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Non viaggio senza terabyte. Ritratto di Vuk Ćosić. Con intervista (pre Covid-19).
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Lubjana, 20 gennaio 2020

Vuk Ćosić (Belgrado 1966) dagli anni Novanta è quel un “network culturale” che opera neanche troppo sotterraneamente, per contrastare i poteri occulti della rete attraverso azioni di critica via digital art; entrato di diritto nell’Enciclopedia dell’arte (alla voce “net art” di cui è l’indubbio fondatore) sa di essere il guru o meglio il portavoce di una certa scena alternativa e attivista che, non solo in Slovenia dove lui vive, l’usa l’hacking come forma di collisione col sistema. Lo puoi incontrare a Ljubjana in pieno centro, nel locale Pritlicje che è un po’ il suo “headquarter” e che è anche uno spazio culturale cittadino con eventi musicali, incontri, mostre.

La città di Lubjana è in corsa per il titolo di capitale europea della cultura 2025 dopo aver conseguito il titolo nel 2016 di European Green Capital; il Ministro della cultura ha chiamato Vuk Ćosić nel team direttivo, considerata la simile esperienza da lui fatta in precedenza per Gorizia. In questa intervista ci racconta cosa ne è stato dell’euforia per la net. art degli anni Novanta, cosa è diventata dopo la sua gloriosa ed “eroica” fase di rottura, ci racconta alcuni suoi recenti progetti, ci spiega che vivere la propria vita senza imposizioni della società è la prima sovversione da attuare. Ed enuncia i principi dell’Arte libera. Tutta.

NO CV

Forse guru non è esattamente la definizione migliore per un artista che predilige l’orizzontalità nella progettualità; probabilmente anche la definizione di net artist o pioniere dell’Ascii art è esausta (“i curatori e i galleristi insistono sui quei pezzi che mi definivano così, questo non mi annoia ma neanche mi eccita”) ma di certo un’intera generazione di artisti e di attivisti ha lui come punto di riferimento, cosa di cui peraltro, è perfettamente consapevole. La sua personale sfida quotidiana al sistema produttivo neoliberista è la risposta più concreta alla mai tramontata utopia di Arte-Vita: Ćosić ha levato il CV dal suo sito, si è lasciato alle spalle l’idea di una carriera e della conseguente dimensione piramidale, verticistica tipica dell’organizzazione occidentale dell’impiego che impone massima pressione produttiva e inerzia intellettuale (sic). Ha scelto piuttosto la via della libera espressione, in una dimensione di arte come libertà, attuando la sua personale TAZ, con un riferimento non incidentale a Hakim Bey. Uno dei risultati di questo impegno completo e totalizzante per la comunità è stato il suo apporto alla riscrittura della legge sui media:

Quando penso a questi due modi di esistere, da artista o da persona che insegue una carriera, con un CV in vista per un posto di lavoro subordinato, penso che questa seconda cosa mi annoia, mi porta via tempo alla vera vita. Non sono stato il primo a prendere questa decisione e non voglio fare di me un maestro per gli altri, è una scoperta vecchia, ma ho preso molto sul serio queste idee situazioniste.  Ciò che erano i sogni e le proposte radicali e rivoluzionarie delle generazioni precedenti è diventata l’infrastruttura fondamentale del mio pensiero e sono assiomi che ormai non discuto più, perché per me sono già accettati su questa base di libertà.

Vuk Cosic The ASCII conversion of the famous porno film Deep Throat..

Se puoi vivere senza arte, non fare arte

Io non vivo di arte, posso decidere di fare arte, di non farla; posso decidere di buttarmi a fare un pezzo per un museo, on line… Non è un privilegio, è una disposizione personale ed etica. Non potrei mai lavorare all’interno di un sistema commerciale o stare alle dipendenze di qualcuno, impegnarmi per fare carriera: non sarebbe onesto per i miei principi.

La trasmissione delle idee.

