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VERSO UNA NUOVA SCRITTURA SCENICA. Dagli atti del convegno CREATION NUMERIQUE, LES NOUVELLES ECRITURES SCENIQUES 2003 | 2004
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Le théâtre dans la sphère du numérique.

 VERSO UNA NUOVA SCRITTURA SCENICA (Anna-Maria Monteverdi)

Il panorama del teatro di ricerca italiano che si è arricchito della presenza dei media in scena come è stato rilevato da più critici e storici del teatro e studiosi di nuovi media da Brunella Eruli a Anna Maria Sapienza a Andrea Balzola ha un grande debito nei confronti del Teatro-immagine degli anni Settanta (tra i protagonisti Carlo Quartucci, Memé Perlini, Mario Ricci, Leo De Berardinis) alla cui definizione contribuiscono alcune esperienze a metà tra il teatro e le arti visive ed eventi videoperformativi. Teorizzatore di questa tendenza è stato Giuseppe Bartolucci, uno dei critici militanti che ha portato contributi notevoli alla diffusione e alla promozione del teatro di ricerca italiano come organizzatore di alcune delle rassegne che hanno prodotti i “manifesti” e sancito i principi del Nuovo teatro. Questa prevalenza dell’immagine sulla parola sarà riconosciuta ufficialmente in Italia alla rassegna di Salerno Incontro/Nuove tendenze (1973). I differenti metodi di composizione e di espressione sperimentati, nel comune rifiuto del testo drammatico, propongono l’elaborazione di una scrittura scenica innovatrice che privilegiasse, come ricordava Bartolucci, i tre elementi di: spazio, immagine, movimento temi che ci riconduncono anche ai padri fondatori della regia, la cinetica scenica di Craig, lo spazio-immagine di Appia.

Il teatro della post-avanguardia (inaugurato ufficialmente dal convegno di Salerno del 1976) accentuerà ulteriormente le caratteristiche antinarrative e visive, visionarie e oniriche inaugurate dal teatro-immagine: ne sono protagonisti la Gaia scienza di Giorgio Barberio Corsetti e il Carrozzone (primo nucle dei Magazzini Criminali, oggi solo Magazzini) e in seguito Falso movimento di Mario Martone (1977 col nome di Nobili di Rosa), Krypton di Giancarlo Cauteruccio quest’ultimi insieme con il Tam teatromusica di Michele Sambin e Pierangela Allegro creeranno le premesse per il fenomeno del cosiddetto media-teatro o videoteatro ancora una volta inaugurato con una rassegna a Roma dal titolo Nuova Spettacolarità nel 1981.

chromakey

Il videoteatro è un termine che è andato genericamente a definire sia la produzione videografica di ispirazione teatrale legata a uno spettacolo -quella che Valentina Valentini definisce una videodrammaturgia residua– sia creazioni completamente autonome (videodocumentazioni, biografie videoartistiche, produzioni di teatro televisivo pensiamo alle sperimentazioni televisive di Ronconi, Carmelo Bene e Martone); ma videoteatro è sopratutto, performance tecnologiche o spettacoli teatrali che utilizzano l’elettronica in scena. In queste produzioni entra con chiara contaminazione l’esperienza contemporanea della metropoli, l’universo cinematografico, i fumetti, la musica rock, e le tecnologie elettroniche. In Martone l’uso di macchine elettroniche è senz’altro più limitato ma l’attenzione è volta all’assimilazione del linguaggio e dell’espressività tecnologica che va al di là degli strumenti usati. Corsetti protagonista assoluto di questa stagione videoteatrale introduce una struttura complessa di dialogo tra corpo e ambiente, luce e spazio, immagine video e presenza attoriale in tre spettacoli di cui ricordiamo La camera astratta. Camera astratta (1987) di Corsetti con Studio azzurro presentato a Dokumenta kassel e poi vincitore del premio Ubu massimo riconoscimento per il teatro di ricerca. Paolo Rosa parla di un percorso del gruppo video Studio azzurro verso il teatro, di una espansione in senso teatrale delle videoinstallazioni; teatro “latente presente in embrione come ambito in cui sconfinare”; in Camera astratta si mette in scena il “carattere bicefalo del video” come ricordava Philpe Dubois, “dispositivo e immagine-processo”: c’è una doppia scena, una materiale e una immateriale, una visibile e una invisibile, un set e un retroset dove gli attori vengono ripresi e la loro immagini riproposte in diretta nella parte frontale del palco. I monitor in scena che scorrono su binari o appesi in aria e in una complessa articolazione di movimenti, incorporano e scompongono il corpo dell’attore. Corsetti parla della presenza elettronica che “rafforza le potenzialità dell’azione teatrale”. La presenza del monitor agisce come elemento linguistico e drammaturgico nuovo in un contesto teatrale.

