GIORGIO BARBERIO CORSETTI, la scena video teatrale italiana
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Un percorso di ricerca

L’itinerario artistico di Giorgio Barberio Corsetti si presenta ricco di esperienze, di luoghi e di incontri, ma è allo stesso tempo caratterizzato da un’estrema coerenza, perché, come afferma Oliviero Ponte di Pino, la sua cifra è “l’equilibrio tra la fedeltà ad alcune tematiche e modalità espressive e la loro continua evoluzione attraverso successive contaminazioni e innesti”.[1] È quindi molto interessante ripercorrere alcune tappe del suo percorso, per comprendere meglio le sue scelte attuali e per interrogarsi sulle specificità della sua pratica teatrale.

Corsetti si avvicina al teatro all’università, e in seguito sceglie di intraprendere la strada della regia attraverso il canale istituzionale dell’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, dove è allievo di Luca Ronconi. Terminato il corso di studi nel 1975, intraprende una ricerca personale che si distacca nettamente dall’ambiente del teatro di prosa e si rivolge alla scena alternativa romana, all’epoca un laboratorio effervescente di sperimentazione nutrito da personalità di eccezione come Carmelo Bene, Mario Ricci, Memé Perlini, Giancarlo Nanni, solo per citare qualche nome.[2] Con Alessandra Vanzi e Marco Solari fonda il gruppo la Gaia Scienza, che presenta le sue creazioni nel circuito delle “cantine” e si impone, insieme al Carrozzone di Federico Tiezzi, al Beat 72 di Simone Carella e a Falso Movimento di Mario Martone, come uno dei principali esponenti della Post-avanguardia prima  e della Nuova Spettacolarità poi.

Il lavoro collettivo della Gaia Scienza, i cui tre membri sono contemporaneamente performer, registi e autori, si fonda sul rifiuto del teatro tradizionale, sulla decostruzione dell’evento teatrale e sulla sua ricomposizione in elementi primari, secondo una poetica del frammento, dello squilibrio e della contaminazione con altre forme artistiche. La Gaia Scienza costruisce spazi obliqui, ritagliati con la luce, dove i corpi sfidano le leggi naturali fra corse sfrenate e momenti di sottile lirismo. Testi letterari e poetici vengono utilizzati come pretesti per creare degli eventi performativi, ispirati alle tecniche di improvvisazione del jazz e alle soluzioni espressive della new dance americana.[3]

Negli anni Ottanta i linguaggi dei mezzi di comunicazione di massa suscitano un vivo interesse negli artisti teatrali, che realizzano video ispirati agli spettacoli e ad introdurre gli schermi televisivi sulla scena. Anche Corsetti produce alcuni clip, e inizia a collaborare con Studio Azzurro per diverse videoinstallazioni. Dopo lo scioglimento della Gaia Scienza, Corsetti fonda una compagnia che porta il suo nome e insieme a Studio Azzurro crea tre spettacoli (Prologo a diario segreto contraffatto,Correva come un lungo segno bianco e La camera astratta) di grande bellezza e portata innovativa, fondati sull’ibridazione di teatro e video, e sul dispositivo della doppia scena. Dietro a un palco invaso di monitor è infatti collocato un set nascosto, da cui vengono riprese in diretta alcune delle immagini trasmesse sugli schermi. Per gli attori, il passaggio da uno spazio all’altro coincide con un cambiamento di stato, da corpi materiali a corpi elettronici.