Sono serio. Faccio un grande sforzo per sviluppare una scena, una comunità, questo richiede lavoro, convegni, stampa. Documenta Done (1997) più di altri pezzi artistici ha influenzato molta gente, molti amici artisti. Come negli aneddoti cubisti non si sa se è stato Picasso o Braque a dipingere la prima chitarra astratta ma era di tutti loro perché tutti si vedevano, si incontravano…. Documenta done ha influenzato Eva e Franco Matteis, loro sono bravissimi, hanno visto questo gesto e hanno creato un “modo loro”, con le idee loro, in un’altra direzione.

Vuk Ćosić, Documenta Done, part of the exhibition “Net-art per me” at the Slovenian Pavilion of the Venice Biennial, 2001. (dal sito https://anthology.rhizome.org/documenta-done)

I Media Artist che leggono il manuale e quelli che inventano l’utilizzo dei Media

Media art può esistere in due modi principali:

Ci sono i media artist che leggono il manuale e quelli che si rifiutano di leggerlo e inventano l’utilizzo dell’infrastrutture, hardware…Quelli che si conformano al manuale sono artisti decorativi, accettano di partecipare al rito di vendita dei suddetti “aggeggi” e quasi a priori non possono essere interessanti, quelli che si rifiutano di leggere il manuale hanno un vantaggio e una posizione in più: nella mia concezione hanno una posizione molto più onesta. Non è una divisione “super giusta” (ndr sic), mi rendo conto, ci sono altri modi di fare media art.

L’Accademia può essere un buco nero per la formazione.

Sono cambiate le forme della conoscenza.  Molti docenti arrivati al vertice della carriera finiscono lì, non vanno avanti con le ricerche. Essere intellettualmente statici non è solo un danno per l’Accademia, ma è dannoso per le generazioni di giovani che passano sotto i tuoi “coltelli” (ndr qualunque sia il significato di questa metafora è un’immagine talmente fantastica che non me la sento di cambiarla).

E poi la logica è: se hai un professore d’arte di questo genere che non va avanti e la scuola permette queste cose, allora la scuola diventa un buco nero nel sistema di educazione. E i giovani non hanno alcuna chance di cambiare.

Progetto Undeleted. Reconstructed portaits of deleted fellow citizens of Ljubljana. L’ “Olocausto burocratico” e quello ebraico nella Slovenia indipendente e l’hacker art.

Vuk ci parla di una sua azione hacking (sintetizzata mirabilmente nel verbo to undelete cioè “riportare virtualmente indietro”) che ha messo sotto i riflettori di molti media anche la tragedia dei “cancellati”: in Slovenia dopo l’indipendenza (1991) le popolazioni etnicamente non omogenee persero la cittadinanza sulla base di un meccanismo burocratico poco chiaro. I cittadini  delle altre repubbliche dell’ex stato federativo jugoslavo (Serbia, Montenegro, Croazia, Macedonia, Bosnia-Herzegovina) dovevano far richiesta di essere inseriti nel registro della residenza permanente e molti per ragioni diverse, non avevano fatto domanda e si ritrovarono “cancellati”; gli “izbrisani” non avevano più diritti civili e sociali, erano stati “deportati virtualmente” (per chi volesse saperne di più un ottimo resoconto su Balcani e Caucaso https://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/Cancellati-in-Slovenia-una-questione-europea-31560)

Quello che Vuk definisce un Olocausto burocratico riguardaun episodio poco conosciuto della Storia della Slovenia, una vicenda non proprio candida e che ebbe conseguenze tragiche per molti, deportati e uccisi o privati dei diritti primari; l’azione di Vuk è simbolica e politica e punta il dito contro le politiche nazionaliste post indipendentiste e sull’Olocausto ebraico in Slovenia prima delle famose Pietre d’inciampo dell’artista tedesco Gunter Demnig:

E’ un’azione collegata alle 25 mila persone che lo stato sloveno ha cancellato dalla cittadinanza all’epoca dell’indipendenza. Erano dei sans papier. Vite rovinate, e molti sono stati i morti per questa pratica che non ebbe mai un consenso nazionale. E’ una macchia sulla coscienza e sulla reputazione slovena. Fu un Olocausto burocratico e io ho voluto per questo motivo, fare un collegamento con l’Olocausto vero, quello degli Ebrei. Il centro culturale ebraico di Lubiana mi aveva chiesto di fare qualcosa per la memoria, e ho creato qualcosa di complementare con l’artista tedesco che ha realizzato Pietre d’inciampo, e con il tema dei “Cancellati”, degli invisibili. Infatti con Undeleted io rifaccio i ritratti che provengono dalle lettere delle vittime ebraiche che vissero qua, anche di quelle di cui non avevo le fotografie ma le ho ricreate attraverso ricerche in internet con assonanze col loro nome. Dalle informazioni ottenute ho fatto una media con un programma di Intelligenza Artificiale: queste immagini venute dal nulla delle persone che nessuno conosceva, di cui non si aveva traccia, proprio come i “cancellati” sloveni, sono state stampate vicino alle case dove erano vissuti. Li ho virtualmente riportati nelle loro strade per farli vedere ai vicini. C’era nome cognome e campo di concentramento. Usavo il giallo della sottolineatura di Word, quel giallo che era lo stesso usato sui vestiti per discriminare proprio le persone ebraiche.

HHSA  “Hardcore” Hot Spot Art: READ MORE project.

Sto giocando con gli hot spot.  Ognuno di noi dovrebbe combattere questa mutazione di internet da spazio di libertà a spazio di paura. Non puoi visitare un sito che sai già quali entità statali ti controllano, e tu cosa puoi fare? La cosa che per me era “sexy” (ndr non mi sento di correggere il “Vuk style”J ) già dall’inizio è stata la libertà di condividere contenuti senza interferenza, senza burocrazia corporativa- statale- artistica. Questo è il primo mattoncino Lego non complesso da cui cominciare.

Secondo mattone Lego è il modo con cui “marchiamo” i luoghi in cui è successo qualcosa di importante (qualcuno è nato, qualcuno è morto, ci sono le date dei vari eventi nazionali); di solito le nostre “pietre funerarie” o luoghi della memoria collettiva contengono sempre la stessa cosa: si celebra un uomo violento, il monumento è fatto di marmo o bronzo e ci sono due frasi veloci, come un twitter che spiegano cosa ha fatto. Le solite frasi: “Solo i vincitori scrivono la Storia bla bla bla”, non mi bastano. Devo sapere. Essendo “digital” credendo nell’accessibilità del sapere penso che manchi il bottone READ MORE! E questo sarà il mio prossimo “contributo all’ umanità”: una ricetta per READ MORE ai monumenti del passato. Mi sono appassionato a questa cosa da circa 5 anni e ho fatto una mostra READ MORE per l’anniversario del movimento DADA esattamente a Zurigo al Cabaret Voltaire. Ho lasciato un hotspot dove potevi scaricare riviste dada, pubblicazioni usando wifi. Questo è un attributo aggiuntivo di conoscenza che vogliamo lasciare per marcare un territorio.

Non giro mai senza terabyte

Tutto è iniziato nel 2015 con una residenza a Cuba in una ex piantagione di caffè dove alcuni proprietari francesi volevano ristrutturarla per farne un centro culturale, snaturandola, cambiando il senso della storia coloniale, della schiavitù. Come contrapposizione volevo fare un museo della schiavitù invisibile, mettendo a disposizione i miei contenuti, filmati, storie. Io non viaggio mai senza terabyte. A Cuba ci sono i “paquete semanal” ovvero l’internet off line (ndr A causa delle restrizioni su internet a Cuba milioni di persone acquistano e scambiano un contenuto digitale corrispondente a un terabyte con film da you tube, versioni off line di siti popolari). Ho visto il contenuto di questo “paqueto semanal” e ho pensato di fare un “pacchetto eterno” e ho portato le opere complete dei miei registi preferiti. Una cineteca completa, e l’ ho lasciata ad Havana. Ho corretto così, una superficialità culturale.