Giacomo Verde. www.verdegiac.org E’ videomaker, tecnoartista, mediattivista legato alla sperimentazione delle tecnologie povere con le quali mostra nelle installazioni e a teatro come la creatività non dipenda da un forte dispiegamento di mezzi. Le sue oper’azioni sono da sempre una critica al “consenso mediatico” e variazioni sul tema della necessità di un uso politico delle immagini e di una riappropriazione-socializzazione dei saperi tecnologici. A teatro l’accento è posto sul live, sulla performatività dei media per comprendere questa realtà tecnologicamente aumentata, come scrive in un suo bel testo: “Per un teatro tecno.logico vivente. Verde parla di una tecnonarrazione che rivitalizzi l’antica arte della narrazione orale con i nuovi strumenti comunicativi e che faccia sentire lo spettatore necessario alla rappresentazione; la tecnologia deve essere un mezzo che amplifica il contatto, il tempo reale e non una gabbia che detta regole e ritmi preregistrati e immutabili”. Verde è attore-narratore autore di videocreazioni teatrali, e di videofondali live e/o interattivi progettati per performance, reading poetici, concerti. Il teleracconto, ideato nel 1989 e inaugurato con Hansel e Gretel (H & G Tv), coniuga narrazione teatrale realizzata con piccoli oggetti e macroripresa in diretta. Una telecamera inquadra in macro alcuni oggetti collocati vicinissimo alla telecamera; questi, attraverso la riproduzione televisiva e soprattutto attraverso la trama del racconto orale associata alla disponibilità immaginativa del pubblico si trasfigurano fino a diventare quello che la storia ha necessità di raccontare.

