte alla morte del figlio, consapevole di essere stato la causa della sua morte, non gli resta che un urlo muto.

(Ringrazio il mio studente Severyan Tsagareyshvili per avermi ricordato questo momento della tragedia, così significativo e originale)

Uno dei due pazienti di Bergamo contagiati dal coronavirus e trasferiti al Policlinico di Bari è morto durante la fase di trasporto. Lo comunica il direttore del Policlinico di Bari Giovanni Migliore: “E’ andato in arresto cardiaco e, nonostante le manovre dei rianimatori fatte sulla pista di atterraggio, è deceduto” (Ansa, Bari, 18 marzo).

Non lasciamo che sia morto invano Chi racconterà la nostra storia?

In questo mondo feroce respira con dolore per raccontare la mia storia (Amleto)

Il dott. Li Wenliang che lavorava come oculista in un ospedale di Wuhan, rivelò per la prima volta in una chat l’epidemia nel dicembre 2019 curando dei malati gravi di polmonite (dalle cause ignote) che avevano la congiuntivite, ma la polizia di Wuhan lo accusò di diffondere notizie false anziché allertarsi per verificare quell’ allarme (erano ancora in tempo a fermare il contagio). Ci vollero alcune settimane perché il regime riconoscesse l’esistenza dell’ epidemia, scagionando Li dalle accuse. Il medico continuando a svolgere la sua attività, si è ammalato ed è morto il 6 febbraio. Viene lanciato l’appello «Non lasciamo che Li Wen Liang sia morto invano». Tra i firmatari ci sono il professor Tang Yiming, capo del Dipartimento cinese della Cina centrale della Normal University, che si trova a Wuhan, il centro dell’epidemia. “Se le parole del dottor Li non fossero state considerate inutili voci e se ogni cittadino avesse il diritto di dire la verità, forse questo disastro nazionale non si sarebbe verificato, colpendo la comunità internazionale[2]. In questo appello si chiede «il rispetto della Costituzione, che (in teoria) garantisce la libertà di parola».

Si chiede di fissare il 6 febbraio, il giorno della morte del medico, come “Giornata della libertà di parola”.


[1] Il coronavirus, in gergo medico 2019-nCoV, è stato identificato per la prima volta alla fine dello scorso anno nella città di Wuhan, nella Cina centrale.

[2] Informazioni tratte da Asia news 7-2-2020

A marzo in libreria Leggere uno spettacolo multimediale, Dino Audino editore
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Dino Audino Editore

Anna Maria Monteverdi

Leggere uno spettacolo multimediale

La nuova scena tra video mapping, interaction design e Intelligenza Artificiale

https://www.audinoeditore.it/libro/9788875274467

Ricerche 38 | febbraio 2020 | prezzo: 19 euro | pagine: 160 | ISBN: 9788875274467

Interpretare uno spettacolo tecnologico (di prosa, di danza, di lirica) significa collocarlo nella giusta cornice temporale, nel contesto di fruizione per cui è stato pensato e comprendere le potenzialità, le tematiche e le ragioni drammaturgiche dell’uso di una specifica tecnologia.

In questo libro le creazioni teatrali sono lette attraverso le teorie di Lev Manovich, Jay David Bolter, Richard Grusin e Henry Jenkins sulla “cultura convergente”, la “cultura del software” e la tendenza alla “remediation”, cioè al riutilizzo delle vecchie tecnologie.

Dopo un breve sguardo al videoteatro degli anni Ottanta e al teatro digitale degli anni Novanta, ci si concentra sul periodo che va dalle prime coreografie interattive con uso di motion capture alle ultime sperimentazioni con sistemi di Intelligenza Artificiale.

Il libro è arricchito inoltre da interventi di studiosi italiani che illustrano i nuovi formati digitali e le tecnologie di riferimento, nonché da una sezione di schede delle opere tecnoteatrali più significative.

Anna Maria Monteverdi​ Esperta di Digital Performance, è ricercatore di Storia del teatro all’Università statale di Milano e docente aggregato di Storia della scenografia. Ha insegnato Drammaturgia dei media, Digital video, Teatro multimediale in Accademie di Belle Arti e Dams. Ha pubblicato: Memoria, maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage (Meltemi Editore 2018), Nuovi media, nuovo teatro (FrancoAngeli 2011), Rimediando il teatro con le ombre, le macchine, i new media (Edizioni Giacché 2014) e, con Andrea Balzola, Le arti multimediali digitali (Garzanti 2004).

Uscito il primo numero dell’European Journal of Theatre and Performance. Contiene il saggio di AMM sul Teatro di Jeton Neziraj.
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We are delighted to announce publication of the first issue of the European Journal of Theatre and Performance, the journal created by the European Association for the Study of Theatre and Performance (EASTAP). The association was established in 2017 in order to bring together researchers and theatre practitioners and to share knowledge about the various approaches and research methods employed in theatre and performance (www.EASTAP.com). The journal is an essential part of this enterprise whereby we are seeking to develop the academic discipline through exploring new avenues of research. The association aims to encourage ongoing dialogue between theory and practice, and to be a place where the theatre can reflect on itself in relation to the world around us. It also aspires to develop critical thinking about the concepts that lie at the heart of aesthetic and theatrical activity in Europe and beyond.

The journal is produced under the joint editorship of Agata Łuksza and Didier Plassard, and it will be published once a year.  Each issue will consist of 4 sections: an Essay section based on a specific theme for each issue, a Focus section dealing with the work of a particular director, an Archive section that will make available previously unpublished or poorly distributed documents, and finally a Book Review section that will focus on recently published scholarly books. While the principal language of the publication is English, the journal also welcomes articles written in other European languages.  The editors are supported and advised by an Editorial Committee composed of Maria-João Brilhante, Nancy Delhalle, Milija Gluhovic, Lorenzo Mango and Aldo Milohnic. Non-members will have to pay for access to articles for the first year but thereafter the journal will be available on open access.

European Journal of Theatre and Performance – N° 1

The first issue of the journal, which has just been published, is concerned essentially with the question of Europe. The Essay section is entitled Spectres of Europe: European Theatre between Communitarianism and Cosmopolitanism, and consists of articles selected by Aldo Milohnic and Agata Luksza. These explore the relationship between theatre practice and issues of communitarianism and cosmopolitanism, paying particular attention to the ways in which artists and theatrical institutions have intervened critically in debates concerning national, European or civic identity. The authors of the eight selected articles (Nikolaus Müller-Schöll, Rosaria Ruffini, Jasper Delbecke, Dick Zijp, Simon Bell, Anna Maria Monteverdi, Tom Nicholas and Kathrin-Julie Zenker) analyse some of the many contradictions at the heart of these debates, and highlight the critical and progressive role played by artists and theatre companies in contemporary Europe.

The Paradoxes of Kosovo in the Theatre of Jeton Neziraj

 

The Focus section is devoted to Milo Rau and brings together unpublished texts and interviews as well as a selection of photographs from a number of his productions.

From the Archives contains the text of an unpublished play by director and theorist Edward Gordon Craig. The play was written in 1916, and is entitled The Skeleton. It is accompanied by two epilogues, dated that same year. In his introduction, Didier Plassard discusses how this attempt at “realistic” theatrical writing, something of a paradox in relation to the rest of Craig’s work, contains features that foreshadow the poetics of postdramatic theatre practice.

We would like to take this opportunity to express our warmest gratitude to all the contributors to this issue, to the photographers, as well as to the institutions that have shown confidence in us and authorised us to publish documents in their possession, in particular the International Institute of Political Murder, the Edward Gordon Craig Estate, and the Institut International de la Marionnette.

A detailed table of contents for the issue is set out below. Access to the journal is free of charge for members of EASTAP. Simply log in with your name and password. For non-members, access to a given article will cost 3 euros. A tab will guide you to the payment module. It is also possible to access the entire issue for 25 euros  (http://eastap.com/journpress/eastap-journal/).

Josette Féral                                            Didier Plassard  and Agata Luksza

EASTAP President                                  Journal editors-in-chief

Memoria Maschera e Macchina nel Teatro di Lepage a Genova-Museo dell’Attore
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A Genova Mercoledì 16 gennaio alle ore 17,30 all’interno del Museo-Biblioteca dell’Attore (via del Seminario 10)Anna Maria Monteverdi presenterà il suo libro Memoria maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage(Meltemi, 2018).

L‘Autrice sarà introdotta dal prof. Eugenio Buonaccorsi.

Il volume è stato presentato al Festival Flipt del Potlach (Fara Sabina), a Inequilibrio (Castiglioncello), al Piccolo Teatro di Milano per Book city, all’Accademia di Belle Arti di Napoli e di Lecce, a Libriamoci (Sp), al Fla (Pescara).

Memoria maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage (Meltemi editore).  di Anna Maria Monteverdi.

Con introduzione di Fernando Mastropasqua.

Memoria, maschera e macchina sono termini interscambiabili nel teatro di Robert Lepage, regista e interprete teatrale franco-canadese considerato tra i più grandi autori della scena contemporanea che usa i nuovi media; se la sua drammaturgia scava l’io del personaggio portando alla luce un vero e proprio arsenale di memorie personali e collettive, la macchina scenica video diventa il doppio del soggetto, specchio della sua interiorità più profonda. La perfetta corrispondenza tra trasformazione interiore del personaggio e trasformazione della scena determinano la caratteristica della macchina teatrale nel suo complesso che raffigura, come maschera, il limite tra visibile e invisibile.

Anna Maria Monteverdi è ricercatore di Storia del Teatro all’Università Statale di Milano e docente aggregato di Storia della Scenografia. Esperta diDigital Performance ha pubblicato: Nuovi media nuovo teatro (FrancoAngeli 2011), Rimediando il teatro con le ombre, le macchine e i new media(Ed.Giacché 2013), Le arti multimediali digitali (Garzanti 2005), Frankenstein del Living Theatre (2005), La maschera volubile (2002). E’ videodocumentatrice teatrale (Nuovo Teatro in Kosovo, La cura del Teatro: Tomi Janezic; La faccia nascosta del teatro: Robert Lepage; Angelica: Andrea Cosentino) ed esperta di digital performance. www.annamonteverdi.it

Eugenio Buonaccorsi è stato professore ordinario di Storia del teatro e dello spettacolo presso l’Università di Genova. Nell’Ateneo ligure ha creato i Corsi di laurea in Dams e in Scienze dello spettacolo, di cui ha assunto la guida come Presidente. È autore di libri, articoli e saggi su vari momenti e figure della storia dello spettacolo, in particolare sul ”Grande Attore” dell’800, la scena futurista, il teatro di Brecht in Italia, Govi e la drammaturgia in Liguria. Ha fondato il Teatro dell’Archivolto, di cui è stato per qualche anno direttore artistico. Per un decennio ha svolto il ruolo di Presidente del Museo-Biblioteca dell’Attore.

The Mediaturgy of Videomapping. An essay by Anna Maria Monteverdi
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The Mediaturgy of Videomapping

AUGMENTED REALITY OR AUGMENTED SPACE?

Anna Maria Monteverdi

INTRODUCTION

Augmented Reality means overlaying virtual, digital elements on reality. It refers to the innovative multimedia techniques which make reality interact with digital constructions and reconstructions, thus modifying, enhancing and enriching the perceived world. It includes interactive projections, lighting techniques, virtual architecture and communication and audio-visual instruments. Its applications are numerous, ranging from overlapping virtual components onto reality (geolocalisation and referencing, logical and physical mapping) to simulation of virtual reality elements (simulating time-space interactions) and artistic applications through performances, video projections and installations. The best definition of A.R. is by Azuma (1997): “Augmented Reality enhances a user’s perception and interaction with the real world” (p.355).

Virtual reality offers great opportunities for the world of museums, galleries and archives. VR is an important tool to interact with 3D models and a fundamental help in making culture more accessible to the wide public and in documenting, recording and conservation of the Cultural Heritage. Oculus1 Rift DK2 and the Leap Motion controller allow new experiences in cultural tour inside museums, archaeological sites.

The user puts the oculars on his head and when he looks along, he can see the world in 3D; oculus device uses custom display and optics technology designed for VR, featuring two AMOLED displays with low-persistence. The technology enables incredible visual clarity for exploring virtual worlds and for using VR gaming. The headset is tracked by IR LED constellation tracking system for precise, low latency 360-degree orientation and position tracking. Features an integrated VR audio system designed to convince your ears that you are truly there. 

Also videomapping can offer new modality of augmented perception and a new experience of seeing cultural heritage. Enormous projections with images, lights and writings by LED are parts of the urban landscape and they constitute the basic arsenal of advertising.

ARA com’ERA

The mediatization of the public space

Lev Manovich states that the radical change that regards culture in the era of information society also concerns space and its systems of representation and organization, becoming itself a media: just like other media – audio, video, image and text- nowadays the space can be transmitted, stored and retrieved instantly. It can be compressed, reformatted, converted into a stream, filtered, computerized, planned and managed interactively (Manovich311). The urban screens follow the trend of a mediatization of the public spaces, bringing in open and collective places, an element traditionally used in enclosed spaces in its various forms and genres (cinema, television and computer). On one hand we consume virtual spaces through electronic devices (cell phones, GPS, huge screens) that change the perception of space and time and social relations, on the other hand we walk environments dense of screens, which create a new urban landscape.

Paul Virilio says about it:

Today we are in a world and reality split in two; on the one hand there is the contemporary, real space (i.e. the space in which we are now, inside the perspective of the Renaissance); on the other there is the virtual space, which is what it happens within the interface of the computer or the screen. Both dimensions coexist, just like the bass and treble of the stereophonic or stereoscopic (Virilio 10-11).

To characterize the urban scene in recent years is the phenomenon of “giantism”. They are called “hypersurfaces”, “interactive media facades” those walls or architectures, either permanent or temporary, designed to accommodate bright and colourful surfaces and big video projections and screens. Enormous projections with images, lights and writings by LED are parts of the urban landscape and they constitute the basic arsenal of advertising. Urban screens, architectural mapping, facade projections, 3D projection mapping, display surfaces, architectural Vj sets are some of the definitions used for describing this technique and the context is that of so called “Augmented Reality” but according to Lev Manovich it is more correct to speak about “Augmented Space” because there is a superposition of electronic elements in a physical space: a relational space in which persons could have a new type of dialogue.1

After ten years, this technique born for a specific commercial and advertising purpose as a digital signage or for the launch of a new brand, has become flexible for create live and interactive performances, live painting, laser painting, videoart using the big dimension of the architectural surface. In videomapping we could unite together graphic art, animation, light design, performances, music and also interactive art and public art. The borders of theatre change and become widen: the environment is no longer the background, is the focus of the artwork. Based on these advanced experiences, artists have created augmented reality video works, stage designs provided with video mapping of great realism and huge projections: videomapping is a new media art, a media-performative art.

Paul Virilio talks of “Gothic Electronic” in reference to this aspect of contemporary architecture linked to the role of the images:

I think that the revolution of the Gothic age, which has been so important in Europe in every field, also corresponds to the new role from the image as a building material. . . . The most interesting images are those of the windows, as in Gothic art they corresponded to information that is more intangible, that transmitted by light in extraordinarily refined creations such as large rosettes (Virilio 6).

The aesthetics of the beautiful, of the astonished, the one that Andrew Darley in his book Digital Culture defines “aesthetic of the surface”, it is behind these spectacular artistic forms related to videomapping in the work of Urban Screen, NuFormer, Macula, Apparati Effimeri, Visualia, AntiVJ, Obscuradigital.