Dalla fase eroica della Net.Art al manierismo della Post Internet Art.

Come per tutti i movimenti di avanguardia c’è un periodo eroico, (espressione che appartiene alla Storia greca ma lo usiamo anche per il Surrealismo dal 1925, che era il periodo eroico di quella storia dell’arte); da archeologo vedevo una bellezza in questa citazione e anche noi con la net.art abbiamo vissuto un periodo eroico dal 1995 al 1998. https://anthology.rhizome.org/ Ogni movimento di ispirazione d’avanguardia ha un momento dirompente, che si esprime durante il periodo eroico e non si vedono le conseguenze di questa rottura ma solo il potenziale. Si propongono le nuove idee da “pazzoidi”, ma questo tipo di attività richiede una dedizione maniacale, totale, affatto egoista, dove la gente usa se stessa come carburante per processi storici collettivi, come accadde negli anni Venti in Spagna. Non pensi a te, hai una missione più importante da compiere. Questo dirigeva le nostre mosse e le nostre forze. Gli eroici erano gente con passione. Dopo, quando le nostre domande, le nostre proposte erano state lanciate, e il nostro contributo era stato articolato, rilasciato nel mondo, il nostro ruolo era compiuto. Come il DADA, come il PUNK.

Olia Lialina “Aghataappears” 1997 | Internet art, 

 Job was done!

Dopo il 1977-1978 non puoi più parlare di punk; io facevo fanzine negli anni Ottanta ma mancava il contesto di prima, non si trattava più di quell’atto là, era solo manierismo; individualmente era necessario per tutti i giovani che cercavano di appartenere al movimento ma dal punto di vista della storia dell’arte l’unica cosa che conta è il primo gesto, quello fondativo,  di proporre un’estetica nuova, una poetica, una proposta seria.

Questo è successo: negli anni Novanta noi abbiamo fatto il nostro job.

Snwoden sarebbe uno dei nostri

Visto da un punto di vista radicale e d’avanguardia quella della Post Internet Art è pura arte decorativa, per decorare appartamenti di collezionisti, per ricchi dentisti e avvocati. Come se il compromesso facesse già parte della proposta primaria e questa è la differenza. Noi cominciavamo il dialogo con l’arte, col mondo dell’arte (e con la polizia) e si cercava un compromesso e si trovava. Non era impossibile, ma cominciavamo da una posizione seria, molto rigorosa. Snowden sarebbe uno dei nostri.

Questa Post internet art se si può generalizzare, stava già pensando sin dall’inizio al compromesso, e questo ha “compromesso” (ndr, interessante gioco di parole J) la loro posizione, e questo è il motivo perché non se ne parla. È un tipo di arte che non può influenzare altra arte.

Non sono così importanti come JODI. Noi abbiamo avuto muri da abbattere e questo destino non è capitato alla seconda generazione: loro hanno deciso di rimanere dentro le nostre parentesi stilistiche e metodologiche. Come accadde per il cubismo: era choccante prima del 1915, dopo la guerra non aveva più senso, era come l’arte della Belle Epoque.

Nella Post Internet Art è accaduto quello, è una nuova net. art con nuovi mezzi, cloud owness; un’arte liberata dalla preoccupazione della società, del capitalismo. Loro, gli artisti, partecipano volentieri a riempire le gallerie, decorare appartamenti di gente ricca. Ma non hanno reagito su Snowden.

