Intervista a Anna Monteverdi a cura di Armando Adolgiso
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Su Cosmotaxi, rivista interstellare del regista e scrittore, nonché raffinato conoscitore di Arte e Teatro Armando Adolgiso la mia intervista! Che leggete nell’originale qua:

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Studiosa da anni di digital performance e videoteatro, la ritengo, e non sono il solo, la più acuta osservatrice della nuova scena tecnologica che abbiamo in Italia. Autrice di opere quali l’imperdibile Nuovi media, nuovo teatro  imperdibile sia per gli addetti ai lavori – anche se di diversa tendenza espressiva – sia per quanti sono interessati all’influenza delle nuove tecnologie nella nostra vita quotidiana di lavoro e tempo libero. Questo perché il volume illustra, e interpreta, origini, percorsi e approdi dell’intercodice quando s’invera alla ribalta e, più spesso, anche in luoghi non elettivamente scenici, e da quelle indicazioni discendono importanti considerazioni sui nuovi modelli di comunicazione.
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 Benvenuta a bordo, Anna, così come più rapidamente gli amici ti chiamano…

Bentrovato Armando!

A.A.La stellata Michelin e stellare chef Cristina Bowerman che illumina l’Hostaria Glass di Roma, mi ha consigliato di sorseggiare durante la nostra conversazione una bottiglia di Barolo Percristina di Domenico Clerico… cin cin!
Ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Anna secondo Anna…

AMM: Io mi definirei una teatro-compulsiva e una maniaca delle tecnologie, una brava studiosa che ha visto la luce il giorno che ha incontrato il tecnoregista Robert Lepage in Quebéc e che da quel momento nel 2000, non si è persa un suo spettacolo e arriva a prenotare con 6 mesi di anticipo ogni suo debutto da New York a Madrid a Nantes (dove andrò a febbraio). Mi dicono che i miei libri su teatro e multimedia sono diffusi nell’ambiente tecnologico e teatrale e in quello universitario e ne sono felice ma alla fine noi studiosi di materie così ai margini siamo, in fondo, degli sconosciuti noti solo in universi paralleli raggiungibili soltanto con l’Enterprise! E non abbiamo la percezione di quanto riusciamo a incidere nel cambiamento culturale di questo paese; mio figlio Tommaso mi dice di aggiungere che non so usare l’iphone 6 che mi hanno regalato a Natale. E questo chiude il quadro

A.A. Qual è lo scenario filosofico-estetico al quale fa riferimento il tecnoteatro?

A.M.M: Negli anni Novanta l’argomento-chiave quello che aveva portato agli innesti spettacolari di Stelarc o alla corporeità tecnologica di Marcel.lì Antunez Roca come tu sai, era il “post human”, con gli studi di Donna Haraway (“Il manifesto del cyborg”); quel “connubio impuro” tra uomo e macchina fu elaborato e diffuso dallo studioso di cyber culture Antonio Caronia. Per me hanno avuto particolare influenza gli studi sui media di Negroponte (“Essere digitali”, 1999), Manovich, Maldonando, Pierre Lévy, Derrick De Kerckhove e i pensieri di Paolo Rosa fondatore di Studio Azzurro. Gli strumenti digitali in scena, ricordava Paolo, devono essere considerati alla stregua di un linguaggio artistico da plasmare e adattare drammaturgicamente alle esigenze della scena. Altri riferimenti vanno dalla “Teoria estetica” di Adorno all’ermeneutica di Gadamer. Ma ho una passione speciale per Rosalind Krauss e la sua teoria della “reinvenzione linguistica del medium” in arte.

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A.A. Tue parole: “La corporeità del teatro e l’immaterialità del virtuale”.
Esiste una possibilità di legame oppure è negata?

A.M.M.Certamente il teatro è il luogo del corpo, dello spazio, dell’incontro grotowskiano tra attore e spettatore qui e ora ma attualmente questo “qui e ora” si è trasformato con i media digitali e con la rete, in una dimensione di “là e altrove”, allargando i confini del teatro in uno spazio-tempo così ben descritto da Manuel Castells ne “La nascita della società in rete”, cioè uno spazio di flussi, di reti funzionali che sostituiscono lo spazio dei luoghi e ci immergono in una simultaneità interconnessa. Progetti di teatro via web, sistemi di animazione 3D e videomapping per le scenografie, visori come Oculus, definiscono oggi una “cultura della virtualità reale” per citare ancora Castells, ovvero una realtà (il teatro) immersa in un ambiente (virtuale) di immagini. Il teatro, idealmente il luogo dove si raccoglie la comunità, può però, usare questi strumenti per creare una “augmented sociality” e non solo una “augmented reality”…”.