URBAN SCREEN

We are facing a new machine vision in a theatrical sense: the videomapping projections are based on the same principle as the “ineffabile vision” of the XVI century,those paintings created on the basis of anamorphosis forcing to the extreme the linear perspective of the Renaissance. In the work based on an anamorphic way technique, reality can only be perceived through a distorted mirror, while the videomapping is nothing else than a mask that deforms a reality that doesn’t exist at all. Art history has given us not only the linear perspective but also other view, the so called “broken perspective”, the concatenation of plans, the multiple points of view that pose the problem of depth in painting, the imaginary level of the third dimension. The suggestion, the fictional construction of the space, the union of the backclothes and the first floor and the resulting artificial illusion are the basis of monumental frescos by Vasari, Tiepolo, Veronese and above all, of Michelangelo’s Sistine Chapel that joins architecture and paintings..

Italian painters of the late XV century such as Andrea Mantegna (1431–1506) began painting illusionistic ceiling paintings, generally in fresco: he employed perspective in painting and techniques such as foreshortening in order to give the impression of greater space to the viewer below.

This type of trompe l’œil as specifically applied to ceiling paintings is known as “di sotto in sù” (“from below, upward”). The elements above the viewer are rendered as if viewed from true vanishing point perspective. Well-known examples are the Camera degli Sposi in Mantua.

We said videomapping is an art of illusion, an art of perception: so we can make a confrontation between two different kinds of OCULO2: Andrea Mantegna studied a special fresco decoration that would invest all the walls and the vaulted ceilings, adapting to the architectural limits of the environment , but at the same time breaking through the walls with illusionistic painting, as if space was expanded far beyond the physical limits of the room; nowadays the well known technological group Urban screen with the videomapping entitled “320 degree” that uses the circular surface of the Gasometer of Oberhause has tried to obtain a similar effect as a visual game of shapes and lights in which the observer experiences the sens of void and of the deph.

As Thomas Maldonado remember us, Western civilization basically became a producer and consumer of trompe-l’oeil:

Our has been called a culture of images . . . This definition would be more true, if we add that it is a civilization in which a particular type of images, images made by trompe-l’oeil, reach, thanks to the contribution of new technologies, a prodigious yield realistic . . . Confirmation is stronger, today, thanks to the computer graphics, especially when you consider its latest developments in the field of the production of virtual reality (Maldonado 48).

Following the history of the theatre and searching similar attempts in that ancient art to give the illusion of three dimensional space, we can mention the techniques of painted background in perspective: we can quote the drawings of Baldassare Peruzzi for “Calandria” (1514), the painted scene-prototype by Serlio (the comic, tragic and satirical scene, 1545), the theorical books: Perspectivae books by Guidubaldo (1600), Andrea Pozzo (1693) and Ferdinando Galli Bibbiena (1711), and above all, La pratica di fabrica machine ne’ teatri byNicola Sabbatini (1638).

For the contemporary theatre, we can quote two examples of scenographes created with a simple technique of illusion of three dimensional space and of perfect integration of body and stage or dispositif:

– The “digital landscape” used by Robert Lepage and created by stage designer Robert Fillion for Andersen Project (2005), a concave device that includes images in video projections which, thanks to an elevation of the central structure, seemed to have concrete and lively form and succeds in interacting with the actor, literally immersed in this strange cube built around him;

– The dispositive used by Italian group Motus for L’Ospite inspired by Pasolini’s Teorema: it is a monumental scenography looming and crushes the characters, made up of a deep platform inclined, enclosed on three sides and composed of three screens for video projections. This video triptych produces the illusion of an huge house without the fourth wall.

VIDEOMAPPING PROJECTIONS IN THEATRE

The use in the theatre of the videomapping concerns not only the sets (the stage, the volumes in which images could be projected) but also objects, actors, costumes and the entire empty space.

The group Urban Screen produces a curious experiment with videomapping projection for What’s up? A virtual site specific theatre, made in Enschede (Netherlands) in 2010, where the actors were moving images projected forced into a box that picked up their intimacy, built into the walls of the building in a surreal atmosphere. Or Jump in! where the façade of the building becomes a sort of “free climbing wall” for actors who jump, climb, hide among the windows. For the opera Idomeneo, King of Crete by Mozart, Urban Screen has used an architecture of lights in mapping that adheres to the volumes of stage on which the singers acted; these structure is a simple white furniture composed by several block unite together and similar to the cliffs with the reference to the god Neptune, one of the character of the opera. Projections adhere to the structure, thanks to a software created expressely by Urban Screen called Lumentektur.

 

Apparati Effimeri an Italian technological group, has created a dramatic short cameo, in baroque style, for Orfeo ed Euridice (2014), directed by Romeo Castellucci: they used videomapping for reconstructing the scene a “grove of greenery” embedded in a scene completely empty, from where emerges an ethereal female figure, showing a sad atmosphere and a bucolic landscape worthy of a painting by Nicolas Poussin. We are in Arcadia, the scene unfolds and the video projectes on the scene moving images and 3D effects of high accuracy, leaving the illusion of wind on the leaves, the lights on the water and the evening shadows. The “baroque technologic style” of the set generates the amazing sensation reserved for large frescoes of the past and it is perfectly in syntony with the myth and with the emotions of the drama which focuses on the image live from an hospital, of the women in coma which represents in the theatrical fiction, the “double” contemporary of Euridice.

https://www.youtube.com/watch?v=rQmaUSAC-pg

 

Robert Lepage has used videomapping in his most ambitious project: the opera direction for tetralogy of Wagner (The Ring) produced by the Metropolitan of New York (2014). Protagonist of the scene is the huge machine designed for the entire tetralogy, a true work of mechanical engineering, made up of 45 axes movable independently of each other and surging and rotate 360 ° thanks to a complex hydraulic system which allows a large number of different forms, becoming the plug of a dragon, a mountain or the horse of the Valkyries. On the surface of the individual axes are projected 3D images in videomapping showing trees, caves, the waters of the Rhine, the lights of the Walhalla.

 

IAM PROJECT: AN EUROPEAN PROJECT FOR VIDEOMAPPING

IAM (International Augmented Med) is an international cooperation project in which 14 partners from 7 mediterranean countries work together to demonstrate and promote the use of Augmented Reality, videomapping and innovative interactive multimedia techniques for the enhancement of cultural and natural heritage sites. The Partnership is led by the City of Alghero, Italy. Other participating countries are: Egypt, Jordan, Lebanon, Palestine, Spain, Tunisia. It is funded by the European Union’s ENPI CBC Med programme and runs from October 2012 to October 2015.

The winners of the grants awarded in the framework of the IAM project are one Croatian and one French candidate. These subgrants are managed by project partner Generalitat de Catalunya (Government of Catalonia region – Spain, Department of Culture).From 1 to 3 October 2014 the Spanish project partners of the I AM project are hosting the I AM festival, in Girona – Catalonia, Spain, under the title “JornadesAPP” (App Days).

Three days of round tables, discussions, demonstrations, presentations, video-mappings, mobile apps and more in various locations in the historic city of Girona.

The Spanish group Konic thtr proposed in Girona an audiovisual composition that combines symbolic elements of the building with historical elements related to the former use of the building as a hospital (now Regional Office of the Catalan Government), with visual elements related to the use of medicinal plants. Processus is the title and proposes a large scale architectural projection based on the history of the projected building. Life, death and spirituality that convert into the ADN of this XVII century building, important part of the archaeological heritage of the city of Girona.

The fundamentals of Video Mapping, according to KONIC stand on concepts that define, identify, structure and characterize the technique. The mapping has to co-live with the dramatic text, the actor’s actions, the choreography and the sound, taking part of the narrative of the piece and contribute to the tension and development of the piece through the visual evolutions. As stated by Koniclab:

We can understand it as a treated space, or as a dynamic stage set, that will bring dynamics, stories, actions along time, by its audiovisual evolution. The media co-exists with the actors and/or dancers and bring to the piece another layer in a horizontal hierarchy with the other elements composing it. We can think of a global work, in which the different disciplines and materials participate to the narration and composition of the work.The audience, from our experience, perceives the piece as a whole and is often surprised by the intimate and somehow magical dialogue established between light-image-sound-object or architecture- and the actors/ bodies, who will bring the human scale and the humane-fictional proportions.When the projection is interactive, it offers direct participation of the audience in the piece, who will then coexist with the actors and can then become a part of the fictional world, and make the step from social being to active part of the piece (Monteverdi).

In their opinion, the following elements should be taken into account when developing a stage play that incorporates this technique:

– The inter-relation image-object-volumetric support, convey the fact that the dramaturgy is focused on the image mapped onto the object. This is to say on the augmented object transformed into an object-image hybrid. The visual narrative is driven by this object-image articulation, and not only by the image. Hence, the object should ideally be related with the visual compositions projected onto it.

– The concept of Mapping = a skin made of visuals and light covering the volumetric object. A dynamic and flexible skin, which will adapt like a dress to the object onto which it is projected or visualised.

– The technology, in understanding that mapping is building a perceptual device composed of light, image, sound, software, hardware, space and time, architecture, actors and audience, and all these elements together create an experiential and relational whole.

Marko Bolkovic one of the two winners of IAM subgrants, with his group Visualia from Croatia, has presented in Girona a mapping for Casa Pastors of high visual impact made entirely in 3D entitled Transiency, inspired by the metamorphosis of life.

Marko Bolkovic said about his videomapping:

Video mapping can be made with any available material, such as video material, film. It’s necessary to adjust this material to a projected surface, which is done with special computer software. 3D video mapping is much more complicated and takes more time for its production: first of all, a model of the object where a projection will be made should be created, afterwards all the animation should be made in a special software provided just for that. The greatest difference between video mapping and a 3D video mapping lies in the final outcome – with 3D video mapping you get a realistic space effect on an even surface, and with usual, “ordinary” mapping there’s no such depth and realism. Visualia Group specialized in 3D video mapping. One of groups goals is to educate people about this rather “new art”, to show its potential and to present its great effect as realistic as possible. In this particular project the artists tried to tell a story about transiency of things, people and life itself, combining it with almost magical building transformation, so realistic and dreamy at the same time. First idea was to create video mapping with historical basis – the group wanted to show how the building was built and how it survived for 3 centuries. Unfortunately, due to a lack of material and information, the idea was dropped at the end.

The group than decided to follow its free will and artistic spirit and to simply bring life to Casa del Pastors using 3D softwares. Due to Group’s rich experience in 3D video mapping, they decided that the best way to create a really powerful and realistic effect for audience is to draw the whole building from the beginning. The front of the building (facade) was challenging enough: it is made out of bricks so it was a really one great creative challenge for the Group to model and revive the building. The Group also agreed that Casa del Pastors is a great place to “tell the story” about the transiency of time, things and life.. Everything passes and it is unreachable and unstoppable. It exists only in moments, which we’re aware of only when they’re already gone. “Transiency” became the name of Group’s “story”, which has to be told. How to present transiency through images and video animations? After discussing this, the artistic Visualia Group decided to start with creation process – clouds (air element) symbolize imagination from which emerges the water element (life), which is continued to a birth process (the tree) and it culminates with simpler form of life (caterpillar) becoming a higher, more complex form (butterfly) which is a symbol of a free art.

The 3D animation were made by Jean, and he divided this animation process in 4 different parts:

– Geometry – fragmentation and deconstruction

– Contrast – black and white matter with optical and hypnotic illusions

– Creation process – air, water, LIFE

– Colors – free art

Conclusion

Videomapping has a restrictive format, partly due to the aesthetic criteria of those leading these expressions and artistic interventions. There are certain artists that show videomapping as what we can define as behavioural or linear, showing architectural videomapping as a display full of effects produced with and upon the image and structure of the façade. This criterion, based on a restrictive approach of available effects, tends to deplete the poetic of the interventions by playing with an aesthetic model based on visual and sound effects that the public recognizes and expects.

As we have seen in the works by Kònic and Marko Bolković, the architectural mapping has to understand the function of the building onto which the artist works not only as a façade around the building but also as the context in which it is located, its history; bearing in mind that they are working with heritage buildings or historical sites. Could technologies enrich, enhance local heritage, in a new manner of communicating history, arts giving a hand to the economy, offering new and unexpected forms for visiting historical monuments, archaeological sites inspiring an interplay of different interests such as traditions, history, visual and youth culture?

We try to reflect on the rules of temporary or permanent media architecture, on their importance for the continued revitalisation of the area, on the new role of media for public spaces. We point out the shift in the application of these technologies from commercial, advertising purpose to cultural purposes.

There is a need for a strategy of sustainable urban media development that targets the intersections between the need of residents, tourists, government agencies, the commercial interest of companies and the ideas of architects and urban planners in the perspective of connecting cities, and also creating tourist attractions. We need to reflect on the relationship between the transformation of our cities and the identity-conferring power of digital architecture.

A building’s façade is more than just a wall and a framework for the entrance, it always reflects the functions of the building, it has symbolic patterns, signs or architectural elements that identify the urban typology.

If a place can be defined as relational, historical and concerned with identity, then with innovative digital media in public space we can create dynamic revitalization of places in empathy with the area, and the audience, making visible the past, its history and functions. Media façade should primarily have the task of representing the identity of the building, of the city seen as a large number of overlapping stories and connections, history, emotions, humanity.

Referring the book Invisible cities written by Italo Calvino (1972), which suggests a poetic approach to the imaginative potentialities of the cities, the urban screens and the digital mapping works can make visible the invisible and allow us to understand, create and experience the city with all its change, story, secret folds and diversity.

The mapping has to co-exist with the dramatic text, the actor’s actions, the choreography and the sound, taking part in the narrative of the piece and contributing to the tension and development of the piece through the visual evolutions. We can understand it as a treated space, or as a dynamic stage set, that will bring dynamics, stories, actions through time, by its audio-visual evolution. The media co-exists with the actors and/or dancers and brings to the piece another layer in a horizontal hierarchy with the other elements composing it. We can think of a global work, in which the different disciplines and materials participate to the narration and composition of the work.

The audience perceives the piece as a whole and is often surprised by the intimate and somehow magical dialogue established between light-image-sound-object or architecture- and the actors/ bodies, who will bring the human scale and the humane-fictional proportions.

When the projection is interactive, it offers direct participation of the audience in the piece, who will then coexist with the actors and can then become a part of the fictional world, and make the step from social being to active part of the artistic work. There are countless options to have the public involved in an interactive way. There is still much work to do, still a lot to be explored and understood, and the rapid evolution of the technologies involved can also help us to find new solutions and criteria for the artistic intervention in public spaces.

 

Notes

1. Urban screens, is a term coined by Mirjam Struppek considered a pioneer in the field of urban digital surfaces; in 2005 she curated the first Urban Screens Conference in Amsterdam paving the way for Urban screen conference in Manchester and in Melbourne in 2007 and 2008. She wrote an essay Urban potential of public screens for interaction about the mediatization of architecture.

2. An oculus (plural oculi, from Latin oculus, eye) is a circular opening in the centre of a dome or in a wall. Originating in antiquity, it is a feature of Byzantine and Neoclassical architecture. The oculus was used by the Romans, one of the finest examples being that in the dome of the Pantheon. Open to the weather, it allows rain to enter and fall to the floor, where it is carried away through drains. Though the opening looks small, it actually has a diameter of 27 ft (8.2 m) allowing it to light the building just as the sun lights the earth. The rain also keeps the building cool during the hot summer months (from Wikipedia).

Works Cited

Arcagni, Simone. Urban screen e live performance. 2009. Web. 10 May 2015.

Artieri Boccia, Giovanni. Preface. “La sostanza materiale dei media. Video culture digitali tra

virtuale e performance”. Videoculture digitali. Spettacolo e giochi disuperficie nei nuovi

media. By Andrew Darley. Milano: FrancoAngeli, 2006.

Darley, Andrew. Videoculture digitali. Spettacolo e giochi disuperficie nei nuovi media. Milano:

FrancoAngeli. 2006. Print.

Maldonado, Tomàs. Reale e virtuale. Milano: Feltrinelli, 1992. Print.

Manovich, Lev. Il linguaggio dei nuovi media. Milano: Olivares 2002.

