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L’inizio e la fine: tre diversi modi di morire di Amleto. Dedicato alle vittime del Coronavirus
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Abstract: Nella prima settimane di quarantena a causa del virus, stavamo dedicando le lezioni on line ad Amleto, quando ci siamo accorti che, reclusi nella nostra Danimarca-prigione, eravamo Amleto. Una mail del 18 marzo ci ha ispirato: un videomessaggio di Bob Wilson che ci suggeriva come leggere il nostro terribile tempo con Shakespeare e ci esortava ad andare avanti con tre frasi pronunciate da Amleto. La prima è quella con cui lui stesso apriva il suo Hamlet a monologue nel 1995: If I had time (ripetuto dal principe di Danimarca tre volte) e che corrispondeva a una delle frasi finali della tragedia, la seconda è quella di Amleto a Ofelia Don’t doubt I love, la terza è quella rivolta a Orazio quando tutto si è concluso, The rest is silence.

In quest’epoca di pandemia, quando molte azioni sono state fatte intempestivamente, è giusto chiederci quale tempo abbiamo mancato. E quando non c’è più niente da fare, chiediamo che almeno i morti non muoiano da soli. E invano. 

Frame dal video messaggio registrato da Bob Wilson per gli studenti di Storia della Scenografia, Università Statale di MIlano, corso di Anna Monteverdi il 18 marzo 2020

Se avessi tempo- If I had the Time

I could tell you a thing or two if I had the time (though this cruel officer, Death, doesn’t allow much free time). Let it be.—Horatio, I’m dying. You’re alive. Tell everyone what happened; set the story straight. Hamlet

Queste sono le parole che pronuncia Amleto poco prima di morire e affida a Orazio il compito di raccontare la sua storia. La morte che incombe non gli permette altro che diventare protagonista di una tragedia di cui Orazio è stato muto e impotente testimone: lui avrà il duro compito di spiegare quale tempo è mancato. Non c’è più tempo. A dirlo in un video sono gli infermieri e i medici della sezione Infettivi dell’ospedale Sacco di Milano, impegnati in prima linea insieme ai medici nella battaglia contro il coronavirus.

Non c’è più tempo, non abbiamo più posti letto dove ricoverare le persone, siamo costretti a riutilizzare i dispositivi di protezione personale perché scarseggiano e in molte realtà quelli disponibili non sono idonei.  Sappiamo di rischiare ogni giorno il contagio oltre a vivere la paura di portare il virus nelle nostre case”. (Milano, 16 marzo, askanews)

Bob Wilson nel suo Hamlet a Monologue fa cominciare la tragedia con questa stessa frase If I had time poco prima della morte del protagonista; la storia che viene racconta è già accaduta:

“It started just before he dies, and ended with his last speech. This one second before he dies, one sees the whole play, the whole life”.  

Amleto sta morendo e in pochi secondi rivede la sua vita in un flashback, riannodando i fili, trovando simboli, persone, relazioni. Quel flashback lo rende così umano, così triste, così malinconico, così vicino a noi.

La caratteristica del suo Hamlet non è la variazione della trama, ma è l’abolizione della trama stessa all’interno della più generale abolizione del tempo della storia.
Tutto è presente contemporaneamente: passato e futuro.

Amleto è morto e sta per morire, soffre per una tragedia che non è ancora avvenuta: nella compressione del tempo della storia, l’intera azione drammatica viene espressa sinteticamente nel corpo di Amleto, futura vittima sacrificale in cui passato e futuro si sommano trasformandolo in un essere che questo è stato e questo sarà.

Ricorda Roland Barthes nella lettura del ritratto fotografico scattato da Alexander Gardner al condannato a morte Lewis Payne (1865).

“Qualcosa nella foto che osserviamo è stato e non è più. Dandomi il passato assoluto della posa (aoristo) la fotografia mi dice la morte al futuro. Fremo per una tragedia che non è ancora accaduta”.

L’inizio è anche la fine: Peter Brook fa iniziare il suo Hamlet con l’apparizione del fantasma del padre in carne ed ossa, un padre che vuole vendetta, un padre che conosce le conseguenze delle sue parole. Porge la mano al figlio, in un gesto simbolico di nascita e lo abbraccia teneramente come per un commiato di morte.

“Vai a dormire, tanto non muoio. Devo solo trovare la posizione”. Ma Diego non si è più svegliato. Erano le 3.30 della notte tra venerdì 13 e sabato 14 marzo. Due ore dopo, alle cinque e mezza del mattino, la moglie – volontaria alla Croce Rossa di Seriatte -, tornando in camera lo ha trovato in fin di vita. Diego operatore del 118 di Bergamo se ne era andato a 46 anni per coronavirus.

Ofelia e gli incidenti di percorso.

Doubt thou the stars are fire; Doubt that the sun doth move; Doubt truth to be a liar; But never doubt I love

Amleto morirà sotto i colpi di Laerte, il vero vendicatore della tragedia shakespeariana e soffrirà le conseguenze degli “effetti collaterali”: Ofelia diventata folle per l’abbandono e vittima predestinata della altrui malvagità, si lascia andare all’incontro ultimo con la natura annegandosi. La macchina della Storia si mette in marcia travolgendo tutti, colpevoli e innocenti. La morte di Ofelia è la tragica e sofferta risposta al più straziante dubbio di Amleto.

Le morti “scomode” sono gli incidenti di percorso nella catena dell’epidemia: nel giro di una ventina di giorni dall’inizio del contagio l’Italia supera la soglia dei 10 mila contagi in Lombardia, focolaio dell’epidemia:

 “I dati sulla mortalità si vanno approfondendo con le cartelle cliniche dei deceduti: i pazienti morti con il coronavirus hanno una media di oltre 80 anni, 80,3. L’età media dei deceduti è molto più alta degli altri positivi. Il picco di mortalità c’è tra 80-89 anni. La letalità, ossia il numero di morti tra gli ammalati, è più elevata tra gli over 80” (comunicato della Protezione civile 8 marzo 2020)

Il quadro estremo causato dal contagio, secondo la Società scientifica, «comporta di non dover necessariamente seguire un criterio di accesso alle cure intensive di tipo “first come, first served”» (si assiste per primo chi arriva prima). Al Punto 3 delle Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivisi legge che in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili: «Può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva».

All the rest is silence

Sai qual è la sensazione più drammatica? Vedere i pazienti morire da soli, ascoltarli mentre t’implorano di salutare figli e nipotini. I pazienti Covid-19 entrano soli, nessun parente lì può assistere e quando stanno per andarsene lo intuiscono. Sono lucidi, non vanno in narcolessia. Muoiono nel silenzio“. Francesca Cortellaro, medico primario del pronto soccorso dell’Ospedale San Carlo Borromeo:

Nella versione di Nekrosius della tragedia di Shakespeare l’immagine potente del fantasma del padre di Amleto appare in due modi distinti: trasfigurato nel lampadario di ghiaccio, le cui candele poste ravvicinate sgelavano sotto gli occhi di un Amleto incredulo, impaurito; e nel momento finale in carne ed ossa, contrariamente a quanto scrive Shakespeare.

La verità richiama una vendetta che deve compiersi, affinché il ghiaccio sgeli completamente. E glaciale e cupa è l’atmosfera generale, i personaggi si passano blocchi di ghiaccio, Amleto muore congelato nella pietra del dolore.