 L’arte delle anticamere

Sono una minoranza quelli che fanno Post internet art e si occupano anche di tematiche sociali. Per il resto quell’arte è chiusa nelle anticamere delle gallerie, nelle sale di attesa, nelle gallerie commerciali e chi la fa sono persone ben vestite, abbottonati e carini. Esiste un mercato della Net.art, alcuni lavori sono ormai “storici”, la mia generazione non ha bisogno di un gallerista ma i più giovani sì, hanno bisogno di un’altra strategia, devono combattere per avere uno spazio, per essere di interesse per le Fondazioni.

I tre piani del Fare Arte

Personalmente quando cerco di lanciare il compass etico del mio coinvolgimento con l’arte, il mio modo di fare arte spiego – prima a me stesso e poi agli altri – il lavoro in tre piste. Sono tre i modi, i livelli, i piani del fare arte:

Il primo è Art for artists, il livello più vicino al cuore, e questa è l’arte “seria” che mostro agli altri artisti, sono idee per i progetti di cui parlo con quelli vicinissimi tra gli amici. Arte per gli artisti vive di solito on line o nel mio appartamento.

https://anthology.rhizome.org/documenta-done

Poi c’è Art for gallery. E’ lo spazio per adattare le creazioni fuori dalle mie esigenze. Non c’è nulla di male e i compromessi sono accettabili, facili per lo più.

Infine c’è Arte per i collezionisti non c’è alcuna creatività, nessuno elemento artistico, bisogna evitare compromessi se si può, tenendo le cose separate (ndr tra chi commissiona arte e chi la produce).

Ovviamente nel primo punto è più facile sapere dove indirizzare le vere energie, convogliare le priorità. So come mi devo sentire.

Ci sono dialoghi diversi tra i tre livelli di Arte: il primo è rispettoso profondo, di grande rilevanza artistica, con scambi con altri artisti che stimo; il secondo è uno scambio con “albergatori”, gente che ha le chiavi di uno spazio, possono essere professionisti, e aprono le porte.

I collezionisti sono gente in agonia, sono persone con i bisogni speciali, un mondo che definitivamente richiede aiuto: bisogna trattarli con freddezza. Il dialogo a questo livello avviene in tornei di bridge…..

Nella pratica, nella realtà quotidiana parli con il collezionista finale ma hai sempre un mediatore che ti prende il 50% , ti promuove, fa un grande lavoro…Ma preferirei 60-40 ….:-)

La vera arte è l’ Arte per Artisti, è possibile trovarla anche nella seconda situazione, ma mai nella terza (Arte per collezionisti).

#MolleIndustria, radical and political videogame art
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Dal sito Molleindustria

RADICAL GAME DESIGN

Uno spettro si aggira per la rete: lo spettro dei political games. Piccoli ed agili videogiochi in grado veicolare messaggi dissonanti. Li vediamo emergere, scomparire e riaffiorare nella spumeggiante galassia di blog, community e portali. Talvolta sono confusi nel sottobosco della scena videoludica amatoriale, talvolta ammiccano dalle pagine patinate delle riviste di costume, talvolta si mascherano da opere d’arte.
Di uno spettro si tratta perchè i political games non esistono, o meglio, sono sempre esistiti: ogni video game – come ogni prodotto culturale – rispecchia la visione del mondo, le convinzioni e le ideologie dei propri autori. Ogni videogame è intimamente politico.

Perché super Mario è un idraulico? Lo si è mai visto aggiustare un tubo? Non si troverebbe meglio nei panni di di un rampante broker di Wall Street, un arrampicatore sociale che aggredisce ogni creatura che, volente o nolente, si ritrovi sulla sua strada? La sua eterna insoddisfazione, il suo continuo correre per piattaforme, la sistematicità con cui liquida gli avversari non può che risultarci sospetta. Nella tipica struttura a livelli dei giochi arcade possiamo ritrovare alcuni importanti caratteri dello yuppismo: l’obbiettivo è raggiungibile solo tramite successi parziali rappresentati da livelli rigidamente sequenziali. L’aggressione, l’individualismo e l’accumulazione fine a se stessa (di punti) è sempre all’ordine del giorno. E’ la miopia liberista, il mezzo che diventa fine, la carriera, il sogno degli anni ’80.