Il perfomer è narratore che manipola oggetti e le immagini di questi oggetti ripresi in diretta, gioca sullo spiazzamento percettivo.Coi Teleracconti Verde ci mostra come è facile attraverso una telecamera “far credere che le cose sono diverse da quelle che sono”, in altre parole, che le immagini trasmesse dalla televisione non sono quelle della realtà ma quelle di chi vuole fissare per noi un punto di vista sul mondo. Si può considerare una continuazione o prolungamento del teleracconto OVMM acronimo da Ovidio metamorfoseon, dalle metamorfosi di Ovidio. L’attore Marco Sodini racconta con parole con azioni e coreografie i miti di trasformazione. Sullo sfondo, immagnini create in dretta da Verde. Verde presente e visibile in scena mette in atto un doppio dispositivo di ripresa, la webcam che riprende lo spazio con l’attore e la videoproiezioni, e la videocamera che riprende sullo schermo del computer le immagini della webcam sulle quali vengono sovrapposti piccoli oggetti, materiali e riflessi. Le immagini sono tutte in tempo reale e seguono il ritmo della scena, si moltiplicano attraverso l’azione dell’attore. Anche la musica e i suoni rispondono al principio del live, suoni campionati che sono un tappeto sonoro continuo vengono trasformati in diretta con variazioni di intensità, sovrapposizioni ed echi della voce del protagonista. Nella primavera del 1998 Giacomo Verde e il drammaturgo e critico Andrea Balzola pongono per la prima volta mano ad un progetto di narrazione teatrale con uso di tecnologia interattiva ispirandosi, per la stesura dei testi, alla forma e al significato del Mandala, guida della meditazione e simbolo della trasformazione spirituale dell’individuo. E’ Storie mandaliche di Giacomo Verde e Zonegemma. La scelta della tecnologia va inizialmente al sistema Mandala System per Amiga, e contestualmente si pongono le premesse per la scelta dell’iconografia e il primo abbozzo di un testo che viene concepito con caratteristiche ipertestuali, ovvero connessioni, incastri, corrispondenze tra i personaggi e i luoghi. Balzola li definisce “iperracconti”. Sono sette storie di trasformazioni nei diversi regni: umano, minerale, vegetale, animale e divino, ovvero sette storie di personaggi “linkate” tra loro a formare una rete e un labirinto: il bambino-uomo, il mandorlo, la principessa nera, il corvo, il cane bianco, la pietra del parco, l’ermafrodita. Ogni storia e ogni personaggio è associato a un colore, ad un elemento e ad un punto cardinale. La struttura del mandala è concentrica: ha quattro porte che corrispondono ai punti cardinali. Le storie portano sempre al centro: il mandala è la determinazione di un percorso che conduce all’illuminazione attraverso un rito di orientamento. Nel Mandala System è possibile fondere insieme sfondi, ambienti bidimensionali con oggetti tridimensionali attraverso la videocamera: la videocamera riprende in diretta il corpo o la mano del narratore che viene digitalizzata in tempo reale e la sagoma della figura ripresa, appare sovrapposta alle immagini e agli oggetti generati, invece, dal computer. Lo spettacolo ha attraversato diverse fasi ed è appena terminata una sua ulteriore metamorfosi con le animazioni in flash MX (programma per animazioni audiovisive 2 d usato in Internet) delle immagini che sostituiscono il Mandala system per un’ipotesi anche di futura fruizione Web. Il cyber contastorie (la definizione è di Giacomo Verde, che ci tiene a definire il narratore sulla base dell’immagine del tradizionale raccontastorie) anziché la tela disegnata, ha davanti a lui immagini in videoproiezione che lui stesso può trasformare seguendo il ritmo in tempo reale del suo racconto.

Motus. www.motusonline.it

Motus è uno dei gruppi di punta della cosiddetta generazione Novanta, o terza ondata, fenomeno esploso agli inizi degli anni Novanta che ha come epicentro la Romagna; è lì che si crea un terreno favorevole e le premesse per una nuova ricerca teatrale da parte di giovanissimi romagnoli grazie anche alla presenza del Teatro delle Albe e della Socìetas Raffaello Sanzio; gruppi che, date le caratteristiche simili, formali e contenutistiche, vengono accorpati insieme dalla critica a farne una etichetta un movimento, che contraddistingueva una nuova tendenza del teatro. I nuovi gruppi teatrali dopo essere stati per lungo tempo invisibili (questo era anche il nome di una rassegna che li proponeva a San Benedetto del Tronto) nati e cresciuti nella semiclandestinità, nelle pieghe e nell’ombra della cultura ufficiale, in spazi underground, in circuiti alternativi, extrateatrali decentrati in Romagna in centri sociali o spazi occupati (Link a Bologna, Interzona Verona) ottengono una loro visibilità di pubblico grazie al Festival Crisalide, Opera prima di Rovigo e Teatri 90: Motus, Fanny e Alexander, Teatrino clandestino, Masque teatro Teatro degli Artefatti Nuovo complesso camerata. Teatro dai forti connotati visivi, legato a un vero culto dell’immagine caratterizzato anche dall’eccesso di visione, una visione mediatizzata, televisione, video, cinema (Cronenberg), pittura e fotografia (da Warhol a Muybridge), pubblicità e che scopre ispirazione e tematiche e spazi di rappresentazione dall’ambito urbano metropolitano (dai metrò alle discoteche alle camere d’hotel); ossessiva indagine sulle tematiche del corpo (postorganico, cyber, corpo fagocitato nell’intero meccanismo tecnologico; corpo mostrato, violato, nei suoi aspetti estremi di violenza e di sesso); attenzione verso i meccanismi di visione del corpo stesso: esposto a obiettivi fotografici, e video, costretto dentro teche trasparenti. Il tema del teatro come sguardo, della ricerca di particolari dispositivi di visione è una delle costanti del giovane gruppo riminese fondato nel 1990 da Enrico Casagrande e Daniela Niccolo. Il loro teatro attraversa da sempre i territori più svariati della visione: cinema, video, architettura, fotografia. Sguardo catturato in scena da una fotocamera in Catrame tratto da Ballard e che guarda a Crash di Cronenberg; corpo dell’attore rinchiuso in teche di plexiglass e costretto in una struttura circolare in movimento in Orlando furioso, trasgressivo spettacolo che li ha imposti all’attenzione del pubblico. La caratteristica del loro teatro è che lo spettacolo nasce dapprima come installazione, come scultura scenica perché protagonista è il luogo come dispositivo scenico che si impone con le sue grandi proporzioni nello spazio dell’archittettura del teatro.