Monteverdi, Anna Maria. Hypersuperface and Mediafaçade. Urban Screen. 2014. Web. 02 May

2015.

—, Drammaturgy of Videomapping. Interview to Koniclab. 2014. Web. 06 May 2015.

—, L’Orfeo di Castellucci, Musica celestiale per un angelo in coma vigile. 2014. Web. 08 May

2015.

Virilio, Paul. “Dal media building alla città globale: i nuovi campi d’azione dell’architettura e

dell’urbanistica contemporanee”,Crossing n°1, numero monografico

Media Buildings,Dec. 2000: 10-11. Print.

Presentazione del volume di Anna Monteverdi su Robert Lepage all’Accademia di Belle Arti di Lecce e di Napoli
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Doppio appuntamento per Anna Monteverdi e il suo libro sul teatro di Robert Lepage

Luned’10 dicembre all’Accademia di Lecce  l’Autrice verrà introdotta dalla Prof.ssa Patrizia Dal Maso e dialogherà con il prof. Giacomo Toriano:

+

Martedì 11 dicembre l’Autrice verrà introdotta dal direttore, prof. Giuseppe Gaeta e dialogherà con la prof.ssa Patrizia Staffiero

Il libro di Anna Monteverdi sul teatro di Robert Lepage da Libriamoci a Book city, Milano
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Sbarca a MIlano il 16 novembre all’interno dell’affolata kermesse editoriale BOOK CITY il libro di Anna Maria Monteverdi  Memoria maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage (Meltemi editore).  presentato la scorsa settimana alla Spezia, rassegna LIBRIAMOCI.

Parlando di teatro non poteva che essere scelto il luogo teatrale per eccellenza a Milano, il Piccolo Teatro Strehler e l’autrice sarà introdotta dal direttore del Dipartimento di Beni culturali della Statale di Milano nonché ordinario di Storia del Teatro prof. Alberto Bentoglio e dal critico letterario, teatrale e cinematografico Fabio Francione. L’incontro si intitola Un’irrequieta ricerca. Il Teatro di Robert Lepage.

L’appuntamento è per il 16 novembre alle ore 17 Piccolo Teatro Strehler 

Memoria, maschera e macchina sono termini interscambiabili nel teatro di Robert Lepage, regista e interprete teatrale franco-canadese considerato tra i più grandi autori della scena contemporanea che usa i nuovi media; se la sua drammaturgia scava l’io del personaggio portando alla luce un vero e proprio arsenale di memorie personali e collettive, la macchina scenica video diventa il doppio del soggetto, specchio della sua interiorità più profonda. La perfetta corrispondenza tra trasformazione interiore del personaggio e trasformazione della scena determinano la caratteristica della macchina teatrale nel suo complesso che raffigura, come maschera, il limite tra visibile e invisibile.

Il volume contiene interviste a Robert Lepage e allo scenografo Carl Fillion, e un’antologia critica con saggi di Massimo Bergamasco, Vincenzo Sansone, Erica Magris, Giancarla Carboni, Francesca Pasquinucci, Andrea Lanini, Ilaria Bellini, Sara Russo, Elisa Lombardi, Claudio Longhi.

Qua il book trailer a firma di Alessandro Bronzini.

Anna Maria Monteverdi è ricercatore di Storia del Teatro all’Università Statale di Milano e docente aggregato di Storia della Scenografia. Insegna Cultura digitale alla Alma Artis Academy di Pisa ed è coordinatrice della Scuola di Arti e Nuove tecnologie dell’Accademia. Esperta di Digital Performance ha pubblicato: Nuovi media nuovo teatro (FrancoAngeli 2011), Rimediando il teatro con le ombre, le macchine e i new media (Ed.Giacché 2013), Le arti multimediali digitali (Garzanti 2005). www.annamonteverdi.it

 

Intervista a Anna Maria Monteverdi su Cosmotaxi di Armando Adolgiso
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Intervista sul sito http://www.adolgiso.it/public/cosmotaxi/201809archive001.asp

Ritorna, graditissima ospite, su questo sito Anna Maria Monteverdi in occasione di un suo nuovo libro pubblicato da Meltemi.
Titolo: Memoria, maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage.
Anna Maria è ricercatrice di Storia del Teatro, Dipartimento di Beni Culturali, Università Statale di Milano; professore aggregato a tempo indeterminato di Storia del Teatro presso la stessa Università; professore aggregato di Storia della Scenografia, coordinatrice della Scuola di Nuove tecnologie dell’Accademia ‘Alma Artis’ di Pisa dove è docente di Culture Digitali.
Ha insegnato per 10 anni Digital video e Drammaturgia multimediale all’Accademia di Brera. Ha pubblicato tra gli altri: Le arti multimediali digitali (con Andrea Balzola, 2005); Nuovi media nuovo teatro (2011).

La considero, e non sono il solo, una delle più grandi menti applicate alla storia e all’interpretazione del tecnoteatro. Lo è perché la sua competenza critica non si limita alla parte scenica del nostro mondo tecnologico, ma abbraccia l’intero universo digitale, le sue implicazioni di linguaggio, i suoi esiti sociologici. Com’è possibile notare in questa conversazione che ebbi con lei.

Fernando Mastropasqua ricorda nella Prefazione che già nel 2005, Monteverdi scrisse la prima monografia su Robert Lepage, uno dei maestri della regìa contemporanea. Ora ritorna sulla figura di questo creatore canadese con accresciuta esperienza e rinnovati strumenti critici.

Continua su http://www.adolgiso.it/public/cosmotaxi/201809archive001.asp

 

FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA ROBOTICA 2018 Pisa. SESSIONE “ROBOTICA E TEATRO” a cura di Massimo Bergamasco 1 OTTOBRE (9.00-13.00), DOMUS MAZZINIANA
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FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA ROBOTICA 2018

SESSIONE “ROBOTICA E TEATRO”, 1 OTTOBRE 2018, (9.00-13.00), DOMUS MAZZINIANA, Via Giuseppe Mazzini 71, Pisa
La sessione verterà sull’utilizzo delle nuove tecnologie, quali la robotica, gli ambienti virtuali e altri strumenti immersivi audio-video, l’intelligenza artificiale, per il teatro e la drammaturgia, analizzandone opportunità e limiti relativi agli specifici aspetti della pedagogia, della messa in scena, della performance, e degli effetti scenici. Esperti del settore illustreranno l’impulso che tali tecnologie possono offrire all’arte performativa, alla creazione di ambientazioni dinamiche e adattive, alla spazializzazione scenica e all’interpretazione, alla traduzione dei processi interiori degli attori, e agli effetti di presenza che informazioni immersive sonore e grafiche possono stimolare negli spettatori.
Relatori:
Massimo Bergamasco: Introduzione
Pietro Bartolini: Attore, avatar e robot – il nobile artificio della costruzione del personaggio
Marcello Carrozzino: Ambienti immersivi come palcoscenico virtuale per la drammaturgia e la pedagogia teatrale
Anna Maria Monteverdi : Marionette, automi e scene meccaniche dall’avanguardia a oggi
– Dario Focardi e Pericle Salvini: Teatro e Scienza, A che punto siamo?

Festival della Robotica a Pisa-Robotica e Teatro e Umani e Virtuali 1 e 2 ottobre a cura di Massimo Bergamasco (Istituto Superiore Sant’Anna)
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FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA ROBOTICA 2018

Massimo Bergamasco Scuola Superiore Sant’Anna 20 settembre 2018

SESSIONE “ROBOTICA E TEATRO”, 1 OTTOBRE 2018, (9.00-13.00), DOMUS MAZZINIANA, Via Giuseppe Mazzini 71, Pisa La sessione verterà sull’utilizzo delle nuove tecnologie, quali la robotica, gli ambienti virtuali e altri strumenti immersivi audio-video, l’intelligenza artificiale, per il teatro e la drammaturgia, analizzandone opportunità e limiti relativi agli specifici aspetti della pedagogia, della messa in scena, della performance, e degli effetti scenici. Esperti del settore illustreranno l’impulso che tali tecnologie possono offrire all’arte performativa, alla creazione di ambientazioni dinamiche e adattive, alla spazializzazione scenica e all’interpretazione, alla traduzione dei processi interiori degli attori, e agli effetti di presenza che informazioni immersive sonore e grafiche possono stimolare negli spettatori.

Relatori: – Massimo Bergamasco: Introduzione –

Pietro Bartolini: Attore, avatar e robot – il nobile artificio della costruzione del personaggio –

Marcello Carrozzino: Ambienti immersivi come palcoscenico virtuale per la drammaturgia e la pedagogia teatrale –

Anna Maria Monteverdi : Marionette, automi e scene meccaniche dall’avanguardia a oggi –

Dario Focardi e Pericle Salvini: Teatro e Scienza, A che punto siamo?

immagine tratta da https://www.interris.it/tag-robot-pagina-2

SESSIONE “UMANI VIRTUALI”, 2 OTTOBRE 2018, (10.00-13.00), DOMUS MAZZINIANA, Via Giuseppe Mazzini 71, Pisa Gli ambienti virtuali sono uno strumento di ricerca sempre più importante in svariati settori applicativi. Gli scenari simulati richiedono spesso la presenza di personaggi umani animati che agiscono da attori virtuali, da controparte digitale del fruitore, da strumento per studi di ergonomia e human factors. Questa sessione presenterà lo stato dell’arte della ricerca nel settore, alcuni esempi nei domini applicativi più rilevanti e la proposta di una visione per un futuro in cui sempre più spesso gli uomini interagiranno con controparti virtuali e robotiche. 

Relatori: – Massimo Bergamasco: Introduzione –

Marcello Carrozzino : Umani virtuali per la promozione e la disseminazione della cultura –

Lorenzo Landolfi: Intelligenza artificiale per umani virtuali –

Alessandro Filippeschi: Effetti delle misurazioni virtuali sul comportamento degli umani

virtuali

June 26 at 17.00 presentation at Teatro Potlach-Festival FLIPT of the book “Memoria, maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage”
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FLIPT – Festival Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali
June 26 at 17.00 presentation at Teatro Potlach of the book “Memoria, maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage” (Memory, mask and machine in the theater of Robert Lepage) with the author Anna Maria Monteverdi.

https://www.youtube.com/watch?v=xJeboqCYHNQ

 

Presentazione del libro “Memoria Maschera e Macchina nel teatro di Robert Lepage” al Festival Inequilibrio di Castiglioncello il 20 giugno. Presenta l’Ing. Massimo Bergamasco del Sant’Anna
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Memoria maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage (Meltemi editore).  di Anna Maria Monteverdi

Il volume appena edito da Meltemi con introduzione di Fernando Mastropasqua, sarà presentato per la prima volta a Castiglioncello il 20 giugno alle ore 16 nell’ambito del  Festival di Teatro “Inequilibrio” diretto da Fabio Masi e Angela Fumarola.

L’incontro vede la partecipazione insieme all’autrice, dell’assessore alle Politiche giovanili del Comune di Rosignano Veronica Moretti  e di Massimo Bergamasco, docente di Ingegneria Meccanica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

L’ incontro è legato al Contest Giovani Innovatori 2018 promosso dal Comune di Rosignano Marittimo.

Memoria, maschera e macchina sono termini interscambiabili nel teatro di Robert Lepage, regista e interprete teatrale franco-canadese considerato tra i più grandi autori della scena contemporanea che usa i nuovi media; se la sua drammaturgia scava l’io del personaggio portando alla luce un vero e proprio arsenale di memorie personali e collettive, la macchina scenica video diventa il doppio del soggetto, specchio della sua interiorità più profonda. La perfetta corrispondenza tra trasformazione interiore del personaggio e trasformazione della scena determinano la caratteristica della macchina teatrale nel suo complesso che raffigura, come maschera, il limite tra visibile e invisibile. Il volume contiene interviste a Robert Lepage e allo scenografo Carl Fillion e un’antologia critica con saggi di Massimo Bergamasco, Vincenzo Sansone, Erica Magris, Giancarla Carboni, Francesca Pasquinucci, Andrea Lanini, Ilaria Bellini, Sara Russo, Elisa Lombardi, Claudio Longhi.

Anna Maria Monteverdi è ricercatore di Storia del Teatro all’Università Statale di Milano e docente aggregato di Storia della Scenografia. Insegna Cultura digitale alla Alma Artis Academy di Pisa ed è coordinatrice della Scuola di Arti e Nuove tecnologie dell’Accademia. Esperta di Digital Performance ha pubblicato: Nuovi media nuovo teatro (FrancoAngeli 2011), Rimediando il teatro con le ombre, le macchine e i new media (Ed.Giacché 2013), Le arti multimediali digitali (Garzanti 2005 ). Ha realizzato documentari teatrali per Rai5.

Massimo Bergamasco: Ordinario di Meccanica Applicata presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, è Direttore dell’Istituto di Tecnologie per la Comunicazione, Informazione e Percezione della Scuola. Ha fondato nel 1991 il Laboratorio di Robotica Percettiva, dove svolge attività di ricerca su temi di Robotica Indossabile, Interfacce Aptiche e Ambienti Virtuali.

 

Fedele Azari-Fortunato Depero-Krimer Strategie e manifesti tra Aeropittura e Teatro aereo. Conferenza di Anna Monteverdi alla Pinacoteca di Collesalvetti
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giovedì 31 maggio 2018, ore 17.00

 Pinacoteca Comunale Carlo Servolini

via Umberto I, n. 63 – Collesalvetti

 Giovedì 31 maggio 2018, ore 17.00, alla Pinacoteca Comunale Carlo Servolini, va in onda la sesta puntata del “Calendario Pinacoteca/Primavera 2018”, dal titolo Pagine di Futurismo: tra storia e scoperte, promosso dal Comune di Collesalvetti, ideato e curato da Francesca Cagianelli, in occasione della mostra Krimer (Cristoforo Mercati) 1908-1977. Futurista con Marinetti, Vàgero con Viani, in corso alla Pinacoteca Comunale Carlo Servolini (fino al 14 giugno, tutti i giovedì, ore 15.30-18.30).

Sarà Annamaria Montevederdi, ricercatore di Storia del Teatro al Dipartimento di Beni culturali e ambientali dell’Università Statale di Milano e docente di Culture digitali all’Accademia di Belle Arti di Pisa, “Alma Artis”, a curare l’inedita conferenza dal titolo Fedele Azari-Fortunato Depero-Krimer. Strategie e manifesti tra Aeropittura e Teatro aereo.

Destini che si incrociano, battaglie che si completano, ideologie destinate a costituire piattaforme culturali estremamente grintose, ecco il senso di un sodalizio che per la prima volta si configura nella storia del Futurismo con l’apporto di un personaggio dimenticato quale Krimer.

Il teatro aereo futurista e il ‪volo come espressione artistica di stati d’animo propugnati da Fedele Azari sono d’altra parte l’occasione per affrontare le dinamiche dell’intero movimento futurista, che vedeva proprio nel teatro un importante mezzo di comunicazione e linguaggio in cui applicare i principi di dinamicità e sovversione già presenti all’atto di nascita del Manifesto del Futurismo del 1909.