L’immagine del lampadario è una lama metallica che scende dal soffitto sulla cui superficie cadono le gocce di ghiaccio risuonando terribilmente e vaporizzando nell’aria. Riappare nel momento del monologo To be or not to be e alla lama si unisce un lampadario formato da ghiaccioli e candele. Amleto esita se stare dentro il suo perimetro e lasciarsi bagnare dalle gocce d’acqua del ghiaccio che si fonde al calore. Prendere o no questo fardello sulle proprie spalle? Agire, o uscire dal cerchio dell’assassinio che richiama altri assassinii? La terribilità associata a questa immagine è data dall’urgenza: non c’è più tempo, il ghiaccio si scioglie, le candele si stanno consumando. Occorre agire ora.

Nekrosius elimina dalla scena finale Orazio; tuttavia non ci sta a far morire Amleto da solo, e interviene la piètas latina. Il padre che non è mai apparso fisicamente in scena, entra, abbracciandolo e trascinandolo via. Ma prima prova a instillargli calore, a farlo tornare in vita come con un massaggio cardiaco, il pugno precordiale: il tamburo che Amleto ha in grembo non risuona più ma il vecchio re prova in tutti i modi a farlo tornare in vita. E alla fine, impotente di fronte alla morte del figlio, consapevole di essere stato la causa della sua morte, non gli resta che un urlo muto.

(Ringrazio il mio studente Severyan Tsagareyshvili per avermi ricordato questo momento della tragedia, così significativo e originale)

Uno dei due pazienti di Bergamo contagiati dal coronavirus e trasferiti al Policlinico di Bari è morto durante la fase di trasporto. Lo comunica il direttore del Policlinico di Bari Giovanni Migliore: “E’ andato in arresto cardiaco e, nonostante le manovre dei rianimatori fatte sulla pista di atterraggio, è deceduto” (Ansa, Bari, 18 marzo).

Non lasciamo che sia morto invano Chi racconterà la nostra storia?

In questo mondo feroce respira con dolore per raccontare la mia storia (Amleto)

Il dott. Li Wenliang che lavorava come oculista in un ospedale di Wuhan, rivelò per la prima volta in una chat l’epidemia nel dicembre 2019 curando dei malati gravi di polmonite (dalle cause ignote) che avevano la congiuntivite, ma la polizia di Wuhan lo accusò di diffondere notizie false anziché allertarsi per verificare quell’ allarme (erano ancora in tempo a fermare il contagio). Ci vollero alcune settimane perché il regime riconoscesse l’esistenza dell’ epidemia, scagionando Li dalle accuse. Il medico continuando a svolgere la sua attività, si è ammalato ed è morto il 6 febbraio. Viene lanciato l’appello «Non lasciamo che Li Wen Liang sia morto invano». Tra i firmatari ci sono il professor Tang Yiming, capo del Dipartimento cinese della Cina centrale della Normal University, che si trova a Wuhan, il centro dell’epidemia. “Se le parole del dottor Li non fossero state considerate inutili voci e se ogni cittadino avesse il diritto di dire la verità, forse questo disastro nazionale non si sarebbe verificato, colpendo la comunità internazionale[2]. In questo appello si chiede «il rispetto della Costituzione, che (in teoria) garantisce la libertà di parola».

Si chiede di fissare il 6 febbraio, il giorno della morte del medico, come “Giornata della libertà di parola”.


[1] Il coronavirus, in gergo medico 2019-nCoV, è stato identificato per la prima volta alla fine dello scorso anno nella città di Wuhan, nella Cina centrale.

[2] Informazioni tratte da Asia news 7-2-2020

Svoboda-Scenographer
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 da http://www.graphicine.com/josef-svoboda-light-and-shadows/

Archiv Narodni Divadlo

http://www.svoboda-scenograf.cz/en/

Frammenti video da INA fra

Data base da PINTEREST

Dalla pagina della società PERONI scheda SVOBODA

Josef Svoboda negli Anni ’40.
Prima di iscriversi nel 1938 alla scuola per falegnami di Praga e in seguito all’Accademia di Architettura, Svoboda lavora per un paio d’anni nella falegnameria del padre, dove sviluppa una perizia e una concretezza artigianale che gli saranno di grande aiuto in seguito.

«Sarò sempre grato a mio padre che mi costrinse, prima che diventassi scenografo, al lavoro manuale. [ … ] Sono convinto che il teatro è e rimane l’ultima opera artigianale del nostro tempo e di quello futuro.»
Josef Svoboda, op.cit., pagg. 18 e 19.

La sua attività di scenografo inizia a Praga nel 1943, ed è subito evidente come si sia già lasciato alle spalle la tradizione pittorica ottocentesca, influenzato invece dal costruttivismo russo e dalle teorie di Gordon CraigAdolphe Appia, che lo porteranno a prediligere l’uso delle forme, dei volumi architettonici, del movimento, degli effetti della fototecnica.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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I racconti di Hoffman, produzione del 1946 del Teatro del 5 Maggio di Praga.

Dal 1946 è direttore di produzione del Teatro del 5 Maggio di Praga, dal 1950 direttore tecnico-artistico al Teatro Nazionale, dal 1968 docente all’Università di Praga, dal 1970 scenografo principale al Teatro Nazionale, dal 1973 direttore artistico di Laterna Magika, gruppo teatrale che raccoglie la sintesi della visione scenografica di Svoboda, mescolando il linguaggio teatrale a quello cinematografico e utilizzando il movimento cinetico-architettonico in un codice scenografico che utilizza schermi multipli, sipari di luce, specchi, laser e proiettori di ogni genere.
Alle responsabilità direttive Svoboda ha sempre affiancato un’intensissima attività di scenografo che lo ha visto impegnato anche in cinema e televisione in celebri produzioni a fianco di registi del calibro di Václav KašlíkAlfréd RadokMilos FormanOtomar KrejcaGiorgio StrehlerHenning Brockhaus.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da Domenica d’agosto, produzione del 1959 del Teatro Nazionale di Ostrava.

L’attività di Svoboda rimane confinata alla Cecoslovacchia fino al 1958.
Da allora il regime, in considerazione della sua fama, non può impedirgli di collaborare sempre più spesso con le più importanti produzioni teatrali del resto del mondo.

«Ho conosciuto il teatro durante la seconda guerra mondiale, quando tra la gente del palcoscenico e chi era in sala si comunicava con parole a doppio senso e con gesti della resistenza. Trovai allora la mia strada, dura e ostinata, che non ho più abbandonato.
Come tutti quelli della mia generazione, ho creduto anch’io che, a guerra conclusa, sarebbe stato possibile costruire un mondo migliore dove solo l’arte libera avrebbe regnato sovrana. E come la maggior parte della mia generazione ho vissuto il disinganno e la delusione; come la maggior parte di noi ho salutato la rivoluzione del novembre 1989 con sollievo e con nuova speranza.»
Josef Svoboda, op.cit., pag. 12.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Negli ‘Anni 60 Svoboda inizia una serie di collaborazioni con i maggiori teatri italiani, che si protrarranno con costanza per quasi quattro decenni e daranno origine ad alcune delle sue interpretazioni scenografiche più memorabili sia di opere liriche che di prosa.

Nel 1987 viene chiamato a Milano dal Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, per la messa in scena in coproduzione con il Teatro alla Scala del dittico brechtiano di rara esecuzione Chi dice sì, chi dice no, con la regia di Lamberto Puggelli.