Anno 2010. Il bisogno di mobilità della forza lavoro è cresciuto a dismisura rispetto ai primi anni del millennio. La Tuboflex, la multinazionale del lavoro in affitto, ha creato un complesso sistema di tubature che permettono di dislocare in tempo reale le risorse umane a seconda della domanda.

Al centro della schermata vediamo un impiegato di call center, i telefoni squillano incessantemente. Il giocatore deve cliccare freneticamente per metterli a tacere. Dopo alcuni secondi dalla parte superiore dello schermo compare un grosso tubo che risucchia l’ignaro ometto. Viene sputato un instante dopo alla postazione di un take away di un fast food. Ora il giocatore deve esaudire gli imprevedibili desideri dei clienti: un panino, quattro panini, due panini. Inevitabilmente il giocatore commette errori e le sue chances diminuiscono. Altra riallocazione: l’omino è un babbo natale a pagamento alle porte di un supermercato, il giocatore deve fargli agitare la campanella per intrattenere frotte di bambini. Il ritmo si fa sempre più frenetico, le chances calano fino all’esaurimento. Il personaggio si ritrova sulla strada a mendicare, espulso definitivamente dal mercato del lavoro.

Nell’eterno ciclo di reincarnazioni di un lavoratore precario non esistono miglioramenti di carriera. Abbiamo pensato che si potesse raccontare l’insostenibilità delle attuali condizioni di lavoro flessibile rompendo la tipica logica sequenziale dei livelli. Crediamo che un mercato del lavoro sempre più soggetto alle regole darwinismo sociale provocherà la marginalizzazione dei soggetti più “deboli”. Per evidenziare questo non abbiamo inserito un lieto fine in Tuboflex, il fallimento è inelluttabile e irreversibile. E’ il corrispondente videoludico della tragedia delle opere narrative.

Care amiche, simulare orgasmi è una pratica molto utile se si vuole mantenere una buona intesa col proprio partner. Ogni uomo desidera una donna che impazzisce e strepita durante i rapporti. Purtroppo per via della solita timidezza, molte ragazze non riescono ad inscenare queste piccole performances. Il Simulatore di orgasmi è un semplice gioco che permette di esercitarsi in questa bistrattata arte.

La visuale è una soggettiva di una donna in intimità col proprio partner. La figura di un macho è incombente, i suoi movimenti meccanici e i suoi gemiti si fanno sempre più intensi, l’espressione contratta. Il giocatore deve controllare con l’unico tasto a disposizione l’intensità dei gemiti della donna. Emette grida di piacere e inscena orgasmi multipli, ma è stato troppo eccessivo e veloce e il partner si è accorto della finzione. Game Over. Nuova partita. Memore dei suoi errori il giocatore osserva con attenzione l’espressione del partner, ascolta i suoi mormorii e calibra di conseguenza quelli della sua alter ego. Asseconda con attenzione il climax e solo all’apice simula un potente orgasmo. Ben fatto, il partner non si è accorto di nulla ed è soddisfatto.

I game designer sono dei ruffiani. Danno ai giocatori la possibilità di impersonare degli eroi valorosi, dei generali o dei temibili criminali per assecondare il desiderio di fuga da una realtà frustrante e noiosa. Così è troppo facile, è possibile invece instaurare un sano rapporto sadomasochistico coi propri fruitori, costringerli in ruoli per nulla piacevoli per stimolarli a ragionare con altri punti di vista.
Nonostante le giocatrici femmine aumentino sempre di più la produzione videoludica rimane ancorata ad una visione fortemente maschilista. I ruoli femminili sono stereotipati: principesse rapite in continuazione, bambole gonfiabili poligonali, premi o prede, nei casi migliori femmine falliche e fatali, incarnazioni elettroniche delle fantasie filmiche di Russ Meyer.
A dispetto dell’ironico testo introduttivo, il Simulatore di orgasmi si rivolge proprio ai giocatori di sesso maschile e cerca di creare un inconsueto controcampo che metta alla luce una tante delle sottili forme di oppressione di genere.