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Esaurite le possibilità del campo di ricerca specifico del rapporto tra teatro e video, nel 1988 Corsetti compie un passo molto importante e affronta per la prima volta l’opera di Franz Kafka, di cui mette in scena tre racconti nello spettacolo Descrizione di una battaglia. L’elemento testuale e quello narrativo entrano a far parte della creazione teatrale, attraverso una scrittura – quella kafkiana – che è però, secondo la definizione di Walter Benjamin, un “codice di gesti”. Per questa caratteristica, ma anche per il senso dell’ironia e il grottesco, affini alla sensibilità di Corsetti, Kafka è per il regista romano un territorio di ricerca nel quale ritorna più volte, mettendo in scena i tre romanzi e diverse opere brevi. In seguito Corsetti mette in scena, se pure raramente, anche alcuni testi drammatici, e si avvicina all’opera musicale, che costituisce una nuova direzione di sperimentazione, nella sua affascinante compresenza di parole, azione, musica e immagini. Dal 2000, quando crea, in occasione del Giubileo, Graal, spettacolo ispirato a Chrétien de Troyes e Wolfram Von Esenbach, Corsetti si interessa ai grandi poemi epici della tradizione occidentale, dalle Metamorfosi di Ovidio alleArgonautiche di Apollonio Rodio. In queste ultime creazione, l’elaborazione di una nuova drammaturgia si accompagna all’introduzione delle arti circensi: il linguaggio estremamente ricco e raffinato del regista romano, composto di acrobazie attoriali,  di musiche e immagini video, invita lo spettatore ad un percorso contemporaneo attraverso i miti fondatori della nostra civiltà.

 Il paradosso della regia: tra individuale e collettivo, continuità e mutazione

Nella scrittura dei suoi spettacoli, Corsetti interviene sulla quasi totalità degli elementi scenici: dirige gli attori – ed è stato attore lui stesso – , è scenografo e si occupa anche dall’adattamento dei testi e della rielaborazione drammaturgica. Nonostante si consideri un autore e si inserisca quindi nella tradizione mejercholdiana della regia novecentesca, ha mantenuto, come ai tempi della Gaia Scienza, il piacere della collaborazione, il rispetto e la curiosità per l’opera di altri artisti. La capacità di “ascolto” è per Corsetti la caratteristica più propria del teatro e deve investire i rapporti fra tutte le differenti figure che partecipano alla realizzazione dello spettacolo, dal regista agli attori, dagli spettatori ai tecnici.

La sua compagnia, Fattore K., è formata da attori con i quali lavora da diverso tempo – ad esempio, Federica Santoro ha cominciato il suo percorso insieme a Corsetti nel 1988, in Descrizione di una battaglia, Milena Costanzo e Filippo Timi dai primi anni Novanta – che quindi si sono formati insieme a lui e hanno le caratteristiche necessarie per realizzare la sua idea di teatro. Intorno al regista e agli attori si è venuta a formare negli anni, attraverso gli incontri che si sono via via verificati, un’ampia costellazione di collaboratori: nel gruppo di lavoro de Gli Argonauti troviamo Mariano Lucci, responsabile dell’ideazione scenografica, che si occupa della realizzazione tecnica delle scene da Descrizione di una battaglia, Gianfranco Tedeschi, che si avvicina all’orbita di Corsetti prima come strumentista, poi come compositore delle musiche degli spettacoli, e Raquel Silva, da qualche anno assistente alla regia e dramaturg. Insieme a Cristian Taraborrelli, scenografo e costumista, Fabio Massimo Iaquone, videoartista,  Pier Giorgio Foti, tecnico luci, contribuiscono in maniera determinante a definire l’universo estetico che caratterizza gli spettacoli di Corsetti.

La costellazione non è chiusa su se stessa, ma si configura piuttosto come un sistema aperto e in movimento, che può continuamente acquisire o perdere degli elementi. Corsetti, infatti, ama incontrare nuove personalità, e assumere uno sguardo straniato rispetto alla propria opera. Lavorare all’estero, con attori e tecnici stranieri, con diverse condizioni produttive, costituisce per il regista romano un’ottima occasione per ripensare il proprio modo di fare teatro. A partire dagli anni Novanta lavora quindi molto frequentemente fuori dall’Italia, particolarmente in Portogallo e Francia, dove ha avviato collaborazioni stabili con Stéphane Braunschweig al Théâtre National de Strasbourg e con Les Colporteurs, la compagnia di nouveau cinque che ha partecipato alla creazione de Le metamorfosi.