Oui, Je suis…. Anna Maria Monteverdi
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 Monteverdi_AnnaMaria.jpg

Dottore di ricerca in Forme della rappresentazione audiovisiva, teatrale e cinematografica, esperta di Digital performance; ricercatore T.I. di Storia del Teatro al Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali dell’Università Statale di Milano, ho insegnato per 10 anni Digital video e Drammaturgia multimediale all’Accademia di Brera, Scuola di Nuove Tecnologie; ed inoltre all’Università di Pisa, al Dams di Bologna e di Imperia. Ho pubblicato tra gli altri: Il teatro di Robert Lepage (Bfs 2004), Le arti multimediali digitali (con A. Balzola, Garzanti 2004), Nuovi media Nuovo teatro (FrancoAngeli 2012), Rimediando il teatro con le macchine, con le ombre, con i new media (2014). È stata co-curatrice del progetto europeo IAM (International Augmented Med) su Nuove Tecnologie e Beni Culturali.  Partecipo regolarmente a convegni internazionali di Media Art (Sorbonne Nouvelle, Accademia di Belle Arti di Catania, Stoccolma, Girona). Faccio parte dell’International Federation of Theatre Research. A fine settembre 2016 ho partecipato alla conferenza Open field, RIXC Center for New Media Culture (Riga). Sono Program commitee di GARR per le tecnologie e la ricerca. Ho realizzato il documentario teatrale Teatri I Ri Ne Kosove (Nuovo Teatro in Kosovo) acquistato dalla Rai e proiettato al Piccolo di Milano come selezione speciale del Festival Invideo.

 

Web: www.annamonteverdi.it
Email: annamaria.monteverdi@almaartis.it

RGB Festival ospita un mio seminario su Digital performance e Videomapping il 29 ottobre
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Autopromozione di un evento a cui tengo moltissimo: gli amici dell’RGB FESTIVAL hanno messo in calendario un mio seminario su Digital performance e Videomapping. Di questo mi sto occupando da alcuni anni e ho fatto diverse conferenze internazionali s Lubjana, a Riga, a Stoccolma e in Italia in diversi Festival di Teatro e videoarte e recentemente anche a un Festival di Robotica a Pisa per la Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa.

La mia ricerca si alimenta di incontri straordinari come quello avvenuto al POMEZIA LIGHT FESTIVAL dove  grazie all’invito del’attivissimo direttore Roberto Renna, ho conosciuto gli artisti ideatori dell’RGB festival, in particolare Diego Labonia.

Gli scambi, le idee, le proposte: quindi verrò a parlare di una mia teorizzazione della “projection Art” applicata ai nuovi formati digitali e al teatro tecnologico. Non solo interattività quindi, ma qualità e modalità di proiezione.

Ringrazio sin d’ora chi vorrà venire a sentirmi.

Videomapping e performance live a cura di Anna Maria Monteverdi è un excursus intorno all’evoluzione della scena digitale attraverso esempi tratti dagli artisti più rappresentativi di un teatro all’epoca della software culture: da Klaus Obermaier a Robert Lepage, da Adrien Mondot e Claire Bardainne a Nobumichi Asai. Si parlerà delle tre fasi del mapping teatrale, dalle proiezioni nello spazio pubblico, all’evoluzione di una vera e propria mediaturgia interattiva.

Anna Monteverdi è ricercatrice di Discipline dello Spettacolo all’Università di Milano,; esperta di Digital Performance, insegna “Storia del Teatro” all’Accademia di Belle Arti di Macerata e “Culture digitali” all’Accademia “Alma Artis” di Pisa dove coordina il Dipartimento di Arte e Nuove Tecnologie. Ha pubblicato Le arti multimediali digitali (Garzanti 2005), Nuovi Media nuovo teatro (2011), Rimediando il teatro con le macchine, con le ombre, con i new media (2013); sta terminando un volume monografico sul regista tecnoteatrale Robert Lepage su cui ha anche realizzato un documentario. Fa parte dell’International Federation of Theatre Research ed è stata nominata convener della sezione Intermediality in Theatre per il triennio 2017-2019. E’ program commitee della rete GAAR per le tecnologie e la ricerca. Partecipa regolarmente a convegni internazionali su Digital Arts.

L’intervento a cura di Anna Maria Monteverdi si realizza nell’ambito del festival RGB Light Experience.

https://www.facebook.com/rgblightexperience/

 

more info: www.annamonteverdi.it
credits event cover: Adrien Mondot

Anna Monteverdi tra gli ospiti d’eccezione per gli esami di diploma della Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti
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Ospiti d’eccezione per gli esami di diploma

Mario Addis, Roberto Amoroso, Pino Castellett, Annamaria Monteverdi, Alessandro Passadore, Italo Petriccione, Paola Randi, Marco Spoletini

E’ ufficiale la composizione delle commissioni che esamineranno i diplomandi della Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti.

Gli studenti del terzo anno che affronteranno a partire da lunedì 3 luglio la prova scritta e il colloquio finale del triennio di studi, si troveranno di fronte come di consueto, oltre al proprio docente interno anche un commissario esterno scelto tra esponenti di spicco del mondo professionale del settore.
Questi i nomi dei professionisti che quest’anno assisteranno nel loro lavoro i nostri docenti:

Mario Addis, Animatore, fondatore della casa di produzione Gertie. Come autore di animazione ha collaborato con registi di talento come Maurizio Nichetti, Dario Fo, Giulio Cingoli, Enzo D’Alò, Roberto Benigni.
Roberto Amoroso, Direttore creativo di Sky, esperto di serialità televisiva. Sotto la sua supervisione creativa, Sky ha prodotto diversi film televisivi e serie televisive, tra cui Romanzo Criminale.
Pino Castellett, Sound Designer, fondatore della Gekosound con la quale realizza il Sound Design di diversi prodotti televisivi e cinematografici, tra cui Tutti i rumori del Mare di Federico Brugia, 9Round di Gabriele Cipolla e Peninsula di Luca Merli.
Annamaria Monteverdi, Esperta di Digital performance e video teatro. Ricercatrice in Discipline dello Spettacolo. Docente di Storia dello Spettacolo presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata e di Culture digitali alla Alma Artis Academy di Pisa.

Anna Monteverdi ritratta da Enrico Cocuccioni(Rai)

Alessandro Passadore, Organizzatore e poi produttore esecutivo realizza in Italia decine di film e serie televisive per le più importanti case di produzione italiane, fondatore della Viola Film di Roma.
Italo Petriccione, Cinematographer, ha curato la fotografia di più di trenta di film italiani, lavorando con registi come Salvatores, Paolo Virzì, Cristina Comencini, Alessandro D’Alatri.
Paola Randi, Regista, sceneggiatrice, nel 2010 dirige Info Paradiso presentato al Festival di Venezia sezione Controcampo Italiano, che ottiene 2 nomination ai David di Donatello, come Miglior Regista Esordiente ed Effetti Speciali.
Marco Spoletini, Montatore dei principali successi cinematografici italiani degli ultimi anni e da sempre collaboratore d’elezione di Matteo Garrone. Tra i riconoscimenti ricordiamo: Nastro D’Argento per L’imbalsamatore e Velocità Massima; David di Donatello per Gomorra; Ciak d’oro per Il passato è una terra straniera.

 

Alla ABA di Lecce le “GIORNATE DELLA CRITICA”, incontri e conversazioni sui temi della contemporaneità artistica e culturale a cura di Antonio Basile, Roberto Lacarbonara e Giacomo Toriano.
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A partire dal 20 Aprile 2017, l’Accademia di Belle Arti di Lecce ospita la rassegna “GIORNATE DELLA CRITICA”, incontri e conversazioni sui temi della contemporaneità artistica e culturale a cura dei docenti Antonio Basile, Roberto Lacarbonara e Giacomo Toriano.

TEATRO MULTIMEDIALE. Dall’opera d’arte totale al cyber teatro. Saggio di AMM (2005)
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(pubblicato su Encyclomedia, 2005)

 Le stesse forme solide, sotto l’occhio dell’attore, un vero e proprio mago, potranno muoversi, cambiare, animarsi, vivere insomma su tutti i piani del teatro ed in tutti i sensi. Ma che mi sia ancora permesso di immaginare adesso lo spettatore futuro in una gabbia di plexiglass con due busti e due volti come i personaggi delle tele cubiste di Picasso. Circondato da suoni, da luci, da colori, da forme, da ombre, sarà sensibile, e con tutti i suoi sensi, a tutte le moltitudini di combinazioni, di armonie, di ritmi, di motivi melodici, sensibile a tutti i punti, rette, curve, angoli conici, linee visive, uditive, statiche, che si svolgono nel magnifico e straordinario caleidoscopio teatrale….. Per il momento, tranquillizziamoci, non abbiamo che uno stomaco ed un cervello. Ma tutto è possibile. Poliéri

 Digitale significa Teatro.

 Le caratteristiche delle tecnologie multimediali digitali stanno delineando nuovi scenari economici, sociali, cognitivi e linguistici: scrittura e lettura sempre più ipermedializzati stanno modificando secondo Thomas Maldonado il processo stesso della memoria umana mentre Lev Manovich afferma che il sistema informatico sta influenzando il sistema culturale nel suo complesso.

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Il teatro non risulta impermeabile a questo divenire multimediale della società sia pur con notevoli resistenze: le nuove tecnologie digitali trasformano radicalmente tutte le fasi produttive dello spettacolo, dalla progettualità alla sua dimensione scenica, coinvolgendo anche il contesto stesso di ricezione (dall’osservazione all’immersione) in relazione al prodursi di nuove modalità ibride di creazione e di comunicazione artistica. L’idea di multimedialità (termine oggetto di un vivace dibattito teorico, cfr. A.M.Monteverdi, A.Balzola, pp.21) e conseguentemente di interattività, è stata variamente sperimentata nel mondo delle arti sceniche (così come nelle arti visive e sonore) sin dalle avanguardie storiche e dalle seconde avanguardie, trovandone una prima definizione (ed una significativa dimensione interdisciplinare), e precede o addirittura prefigura l’innovazione tecnologica che la concretizza ovvero il digitale con la possibilità di trasferimento, elaborazione e interazione di qualsiasi testo, immagine o suono nell’ambito dello stesso metamedium. Nuove frontiere per il teatro si aprono grazie alle possibilità di conversione in un unico intercodice (“la sinestesia obbligata del digitale“, come ricorda Derrick De Kerchove) e al principio di variabilità, interattività, ipermedialità, simulazione (L.Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, ) proprie del sistema integrato digitale, una vera e propria nuova concezione del mondo che obbliga a ripensare l’arte nel suo rapporto con la scienza e con la tecnica. Non più, dunque, operazioni artistiche separate tra loro dalla tecnica: “Il testo, o meglio l’ipertesto drammaturgico il progetto scenico, la partitura sonora-musicale, l’installazione, il video il software, lo spettacolo, non appartengono più a generi diversi ma divengono fasi di un processo aperto, tassello di un mosaico spaziale e temporale mutante, flessibile e comunicativamente forte”.

Similitudine di funzione e di processo: se nella ormai storica formulazione teorica di Brenda Laurel (Computer as Theatre, 1993) il teatro serve da modello per la rappresentazione dell’interazione uomo-computer, la nozione di environment, di performance, di event accomunerebbe proprio spettacolo live e multimediale digitale (A.Pizzo, p.19-24; J. Murray). Così come ogni spettacolo si dà qui e ora, nella “compresenza fisica reale di emittente e destinatario” e nella “simultaneità di produzione e comunicazione” (M.De Marinis,), nella sua immediatezza, nell’attualizzazione di un testo che non esiste se non nell’insieme di relazioni (umane-spaziali-temporali), anche il digitale vive in un tempo percepito come presente e come un continuo generarsi di processi (un tempo fatto cioè “non più di eventi, come il tempo televisivo, ma di infinite virtualità”, ricorda Edmond Couchot), nella interazione tra macchina e agente attraverso interfacce. Secondo tale approccio teorico sarà proprio la presenza del digitale in scena (e non genericamente dell’audiovisivo che appartiene all’era della “riproducibilità”) ad “aumentare” (enhanced theatre è una delle definizioni del teatro digitale) il senso di presenza e di liveness del teatro. I termini della questione posti da Walter Benjamin vanno così ridefiniti a partire non più dalla perdita dell’aura dell’opera in una prospettiva digitale e virtuale dell’arte, ma di un’acquisizione di datità reale, nella “generazione senza referenzialità”seguendo il pensiero di Pierre Lévy e Philippe Quéau, perché il virtuale crea “un nuovo stato di realtà”  (P.Queau, Le frontières du virtuel et du réel in L.Poissant (a cura di) Esthétique des arts médiatiques, (vol.1), Presses de l’Université du Québec).

 Continuità e rottura.

Verso una (nuova?) sintesi scenica dei linguaggi.

Il digitale propone modalità tecniche ed espressive sia di rottura che di continuità. Rottura rappresentata dalla tecnologia di sintesi numerica, in base alla quale non c’è più un rapporto generativo con la realtà materiale, e continuità con alcuni principi cardine del modernismo e dell’avanguardia del Ventesimo secolo, specificamente teatrale: l’unione dei linguaggi -anche quelli della tecnica-, la partecipazione allargata dell’evento spettacolare, la ricercata condizione di azione e interazione (di cui l’interattività appare oggi come la realizzazione concreta), la creazione di un ambiente dalla “totalità percettiva” e sinestetica (“la sinestesia è l’inclinazione naturale dei media contemporanei” affermava l’artista video Bill Viola).  La prospettiva multimediale del teatro – come hanno dimostrato Béatrice Picon-Vallin, Denis Bablet, Nicola Savarese, Andrea Balzola, Fréderic Maurin- perfeziona l’utopia di sintesi delle arti delle avanguardie storiche: la Gesamtkunstwerk di Wagner (l’opera d’arte totale o comune o unitaria secondo le diverse traduzioni) ovvero il dramma unificante di parola e musica (Wor-Ton-Drama) espresso in particolare ne L’opera d’arte dell’avvenire (1849), da inscriversi nell’onda poetica e di pensiero del Romanticismo tedesco (Goethe, Schelling) pur suscitando posizioni e interpretazioni ad esso divergenti e addirittura opposte nei registi fondatori del teatro moderno che trovarono inadeguata la riforma scenica del compositore tedesco, fondamentalmente prefigurava una comune aspirazione a un’ideale di accordo dei diversi linguaggi componenti lo spettacolo, in sostanza una “strategia della convergenza, della corrispondenza e della connessione” (E.Quinz, in A.Balzola, A.M.Monteverdi, p.109).

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Teatro diventa, pur nella diversità delle proposte teoriche, un campo magnetico per tutte le arti (Kandinski): dalla totalità espressiva del nuovo teatro di Edward Gordon Craig operata dal regista-demiurgo luogo di una “musica visiva”, alla sintesi organica e corporea di arti dello spazio e arti del tempo secondo Adolphe Appia, alla composizione scenica astratta di suono, parola e colore di Wassily Kandinsky sorretta dal principio costitutivo dell’unità interore che non doveva oggettivare la realtà ma costituire un evento spirituale capace di suscitare vibrazioni e risonanze condivise dal pubblico. Ancora, il teatro della totalità del Bauhaus con la rappresentazione “simultanea sinottica e sinacustica” di Moholy-Nagy, la “simbiosi impressionista dei linguaggi” della multiscena tecnologica di Josef Svoboda che negli spettacoli della Lanterna Magika combinava in una composizione sincronica, plastica e sonora, l’azione dell’attore o del danzatore, la scena cinetica, il suono stereofonico, gli schermi di proiezione mobili e il cinema.