Dal genere (gender) al genere (genre) videoludico. In Queer Power abbiamo spinto all’eccesso l’ambiguo rapporto di identificazione giocatore-avatar facendo leva su un genere molto rigido e molto testosteronico, quello dei picchiaduro.


Queerland è il luogo delle identità negate dalla norma bisessuale dominante. I suoi abitanti hanno generi intercambiabili e copulano seguendo il loro mutevole desiderio.
I giocatori comandano personaggi dalla sessualità mutante e possono accoppiarsi attraverso un complicato gioco di incastri fino al raggiungimento dell’orgasmo di uno dei due o di entrambi.

Lo schema di gioco e il layout ricordano in tutto per tutto quello del filone inaugurato da Street Fighter ma ogni elemento è rovesciato. Anziché picchiarsi fino all’esaurimento dell’energia i personaggi accumulano piacere. Invece di avere un esito binario e chiaro – vittoria-sconfitta, lo scopo dell’incontro è definito dai giocatori. Queer Power vuole essere una trasposizione ludica della Queer theory basata sulla rottura delle norme che disiplinano piacere, desiderio e identità sessuale. In questo caso attaccare un genere videoludico equivale ad attaccare un sistema di valori.

Take a step outside yourself
And turn around
Take a look at who you are
It’s pretty scary
So silly
It is revolting
You’re not much

Con questi versi iniziava Turnaround, una delle più taglienti canzoni del gruppo elettro-punk Devo. Vedersi dall’esterno, nella propria mediocrità, nei propri affanni quotidiani, come ingranaggio di un mostruoso meccanismo. Un passo fuori da se stessi può essere un passo verso l’emancipazione.

Tamatipico è una parodia del virtual pet Tamagotchi ma al posto del famoso pulcino c’è un lavoratore flessibile. Il giocatore può decidere quando mandarlo al lavoro, quando farlo riposare e quando farlo divertire. Le tre opzioni devono essere calibrate per garantire la massima produttività evitando però che il dipendente sia scontento al punto di scioperare o stanco al punto di infortunarsi sul lavoro.

Tamatipico è una trasposizione abbastanza fedele del Job on call, una forma di contratto sempre più diffusa che rende il lavoratore perennemente a disposizione di un’eventuale chiamata al posto di lavoro. La produzione just in time deve ottimizzare al massimo le risorse ad un mercato molto variabile e si trova ad abolire i rigidi orari dell’epoca fordista. Un’organizzazione del lavoro che fatto impedisce ai dipendenti di gestire autonomamente la propria esistenza. Il giocatore del Tamatipico sperimenta l’ebbrezza di sfruttare al massimo il suo dipendente virtuale scandendo arbitrariamente i suoi ritmi di vita. Il cambio di prospettiva, il ribaltamento del rapporto controllore-controllato può cogliere alcuni aspetti di un nuovo paradigma di assogettamento al capitale.

Take a step outside the planet
Turn around and around
Take a look at what you are
It’s pretty scary

Nella Londra dell’ottocento le ciminiere delle industrie annerivano di fuliggine il cielo, i lavoratori immigrati dalle campagne erano costretti a vivere in condizioni degradate, i bambini a lavorare precocemente. Era palese a tutti il prezzo da pagare per la modernità.
La globalizzazione dei capitali e la deterritorializzazione della produzione ha reso tutto più sfuggente. L’impatto che la produzione industriale ha su ambiente e società è distribuito su scala globale. I processi che stanno alla base di ogni prodotto sono difficilmente rintracciabili, le cosiddette esternalità negative come l’inquinamento, lo sfruttamento indiscriminato del territorio e della manodopera sono scaricate sui paesi economicamente meno avanzati.
Quello che troppo spesso sfugge alle miopi elitès liberiste è che indirettamente e sul lungo termine queste devastazioni sono destinate a ripercuotersi su tutto il globo. La fine del mondo non è un evento. E’ un processo. Che è in corso.
Occorre un nuovo tipo di approccio critico e nuovi strumenti che colgano le contraddizioni del capitale in una visione di insieme. Per dirla coi Devo occorre fare un passo fuori dal pianeta per capire quanto sia spaventosa la nostra situazione.