Ogni nuovo incontro, prima umano che artistico, produce nella ricerca di Corsetti nuovi interrogativi e le offre nuovi strumenti, che si inseriscono senza provocare fratture nella continuità del suo percorso. Lo  spettacolo diventa quindi il risultato dell’alchimia di lavoro e della complicità fra queste differenti personalità, sulle quali il regista esercita una tensione unificante, in un equilibrio che ben rappresenta uno dei paradossi cruciali della regia contemporanea.

Corpo, spazio, immagine

La scena di Corsetti è contemporaneamente un luogo concreto di corpi, oggetti  e materiali, ed un flusso di energia fluido, leggero, impalpabile come un immagine elettronica in continua trasformazione.

Seguendo l’insegnamento del Living Theatre e di Grotowski, Corsetti  considera l’attore un atleta affettivo, che utilizza l’intero corpo come mezzo espressivo con vitalità ed energia. Le corse, i balzi, le arrampicate e la gestualità antinaturalistica caratterizzano la totalità delle sue creazioni, come la ricerca continua di un’interazione dinamica fra il corpo e lo spazio, sia che egli lavori in teatri all’italiana, sia che occupi al contrario luoghi non tradizionali o extra-teatrali.

Per Corsetti lo spazio è un elemento fondamentale della scrittura scenica: come ha più volte affermato, esso non illustra o suggerisce semplicemente l’ambientazione dell’azione, ma racconta una storia autonoma rispetto a quella raccontata dagli attori, con la quale entra quindi in un rapporto poetico. Nel suo lavoro di scenografo, egli ama studiare ed inventare insieme agli attori e ai tecnici delle macchine teatrali – vere e proprie “machines à jouer”- di memoria costruttivista: ecco allora la parete bianca dentro alla quale viene scavata la tana dei personaggi in Descrizione di una battaglia, le pareti mobili de Il legno dei violini sulle quali gli attori scivolano, cadono, si scontrano, e i dispositivi mobili e le passerelle che costituiscono il labirinto in cui si svolge l’assurda e tragica vicenda di Josef K ne Il processo.

 L’utilizzazione del video in scena è inizialmente riconducibile alla ricerca di un corpo e di uno spazio extra-naturali ed è strettamente legata alla storia della tecnologia. Negli anni Ottanta, il mezzo dominante di diffusione dell’immagine elettronica è il monitor, ingombrante e tendenzialmente di forma cubica, che si presta quindi ad una ricerca in cui l’oggetto e lo spazio virtuale in esso racchiuso entrino in relazione con il corpo dell’attore. Nei tre spettacoli realizzati con Studio Azzurro i doppi elettronici sono imprigionati nei monitor, strisciano al loro interno, in un gioco di illusioni che dà una terza dimensione alla superficie luminosa dello schermo. L’attore di Corsetti, abituato a forzare i limiti fisici del suo corpo e dello spazio circostante, si adatta perfettamente a questo gioco fra spazio reale e spazio virtuale.

 Il recente approdo all’arte circense si inserisce coerentemente in questa ricerca, anche se fornisce ad essa una diversa risposta: cavi, sospensioni, trapezi, che da Le metamorfosi fanno parte del linguaggio dell’attore di Corsetti, ne esaltano la duttilità e la capacità di sovvertire le leggi fisiche che regolano invece l’ “aldiquà” della scena, la realtà.

Servendosi delle interazioni dei corpi con lo spazio, Corsetti, profondamente influenzato dal cinema e dalla Roma barocca reinterpretata alla luce della lettura di Walter Benjamin, compone immagini che a tratti annullano la profondità della scena e la trasformano in uno schermo bidimensionale, con risultati che a tratti ricordano Robert Wilson e il teatro-immagine americano. Come ha sottolineato lo studioso francese Didier Plassard « […] l’incarnazione teatrale assume in tal modo la forma di un campo di tensione fra il materiale e l’immateriale, fra l’ombra e la luce, fra il vicino e il lontano, il pieno e il vuoto, il distinto e l’indistinto »[4].  Corsetti gioca con quelli che Béatrice Picon-Vallin definisce i « registri di presenza » [5] della scena e realizza un’alternanza di illusione e svelamento, in una trasformazione continua dello spazio e degli attori.