Affiancato dalla direzione tecnica di Giorgio Cristini, Svoboda crea una scenografia molto asciutta, costruita con pochi fondali increspati in ASC320S – Tela Sceno largh. 320 cm – Ignifugo, qualche scaletta a pioli in legno, alcune proiezioni e luci taglienti che danno vita ad uno spettacolo sobrio, perfettamente centrato sul testo di Bertolt Brecht e sulle musiche di Kurt Weill.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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La collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano culminerà con il Piccolo Teatro, ”Faust, frammenti” parte prima, nel 1989, e parte seconda, 1990, tra le regie più note di Giorgio Strehler.

«Io ero – si capisce – molto curioso di incontrare Giorgio Strehler, e fui ben lieto quando, nel 1989, ne ebbi finalmente l’occasione. Si tratta infatti di uno di quei registi che dominano totalmente l’arte del teatro, così propriamente definita dai tedeschi, con termine intraducibile, Gesammkunstwerk».
Josef Svoboda, op.cit..

Nella foto, una scena de La donna del mare di Henrik Ibsen, allestimento del 1991 del Piccolo Teatro con la regia di Henning Brockhaus e i costumi di Luisa Spinatelli.

Photo © Luigi Ciminaghi / Piccolo Teatro di Milano

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Scena da La regina delle nevi, da Hans Christian AndersenLaterna Magika, Praga, 1979.

Audace sperimentatore, pur fornendo le sue prove più incisive nel confronto con il teatro di prosa e musicale del ‘900, Svoboda ha rivisitato in chiave moderna anche il teatro d’opera classico, con interpretazioni sempre rivoluzionarie, che hanno spesso entusiasmato pubblico e critica, ma che non hanno esitato a scandalizzarne le frazioni più accademiche quando la scelta delle linee interpretative lo richiedeva.

«Nell’arte gli scandali ci sono sempre stati e non c’è ragione per cui non ci debbano essere – il progresso va contro la convenzione e la convenzione si difende. [ … ] La prima del Wozzeck di Alban Berg ha provocato un infarto al sindaco di Praga, ma nemmeno questa tragica circostanza ha potuto diminuire il grande significato dell’opera. [ … ] L’ansia di evitare gli scandali comporta solo l’appiattimento della regia e della messinscena.»
Josef Svoboda, op.cit., pag. 29.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da Odysseus, allestimento di Laterna Magika, Praga, 1979.

Come altri grandi scenografi della sua generazione, Svoboda ha contribuito allo sviluppo di tecniche che hanno rivoluzionato la scenografia del ‘900. Ha sperimentato materiali specchianti, riflettenti e fotoassorbenti di ogni genere. Come altri ha introdotto nel teatro la combinazione di teatro e cinema, le proiezioni multischermo, l’effetto pulviscolo.
Ha perfezionato l’uso del controluce, quello dei cosiddetti ”sipari di luce” e, più di chiunque altro, ha studiato e messo a punto egli stesso nuove tecniche di illuminazione teatrale (basti pensare ai proiettori Svoboda, oggi di comune impiego).
Sul palcoscenico ha espanso gas, nebulizzato liquidi: ha provato tutto quello che gli era possibile provare.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Svoboda è stato autore di alcuni rivoluzionari allestimenti espositivi.
Celebre il Polyécran all’Expo 1958 di Bruxelles (nella foto), proiezione multipla su otto schermi di forma quadrata e trapezoidale su sfondo nero.
Una messinscena che ha avviato un filone di rappresentazioni simili e che proprio per questo oggi non stupirebbe nessuno, ma che allora destò scalpore per la novità e l’efficacia, richiedendo la soluzione di problemi tecnici di considerevole complessità, in un’epoca in cui le soluzioni computerizzate di proiezione e sincronia dell’audio non erano nemmeno ipotizzate.
L’esperimento fu ripetuto, in modo più sofisticato, all’Expo 1967 di Montréal, dove gli schermi diventarono oggetti tridimensionali di varie forme (cubi, sfere).
Le tecniche di proiezione e le loro interazioni in scena furono per Svoboda un’ulteriore occasione di sperimentazione.

«Mi sono sempre domandato perché bisognasse proiettare solo su una superficie compatta, e non su fasci di linee mobili, o su frammenti di superfici, o su aste.»
Josef Svoboda, op.cit., pag. 186.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da La dama di picche di Pëtr Il’ič Čajkovskij al Houston Grand Opera, 1982.

Milena Honzíková, collaboratrice dalla fine degli Anni ’40 e assistente di Svoboda fino alla morte, è tra le persone che meglio ne hanno conosciuto l’approccio artistico.

«Dalla sua prima messinscena fino a quelle odierne non troviamo nemmeno un esempio di allestimento mediocremente illustrativo. [ … ] La personalità in continua evoluzione, la capacità di individuare il punto nevralgico delle singole opere, spiegano la sua caparbia ricerca di materiali e mezzi figurativi sempre nuovi. Sin dal principio egli afferma che lo scenografo non svolge la propria funzione se il suo lavoro non contiene un messaggio personale, insieme all’esperienza umana e alla consapevolezza di quanto sia insufficiente la nostra conoscenza della vita e dell’arte.»
Milena Honzíková, dalla presentazione a I segreti dello spazio teatrale, pag. 7.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Un esperimento che ancor oggi surclasserebbe qualsiasi forma di multimedialità interattiva fu quello di Boston, nel 1965, dove Svoboda ripropose Intolleranza 1960, soggetto di Angelo Maria Ripellino musicato da Luigi Nono.
Su di una serie di schermi predisposti sul palcoscenico venivano proiettate in contemporanea azioni che si svolgevano sul palcoscenico e in studi esterni, per le strade di Boston e tra il pubblico (v. foto).

«Lo scopo fondamentale [ … ] era di trascinare il pubblico e di farlo partecipare intensamente allo spettacolo. Durante il canto di protesta della cantante nera la telecamera riprendeva le persone del pubblico proiettandone l’immagine sullo schermo. La gente si riconosceva e si divertiva.»
Josef Svoboda, op. cit., pag. 77.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da Rusalka di Antonín DvořákTeatro Nazionale di Praga, 1991.

«A un certo punto scambiammo l’immagine dal positivo al negativo, e sullo schermo le persone apparvero tutte nere. Alcuni spettatori incominciarono a protestare, noi li filmammo e li trasmettemmo. Riuscimmo a inserire nello spettacolo persino una dimostrazione che si svolgeva in quel momento davanti al teatro.»
Josef Svoboda, op. cit., pag. 77.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da Il borghese gentiluomo di MolièreAtelier Théâtral di Louvain-la-Neuve, 1990.

Benché inizialmente più attratto dal teatro sperimentale, Svoboda si dovette dedicare fin dai primi allestimenti al teatro d’opera, in seguito apprezzandone però i contenuti e le possibilità artistiche.

«… l’opera non è solo musica, è anche teatro, è la stilizzazione al suo apice. [ … ] Per uno scenografo l’opera è una grande occasione, ma al tempo stesso anche un grosso problema. Egli deve sollecitare la fantasia dello spettatore, ma non soffocarla: non deve far credere niente, ma solo contribuire alla scoperta del senso attraverso precise allusioni. Si potrebbe dire che il suo compito consista nel raggiungere con mezzi realistici un effetto fantastico. E i mezzi devono essere quelli della finzione teatrale. Insomma, l’opera è incredibilmente esigente con tutti i professionisti che vi sono coinvolti.»
Josef Svoboda, op. cit., pag. 65.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Lucia di Lammermoor, scenografia ideata da Svoboda ancora per l’Arena Sferisterio e caratterizzata dal fondale da lui stesso definito ”psicoplastico” per la sua tridimensionalità e per il modo in cui veniva impiegato, in proiezione e in trasparenza, per far comparire e sparire i personaggi.