Infine il programmatico “No Borderline between Arts” di George Maciunas per il movimento Fluxus, non più scultura, poesia e musica ma evento che inglobi tutte le discipline possibili. Sintesi, totalità e sinestesia: principi che si sono declinati in una rinuncia agli spazi tradizionali del teatro all’italiana per rivitalizzare in senso espressivo e relazionale, nell’ottica di una “drammaturgia dello spazio” (M.De Marinis, 2004) luoghi trovati dell’esperienza quotidiana connotati in questo modo di un carattere di efficacia drammaturgica. Il teatro si apre a condividere altre spazio-temporalità, altre modalità narrative, integrando la tecnica e trasformandola in linguaggio espressivo sin dalle prime esperienze simboliste, all’indomani dell’invenzione della luce elettrica, con Gordon Craig e Adolphe Appia. Si tratta di un cammino verso una narrazione non lineare e cinetico-visiva affine al montaggio cinematografico, verso inedite modalità di avvicinamento fisico allo spettatore fino a una sua inclusione nell’opera attraverso un percorso ambientale e “reattivo” e una sempre più spinta dilatazione tecnologica fatta di dispositivi diversi e strategie scenografiche adeguate a soddisfare un’esigenza di prossimità o una mobilità rispetto all’evento o agli eventi sparsi, mobilità che riguarda anche lo scavalcamento di ruolo e intercambiabilità tra attore e pubblico. Dalle imprevedibili azioni di disturbo delle spettacolazioni composite futuriste fino all’attacco “alla sensibilità dello spettatore” teorizzato da Antonin Artaud che nel Secondo manifesto del teatro della crudeltà, parlava di un teatro che “grazie alla soppressione della scena, si estenderà alla sala intera e, partito dal suolo si arrampicherà sui muri […], avvolgerà fisicamente lo spettatore, lo terrà in un’atmosfera ininterrotta di luce, di immagini, di movimenti e di rumori”.  Anche l’evoluzione dei media di immersione e le tecnologie di realtà virtuale per convogliare esperienze artificiali multisensoriali hanno una lunga storia rintracciabile nella pittura, nel cinema, nel teatro e affondano le radici negli scorci prospettici rinascimentali in cui l’osservatore era illusionisticamente incluso nello spazio dell’immagine e nelle ingegnose macchine barocche per i cambi di scena (N. Savarese, pp.242-249). La ricerca di una partecipazione dell’osservatore nell’opera si inaugura con i panorami pittorici a 360° e con l’esperimento polivisivo o cinema simultaneo di Abel Gance (Napoléon, 1927), per proseguire con il Cinerama presentato all’Esposizione mondiale di Parigi che proponeva dieci film da 70mm proiettati contemporaneamente, pionieristico tentativo di espandere il campo visivo dei film sfruttando le zone periferiche dell’occhio umano, con il Sensorama, con il Cinema espanso e quello in 3 D, ed infine con i visori stereofonici Head Mounted (HMD) progettati da Ivan Sutherland nel 1966 e finanziati dall’Esercito americano. Da una parte il cinema delle avanguardie “chiama al lavoro dello sguardo ma anche al coinvolgimento di tutti i sensi” (S. Lischi, in A. Balzola, A.M.Monteverdi, p.62) con schermi semisferici o rotanti, simultaneità di proiezioni, alterazioni di velocità, generale sovvertimento della passività dello spettatore, dall’altra il teatro con macchinari per muovere le scene, piattaforme girevoli, palcoscenici simultanei e circolari, proiezioni cinematografiche (Mejerchold in Terra capovolta), scenografie dinamiche e tridimensionali innovative (rampe elicoidali per R.U.R. di Kiesler) si apre alla percezione di quella che Maria Bottero con una bella immagine definisce “la curvatura del mondo”, verso cioè una multidimensionalità e un nuovo rapporto tra attore e pubblico raggiunto sia con l’architettura sia con l’uso di immagini cinetiche sincronizzate con l’azione scenica (M. Bottero, Frederick Kiesler, Milano, Electa, 1995). L’architetto Walter Gropius dichiarò che lo scopo del suo Teatro totale progettato per Piscator doveva essere quello di trascinare lo spettatore al “centro degli avvenimenti scenici” ed “entro il raggio di efficacia dell’opera”. Erwin Piscator il regista fondatore del Proletarisches Theater nella Germania della fallita Rivoluzione di Novembre di Karl Liebknech e Rosa Luxemburg e pioniere di una scena multispaziale e multimediale secondo una famosa definizione di Fabrizio Cruciani, in Ad onta di tutto (1925) inserì sia immagini fisse che il film documentario, ovvero pellicole autentiche che mostravano gli orrori della guerra; in Oplà, noi viviamo (1927) insieme con lo scenografo Traugott Müller progettò una costruzione scenica a più piani prevedendo un largo impiego, oltre che dei disegni di George Grosz, di proiezioni cinematografiche per creare “una connessione tra l’azione scenica e le grandi forze che agiscono nella Storia”. L’Endless Theatre di Frederick Kiesler, il Teatro anulare di Oskar Strandt, il teatro ad U di Farksas Molnàr fino ai più recenti dispositivi di Poliéri (la sala giroscopica, la scena tripla, la sala automatica mobile, scena e sala telecomandate, ruotanti e modificabili), sono alcuni esempi di una ricerca volta a determinare un allargamento della cornice scenica, che avvolgesse letteralmente il pubblico in un ideologica spinta alla partecipazione globale.

 

Il Teatro dei mezzi misti: il paradigma dell’interdisciplinarietà, dell’ambiente e dell’interazione.

Musica,  danza e film con esclusione drastica del testo o addirittura della parola, il carattere “attimale” dell’opera in base al quale conta principalmente l’accadere dell’evento (lo spazio-tempo reale a volte dilatato per diverse ore) e il contesto ambientale (i luoghi urbani), vengono definite le caratteristiche del nuovo teatro dei mezzi misti, o intermedia, che si inaugura con 18 Happening in 6 Parts  nell’ottobre del 1959 alla Reuben Gallery di New York sotto gli auspici del fondatore, Allan Kaprow: nastri non sincronizzati, diapositive proiettate, suoni e rumori provenienti da un autoparlante, pareti affrescati con collage, oggetti sparsi, azioni eseguite meccanicamente e frasi ripetute da attori si susseguivano in un alternarsi di luci colorate davanti e intorno a un pubblico invitato a spostarsi nelle tre camere separate da pareti di plastica in cui era stato suddiviso lo spazio. Queste le costanti dell’happening individuate dallo storico e artista Michael Kirby: struttura a compartimenti (unità di azioni distinte e autonome, realizzate in sequenze o simultanee e in luoghi diversi); carattere non verbale (prevalenza di suoni puri); assenza di matrice (di tempo, luogo e personaggio); azione indeterminata (ma non improvvisata); uso di materiali concreti, quotidiani; utilizzo di elementi alogici. Kirby rintraccia anche l’eredità nei Merzbau di Kurt Schwitters (1923-1924), nella tecnica e nel principio compositivo del collage e dell’assemblage dada e neodada (da Max Ernst e Jean Arp a Robert Rauschenberg), nello spettacolo futurista (l’integrazione sonora e rumoristica e le declamazioni simultanee del Teatro della Sorpresa di Marinetti e Cangiullo) e dadaista (Relache di Picabia con partitura di Satie, 1924). A questo bisognerebbe aggiungere anche i ready-made di Marcel Duchamp e il concetto di rifunzionalizzazione estetica. Ma l’influenza più diretta sarebbe data da un lato dalla musica indeterminata di John Cage (e dal concerto-evento Untitled event al Black Mountain Collage del 1952) dall’altro dall’action painting, dalla pittura gestuale, dalla teatralità dell’azione artistica, dalla pratica ambientale dell’arte e dall’agire performativamente dentro l’opera. Naturale evoluzione dell’happening è l’enviromental theatre o teatro ambientale: alla fine degli anni Cinquanta Richard Schechner esplorava lo spazio trovato della città -già luogo deputato di manifestazioni e di sit in di protesta- aggiungendo al fatto teatrale una dimensione ambientale, decretando come ricordava il regista americano fondatore del Perfoming group, la fine del “punto di vista unico, sorta di marchio di fabbrica del teatro tradizionale”. Nel testo Six Axioms for Environmental Theatre (1968) Schechner sviluppa la nuova idea di teatro: il fatto teatrale è un insieme di rapporti interagenti (tra gli attori, tra il pubblico, e tra essi e lo spazio e gli elementi della rappresentazione); tutto lo spazio è dedicato alla rappresentazione ed è dedicato al pubblico; l’evento teatrale può avere luogo sia in uno spazio totalmente trasformato sia in uno spazio <<lasciato come si trova>>; il punto focale è duttile e variabile; ogni elemento della rappresentazione parla il suo proprio linguaggio; il testo non è necessariamente il punto di partenza o lo scopo della rappresentazione. E potrebbe addirittura non esserci”.

Dal Teatro-azione agli ambienti inter(e)attivi

Il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina nella sua lunga attività contro il teatro di rappresentazione a favore di un teatro-vita che nella pratica scenica si tradurrà in una ricerca ben salda agli ideali libertari anarco-pacifisti, volta ad attivare un’esperienza comune di consapevolezza sociale e il Théâtre du Soleil di Ariane Mnouchkine e la loro messa in scena della creazione collettiva della Storia, hanno posto l’accento sulla tematica politica e sociale del teatro quale luogo di un’azione condivisa. Insieme a Luca Ronconi e al suo lavoro teatrale degli anni Sessanta e Settanta sull’originale messinscena della “spazialità nascosta del testo” (Balzola, p.) e sulla simultaneità delle azione sceniche dai testi-fiume di Holtz, Ariosto, Kraus in luoghi extrateatrali drammaturgicamente significanti come il Lingotto e l’ex Orfanotrofio Magnolfi di Prato, questi gruppi della neoavanguardia sperimentale hanno ridefinito i contorni di un nuovo luogo teatrale  (che poneva anche l’accento sulla rifunzionalizzazione artistica degli spazi della collettività: il Teatro-Territorio, secondo una definizione dell’architetto Gae Aulenti). Luogo teatrale espanso e dilatato che viola lo spazio prossemico dello spettatore, spezzando le tradizionali “barriere architettoniche” e il principio stesso della frontalità, liberando una soggettiva selezione di visione, e ponendo le condizioni per una partecipazione – in senso fisico ed ideologico – all’azione scenica, prefigurando le possibilità immersive delle tecnologie multimediali e delle installazioni interattive e di realtà virtuali.

Se il pubblico diventava co-protagonista nell’Antigone del Living Theatre attraverso un allargamento dello spazio della scena a tutta l’architettura teatrale e ne Gli ultimi giorni dell’Umanità era libero di muoversi nello spazio operando un proprio montaggio di visione, nelle installazioni di Myron Kruger definite dall’artista significativamente Responsive Environments (come Videoplace), in quelle di David Rokeby (a partire da Very Nervous System, 1986) e soprattutto negli ambienti sensibili di Studio Azzurro (come Coro e Tavoli) l’obiettivo dichiarato è quello di creare un’esperienza sensoriale e relazionale, creativa e soggettiva di dialogo tra osservatore-performer e ambiente, attraverso un dispositivo elettronico sonoro, visivo e grafico: “Uno spazio socializzato è il senso primo della nostra definizione di ambienti sensibili. Si tratta di pensare a contesti dove l’atto interattivo non sia confinato ad una dimensione individuale, come capita nella maggior parte dei casi con questi sistemi (una persona determina il dialogo e altre eventualmente stanno a osservare). Contesti in cui al dialogo con la macchina si associ e si mantenga anche il confronto, anche complice, con le altre persone(…)E’ una garanzia per partecipare alle scelte, che saranno sempre più frequenti nella nostra società proprio per il diffondersi dei sistemi interattivi di consultazione, meno soli e isolati da un confronto umano ancora indispensabile” (Paolo Rosa, Rapporto confidenziale su un’esperienza interattiva, in S.Vassallo, A. Di Brino Arte tra azione e contemplazione).

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Immersione partecipativa, ricerca di uno spazio sensoriale e sollecitazione ad una visione e un ascolto “sinestetico”sono alcuni degli obiettivi di molti artisti multimediali che approdano così, quasi naturalmente in un territorio prettamente teatrale verso una “dramaturgia dell’interazione opera-pubblico che trasferita in teatro diventa interazione opera-attori-pubblico e segna un decisivo passaggio dal video in scena alla scena-video interattiva e sinestetica” (A.Balzola, 2004): “Videoambientazioni, con questo termine cercavamo di evidenziare non solo la relazione con lo spazio, ma il dialogo tra uno spazio e gli elementi messi in gioco, superando la dimensione puramente scenografica. Il teatro era già presente in embrione come ambito nel quale sconfinare, del quale interessarci per lo sviluppo naturale della ricerca nella videoinstallazione. Era inevitabile pensare al teatro anche come luogo dove continuare a sviluppare la pratica della narrazione, da svolgere attraverso i monitor, il rapporto tra lo spazio e chi lo fruisce, lo spettatore o l’attore (Studio azzurro, Camera astratta, Ubu, 1988) Nello spettacolo Studio azzurro Giacomo mio salviamoci! (1998, versi, lettere di Leopardi) l’intera scena è un ambiente virtuale parzialmente interattivo dove i personaggi con le loro azioni possono provocare eventi visivi e sonori. L’evento spettacolare per Giardini Pensili è invece uno spazio dinamico, un’opera-ambiente fatta di suoni e immagini rigorosamente live e in metamorfosi digitale continua. L’immersione è resa possibile da una “iperstimolazione sensoriale” visiva e acustica (R.Paci Dalò, Pneuma, 2005): suoni dalle frequenze anomale, gravi e sovracute, inseguono e avvolgono lo spettatore attraverso sistemi di spazializzazione multicanale (come in Metamorfosi con Anna Buonaiuto e Italia anno zero) associati a strati di immagini-sinopie trattati digitalmente che affiorano a tratti con ritardi, effetti e rallentamenti (Metrodora, Stelle della Sera).  Esperienze sensoriali quasi destabilizzanti per lo spettatore sono inoltre, quelle provocate dalle performance del gruppo austriaco Granular Synthesis  e quelle del collettivo giapponese di danzatori Dumb Type che lavorano sulle astrazioni video, sulla scomposizione granulare del suono e sulle subfrequenze che sconvolgendo i canoni tradizionali dell’ascolto e della visione alla ricerca di una corrispondenza tra segnale elettromagnetico e recettori visivi, tra attività neuronale e processo digitale, trovando nel tecnologico una grande metafora del contemporaneo.

Dal teatro-immagine alla Postavanguardia

Il Teatro-immagine è legato alla figura di Robert Wilson, punto di riferimento di quella ricerca teatrale degli anni Settanta volta sempre più ad uno “spazio definito nella sfera del visivo” (S. Sinisi, Dalla parte dell’occhio. Esperienze teatrali in Italia, 1972-1982), verso una raffinata visionarietà antinarrativa sempre più affine alla processualità e allo spazio-tempo tecnologico (cinematografico e video). Da A Letter for Queen Victoria (1974), Einstein on the Beach (1976), Edison (1979)  realizzati con effetti luministici colorati a forte vocazione pittorica e improntati a un’estetica minimalista (anche nel suono, grazie al contributo fondamentale della musica ripetitiva di Philip Glass) fino a Monsters of Grace (1999) quest’ultimo contenente animazioni computerizzate in 3D, Wilson ha da sempre modellato i suoi spettacoli-quadro in un’ottica di totalità e sintesi architettonica tra le parti: scritture di luci e suoni, ritmi visivi e sonori calcolati al secondo con azioni rarefatte e rallentate, aderenti sistematicamente al principio dello slow motion e del loop.