A.A. Fra i meriti del nuovo teatro, c’è la creazione di un intercodice fra varie espressività, attirando nella propria area linguaggi che vanno dalla letteratura al fumetto, dalle arti visive alla tv, dalla danza ai videogiochi… è fruttuoso oppure no cercare un territorio da dove sono arrivati i contributi maggiori per numero e peso? O è necessario pensare diversamente?

A.M.M. Direi che dobbiamo resettare tutto. L’ambiente tecnologico di oggi non ha derivazioni dal passato analogico. Questa unione di digitale che è un codice che gestisce testo, immagine suono, con la scena che è un mix di corpo, scena, parola, immagine fa capire che ragionare in senso di specificità del linguaggio per il teatro tecnologico non ha alcun senso. La contemporaneità artistica è fatta di innesti paradossali e di produzioni miste, di progetti che vagano nel web e nelle gallerie d’arte. In questa generalizzata computerizzazione della cultura (vedi Manovich) si produce una fenomenologia artistica aperta, mimetica e mutante: il Nuovo teatro digitale, affrancato dai vincoli e dalle convenzioni del singolo mezzo, si nutre indistintamente di elementi dai videoclip, dalle installazioni interattive, dai vjin, e persino dai videogame art. E’ l’intertestualità la logica prevalente delle nuove produzioni mediali ed è la natura del digitale a determinare le mescolanze più impensabili. Ne parlo in questo saggio.

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A.A. Che cosa cambia per l’attore agire in una scena tecnologica invece che nel teatro tradizionale?

A.M.M.Robert Lepage dice che un attore tecnologico deve avere consapevolezza di sé e della propria “ombra”, ovvero di ciò che il suo gesto produce in termine di immagine. Un attore non può rimettere la questione della tecnologia a un professionista che sta in una consolle: le coreografie dovranno essere consapevolmente “orientate” alla macchina, e l’espressività dovrà nascere da questa combinazione tecnocreativa. Quanto al rapporto tra tecnico e artista, mi piace ricordare la frase di Giorgio Barberio Corsetti autore di alcuni degli esempi faro del videoteatro italiano: “Amo la tecnologia se dialoga col corpo dell’attore”: per fare questo il tecnico deve avere una “sensibilità artistica” e il regista deve poter avere quel minimo di competenza da potersi immaginare soluzioni tecnologiche in grado di diventare attivatrici di azioni drammatiche.

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A.A. Videomapping. La più recente tecnica di visionarietà tecno visuale. Te ne sei già occupata sul tuo sito web, e ne hai accennato poco fa.Puoi descriverne qui, in sintesi, la sua essenza tecnica…

A.M.M. Si tratta di proiezioni architetturali che replicano digitalmente e modificano gli elementi della facciata di un palazzo e conferiscono una “maschera virtuale” all’intera superficie, offrendo un’illusione ottica con animazioni 3D di grande effetto: portali, finestre e altri oggetti architetturali che esplodono, crollano o ospitano attori virtuali. Nata come forma pubblicitaria – una sorta di insegna digitale – è stata presa in prestito dagli artisti e piegata a modalità narrative innovative e oggi siamo arrivati a una perfetta maturità del genere con i lavori di Urbanscreen, Nuformer, AntiVj, gli italiani Apparati effimeri, i croati Visualia, gli spagnoli Koniclab. Ci sono Festival dedicati al videomapping, ed esiste persino un progetto europeo IAM project per il quale collaboro, che ha un focus sull’utilizzo del videomapping per promuovere turismo e arte; e il teatro oggi lo usa per creare scenografie al limite del virtuosismo virtuale!

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A.A. puoi fare qualche esempio di artista che mette a frutto questa tecnica?

A.M.M. Klaus Obermaier che ha reso il videomapping sia teatrale sia interattivo con un esempio da lasciare a bocca aperta, (vedi Dancing house) ma anche il gruppo 1024 Architecture. Poi il giovane Marko Bolkovic che ha ideato per il Festival di Girona un mapping straordinario dal titolo Transiency. Se qualcuno vuole conoscere tematiche e snodi critici sul videomapping rimando oltre che al mio sito, al lavoro editoriale di prossima uscita a firma di Simone Arcagni, giornalista e studioso di new media e post cinema. Si tratta della prima antologia italiana sul tema. Ultimamente mi occupo non solo di videomapping però ma anche di promuovere un progetto di teatro tecnomusicale Diffraction. In paradise artists can flydel musicista Gabriele Marangoni con testo del drammaturgo kosovaro Jeton Neziraj. Marangoni ha composto un poeticissimo e straneante paesaggio sonoro che sfrutta tutte le sue potenzialità di racconto non lineare e non convenzionale del teatro postdrammatico per tradurre in suoni, gesti e azioni tecnologicamente mediati, le tensioni e le inquietudini metropolitane

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A.A.Qual è il principale contributo che i nuovi media hanno dato al nuovo teatro?