«Nella Lucia di Lammermoor una funzione del tutto particolare era attribuita al sipario, delle dimensioni di 30 metri per 15 e dello spessore di 30 centimetri. Questo sipario si ripiegava, si contorceva, si tendeva, si scansava come magma, era un animale – svolgeva insomma un vero e proprio ruolo drammatico, e costituiva inoltre una superficie eccellente per le proiezioni. In tutte e due le messinscene le trasformazioni del pavimento e del sipario erano esattamente programmate.»
Josef Svoboda , op.cit., pag. 184.

Photo © Alfredo Tabocchini

“Omaggio al Teatro. I teatri nazionali e i Giganti della Montagna”, un importante documentario di Fabrizio Pompei sulle economie (e i valori) dei nostri Teatri Nazionali. Intervista al regista.
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“Non nasce teatro laddove la vita è piena, dove si è soddisfatti. Il teatro nasce dove ci sono delle ferite, dei vuoti.. E’ lì che qualcuno ha bisogno di stare ad ascoltare qualcosa che qualcun altro ha da dire a lui.” 

Questa frase di Jacques Copeau è idealmente il punto di riferimento del regista video e teatrale Fabrizio Pompei per il suo nuovo magnifico documentario OMAGGIO AL TEATRO: I Teatri Nazionali e I giganti della Montagna : si parla del teatro e delle sue (scarse) economie e (molte) incertezze, dei sui sogni, della affannosa ricerca del pubblico e  di una comunicazione autentica. Con Pirandello come guida, questo video è un potente racconto sulla ricerca di identità dei Teatri Nazionali.

Il decreto Franceschini del 2015 sullo spettacolo dal vivo ha trasformato i Teatri Stabili in Teatri Nazionali e ha cambiato molte cose  nell’organizzazione dei grandi teatri e delle compagnie che ruotavano intorno ad essi con proposte artistiche o progetti di residenza; ha definito nuovi criteri di ripartizione dei fondi pubblici, ha stabilito nuove cartografie di produzione, nuovi assetti, persino nuove figure gestionali non strettamente artistiche. Il dibattito ha tenuto banco a lungo in sedi importanti anche prima della nomina dei primi sette Teatri Nazionali (ma già nel nuovo triennio 2018-2020 ci sono nuove modifiche con l’aggiunta per esempio, di un nuovo Teatro Nazionale, originariamente escluso: Genova). 

Data l’importanza dell’argomento, Fabrizio Pompei docente di Storia del Teatro all’Accademia di Belle Arti di Macerata, ha dedicato proprio a questa trasformazione in atto, un efficace e godibilissimo documentario, ricco di suggestioni sonore e visive (con animazioni e grafica originali e interni di alcuni dei più importanti teatri Nazionali);  le interviste ai  direttori dei Teatri Nazionali  intrecciate alla parola teatrale  (Ilse: Monica Di Bernardo; Cotrone Claudio Marchione; voci narranti, di Antonia Renzella e Luca Serani), permettono di comprendere  al meglio questi passaggi epocali. 

Con il decreto del 2015 come ricorda Fabrizio Pompei, I direttori sono i responsabili della politica culturale del Teatro Nazionale, i curatori delle stagioni teatrali e dei progetti triennali. Inoltre il decreto ha stabilito che la commissione ministeriale attribuisce uno specifico punteggio alla “qualità della direzione artistica”.

Il videodocumentario parte da un importante interrogativo: al di là delle economie ripartite, qual è oggi il ruolo di un Teatro Nazionale? Non c’è dubbio che debba rappresentare l’identità della Nazione, ma questo non significa solo mettere in scena autori già consegnati alla memoria e alla Storia, ma anche innescare un circuito virtuoso di innovazione creativa:  ci sarà però, davvero spazio per i nuovi autori?

I giganti della montagna l’emblematica opera incompiuta di Pirandello, diventa  nel video il simbolo dei teatranti di oggi alla ricerca di un teatro, di sovvenzioni, di contributi. I Giganti sarebbero forse i potenti direttori dei Teatri Nazionali che possono salvare la vita della compagnia facendoli entrare nel “fortino”, nella “torre eburnea” del teatro finanziato dallo Stato? 

Un documentario di grande utilità  per un  pubblico non solo teatrale e per gli studenti dei numerosi corsi di Teatro nelle Facoltà Umanistiche e nelle Accademie di Belle Arti (da Economia e gestione teatrale a Legislazione dello Spettacolo). Emergono ottimi spunti di indagine e  vari principi guida: la costruzione della comunità, la protezione dei fragili progetti di un teatro giovane, l’apertura alle nuove proposte.

Marco Giorgetti. Foto dal video Omaggio al Teatro.

Luca De Fusco (TN della Campania), parla della produzione che viene fortemente a incrementarsi con il nuovo decreto, Marco Giorgetti (TN della Toscana) definisce il Teatro Nazionale come un punto di riferimento necessario peri una “effettiva scoperta del vero nuovo teatro”.

Il Teatro Nazionale secondo Massimo Ongaro (TN Veneto) è “un potente strumento di produzione e promozione di cultura, una nuova modalità nella guida del teatro”,  Antonio Calbi (già direttore del TN di Roma) osserva che il pubblico teatrale  c’è, è numeroso ma è frammentato, disorientato perché non esiste una vera e propria rete teatrale, e racconta delle strategie innescate a Roma per trasformare il teatro in una “agorà culturale”.

Sottoscrivo una frase di Massimo Ongaro dal video e la faccio mia:  Il teatro è il più potente strumento di analisi e di interpretazione della società“. 

INTERVISTA A FABRIZIO POMPEI

Anna Monteverdi Perché hai voluto fare un documentario su questi temi teatrali?

Fabrizio Pompei: Sinceramente non so perché è nata l’idea di un documentario sul teatro. Certo, parlare di teatro attraverso un video… è un’idea un po’ bislacca. Ho sentito il bisogno di fare un Omaggio, un tributo, per la centralità che il mondo del teatro ha nella mia vita – un mondo effimero che non posso fare a meno di vedere, di realizzare, di studiare e di raccontare.

La mia riflessione prende spunto dalla recente riforma dello spettacolo dal vivo ma, attraverso l’intreccio tra il testo di Pirandello e le interviste ai direttori dei Teatri Nazionali, ha l’intento di far emergere un’immagine di teatro la cui esistenza è sempre più necessaria nella società in cui viviamo, perché dà spazio alle emozioni, ai sentimenti, ai desideri, cioè, a ciò che, seppur invisibile agli occhi, dà l’essenza alla nostra vita.

Così è nata l’idea di intraprendere un viaggio per mostrare alcuni edifici teatrali, che per la loro architettura caratteristica, forma a ferro di cavallo, divisione tra platea, ordini e palcoscenico, sono detti “all’Italiana”, e per incontrare i direttori dei Teatri Nazionali, – la nuova categoria introdotta dalla riforma che, insieme ai Tric (teatri di rilevante interesse culturale), vanno a sostituire quella dei “teatri stabili” (nati dopo l’esempio del Piccolo di Strehler e Grassi), – e raccontare le loro strategie e le loro politiche culturali.