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In Hamlet: a Monologue (1995) la luce diventa un tema, con una propria autonomia espressiva ed emotiva, quasi fosse luce-stato d’animo mentre l’effetto visivo generale rimanda alle tecnologie audiovisive, quasi fosse un video ad alta definizione: l’intenso sfondo luminescente rispetto al corpo dell’attore simula infatti un particolare effetto mixer, l’effetto intarsio o chromakey. Il teatro-immagine segna una stagione particolarmente fertile che vede tra i protagonisti Mario Ricci, Giuliano Vasilicò, Simone Carella e Memé Perlini il cui spettacolo Pirandello: chi? (1973), tra “frammenti-immagine”, corpi-manichini che emergono dal buio grazie alle luci di taglio e citazioni dal cinema surrealista viene considerato il Manifesto della nuova tendenza. Ma il passaggio a un’estetica teatrale legata ai nuovi media si ha con la Postavanguardia,  ufficializzata nel 1976 a Salerno alla rassegna diretta da Giuseppe Bartolucci. Invaso da altri linguaggi (cinema, fotografia, fumetti, musica rock, mass media, fantascienza) e attirato dalla fascinazione urbana, il teatro della postavanguardia “accentua ulteriormente gli aspetti visionari dello spettacolo e agisce sulle facoltà percettive del pubblico per attirarlo in un cerchio di suggestioni di carattere ipnotico” (A.M.Sapienza). Sono protagonisti: Simone Carella (regista di Autodiffamazione, spettacolo astratto senza attori), la Gaia scienza di Giorgio Barberio Corsetti (La rivolta degli oggetti), il Carrozzone (primo nucleo dei Magazzini criminali, con I presagi del vampiro, manifesto programmatico del loro teatro analitico-esistenziale). Successivamente spettacoli come Punto di rottura (1979) dove quattro monitor sezionano lo spettacolo e Crollo nervoso (1980) degli ex Magazzini Criminali diventano un fondamentale punto di riferimento per la successiva generazione teatrale sempre più spinta verso le suggestioni dei mass media (A.Balzola, in A.Balzola, A.M.Monteverdi, pp.306-311; ed inoltre A.Balzola, 1995)

Videoteatro anni Ottanta

La rassegna Paesaggio metropolitano/Teatro-Nuova Performance/Nuova Spettacolarità (1981), inaugura un nuovo teatro che si esprime attraverso l’esplorazione dei media e si ispira al panorama della metropoli e dell’immaginario cinematografico e videografico. Krypton, Falso movimento di Mario Martone, la compagnia di  Giorgio Barberio Corsetti con Studio Azzurro esploreranno radicalmente, sia pur con modalità profondamente diverse, il territorio della multimedialità definendo con alcuni spettacoli-manifesto, i contorni tipologici di una stagione teatrale innovativa significativamente definita “video teatrale”: “L’esperienza videoteatrale in Italia nella prima metà degli anni Ottanta (…) sperimentava le nuove possibilità tecniche offerte dal video attingendo alle invenzioni , ma anche imboccando itinerari propri: dialettica straniante tra corpo reale sulla scena e corpo virtuale sullo schermo; sperimentazione di modalità di ripresa che interagissero fisicamente con i corpi degli attori/danzatori; ossessione dei primi piani e dei particolari dei volti e dei corpi che a teatro sfuggono in un quadro percepito sempre, inevitabilmente, come totale e lontano; suggestione dei colori freddi e brillanti dell’elettronica; uso in funzione espressiva della bassa definizione, della sgranatura materica e delle scie luminose dell’immagine video; elaborazione dell’immagine in post-produzione, con l’ausilio del mixer e del computer, soprattutto lavorando sulle chiavi cromatiche, sugli effetti di scomposizione dell’inquadratura e di montaggio” (A.Balzola, 1995).

Prologo a diario segreto contraffatto e Camera astratta (1987) di Giorgio Barberio Corsetti e Studio Azzurro rimangono gli spettacoli più emblematici di quest’epoca in cui si introduce una struttura complessa di dialogo tra corpo e ambiente, tra luce e spazio, tra immagine video e presenza attoriale. In Prologo vien allestita una doppia scena, una materiale e una immateriale, una visibile e una invisibile, ovvero il palco agito di fronte al pubblico e un retroset dove gli attori vengono ripresi mentre la loro figura intera è riproposta al pubblico in diretta, ricomposta su quattro file di tre monitor impilati. In Camera astratta invece un’architettura geometrica mobile attraversava il palco in varie parti, con monitor posti su binari o montati su assi oscillanti e sospesi come un pendolo: in una perfetta sincronia di movimenti, incorporavano e scomponevano il corpo dell’attore con un passaggio continuo e fluido della narrazione dal video al teatro. Nell’idea degli autori la Camera astratta è la mente stessa del personaggio e gli eventi dello spettacolo sono come le emanazioni-manifestazioni degli istanti-pensiero che attraversano questa scena interiore.

 

Dispositivi di visione

La Duguet nel celebre saggio Dispositif (1988) ricorda come sia stato proprio il teatro degli anni Sessanta a offrire i paradigmi e le premesse per una spazializzazione e temporalizzazione delle opere video intese non solo come immagine ma come dispositivi multipli che innescano un processo di durata e letteralmente di “esplosione” verso l’esterno, verso il contesto spaziale: la messa al bando del punto di vista unico, l’apertura ad una temporalità plurima, la partecipazione dello spettatore ad un evento reale, fisico e immediato, il suo coinvolgimento in un percorso narrativo, percettivo ed emotivo. La presenza di schermi  e monitor in scena comporta necessariamente una diversa partecipazione e una diversa disposizione percettiva poiché le immagini sono decontestualizzate, frammentate, velocizzate, simultanee su più schermi e lo spettacolo diventa “polivisuale e sembra che siano convocati tutti gli stadi della storia del nostro sguardo” (B-Picon-Vallin). L’effetto prodotto richiama secondo molti critici, alla molteplicità di  prospettive e alla scomposizione della figura umana delle avanguardie pittoriche primonovecentiste, quella cubista principalmente. In Marat Sade (1984) di Carbone 14, compagnia di Québec creata da Gilles Maheu nel 1980, La Dispute da Marivaux di D. Pitoiset (1995) e in The Merchant of Venice (1994) di Peter Sellars, il video sottolinea il volto, ferma il tempo e isola il gesto; volti che sembrano imprigionati nella scatola televisiva, come le teste “ritagliate” su cuscini nelle videoinstallazioni di Tony Ousler. Il video in scena introduce il cosiddetto “effetto specchio” diventando dispositivo psicologico introspettivo (come in Hajj, dei Mabou Mines, 1981). Il corpo dell’attore viene replicato e il suo doppio elettronico rimette allo sguardo dello spettatore l’immagine di un’interiorità invisibile e indicibile: è il passato o l’altrove, il nascosto e il perturbante, la memoria e il vissuto.

In Elsinore di Lepage (1995) Amleto si “guarda dentro”, e nella solitudine di Elsinore -luogo mentale- incontra tutti i personaggi generati da lui stesso, ombre e gigantesche proiezioni (su grande  schermo) delle proprie angosce che evidenziano la scomposizione della sua personalità psichica. Uno dei migliori esempi di integrazione di dispositivi multischermo con la scena è rappresentato da The Seven Streams of the River Ota (1994) di Robert Lepage. La scena è strutturata come la facciata di una tradizionale casa giapponese, con sette schermi-pannelli trasparenti fatti di spandex su cui vengono proiettate immagini video e ombre: l’effetto di “intarsio”permanente tra l’immagine videoproiettata e corpo dell’attore e tra la figura e sfondo monocromo luminescente genera un surreale dialogo tra corpi e luce, e rende quasi letteralmente il senso più profondo dello spettacolo: l’impossibilità di cancellare dalla memoria l’Hiroshima della bomba atomica. La scena fatta di schermi diventa una lastra fotosensibile e l’intero spettacolo una scrittura di luce, metafora di un percorso insieme di ricordo, di illuminazione e di conoscenza.

Il gruppo italiano Motus, tra i protagonisti della cosidetta Generazione Novanta, con il progetto Rooms  confluito nella versione definitiva dal titolo Twin Rooms (2000-2003) ispirato al romanzo Rumore bianco di De Lillo, palesa attraverso un particolare dispositivo visivo e sonoro, un procedimento cinematografico. L’azione teatrale, che procede per riquadri e close up e ricostruisce un set, simula il cinema; la regia teatrale diventa regia di montaggio:  la struttura (una camera d’albergo) si raddoppia dando vita a una “digital room” con due retroproiezioni affiancate di immagini preregistrate o provenienti da telecamere a circuito chiuso e mixate live con quelle girate in diretta dagli stessi attori in scena. La cornice scenografica di questo expanded live cinema invade tutto lo spazio del palco e le immagini riempiono ogni interstizio possibile, generando un sovraccarico di visibile. Il video incombe quale inquietante presenza dentro questo claustrofobico contenitore di corpi ridotti a immagine su schermo procedimento visivo che drammatizza efficacemente il nuovo totalitarismo consumistico narrato cinicamente da De Lillo, forse il più grande romanziere postmoderno. Domina nello spettacolo un eccesso di visibilità e anche un incrudelimento e una morbosità dell’occhio della telecamera che sorveglia e si sofferma sui corpi. Il video in scena  inglobato nell’architettura integra il procedimento del romanzo: lo shock dell’immediatezza, il senso di alienazione e di perdita di identità nel flusso della rappresentazione del sé.

 

Un’estetica del processo?

Dall’autore all’attiv-attore

La multimedialità digitale definisce una nuova estetica non più dell’oggetto ma del processo e del  flusso (C.Buci-Glucksmann) in cui per la prima volta nella storia delle tecniche figurative la morfogenesi dell’immagine e la sua distribuzione (diffusione, conservazione, riproduzione e socializzazione più estesa) dipendono dalla stessa tecnologia (dall’immagine-matrice all’immagine-rete secondo E.Couchot). Le opere interattive hanno la capacità di modificarsi grazie alla presenza e all’azione degli spettatori, intermediari tra strumento, artista e spettatore, diventati veri coautori dell’opera. Navigazione ipertestuale, ambienti virtuali 3 D, immagini di sintesi, installazioni interattive: da un’opera chiusa e strutturata a un’opera-sorgente che contiene nella sua attualizzazione ed esecuzione una possibilità di continua variazione. Se l’artista è l’autore della proposizione, della concezione dell’opera, del suo dispositivo, del suo contesto, della sua manifestazione, il visitatore attraversandola la interpreta, ne è il performer (A.M.Duguet Installazioni video e interattive. Definizioni e condizioni di esistenza). Edmond Couchot preferisce invece parlare di due autori: un autore a monte all’origine del processo, ovvero colui che definisce programmaticamente le condizioni della partecipazione e un autore a valle che si inserisce nello sviluppo dell’opera e ne attualizza in maniera non preordinata, le potenzialità.

In Storie mandaliche 3.0 : il collettivo artistico Zonegemma ha messo in atto una complessa drammaturgia ipertestuale (ipertesti di Andrea Balzola) confluita in uno spettacolo di narrazione interattivo (con uso prima del Mandala System poi del programma di animazione Flash MX). Poiché il mandala viene costruito secondo un percorso labirintico e una logica di corrispondenze, anche  le storie hanno delle inter-connessioni: il pubblico può decidere di passare da un personaggio ad un altro ad ogni bivio ipertestuale, viaggiando all’interno di un labirinto di migliaia di possibili narrativi. La novità della tecnica affabulatoria del cyber-contastorie Giacomo Verde  che recupera un’oralità antica aggiornandola ai media digitali, l’immagine in animazione per permettere una navigazione anche in Internet, la ricercata atmosfera generale di sinestesia attraverso le sonorità spettromorfologiche create da Mauro Lupone, ma soprattutto il particolare reticolo ipertestuale percorso dal pubblico fanno di Storie mandaliche 3.0 il primo e pionieristico esempio italiano di teatro interattivo, con un’interattività non di interfaccia ma di progetto e di relazione. In CCC (2003) di Davide Venturini-TPO l’opera, definita dagli autori “un’azione teatrale a metà tra un atelier multimediale e uno spettacolo”  non è altro che un tappeto interattivo: un video proiettore invia dall’alto immagini animate e un sistema di trentadue sensori nascosti sotto il tappeto: il movimento di una o più persone all’interno di esso genera suoni e immagini che sono l’armamentario di un racconto di viaggio in Giappone tra i colori e le forme di un giardino Zen. L’artista innesca le condizioni più adatte per  sviluppare un’esperienza riflessiva e socializzante al tempo stesso, che sia da un lato di gioco ma anche di codici, di segni, di spazi, di nuove e immateriali architetture; è un’esperienza spontanea collettiva e condivisa, di emozione sensoriale, di contemplazione estetica, di concentrazione interiore.

Verso un teatro virtuale

Il teatro affronta la questione del virtuale aprendosi anche ad un nuovo un versante interattivo, attraverso la creazione di una scena delle interfacce (E.Quinz, in A.Balzola, A.M.Monteverdi, p.403). Secondo Quinz due sono le possibili classificazioni di questa nuova scena: la prima è rappresentata da un puro sistema di interfacce in cui il dispositivo e il software servono sostanzialmente da intermediari fra il computer e le unità periferiche (videocamere, strumentazione virtuale). Si tratta in pratica di una vera e propria regia digitale che combina fonti diverse visive e sonore: immagini video ed eventuale elaborazione digitale in tempo reale, immagine da Internet, o d’archivio, sonorità elettroniche realizzate e trasformate in diretta.

Il secondo tipo, definito da Quinz “ambiente-mondo”, è quello degli ambienti virtuali veri e propri, incentrato sull’interazione fra corpi reali e corpi virtuali, sulla creazione computerizzata di oggetti interattivi a partire dalla captazione di movimenti degli interpreti in combinazione con l’utilizzo di periferiche di interazione uomo-macchina tramite sensori (elettromagnetici, elettromeccanici e fotoelettrici) come i data glove per la manipolazione della Realtà Virtuale e i sistemi di Motion Capture o la piattaforma EyesWeb elaborata dal Laboratorio di Informatica Musicale di Genova di Antonio Camurri che catturano gesti e movimenti umani (ma anche pulsazioni cardiache, variazioni di temperature), generando uno spazio reattivo, un ambiente multimodale interattivo (A.Camurri in A.Balzola, A.M.Monteverdi, p. 414); l’attore indossando queste interfacce può gestire autonomamente in tempo reale e con il solo movimento, input da diverse periferiche e animare oggetti, ambienti, grafica, immagini, suoni, personaggi 3D e comporre l’azione scenica vera e propria. L’interfaccia si pone allora fra due sistemi di natura diversa, fra i quali il computer svolge delle operazioni di traduzione.

Il data glove o guanto interattivo è stato usato in Italia da Giacomo Verde e Stefano Roveda per dare vita al burattino virtuale Euclide nel 1992 mentre Jean Lambert Wild con Orgia (2002) ha sperimentato efficacemente il rapporto tra corpo dell’attore e immagine mediato da un’interfaccia (Sistema Daedalus): questa generava esseri artificiali, organismi del fondo marino, il cui “comportamento” e il cui movimento era influenzato dai livelli di emotività, respiro, temperatura e battito cardiaco degli attori muniti di particolari sensori.

https://www.youtube.com/watch?v=6zzrSi_irIw

Come ricorda Emanuele Quinz che ha elaborato la più originale proposta teorica in materia di digitale applicato alla scena (soprattutto in riferimento alla coreografia) “grazie alle interfacce il linguaggio scenico si arricchisce di un nuovo strato, basato sulla fluidità dei codici, sulla circolazione di input e output e sul trasferimento e la trasformazione dei dati. L’obiettivo di questi cantieri di ricerca e processi di sperimentazione è di esplorare una nuova sintassi capace non solo di tenere conto dei nuovi flussi delle informazioni sulla scena, ma di integrarli al servizio della composizione drammaturgica e coreografica” (E.Quinz in A.Balzola, A.M.Monteverdi, p. 405)

Marce.lì Antunez Roca, fondatore della compagnia catalana Fura dels Baus propone un nuovo cyber teatro o teatro tecno-biologico in cui l’ibridazione (ovvero l’interpenetrazione, come precisava Mac Luhan) e lo scambio non sia solo più solo tra macchine e dispositivi ma tra corpo e tecnica, tra organico e inorganico, tra robotica e biologia, operando al confine tra “corpi in -macchinati e macchine in-corporate” (M. Antunez); il performer incarna l’utopia post-umana della tecno-mutazione, dell’ampliamento della struttura biologica verso nuove sensibilità extratattili diventando, attraverso innesti temporanei di dispositivi elettronici ed elettromagnetici, cybermarionetta e robot cibernetico, potente metafora della liberazione del corpo verso nuovi e inesporati spazi di sensorialità (dai robot pneumatici che reagiscono alla presenza del pubblico- Requiem, 2000-, al corpo-macchina del performer, appendice del computer sottoposto alla invadente molestia telematica da parte dello spettatore attraverso un touch screenEpizoo, 1994-).