I principali processi di metamorfosi dello spazio teatrale in tela o schermo sono l’inquadratura del corpo, tramite l’uso di scenografie praticabili che costringono l’attore e ne rendono visibili al pubblico solo alcune parti, e l’utilizzazione di ombre e di riflessi, che costituiscono i doppi naturali dei personaggi. In Descrizione di una battaglia le sagome scure degli attori si stagliano su una parete bianca, e ne rompono la superficie dall’interno fino a disegnare una sorta di quadro astratto.

 Ombre e controluce punteggiano tutti gli spettacoli, come è possibile osservare nell’esempio seguente tratto da Il festin de pierre, in cui gli attori, significativamente posti su un dispositivo a forma di ruota, si stagliano contro il fondo luminoso colorato, quasi perdendo la loro trimensionalità e  trasformandosi in ombre.

 Infine, l’elemento naturale dell’acqua, interviene spesso sulle scene di Corsetti, e crea suggestivi giochi di riflessi : la critica Maria Grazia Gregori racconta che in America la sequenza del Teatro di Oklahoma si svolgeva davanti a due enormi pozzanghere, illuminate da una luce spettrale, mentre in Graal, una pozza d’acqua raddoppiava il Re Pescatore in una scena di grande suggestione. Ne Le metamorfosi, l’acqua, sostanza primaria legata alle trasformazioni raccontate da Ovidio, assume un ruolo fondamentale, in particolare nel racconto di Narciso, che, immobile al centro del tendone da circo inondato, rimane rapito dalla contemplazione della sua immagine.

Come l’acqua genera una percezione visiva del reale mediatizzata che può nuocere, come nel caso di Narciso, o aiutare a conoscere, le immagini suscitate da Corsetti negli occhi dello spettatore, lo incantano, lo rapiscono e gli permettono di immaginare una realtà differente.


[1] PONTE DI PINO O., La leggerezza dell’orrore. Le Metamorfosi di Giorgio Barberio Corsetti alla Biennale di Venezia, inwww.ateatro.it, n° 42, 2002

[2] Per inquadrare il periodo delle “cantine romane” vedi DE MARINIS M., Il nuovo teatro, Milano, Bompiani, 1987 e SINISI S., Neoavanguardia e postavanguardia in Italia, in ALONGE R. – DAVICO BONINO G. (dir.), Storia del teatro moderno e contemporaneo, Volume Terzo, Torino, Einaudi, 2001, pp. 703- 736

[3]  Sul lavoro della Gaia Scienza e di Corsetti fino alla seconda metà degli anni Ottanta, vedi le interviste a Corsetti e a Alessandra Vanzi e Marco Solari in PONTE DI PINO O., Il nuovo teatro italiano 1975-1988. La ricerca dei gruppi: materiali e documenti, Firenze, La casa Usher, 1988, disponibile in rete all’indirizzo http://www.trax.it/olivieropdp/materiali.htm

[4] PLASSARD D., Dioptrique des corps dans l’espace électronique, in PICON-VALLIN B. (dir.),Les écrans sur la scène, Paris, L’Age d’Homme, 1998, p. 163 ; Plassard spiega quetsa tendenza mettendola in relazione da un lato con la nozione frammentata del personaggio e la predilezione per le figure del doppio, dall’altro con le ricerche sulla presenza umana sul palcoscenico sviluppate dalle avanguardie storiche.

[5] L’espressione è tratta dal volume PICON-VALLIN B. (dir.), Les écrans sur la scène, Paris, L’Age d’Homme, 1998 e in particolare dall’introduzione, PICON-VALLIN B., Hybridation spatiale, registres de présence, pp. 9-35

[6] PONTE DI PINO O., La leggerezza dell’orrore. Le Metamorfosi di Giorgio Barberio Corsetti alla Biennale di Venezia, in www.ateatro.it, n° 42, 2002

[7] Vedi BAIONI G., Kafka. Romanzo e parabola, Milano, Feltrinelli, 1962

(ERICA MAGRIS)

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