Non mi sono addentrato negli aspetti della governance, sempre più interessata a raggiungere i numeri (di poltrone, di repliche, di giornate lavorative, di spettatori) necessari a ottenere i finanziamenti pubblici, fondamentali per la sopravvivenza delle istituzioni teatrali, credendo che sia un argomento di poco interesse per gli spettatori – anche se gli effetti li colpiscono direttamente.

Vengono messi a confronto due modi di fare teatro, che sembrano opporsi, ma in realtà rappresentano le facce della stessa medaglia. Uno è quello dell’enclave teatrale (quello dei gruppi, delle associazioni, dei piccoli teatri), che persegue una propria idea di teatro, una sperimentazione, una ricerca, da mostrare a pochi spettatori intimi-appassionati, e un altro (quello finanziato dal MiBAC), che si propone l’obiettivo di mostrarsi al maggior numero possibile di spettatori, non tralasciando le direttive burocratiche-amministrative e accontentando i variegati gusti degli spettatori. 

Nel documentario ho cercato di restituire l’immagine particolare del teatro di oggi, metafora della pesca di paranza, la convivenza cioè di pesci grandi e piccoli, di buona o scarsa qualità, che lottano per la propria sopravvivenza cercando una propria identità, un proprio senso vitale, un proprio spettatore.

ANNA MONTEVERDI: Nel secondo triennio 2018-2020 ci sono stati dei cambiamenti….

FABRIZIO POMPEI E’ entrato nel novero dei Teatri Nazionali Genova la cui esclusione nel primo triennio suscitò molte polemiche. Grazie alla fusione tra Teatro Stabile di Genova e il Teatro dell’Archivolto è stato riconosciuto come teatro nazionale.

Esce il Teatro stabile del Veneto dopo la rottura con Il Teatro Nuovo di Verona.

Al teatro nazionale di Roma dovrà essere nominato un nuovo direttore perché Antonio Calbi è stato nominato direttore dell’INDA. Il Piccolo Teatro di Milano (il quale dal 2017 gode di un decreto ad hoc che lo esonera dai parametri del Dm e ha in automatico il 6,5% del Fus assegnato ai teatri).

ANNA MONTEVERDI) Quanto le nuove generazioni conoscono quello che è successo negli ultimi anni nel teatro pubblico con le riforme?

Fabrizio POMPEI Conoscere la riforma non è semplice. Posso dirti che anche i diretti interessati ricorrono a consulenti esterni. Il rischio che si corre è che si lavori più per rispondere ai parametri ministeriali per ottenere i finanziamenti che a una propria identità teatrale.

Il decreto dalla sua emanazione 1 luglio 2014 subisce aggiustamenti ogni anno. Credo che tra gli spettatori, a parte quelli che vivono geograficamente vicino ai Teatri Nazionali, pochi conoscano i cambiamenti in atto e men che meno il decreto. Gli enti anche per motivi burocratici (Statuti) hanno conservato i loro vecchi nomi (Teatro stabile di Napoli, Teatro di Roma, teatro stabile di Torino ecc.) Li puoi vedere nel decreto 2018  che stabilisce i finanziamenti. Teatro Nazionale e TRIC quindi indicano una categoria di appartenenza che deve essere confermata ogni triennio.

Sicuramente la novità ha fatto scaturire negli spettatori un rinnovato interesse per il teatro, e questo è dimostrato dal crescente numero di presenze negli spettacoli sia negli abbonamenti che nello sbigliettamento. Si sentono di appartenere ad una comunità più importante? Ad ogni modo è un fatto positivo.

Gli studenti invece non ne sanno nulla. Come sai sono pochi quelli che vanno a teatro, figuriamoci quanto gli possa interessare l’aspetto burocratico-amministrativo.

Il nostro lavoro di insegnanti è di fondamentale importanza per fargli sviluppare una curiosità, una passione e una coscienza critica.

Nota biografica di Fabrizio Pompei

Fabrizio Pompei si è laureato con lode in Lettere presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Ha conseguito il diploma di secondo livello in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila e un Master di II livello in Regia lirica promosso dall’Accademia S. D’Amico di Roma, in cui ha completato la sua formazione frequentando, in qualità di assistente alla regia, stage diretti da P. Pizzi, R. Brunel, W. Kentridge, F. Zeffirelli. Come regista ha lavorato con importanti istituzioni: Commissione Internazionale per lo sviluppo dei popoli – CISP, Comunità Europea “Youth in action”, ETF European Training Foundation, Narnia Festival, Festival “I Cantieri dell’Immaginario” – promosso dal MiBACT e Comune dell’Aquila, Teatro Stabile di Innovazione – L’Uovo, Società dei Concerti “B. Barattelli”, Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea, Conservatorio “A. Casella” dell’Aquila, Conservatorio “L. D’Annunzio” di Pescara, ATAM Associazione Teatrale Abruzzese e Molisana, Comune di Roma – Casa delle Letterature.  Tra le regie più recenti Lontano, da qualche partela prima guerra mondiale attraverso le voci di una generazione perduta e, nel teatro musicale, L’ingegner Gadda alla scoperta dell’Aquila di Errico Centofanti, Summertime da Porgy and Bess di George Gershwin con Massimo Popolizio, Suor Angelica di Giacomo Puccini e l’opera contemporanea Junofirst di Silvia Lanzalone. 

Fabrizio Pompei

In qualità di sceneggiatore e regista ha realizzato diversi documentari tra i quali: “Omaggio al teatro. I Teatri Nazionali e i giganti della montagna” (2018), “La rinascita del teatro a L’Aquila” (2013), “Una generazione in fermento” (2010), “Educazione e formazione musicale per bambini e giovani nella provincia di Buenos Aires” (2008). Ha tenuto in qualità di docente un ciclo di seminari sul teatro del Novecento alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università dell’Aquila (2007).In qualità di relatore ha effettuato diverse conferenze-spettacolo tra cui “Maria Signorelli: il teatro a portata di mano”, promosso dal Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila (2013), “Teatro di documento” promosso dall’Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea (2009), “Teatro come terapia” promosso dal Comune dell’Aquila (2008), “Comunicare con gli stranieri: costruiamo un ponte tra mediazione culturale e teatro” nell’ambito del corso di formazione promosso dal C.S.V. dell’Aquila (2008).È autore di articoli e pubblicazioni inerenti tematiche teatrali, tra cui: Teatri Contemporanei. Storia (R)esistenza, Territori (2007), Una generazione in fermento. I giovani e le arti a fine ventennio (2010). Ha insegnato Storia del Teatro per il corso di Laurea Specialistica in Scienze dell’Educazione e Formazione dell’Università dell’Aquila, Regia all’Accademia Albertina di Torino. Attualmente insegna Storia dello Spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Macerata.

FESTIVAL FLIPT 2018 a FARA SABINA -LABORATORIO INTERCULTURALE DI PRATICHE TEATRALI in collaborazione con I.S.T.A. International School of Theatre Anthropology diretta da Eugenio Barba
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dal  18 GIUGNO  al  1 LUGLIO  2018 

Giunge alla sua XVIII edizione il FLIPT – Festival Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali organizzato dal Teatro Potlach di Fara in Sabina.

Quattordici giorni di laboratori, spettacoli e dialoghi dedicati all’incontro e allo scambio creativo tra diverse culture della performance.