Mutazione come seconda natura, come una sorta di felice alienazione dell’uomo nella sfera biotecnologica, passaggio indolore ad una nuova realtà, a una nuova “artificialità naturale”, tematica e che ha molto in comune con la nuova carne del cinema mutageno di David Cronemberg, col cyborg di Donna Haraway, e con i post umani di Bruce Sterling ne La matrice spezzata. In Transpermia. Panspermia inversa (2003) Antùnez, come già in Afasia, sostituisce il keyboard con il dressskeletron o esoscheletro, una protesi elettromeccanica, vero prolungamento protesico della sua corporeità recuperando grazie al programma Midi Reactor, funzioni organiche non più limitate alla vista e al tatto, potendo suonare con il suo corpo e modulare la voce, animare immagini  e disegni che mostrano ironiche ipotesi di interfacce e robot da usare nel quotidiano per identità sempre mutanti. Il performer (“uomo-orchestra” come lo ha definito incisivamente Carlo Infante che ha seguito sin dagli esordi i lavori dell’artista catalano) controlla così suono, immagine multimedia, videocamera in tempo reale, sequencer MIDI poiché il suo esoscheletro è in realtà una piattaforma che gli permette di connettere insieme e gestire una molteplicità di programmi, facendo di se stesso, un’interfaccia delle interfacce. Questi esempi affermano la centralità dell’attore quale fulcro vitale dell’esperienza scenica e mostrano una nuova ricerca teatrale  che prende come punto di partenza l’interprete, il cui corpo-interfacciato permette di far funzionare l’intero spettacolo; il nuovo cyber-attore torna ad assumere i connotati della Supermarionetta profetizzata da Craig,  dell’”uomo-architettura ambulante” ovvero adeguata alle leggi dello spazio cubico ambientale di Oskar Schlemmer ed infine dell’attore biomeccanico mejercholdiano per il quale “il corpo è la macchina e l’attore il meccanico”(A.Pizzo, p.132;  N. Savarese, 248-262).

Frontiere futuribili si intravedono per un nuovo teatro on line già esplorato dai navigatori della grande rete mondiale in occasione di alcuni eventi globali di hyperdrama e virtual drama (L.Gemini, p.136-137):#hamnet,1993 degli Hamnet Players, la prima performance realizzata via Internet attraverso il canale Internet Relay Chat; Clicking for Godot del DeskTop Theatre; Connessione remota , 2001 realizzata contemporaneamente on stage e on line con l’attivazione di una webcam e dialoghi in chat e Webcam teatro (2005) che utilizza le cosiddette webcommunity, entrambi progetti di Giacomo Verde. L’idea di una performatività deterritorializzata, estesa a vari canali per sperimentare diversi luoghi anche immateriali della comunicazione (senza fondamenta e smisurati, come nel caso delle opere nelle architetture del cyberspazio) e diverse modalità di partecipazione, ha alcuni precedenti significativi: Telenoia di Roy Ascott del 1992, performance mondiale durata 24 ore che connetteva attraverso tutte le tecnologie della comunicazione dell’epoca, bbs, fax, videofono, teletext, artisti che si scambiavano poesia, musica e immagini a cui fece seguito un anno dopo La lunga notte, concerto radiofonico in simultanea interattiva ideato da Roberto Paci Dalò-Giardini Pensili. E soprattutto The CIVIL warS: a tree is best measured when it is down di Robert Wilson, spettacolo kolossal ideato per le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 in cui l’utopia di opera totale si trasfigurò in una composizione seriale di lirica, danza, cinema, pittura da dilatare (anche attraverso l’universo della diretta televisiva via satelite) in cinque paesi diversi del globo in sintonia temporale, progetto -realizzato solo parzialmente-che sfuggiva decisamente alla scena tradizionale e ai suoi tempi.

La rete intesa anche come potenziale teatro della protesta e della nuova disobbedienza civile, come luogo di un nuovo rekombinant e tactical theatre: si tratta del pensiero del collettivo statunitense Critical Art Ensemble e dell’Electronic Disturbance Theatre di Ricardo Dominguez, punti di riferimento della comunità artistica digitale mondiale e che si ispirano per le loro oper’azioni performative attraverso la rete, al Living theatre e al movimento situazionista. Le loro azioni (sit in virtuali, scioperi della rete) rientrano nell’ambito del cosiddetto hacktivism, etichetta usata per definire pratiche di attivismo, sabotaggio e controinformazione attraverso le nuove tecnologie. Il vero interrogativo, al di là dei generi e dei canali usato è: può il teatro -anche quello che usa le tecnologie più nuove – mettere in discussione modelli, sistemi, poteri? Brecht è ancora attuale? E’ proprio Brecht nei testi relativi alla Radio (1927-1936) ad aver intuito che il problema stava nell’appropriazione e nell’epicizzazione del mezzo, nel totale controllo espressivo da parte dell’artista -e della voce collettiva  che si nasconde dietro di lui- dello strumento tecnico e della nuova concezione dell’arte che supera la separazione tra “produttore” e “consumatore”.

CLUSTER.X , new performance by Kurt HENTSCHLÄGER
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New performance by Kurt  HENTSCHLÄGER for the Ensemble intercontemporain in collaboration with Edmund Campion

9 October 2015 at 20:30

Philharmonie 2 – Concert hall
As part of Turbulences numériques and Némo, Biennale internationale des arts numériques
PARIS (France)

CLUSTER.X is a hybrid media performance designed to be performed by a group of virtual bodies and the Ensemble intercontemporain.
In a weightless choreography, human figures appear mostly as an undifferentiated particle blur and sound as a pulsing, amorphous mass, together forming a cloud of ambiguous matter made of body parts, light and drone.
CLUSTER.X describes a meta-organism with a decidedly anti-individualistic character, yet still unmistakably human.

Commissioned by Ensemble intercontemporain and Arcadi Île-de-France
Co-production Arcadi Île-de-France, Ensemble intercontemporain, Philharmonie de Paris.

Forthcoming dates:

• 6 November 2015: CLUSTER.X, Cal Performances – University of California, Berkeley (U.S.A.)
• 10 November 2015: CLUSTER.X, Carolina Performing Arts, Chapel Hill (U.S.A.)
• 1 – 31 March 2016 : ORT, 360° visual creation on Le Volcan building, Le Havre (France)

Also available on tour:

> Performances: CLUSTER, FEED
> Installations: CORE, HIVE, KARMA, MATTER, MEASURE, RANGE, SCAPE, ZEE

FEEDvenice05

Artiste autrichien vivant à Chicago, Kurt Hentschläger crée des spectacles et des installations audiovisuels.

Après avoir étudié aux Beaux-arts, il présente pour la première fois son travail en 1983 : il construit des machines-objets surréelles, puis il se tourne vers le film, la vidéo, l’animation assistée par ordinateur et le son.

La nature immersive de ses réalisations part d’une réflexion sur le sublime et la condition humaine. Ses travaux actuels en solo explorent plus profondément la nature de la perception humaine et l’impact accéléré des nouvelles technologies sur la conscience individuelle et la conscience collective.

Entre 1992 et 2003, il est l’un des deux membres de GRANULAR-SYNTHESIS. Ses réalisations, qui utilisent des images projetées à grande échelle et des environnements sonores favorisant les extrêmes basses fréquences défient le spectateur tant sur le plan physique qu’émotionnel, le submergeant par la stimulation de ses sens.

Quelques lieux et événements : la Biennale d’art de Venise, la Biennale de théâtre de Venise, le Musée d’Art national de Chine, Beijing, le Stedelijk Museum Amsterdam, le PS1 New York, Creative Time, Inc., New York, le MAC – Musée d’Art Contemporain de Montréal, le MAK – Musée des Arts appliqués de Vienne, le Musée national d’art contemporain de Séoul, le Festival Ars Electronica de Linz, l’ICC Centre d’Intercommunication de Tokyo, la Fondation Beyeler à Bâle, l’Arte Alameda, Mexico, l’Ironbridge Gorge Museum, dans le cadre de Londres 2012 – Olympiade culturelle, ou encore l’EMPAC / Rensselaer Polytechnic, Troy, New York.

En 2010, il reçoit le prix Qwartz Arts Nouveaux Médias.

 

EPIDEMIC


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Il quotidiano albanese KOHA DITORE recensisce il film NUOVO TEATRO IN KOSOVO di Anna Monteverdi
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“Teatri i ri i Kosovës”, për promovim në skenën ndërkombëtare

9 Mars 2015 – 12:01

Prishtinë, 9 mars – Një vizitë tek kushërira e saj, që drejton Kontingjentin Policor Italian në Kosovë, ishte bërë shkak që më 2012, kritikja e ligjëruesja për teatër, Anna Maria Monteverdi, të hulumtonte skenën teatrore të Kosovës.

Duke qenë eksperte në teatrin bashkëkohor, hulumtuese e autore librash, i kishte rastisur të lexonte për teatrin në Ballkan. E kishte mbajtur mend emrin e dramaturgut kosovar Jeton Neziraj.

“I kisha lexuar të gjitha dramat e tij të jashtëzakonshme, dhe e takova atë në qendrën ‘Multimedia”’ në Prishtinë. Pashë punën që bënte me stafin e tij, artistët, disenjatorët grafikë, regjisorët, aktorët dhe të gjithë ishin shumë profesionalë. Dhe e kuptova se duhej t’i kushtoja vëmendje këtij teatri”, nis rrëfimin Monteverdi, e cila është ligjëruese e historisë së teatrit në Akademinë e Arteve në Lecce dhe për dramaturgjinë e multimedias në akademinë e arteve “Brera” në Milan. Do të kthehej edhe gjashtë herë të tjera në vendin ku ishte befasuar për të mirë. Produkt i vizitave të italianes në Kosovë është “Teatri i ri i Kosovës”.

Dokumentari 26-minutash kishte nisur të xhirohej në nëntor dhe është finalizuar tek tani. I realizuar nën regji të Monteverdit, “Teatri…” vë në fokus punën e qendrës “Multimedia”, duke veçuar procesin e realizimit të shfaqjes “Shembja e Kullës së Ajfelit” të regjisores Blerta Rrustem-Neziraj. Por, nëpërmjet intervistave që ka realizuar autorja, në dokumentar shpalosen të dhëna për teatrin në Kosovë qysh prej viteve ‘90 e deri në ditët e sotme.

Qendra “Multimedia” është themeluar në vitin 2002 në Kosovë, dhe është organizatë e pavarur kulturore e fokusuar në prodhimtari artistike, shkëmbime kulturore ndërkombëtare e publikime nga fusha e artit dhe e kulturës. Fokusi kryesor i saj qëndron në dramaturgjinë dhe teatrin bashkëkohor.

Në një bisedë për “Kohën Ditore”, Monteverdi rrëfen sesi rrugëtimi i saj gjatë eksplorimit të jetës teatrore në Kosovë kishte qenë i mbushur me surpriza.

“Erdha për ta parë premierën e shfaqjes ‘Një fluturim mbi teatrin e Kosovës’, dhe u befasova për të mirë kur e pashë se Teatri Kombëtar ishte i mbushur krejtësisht”, thotë Monrteverdi, tek shpjegon se në Evropë gjërat përgjithësisht janë pak më ndryshe.

“Duhet ta dini se në një Evropë të civilizuar Perëndimore tani teatri është aktivitet vetëm për disa grupe intelektualësh dhe rrallëherë teatrot realizojnë performanca të autorët bashkëkohorë që janë ende gjallë”, shton ajo.

Sipas Moteverdit, në Itali ka shumë kureshtje për kulturën e gjuhën shqipe, duke qenë se komuniteti shqiptar në këtë vend është goxha i madh dhe mirë i integruar.

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“Në disa qytete të Italisë, në jug, ka projekte kulturore e teatrore midis Italisë e Shqipërisë, për shembull në Kalabri. Një kompani teatri në “Lecce”, e quajtur “Koreja”, po ashtu punon me aktorë e muzikantë shqiptarë, dhe së fundi vepra e tyre artistike është përzgjedhur për t’u prezantuar në Bienalen e Venecias”, shpjegon Monteverdi -eksperte e performancave digjitale dhe autore e librave “New Media, New Theatre”(2011), “Multimedia Arts”(2004).

Gjatë dy vjetëve të fundit, ajo thotë se ishte përpjekur të bindte italianët që merren me kulturë të vijnë në Kosovë dhe të zbulojnë kreativitetin e potencialin artistik në teatrot e reja.

“Në prill të vitit të kaluar erdha këtu me Peter Valentin, një prej regjisorëve më të rëndësishëm të rrjetit të teatri në Itali, ‘Emila Romagna Theatres’ me seli në Bolonja”, shpjegon Monteverdi, tek shton se prej asaj vizite Valentin kishte vendosur që shfaqjen “Fluturimi mbi teatrin e Kosovës” të regjisores Blerta Rrustemi-Neziraj ta merrte në festivalin “VIE Festival of Modena”.

E për të promovuar shfaqjet teatrore që bazohen në dramat e Jeton Nezirajt ajo kishte nevojë të reflektonte në kuptimin, motivimin, rrënjët e referencat kulturore të tyre.

“Kështu që vendosa të kthehem në Kosovë për të punuar në shfaqjen e re ‘Shembja e Kullës së Ajfelit’. Dhe pastaj vendosa të prodhoj një film dokumentar”, shpjegon ajo. Shfaqja me tekst të Jeton Nezirajt e realizuar nën regji të Blerta Rrustemi-Nezirajt ishte dhënë premierë në Teatrin Kombëtar të Kosovës në dhjetor të 2013-s. Shfaqja vë në skenë stereotipat, paragjykimet e fanatizmin fetar në shoqëritë demokratike të Evropës.

Kur e kishte parë shfaqjen, Monteverdi kishte vendosur ta realizonte dokumentarin. Siç thotë ajo, kishte dashur të përcillte sensin e befasisë së këndshme që kishte gjetur në këtë pjesë të Evropës.

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“Për një teatër të guximshëm që flet për çështjet bashkëkohore (siç janë terrorizmi dhe religjioni), e që jam e sigurt se do ta avancojë më shumë dialogun mes serbëve e kosovarëve sesa negociatat në Bruksel, ose nëpërmjet qeverive”, thotë ajo, tek shton se ndihet me fat që ishte dëshmitare e procesit të realizimit të “Shembja e kullës së Ajfelit”.

“Dhe vendosa se duhej t’i tregoja publikut italian, por gjithashtu edhe Evropës Perëndimor më shumë për këtë shfaqje, (filmi është me titra anglisht dhe frëngjisht) dhe për rolin e rëndësishëm që mund të luajë kultura në gjeografinë politike”, ka thënë ajo.

Si pikë referimi kishte marrë dramat e Nezirajt, por “Teatri i ri i Kosovës” flet për zhvillimin e teatrit në Kosovë që prej viteve ‘90 e deri në ditët e sotme.

“Këto shpalosen duke intervistuar edhe aktorët e shfaqjes”, thotë ajo.

Bashkëpunëtorë të Monteverdit në këtë dokumentar janë Giancarla Carboni dhe Alessandro Di Naro. Montazhi është bërë nga Luca Sagn me mbikëqyrje të Sara Fgaier në Romë. Dokumentari është produksion i “Regional Media Ligure”.

“Ishte eksperiencë shumë e mirë. Dokumentari nuk është shfaqur ende. Po pres ta shfaq në Itali e më pastaj në Prishtinë”, ka thënë Monteverdi tek ka shtuar se për të realizuar “Teatrin e ri të Kosovës” ka intervistuar Jeton dhe Blerta Nezirajn, kompozitorin Gabriele Marangonin, aktorin Adrian Morina, skenografin francez Clement Peretjako dhe disenjatorin e dritave Nico De Rooij nga Holanda.