Nel McDonald’s videogame il giocatore è tenuto a controllare ogni fase del processo di produzione del sandwich: dal pascolo alla macellazione, dalla gestione del fast-food a quella del marchio. Deve tenere sotto controllo quattro sezioni, corrispondenti a quattro diversi segmenti della filiera dislocati geograficamente. Il novello manager si accorge rapidamente che per avere sopravvivere è costretto ad abbattere foreste tropicali e sottrarre terreno fertile alle popolazioni del terzo mondo per far spazio ai pascoli e alla coltivazioni del foraggio. Per aumentare la produzione di carne dovrà riempire di ormoni e di farine animali i propri bovini. Per mantenere efficiente il fast food dovrà maltrattare i propri dipendenti. E per aumentare la clientela dovrà lanciare le più subdole campagne pubblicitarie. Ogni azione sconsiderata può provocare l’ostilità di vari settori dell’opinione pubblica, i lavoratori possono picchettare il negozio, gli ambientalisti proclamare un boicottaggio, le associazioni dei consumatori denunciare la compagnia per le intossicazioni alimentari. Il giocatore si trova stretto nella morsa del capitale, fra la brama di denaro del consiglio di amministrazione e una clientela giustamente indignata e conflittuale.

Pensiamo che la testualità nonlineare e le simulazioni in particolare abbiano delle grandi potenzialità come riduttori di complessità. Con una simulazione è possibile descrivere sistemi complessi in modo facilmente comprensibile. E’ più facile comprendere un’intricata rete di retroazioni come può essere un sistema sociale o economico, manipolandone un suo modello ludico piuttosto che leggendone una descrizione lineare. Giocare ad un videogame consiste in buona parte a scoprire il funzionamento di un meccanismo che non è immediatamente palese. Il gioco è un processo conoscitivo radicalmente diverso da quello riduzionista ed analitico basato sulla scomposizione e la valutazione dei singole parti. Le simulazioni sitmolano a considerare l’oggetto modellizzato come un unico organismo in cui ogni elemento è strettamente interrelazionato con gli altri. E’ precisamente il tipo di approccio olistico ed universalista che sta alla base del pensiero ecologista.

Certo la modellizzazione non è un procedimento neutro o scientifico, è sempre e comunque una semplificazione della realtà, un’interpretazione effettuata a partire da valutazioni soggettive e da dati che potrebbero risultare errati. Le simulazioni sono teorie interattive, visioni del mondo personali anche quando lasciano un ampio spazio di azione al giocatore.
Non tutti sono sufficientemente alfabetizzati alla testualità non lineare per capire questo passaggio.
C’è il rischio che molta gente rimanga ingannata dalla verosimiglianza e dalla ricchezza di certe simulazioni da considerarle oggettive, così come le generazioni passate consideravano lo schermo televisivo una semplice finestra sul mondo. Ora sappiamo che non è così, che la democrazia si fonda sulla possibilità di avere a disposizione molteplici punti di vista. Fornire visioni alternative, modelli alternativi, magari mettendo in crisi quelli dominanti è precisamente il compito del game designer critico.

Tornando al discorso iniziale, non è vero che i political games sono fantasmi. Sono semplicemente quei giochi che dichiarano aperamente la propria faziosità dimostrando così che tutti i giochi sono faziosi.

Paolo Pedercini
Febbraio 2006

 

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