Quest’anno il confronto avverrà tra artisti provenienti da Iran, Danimarca, Grecia, Polonia, Brasile, Ungheria, Germania, India e Italia, che porteranno al festival il proprio contributo attraverso la condivisione della propria personale esperienza teatrale.

Dal 18 giugno al 1 luglio, nella sede del teatro diretto da Pino Di Buduo, pedagoghi di livello internazionale si avvicenderanno nella conduzione di workshop dedicati alla regia e agli elementi fondativi della presenza scenica dell’attore nelle culture orientali e occidentali.

Programma:

18-21 GIUGNO

Laboratorio sulla Commedia dell’Arte

con Claudio De Maglio (Italia)

22-24 GIUGNO

Laboratorio “Esercizi di drammaturgia. Pensare per azioni”

con Eugenio Barba e Julia Varley (Danimarca) per partecipanti e osservatori

 

25-28 GIUGNO

Laboratorio “Respiro e consapevolezza della performance”

con Tian Mansha (Cina)

29-30 GIUGNO e 1 LUGLIO

Spettacolo “Città Invisibili” con tutti i partecipanti al Festival

E INOLTRE

|Ogni giorno Scuola del Teatro Potlach: la mattina training fisico e vocale, il pomeriggio costruzione e preparazione degli spettacoli “Città Invisibili”.

|Tutte le sere uno spettacolo di Teatro Potlach (Italia), Odin Teatret (Danimarca), Teatr Brama (Polonia), Julio Adriao (Brasile), Fanatika Theatre (India), e molti altri.

Per iscriversi invia il tuo cv con il MODULO DI ISCRIZIONE

FESTIVAL INEQUILIBRIO-CASTIGLIONCELLO, XXI EDIZIONE
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La fragilità è il tema della XXI edizione 2018 di Inequilibrio, così come rappresentata nell’immagine disegnata da Guido Bartoli per il Festival.  Uova calpestate da una ragazza con le ali, forse nell’illusione di essere un angelo prima di spiccare il volo, con la consapevolezza, espressa dalla vignetta che rappresenta l’icona “fragile” posta sulle scatole dei bicchieri.

Inequilibrio XXI, festival della nuova scena, torna a Castello Pasquini, Castiglioncello (LI) dal 19 giugno all’8 luglio per raccontare le molteplici fragilità del nostri tempi attraverso 52 spettacoli tra teatro, danza e musica, di cui 15 Prime nazionali per un totale di 82 repliche, presentando una selezione tra quanto di più interessante la scena contemporanea, italiana e internazionale, propone. Il Focus di danza che nella passata edizione era stato dedicato ai giovani coreografi arabi, quest’anno si amplierà con un occhio più vasto sull’area Mediterranea e del Medioriente  grazie al Focus Young Mediterranean And Middle East Choreographers 2018 progetto sostenuto da La Francia in Scena, stagione artistica dell’Institut français Italia / Ambasciata di Francia in Italia. Gli artisti ospiti di INEQUILIBRIO saranno: Sina Saberi, danzatore iraniano che ha sviluppato una ricerca personale che eludendo i divieti del suo paese (in Iran la danza è vietata) apre orizzonti sul corpo, scandagliando tradizioni e riti del passato in Iran. La danzatrice marocchina Nora Alani presenterà un duo con il performer libanese Jadd Tank che è l’autore della coreografia e del concept. Radouan Mriziga coreografo marocchino “esplorerà” il mondo contemporaneo in bilico tra religione e rinnovamento. L’artista sente la necessità di resistere attraverso l’arte agli impatti sociali, culturali e religiosi, questo ha rafforzato la sua vitalità aprendogli un confronto sulle impellenze sociali. Tra gli ospiti internazionali di grande richiamo da segnalare la presenza di Ivo Dimchev,  carismatico artista bulgaro di culto, noto in tutto il mondo per le sue performance estremamente innovative e provocatorie, e per la sua singolare vocalità che sarà a Inequilibrio con due appuntamenti: un vero e proprio concerto e una performance. Il concerto di Dimchev non sarà l’unico momento musicale a Inequilibrio che quest’anno apre alla musica anche con il concerto per chitarra di Guido Di LeoneMeytal Blanaru danzatrice e coreografa israeliana con base a Bruxelles, presenterà Aurora un singolare  solo, ispirato alla storia di Genie, una bambina che aveva passato i primi tredici anni di vita legata a un vasino, chiusa sola in una stanza, da genitori degeneri. Dopo il suo ritrovamento nel 1970 ha passato la vita tra autorità, scienziati e servizi sociali. “Seppure la storia di Genie sia uno straziante racconto di abusi- racconta la Blanaru-  sono stata profondamente ispirata da come avesse sviluppato una fisicità umana alterata.” La compagnia ceca Dot 504  debutterà in Prima italiana il loro nuovo spettacolo Family Journey.

Due saranno le personali dedicate ad un coreografo e ad una drammaturga: Daniele Ninarello (danzatore e coreografo) e Rita Frongia (drammaturga, regista e attrice) che presenteranno tre loro spettacoli ciascuno.

Non mancheranno gli artisti che da sempre condividono il loro percorso con Armunia: Massimiliano Civica che porterà a Castiglioncello, dopo il debutto al MET, la farsa scritta da Armando Pirozzi, Belve e Fortebraccio Teatro  con un nuova tappa su Pirandello: Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? Da Sei personaggi in cerca d’autore. Antonella Questa  attrice, drammaturga e regista, da sempre attenta a tematiche sociali, che sdrammatizza con intelligenza e ironia nei suoi spettacoli, debutta con il nuovo lavoro Infanzia Felice nato ad Armunia, dopo una lunga residenza. Oscar De Summa con il nuovo Soul music- dal lato opposto. Dopo il successo della Trilogia della Provincia, l’attore e autore pugliese torna alle atmosfere e ai colori del sud con un racconto di conflitti e passioni intenso, corale, generazionale. E’ un gradito ritorno anche per Francesco Pennacchia con Il Custode e per  Ilaria Drago che debutta a Inequilibrio con  Migrazioni_cambiare la fine | Senza confini Antigone non muore.  L’inedita coppia Alessandra Cristiani e Marcello Sambati presenta Clorofilla, dai libri Esitazioni e Tenebre del poeta e attore Marcello Sambati, uno spettacolo in cui la poesia del corpo si mescola con quella dei versi.  La compagnia Frosini Timpano sarà a Inequilibrio con Les Epoux  del drammaturgo francese David Lescot, tradotto da Attilio Scarpellini. La storia di un’ordinaria coppia di potere, i dittatori capricciosi e sanguinari Nicolae Ceausescu ed Elena Petrescu, che hanno messo la Romania in ginocchio per oltre vent’anni. Tornano anche i Quotidiana.com con Episodi di assenza1_prima che arrivi l’eternità. scienza vs religione e  Ciro Masella con L’ospite, un testo inedito di Oscar De Summa. I Sacchi di Sabbia, diretti da Massimiliano Civica proporranno un nuovo capitolo del loro singolare percorso nel teatro greco, stavolta affronteranno Andromaca da Euripide. Inequilibrio, in qualità di partner, ospita Cani morti di Jon Fosse, regia di Carmelo Alù, nell’ambito di

Davanti al pubblico, il progetto della Fondazione Teatro Metastasio di Prato di avviamento al lavoro destinato a giovani registi neodiplomati in una delle principali Scuole di Teatro italiane, a cui sarà prodotto uno spettacolo. L’intero progetto è seguito da Massimiliano Civica, che accompagnerà Carmelo Alù, il regista scelto, nel lavoro di relazione con gli interpreti e con i collaboratori artistici, nella pianificazione dei tempi e nel rispetto del budget fissato dalla produzione, proteggendo il delicato passaggio dall’idea allo spettacolo.