Dramaturgu Jeton Neziraj, i cili menaxhon me qendrën “Multimedia”, ka thënë se kritikja e teatrit Anna Maria Monteverdi ka vizituar disa herë Kosovën për të parë nga afër punën që bëhet në këtë qendër.

“Ajo deri tash ka shkruar disa artikuj në revista e gazeta të rëndësishme italiane për shfaqjet tona, si dhe ka edituar edhe botimin në italisht të dramës “Shembja e Kullës së Ajfelit””, ka thënë Neziraj, tek ka shtuar se Monterverdi është një autoritet i rëndësishëm në skenën teatrore në Itali.

“Prandaj jam vërtet i lumtur që asaj i intereson puna jonë. Dhe, falë saj, puna ime si autor teatri dhe e qendrës ‘Multimedia’, në Itali është prezente”, ka thënë Neziraj.

Por, sipas tij, “Teatri i ri i Kosovës” nuk promovon vetëm punën e “Multimedias”.

“Ky dokumentar është një hap i vogël, por i rëndësishëm për promovimin ndërkombëtar të teatrit kosovar”, ka thënë ai.

E Monteverdi, e cila ka shkruar ese për performanca digjitale, instalacione interaktive të autorëve si William Kentridge, Motus, Bob Ëilson, Heiner Goebbels, etj., nuk e ka ndërmend të ndalet.

“Kam shumë plane e projekte për vitin e ardhshëm që lidhen me Kosovën”, thotë ajo.

© KOHA Ditore

Intervista a Anna Monteverdi a cura di Armando Adolgiso
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Su Cosmotaxi, rivista interstellare del regista e scrittore, nonché raffinato conoscitore di Arte e Teatro Armando Adolgiso la mia intervista! Che leggete nell’originale qua:

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Studiosa da anni di digital performance e videoteatro, la ritengo, e non sono il solo, la più acuta osservatrice della nuova scena tecnologica che abbiamo in Italia. Autrice di opere quali l’imperdibile Nuovi media, nuovo teatro  imperdibile sia per gli addetti ai lavori – anche se di diversa tendenza espressiva – sia per quanti sono interessati all’influenza delle nuove tecnologie nella nostra vita quotidiana di lavoro e tempo libero. Questo perché il volume illustra, e interpreta, origini, percorsi e approdi dell’intercodice quando s’invera alla ribalta e, più spesso, anche in luoghi non elettivamente scenici, e da quelle indicazioni discendono importanti considerazioni sui nuovi modelli di comunicazione.
Più articolate notizie biografiche QUI.

Testimonianza dell’ampiezza e profondità del suo sguardo è il sito che conduce in Rete rintracciabile con un consigliabilissimo CLIC.

 Benvenuta a bordo, Anna, così come più rapidamente gli amici ti chiamano…

Bentrovato Armando!

A.A.La stellata Michelin e stellare chef Cristina Bowerman che illumina l’Hostaria Glass di Roma, mi ha consigliato di sorseggiare durante la nostra conversazione una bottiglia di Barolo Percristina di Domenico Clerico… cin cin!
Ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Anna secondo Anna…

AMM: Io mi definirei una teatro-compulsiva e una maniaca delle tecnologie, una brava studiosa che ha visto la luce il giorno che ha incontrato il tecnoregista Robert Lepage in Quebéc e che da quel momento nel 2000, non si è persa un suo spettacolo e arriva a prenotare con 6 mesi di anticipo ogni suo debutto da New York a Madrid a Nantes (dove andrò a febbraio). Mi dicono che i miei libri su teatro e multimedia sono diffusi nell’ambiente tecnologico e teatrale e in quello universitario e ne sono felice ma alla fine noi studiosi di materie così ai margini siamo, in fondo, degli sconosciuti noti solo in universi paralleli raggiungibili soltanto con l’Enterprise! E non abbiamo la percezione di quanto riusciamo a incidere nel cambiamento culturale di questo paese; mio figlio Tommaso mi dice di aggiungere che non so usare l’iphone 6 che mi hanno regalato a Natale. E questo chiude il quadro

A.A. Qual è lo scenario filosofico-estetico al quale fa riferimento il tecnoteatro?

A.M.M: Negli anni Novanta l’argomento-chiave quello che aveva portato agli innesti spettacolari di Stelarc o alla corporeità tecnologica di Marcel.lì Antunez Roca come tu sai, era il “post human”, con gli studi di Donna Haraway (“Il manifesto del cyborg”); quel “connubio impuro” tra uomo e macchina fu elaborato e diffuso dallo studioso di cyber culture Antonio Caronia. Per me hanno avuto particolare influenza gli studi sui media di Negroponte (“Essere digitali”, 1999), Manovich, Maldonando, Pierre Lévy, Derrick De Kerckhove e i pensieri di Paolo Rosa fondatore di Studio Azzurro. Gli strumenti digitali in scena, ricordava Paolo, devono essere considerati alla stregua di un linguaggio artistico da plasmare e adattare drammaturgicamente alle esigenze della scena. Altri riferimenti vanno dalla “Teoria estetica” di Adorno all’ermeneutica di Gadamer. Ma ho una passione speciale per Rosalind Krauss e la sua teoria della “reinvenzione linguistica del medium” in arte.

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A.A. Tue parole: “La corporeità del teatro e l’immaterialità del virtuale”.
Esiste una possibilità di legame oppure è negata?

A.M.M.Certamente il teatro è il luogo del corpo, dello spazio, dell’incontro grotowskiano tra attore e spettatore qui e ora ma attualmente questo “qui e ora” si è trasformato con i media digitali e con la rete, in una dimensione di “là e altrove”, allargando i confini del teatro in uno spazio-tempo così ben descritto da Manuel Castells ne “La nascita della società in rete”, cioè uno spazio di flussi, di reti funzionali che sostituiscono lo spazio dei luoghi e ci immergono in una simultaneità interconnessa. Progetti di teatro via web, sistemi di animazione 3D e videomapping per le scenografie, visori come Oculus, definiscono oggi una “cultura della virtualità reale” per citare ancora Castells, ovvero una realtà (il teatro) immersa in un ambiente (virtuale) di immagini. Il teatro, idealmente il luogo dove si raccoglie la comunità, può però, usare questi strumenti per creare una “augmented sociality” e non solo una “augmented reality”…”.

A.A. Fra i meriti del nuovo teatro, c’è la creazione di un intercodice fra varie espressività, attirando nella propria area linguaggi che vanno dalla letteratura al fumetto, dalle arti visive alla tv, dalla danza ai videogiochi… è fruttuoso oppure no cercare un territorio da dove sono arrivati i contributi maggiori per numero e peso? O è necessario pensare diversamente?

A.M.M. Direi che dobbiamo resettare tutto. L’ambiente tecnologico di oggi non ha derivazioni dal passato analogico. Questa unione di digitale che è un codice che gestisce testo, immagine suono, con la scena che è un mix di corpo, scena, parola, immagine fa capire che ragionare in senso di specificità del linguaggio per il teatro tecnologico non ha alcun senso. La contemporaneità artistica è fatta di innesti paradossali e di produzioni miste, di progetti che vagano nel web e nelle gallerie d’arte. In questa generalizzata computerizzazione della cultura (vedi Manovich) si produce una fenomenologia artistica aperta, mimetica e mutante: il Nuovo teatro digitale, affrancato dai vincoli e dalle convenzioni del singolo mezzo, si nutre indistintamente di elementi dai videoclip, dalle installazioni interattive, dai vjin, e persino dai videogame art. E’ l’intertestualità la logica prevalente delle nuove produzioni mediali ed è la natura del digitale a determinare le mescolanze più impensabili. Ne parlo in questo saggio.

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A.A. Che cosa cambia per l’attore agire in una scena tecnologica invece che nel teatro tradizionale?

A.M.M.Robert Lepage dice che un attore tecnologico deve avere consapevolezza di sé e della propria “ombra”, ovvero di ciò che il suo gesto produce in termine di immagine. Un attore non può rimettere la questione della tecnologia a un professionista che sta in una consolle: le coreografie dovranno essere consapevolmente “orientate” alla macchina, e l’espressività dovrà nascere da questa combinazione tecnocreativa. Quanto al rapporto tra tecnico e artista, mi piace ricordare la frase di Giorgio Barberio Corsetti autore di alcuni degli esempi faro del videoteatro italiano: “Amo la tecnologia se dialoga col corpo dell’attore”: per fare questo il tecnico deve avere una “sensibilità artistica” e il regista deve poter avere quel minimo di competenza da potersi immaginare soluzioni tecnologiche in grado di diventare attivatrici di azioni drammatiche.

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A.A. Videomapping. La più recente tecnica di visionarietà tecno visuale. Te ne sei già occupata sul tuo sito web, e ne hai accennato poco fa.Puoi descriverne qui, in sintesi, la sua essenza tecnica…

A.M.M. Si tratta di proiezioni architetturali che replicano digitalmente e modificano gli elementi della facciata di un palazzo e conferiscono una “maschera virtuale” all’intera superficie, offrendo un’illusione ottica con animazioni 3D di grande effetto: portali, finestre e altri oggetti architetturali che esplodono, crollano o ospitano attori virtuali. Nata come forma pubblicitaria – una sorta di insegna digitale – è stata presa in prestito dagli artisti e piegata a modalità narrative innovative e oggi siamo arrivati a una perfetta maturità del genere con i lavori di Urbanscreen, Nuformer, AntiVj, gli italiani Apparati effimeri, i croati Visualia, gli spagnoli Koniclab. Ci sono Festival dedicati al videomapping, ed esiste persino un progetto europeo IAM project per il quale collaboro, che ha un focus sull’utilizzo del videomapping per promuovere turismo e arte; e il teatro oggi lo usa per creare scenografie al limite del virtuosismo virtuale!

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A.A. puoi fare qualche esempio di artista che mette a frutto questa tecnica?

A.M.M. Klaus Obermaier che ha reso il videomapping sia teatrale sia interattivo con un esempio da lasciare a bocca aperta, (vedi Dancing house) ma anche il gruppo 1024 Architecture. Poi il giovane Marko Bolkovic che ha ideato per il Festival di Girona un mapping straordinario dal titolo Transiency. Se qualcuno vuole conoscere tematiche e snodi critici sul videomapping rimando oltre che al mio sito, al lavoro editoriale di prossima uscita a firma di Simone Arcagni, giornalista e studioso di new media e post cinema. Si tratta della prima antologia italiana sul tema. Ultimamente mi occupo non solo di videomapping però ma anche di promuovere un progetto di teatro tecnomusicale Diffraction. In paradise artists can flydel musicista Gabriele Marangoni con testo del drammaturgo kosovaro Jeton Neziraj. Marangoni ha composto un poeticissimo e straneante paesaggio sonoro che sfrutta tutte le sue potenzialità di racconto non lineare e non convenzionale del teatro postdrammatico per tradurre in suoni, gesti e azioni tecnologicamente mediati, le tensioni e le inquietudini metropolitane

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A.A.Qual è il principale contributo che i nuovi media hanno dato al nuovo teatro?

A.M.M. L’artista lavora coi media per dar loro un senso diverso dalla finalità tecnica per cui sono state progettati e la tecnica non può prescindere da una poetica. Studio Azzurro, Robert Lepage, Dumb Type, Giardini Pensili hanno sottolineato in modalità diverse, le potenzialità espressive e drammaturgiche dei dispositivi computerizzati: una macchina “emancipata” dalla sua funzione pratica e perfettamente integrata con l’intero apparato spettacolare che è capace di reinventare nuove forme e un nuovo vocabolario narrativo

A.A.Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans… insomma, che cosa vuol dire per te “teatro di ricerca” oggi?

A.M.M.Sperimentare zone nascoste. Che esistono anche nella tecnologia, nonostante questa appartenga ormai al nostro quotidiano. L’artista di ricerca è colui che sa piegare la tecnica a svolgere funzioni per le quali non è stata progettata. Pensiamo alla piattaforma per videogiochi domestici Kinect usata per l’X-box. Oggi è di fatto lo strumento di motion capture più economico e flessibile che un coreografo digitale possa avere tra le mani per fare un lavoro di interaction design. Non più tute con cavi e sensori invadenti per l’interprete, solo una telecamerina che cattura i punti fondamentali del corpo e con quelle informazioni, trattate da un software, puoi gestire un sistema audio-video interattivo complesso. E’ un videogioco, ma nelle mani di un artista, può diventare molto altro. Condivido l’espressione di Rosalind Krauss studiosa di estetica che afferma che artista è colui che “reinventa il medium”, ovvero elabora su di esso una nuova grammatica e una nuova sintassi, dunque lo rende a tutti gli effetti un linguaggio.

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A.A. Non solo Orlan, Stelarc, Stelios Arcadiou, Yann Marussich, Marcel.Lì, ma anche gruppi usano il proprio corpo come esplorazione tecno-antropologica della fisicità. Come interpreti quest’interesse delle arti sceniche per una sorta di “neocorpo”?

A.M.M. Il loro lavoro (le operazioni chirurgiche in forma di performance di Orlan, gli innesti di Stelarc, le propaggini tecno corporee di Marcelì) ha sicuramente rappresentato una parte importante delle discussioni sull’ibridazione uomo-macchina, sul tema del cyborg negli anni Novanta. Forse oggi si potrebbe parlare di neocorpi trasferiti come Avatar nella rete. Ma l’impressione è che la sperimentazione attuale non sia più volta a creare un corpo che imiti la macchina ma piuttosto, che sia la macchina digitale ad aver acquisito una ‘sensibilità’ umana e le fattezze di un interprete. Guardiamo l’esempio di Cinématique di Adrien Mondot: la scena che si trasforma di continuo seguendo i danzatori, ridefinendo ogni istante i contorni video luminosi del palcoscenico. Qua la tecnologia è indubbiamente, il terzo attore: e non ci sono in giro ingombranti interfacce di comunicazione con il sistema. Solo uno spazio vuoto. Come voleva Peter Brook.

A.A,. Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei…che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…

A.M.M. Ho letto che l’attore che ha interpretato il capitano della nave stellare Enterprise, James Tiberius Kirk, ha ricevuto dalla Nasa la medaglia d’onore e nelle motivazioni si parla della “dedizione ad ispirare nuove generazioni di esploratori di tutto il mondo”. Diciamo che mi sento esattamente così, star trekkianamente un esploratore alla ricerca di universi nuovi o paralleli e sempre in orbita per viaggi intergalattici alla scoperta di forme non di vita ma di arte di incommensurabile e tecnologica bellezza. “Star Trek” prima e poi “Il neuromante” di William Gibson mi hanno proiettato dentro un sogno tecno-fantascientifico da cui non mi sono ancora svegliata. Vorrei assistere a uno spettacolo in cui un attore si palese in scena come nel ponte ologramma del film: non ci sarebbe più bisogno di immergersi con visori o sistemi multimonitor per ampliare il campo visivo dello spettatore teatrale: sarebbero direttamente gli oggetti e i personaggi a “fuoriuscire” dal loro mondo e ad affacciarsi direttamente nel nostro! Non sarebbe meraviglioso?

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A.A. Sì, credo proprio di sì… nel frattempo siamo quasi arrivati a Monteverdi-A, pianeta abitato da alieni che per Portale del Sapere usano la Monteverdipedia… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “Percristina” di Clerico consigliata dalla chef Cristina Bowerman del Glass di Roma… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
A.M.M. Cercherò di avvistare l’astronave con il mio binocolo da teatro e salirò al volo portando con me una bottiglia di Rakia albanese per festeggiare!
A.A. … bene… ti aspetto e intanto ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!