A.M.M. L’artista lavora coi media per dar loro un senso diverso dalla finalità tecnica per cui sono state progettati e la tecnica non può prescindere da una poetica. Studio Azzurro, Robert Lepage, Dumb Type, Giardini Pensili hanno sottolineato in modalità diverse, le potenzialità espressive e drammaturgiche dei dispositivi computerizzati: una macchina “emancipata” dalla sua funzione pratica e perfettamente integrata con l’intero apparato spettacolare che è capace di reinventare nuove forme e un nuovo vocabolario narrativo

A.A.Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans… insomma, che cosa vuol dire per te “teatro di ricerca” oggi?

A.M.M.Sperimentare zone nascoste. Che esistono anche nella tecnologia, nonostante questa appartenga ormai al nostro quotidiano. L’artista di ricerca è colui che sa piegare la tecnica a svolgere funzioni per le quali non è stata progettata. Pensiamo alla piattaforma per videogiochi domestici Kinect usata per l’X-box. Oggi è di fatto lo strumento di motion capture più economico e flessibile che un coreografo digitale possa avere tra le mani per fare un lavoro di interaction design. Non più tute con cavi e sensori invadenti per l’interprete, solo una telecamerina che cattura i punti fondamentali del corpo e con quelle informazioni, trattate da un software, puoi gestire un sistema audio-video interattivo complesso. E’ un videogioco, ma nelle mani di un artista, può diventare molto altro. Condivido l’espressione di Rosalind Krauss studiosa di estetica che afferma che artista è colui che “reinventa il medium”, ovvero elabora su di esso una nuova grammatica e una nuova sintassi, dunque lo rende a tutti gli effetti un linguaggio.

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A.A. Non solo Orlan, Stelarc, Stelios Arcadiou, Yann Marussich, Marcel.Lì, ma anche gruppi usano il proprio corpo come esplorazione tecno-antropologica della fisicità. Come interpreti quest’interesse delle arti sceniche per una sorta di “neocorpo”?

A.M.M. Il loro lavoro (le operazioni chirurgiche in forma di performance di Orlan, gli innesti di Stelarc, le propaggini tecno corporee di Marcelì) ha sicuramente rappresentato una parte importante delle discussioni sull’ibridazione uomo-macchina, sul tema del cyborg negli anni Novanta. Forse oggi si potrebbe parlare di neocorpi trasferiti come Avatar nella rete. Ma l’impressione è che la sperimentazione attuale non sia più volta a creare un corpo che imiti la macchina ma piuttosto, che sia la macchina digitale ad aver acquisito una ‘sensibilità’ umana e le fattezze di un interprete. Guardiamo l’esempio di Cinématique di Adrien Mondot: la scena che si trasforma di continuo seguendo i danzatori, ridefinendo ogni istante i contorni video luminosi del palcoscenico. Qua la tecnologia è indubbiamente, il terzo attore: e non ci sono in giro ingombranti interfacce di comunicazione con il sistema. Solo uno spazio vuoto. Come voleva Peter Brook.

A.A,. Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei…che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…

A.M.M. Ho letto che l’attore che ha interpretato il capitano della nave stellare Enterprise, James Tiberius Kirk, ha ricevuto dalla Nasa la medaglia d’onore e nelle motivazioni si parla della “dedizione ad ispirare nuove generazioni di esploratori di tutto il mondo”. Diciamo che mi sento esattamente così, star trekkianamente un esploratore alla ricerca di universi nuovi o paralleli e sempre in orbita per viaggi intergalattici alla scoperta di forme non di vita ma di arte di incommensurabile e tecnologica bellezza. “Star Trek” prima e poi “Il neuromante” di William Gibson mi hanno proiettato dentro un sogno tecno-fantascientifico da cui non mi sono ancora svegliata. Vorrei assistere a uno spettacolo in cui un attore si palese in scena come nel ponte ologramma del film: non ci sarebbe più bisogno di immergersi con visori o sistemi multimonitor per ampliare il campo visivo dello spettatore teatrale: sarebbero direttamente gli oggetti e i personaggi a “fuoriuscire” dal loro mondo e ad affacciarsi direttamente nel nostro! Non sarebbe meraviglioso?

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A.A. Sì, credo proprio di sì… nel frattempo siamo quasi arrivati a Monteverdi-A, pianeta abitato da alieni che per Portale del Sapere usano la Monteverdipedia… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “Percristina” di Clerico consigliata dalla chef Cristina Bowerman del Glass di Roma… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
A.M.M. Cercherò di avvistare l’astronave con il mio binocolo da teatro e salirò al volo portando con me una bottiglia di Rakia albanese per festeggiare!
A.A. … bene… ti aspetto e intanto ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!