Nerval Teatro sarà al festival con gli attori del laboratorio della cooperativa Nuovo Futuro con Beckettiana e torna anche la compagnia Garbuggino -Ventriglia.

Approda a Inequilibrio Antonio Rezza, anticonvenzionale cantore dell’assurdo e dell’insensatezza con Fratto-X di Flavia Mastrella e Antonio Rezza. Attodue/ Murmuris propongono Giusto la fine del mondo di Jean Luc Lagarce, che conferma il filone francese della drammaturgia contemporanea presente negli ultimi anni ad Inequilibiro. Un testo immenso, quello di Lagarce. Ordinato, simmetrico, eppure vivo, di una vitalità così dinamica da diventare voragine. Un testo sull’amore, sulla famiglia, sulla morte, sul coraggio, sul viaggio, sulla distanza, sul silenzio, sulla potenza della parola.

La compagnia Sirna/Pol con I Giardini di kensington presenta uno spettacolo sulle relazioni, tra maschile e femminile.

Prodotto dall’azione Collaboration di Anticorpi XL, Daniele Albanese presenta Von: una riflessione sulla danza intesa come continua mutazione e trasformazione in rapporto con le  forze che agiscono sui corpi e sullo spazio in una coreografia di movimento, luce e suono. Nella voliera nel parco di Castello Pasquini, la danzatrice Anna Maria Ajmone  in dialogo con Jules Glodsmith, costumista e scenografa, presenterà NORAMA VALLEY condividendo suggestioni, immagini possibili, forme e materiali con cui saranno costruite le stratificazioni del paesaggio all’interno di un percorso di ricerca che si concentra sul soggiornare in spazi diversi, creando delle azioni di passaggio, che in modi completamente differenti si relazionano al contesto. Anna Maria Ajmone danzerà anche nello spettacolo V N Serenade- Verklärte Nacht (Notte trasfigurata) di Arnold Schönberg, Serenata in do maggiore per archi op. 48 di Pëtr Il’ič Čajkovskij di Cristina Kristal Rizzo in cui la creazione ricerca il rapporto più prossimo tra danza e musica, emancipando le potenzialità espressive del corpo, l’eleganza del gesto. JUST TWO due assoli è il titolo di una serata condivisa, in cui due coreografi palermitani over 40, Giuseppe Muscarello e Giovanna Velardi,propongono due soli sul tema dell’espressività e dell’identità.  Due coreografi dal respiro internazionale, la cui cifra linguistica e stilistica è fortemente radicata nella sicilianità. NON RICORDO è il titolo del nuovo spettacolo di e con Simone Zambelli, artista selezionato nella Vetrina Anticorpi Xl edizione 2017,  laureato all’ Accademia Nazionale di Danza di Roma (indirizzo contemporaneo) e danzatore di diverse compagnie Italiane ed Estere, tra cui: Jason Mabana Dance Company, Cie Zerogrammi, Balletto Civile e Muxarte. Euforia di Silvia Rampelli, spettacolo prodotto da Habilé d’eau, compagnia fondata da Silvia Rampelli,  che focalizza la riflessione sulla natura dell’atto, sulla scena come dispositivo percettivo, arriva ad Inequilibrio in forma definita dopo che lo scoro anno era stato presentato in forma di studio.

La compagnia Berarardi Casolari approda a Inequilibrio con Amleto take away, un affresco tragicomico che gioca sui paradossi, gli ossimori e le contraddizioni del nostro tempo. Punto di partenza sono, ancora una volta, le parole, diventate simbolo più che significato, etichette più che spiegazioni, in un mondo dove «tutto è rovesciato, capovolto, dove l’etica è una banca, le missioni sono di pace e la guerra è preventiva». Tra le giovani proposte la compagnia under 35 Amor vacui, mensione speciale della Giuria, al premio Scenario, con Intimità,. La compagnia L’uomo di fumo con Bolle di sapone, la compagnia Oyes con SCHIANTO, un viaggio surreale nell’inconscio di una generazione e la compagnia The ghepards con La fanciulla con la cesta di frutta una riflessione sull’opera e sull’artista la compagnia Pilar Ternera  con Scena di Libertà. Dopo due anni di lavoro intorno al testo Savannah Bay di M. Duras, e al tema della relazione come dialogo di reciprocità e rispecchiamento degli “io”, arrriva al festival Di tutti gli istanti, da un’ idea di Silvia Pasello mentre la compagnia Lanza- De Carolis presenta Suzanne, un monologo liberamente tratto da Suzanne Andler di Marguerite Duras. Infine non mancherà Luca Scarlini che anche quest’anno regalerà al festival, le sue perle di conoscenza nelle sue seguitissime conferenze-spettacolo con Se permettete parliamo di donne.

Inequilibrio organizza anche alcuni incontri, due dei quali forniranno crediti formativi per giornalisti: il primomartedì 19 giugno con la giornalista e antropologa Tiziana Ciavardini, esperta di Iran e Medioriente, che intervisterà il danzatore e coreografo iraniano Sina Saberi e con lui racconterà le tradizioni e la cultura del medioriente, un mondo tra informazione e pregiudizi. L’altro appuntamento sarà invece il 27 giugno con una vera e propria full immersion nella critica di danza, uno sguardo in trasformazione. Teoria e pratica, con Rossella Battisti, Marilù Buzzi,  Silvia Poletti.  Mercoledì 20 giugno Annamaria Monteverdi con Massimo Bergamasco docente di meccanica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, presenterà il suo libro  Memorie maschera e teatro di Robert Lapage. Frutto della decennale ricerca dell’autrice negli archivi della compagnia Ex Machina a Quebec City e nel backstage degli spettacoli di Lapage Premio Europa per il teatro. Quindi sabato 7 luglio Attilio Scarpellini presenterà il libro della collana i Quaderni di Armunia sul Tempo seconda parte.

L’immagine del festival courtesy by Guido Bartoli

Ufficio stampa Elisabetta Cosc

Teatro-Cinema: Katie Mitchell
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Forbidden Zone by Katie MItchell

The Making of a Live Cinema 

This short film documents the process of bringing one such production to fruition. Forbidden Zone – which premiered at the Salzburg Festival in July 2014 – is arguably the most ambitious and complex of these pieces to date. With multiple narratives crossing two time zones, the piece tells the story of Fritz Haber, the inventor of the very first chemical weapons during the First World War, and the effect that it had on his family over three generations.

With video direction by 59’s Leo Warner, the piece includes elaborate film and stage sets (designed by Lizzie Clachan), which include several detailed period rooms, as well as a moving 1940’s Chicago subway train that is brought to life through elaborate sound, lighting and in-camera effects.

Katie MItchell

 

 

TEATRO STABILE TORINO ALLE OGR DI TORINO IL 21 APRILE LA PRIMA SESSIONE DI “PLAYSTORM” PROGETTO DI SCRITTURA TEATRALE CURATO DA FAUSTO PARAVIDINO 
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Dal 21 al 27 aprile 2018 si svolgerà la prima sessione di PLAYSTORM progetto triennale dedicato alla scrittura teatrale contemporanea curato da Fausto Paravidino, dramaturg dello Stabile torinese. 
L’iniziativa del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, che ambisce a dare vita ad un “ecosistema” favorevole al lavoro su nuovi testi, in virtù della collaborazione instaurata fra il Teatro e le OGR – Officine Grandi Riparazioni, si svolgerà nel cuore di questo grande complesso polifunzionale, la sala “Duomo” (Corso Castelfidardo, 22 – Torino).
Playstorm è un laboratorio aperto, che si concentrerà sul processo e sulla ricerca drammaturgica, più che sulla creazione di uno spettacolo. L’idea, infatti, è quella di riunire intorno ad un palcoscenico autori, attori, registi, e non solo, per dare vita a sessioni di lavoro intensive e collettive sui testi inediti ed originali. I partecipanti per il primo anno sono stati selezionati attraverso una call pubblica, rivolta ad autori italiani. Tra le oltre 130 candidature ricevute, Fausto Paravidino ha scelto dieci autori che per il primo anno di attività si riuniranno a Torino per lavorare insieme (le prossime sessioni sono previste dal 28 maggio al 3 giugno 2018 e dal 10 al 16 settembre). Lo stesso processo di selezione e lavoro avverrà per il 2019 e per il 2020. 
Oltre a Fausto Paravidino, il percorso potrà contare anche sull’incontro con alcuni autori importanti della scena nazionale ed internazionale, ma anche con musicisti, storyboarders e artisti visivi, che offriranno il proprio punto di vista e le proprie tecniche di narrazione al lavoro svolto durante le settimane di attività.

Al termine di questa prima sessione, venerdì 27 aprile, alle ore 17.00, è previsto un primo momento di condivisione pubblica del lavoro svolto, presso la sala “Duomo” delle OGR. L’ingresso è gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili previa prenotazione all’indirizzo e-mail:playstorm@teatrostabiletorino.it entro le ore 12 di giovedì 26 aprile.  

«Playstorm – dichiara Fausto Paravidino – è un progetto di ricerca sulla scrittura teatrale che si prefigge di diventare a sua volta volano per le future iniziative dello Stabile sul contemporaneo. È un spazio di ricerca non direttamente finalizzato ad un risultato produttivo, ricerca pura. L’ambizione è quella di trovare le forme più efficaci per trasformarsi in un cantiere di scrittura e di lettura del presente, un luogo di forte interazione tra il Teatro e il suo pubblico, un centro di monitoraggio della scrittura italiana ed internazionale ed uno sportello per gli autori italiani. In pratica, funziona come un laboratorio teatrale permanente, partecipato principalmente da autori e attori (ma aperto anche ad altre figure), che prevede incontri periodici per delle residenze di lavoro intensivo dove gli autori (da soli o a gruppi) portano il loro lavoro, scrivono e vedono il loro lavoro immediatamente agito sul palcoscenico da un gruppo di attori. Gli autori continuano, perfezionano e modificano il loro processo di scrittura sulla base di una continua verifica. L’ideale è che nel tempo si formi un gruppo (anche attraversabile da personalità diverse) che sia uno strumento per il Teatro per avere sempre un’attenzione attiva sulla scrittura contemporanea, per il pubblico per avere la possibilità di interagire direttamente con le scelte del teatro frequentando il lavoro e partecipando ad un dialogo sul contemporaneo, per gli autori per avere un riscontro sui loro esperimenti di scrittura».

INFO STAMPA: 
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Area Stampa e Comunicazione: Carla Galliano (Responsabile), Simona Carrera
Via Rossini 12 – Torino (Italia). Telefono + 39 011 5169414 – 5169435
E-mail: galliano@teatrostabiletorino.it – carrera@teatrostabiletorino.it

1818-2018 Frankenstein Progeny Perturbazioni etiche ed estetiche nello spettacolo contemporaneo. Università del Salento
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1818-2018

Frankenstein Progeny

Perturbazioni etiche ed estetiche nello spettacolo contemporaneo

9 maggio

ore 10.00 – Padiglione Chirico (Olivetani)

Drammatizzazioni del romanzo di Mary Shelley: Il ‘Frankenstein’ di Teatro Koreja

Francesco Niccolini, drammaturgo – Fabrizio Pugliese, attore – Fabrizio Saccomanno, attore

Ore 18.30 – Cinelab “G. Bertolucci”
Visione di Blade runner, Ridley Scott (1989)

introduce Mario Bochicchio (Università del Salento)
16 maggio

ore 10.00 – Padiglione Chirico (Olivetani)

Drammatizzazioni del romanzo di Mary Shelley: il  ‘Frankenstein’ del Living Theatre

Anna Maria Monteverdi (Università degli Studi di Milano)

Ore 18.30 – Cinelab “G. Bertolucci”

Visione di Die Puppe, Ernst Lubitsch (1919)

introduce Valter Leonardo Puccetti (Università del Salento)

23 maggio

Ore 18.30 – Cinelab “G. Bertolucci”

Dal Golem a Frankenstein

Fabrizio Lelli (Università del Salento)
a seguire visione de Il Golem: come venne al mondo, Carl Boese – Paul Wegener (1920)

25 maggio

ore 10.00 – Padiglione Chirico (Olivetani)

Manichini e marionette nel teatro tedesco del primo Novecento

Cristina Grazioli (Università di Padova)
30 maggio

Ore 18.30 – Cinelab “G. Bertolucci”

Paradigma del perturbante: l’uomo finto e la distopia della città moderna

Fabio Ciracì (Università del Salento) e Luca Bandirali (Università del Salento)

introducono alla visione di Metropolis  con sonorizzazione dal vivo

 

Tomi Janezic al Napoli Teatro Festival 2017 con un workshop gratuito per attori.
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PRINCIPLES IN ACTING

Laboratorio a cura di Tomi Janežič

Il laboratorio è a titolo gratuito e sarà svolto in lingua italiana.

Teatro Sannazaro
Dal 19 al 25 giugno

Il workshop tenuto da Tomi Janežič, una delle voci più interessanti della nuova generazione di artisti dei Balcani, si basa sulla tecnica dello psicodramma quale piattaforma per le diverse tecniche creative dell’attore (e i diversi princìpi sui quali si basano). I partecipanti selezionati potranno esplorare le proprie specificità e potenzialità nei/dei processi creativi. Dall’altra parte il workshop esplora l’applicazione di tecniche psico-drammatiche al lavoro sul testo e sul personaggio teatrale.
Si porrà l’accento sull’uso dello psicodramma quale strumento per superare le barriere personali e relazionali, e le resistenze che si possono presentare quando ci confrontiamo con compiti creativi e quando esploriamo i princìpi basilari della recitazione in diversi sistemi recitativi che sono percepiti come opposti; il focus si basa su esempi tratti dal metodo di Strasberg e di Cechov, introducendo l’applicazione delle tecniche dello psicodramma al processo creativo della recitazione (uso creativo della teoria del ruolo, analisi attiva e creativa per esplorare la vita di un personaggio, le sue relazioni, le situazioni gli eventi, le circostanze date).

https://www.napoliteatrofestival.it/avvisi/avvisi-per-artisti/

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/La-Repubblica-teatrale-di-Tomi-Janezic-175684

Tomi Janezic e Anna Monteverdi a Lubjana settembre 2016. Accademia AGRFT

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