Twin Rooms , Motus
Twin Rooms , Motus

Motus : da Vacancy room a Twin rooms.

Twin room è costruito intorno ad una struttura “abitabile”. Una camera d’albergo: bagno e camera da letto contigui e comunicanti percorsi a vista dagli attori in coppia, a gruppi o singoli; quasi una sensazione di immobilità di azione in questa rigida delimitazione dello spazio, e di uscita dal tempo. E’ il luogo stesso a suggerire questa dimensione astratta: la camera d’albergo è un (non) luogo intimissimo e anonimo insieme La struttura è quadro che isola e insonorizza dal mondo. E’ anche la scatola ottica davanti alla quale poter esercitare, la propria (voc)azione voyeuristica (in quanto spettatori). Lo svolgimento dello spettacolo rivela molte affinità con il procedimento filmico. Il soggetto stesso è un vero e proprio topos a lungo esplorato e rivisitato dalla cinematografia e da un certo film di genere. Il progetto teatrale è terminato con la creazione di un ulteriore dispositivo di sguardi: una struttura modulare che raddoppia la stanza: una digital room che duplica i personaggi: le immagini proiettate provenienti da telecamere in mano agli attori e da microcamere fisse contribuiscono a dare l’impressione di assistere ad un “doppio film” .Le immagini preesistenti vengono mixate live con quelle girate in diretta. La regia teatrale diventa regia di montaggio. Twin room è ispirato a DeLillo (Rumore bianco) ha avuto una prima visione in forma installattiva al Museo Pecci di Prato; in scena un “contenitore” d’ambienti: camera d’albergo e bagno che si impone quale macchina dello sguardo e simbolo di una esasperata ricerca di uno spazio interiore; un luogo riempito di oggetti, parole, suoni e immagini evocati dal cinema e dalla letteratura.Il ruolo del video in Twin rooms: moltiplicatore di sguardi, introspettivo, narcisistico, mnesico. Video come una finestra sull’io. Per certi aspetti il video esaspera operazioni come The merchant of Venice di Peter Sellars. Un eccesso di visibilità e anche un incrudelimento e una morbosità dell’occhio della telecamera che si sofferma sui corpi. E questo è in De Lillo, interessato a quello che il consumo cannibalico delle immagini potrebbe dirci sull’inconscio collettivo politico e culturale. I personaggi di De Lillo parlano sullo sfondo di immagini televisive di morte e disastri, da Piazza Tienanmen, alla tragedia allo stadio di Hillsborough. In De Lillo i personaggi passeggiano tra i grandi magazzini e si vedono ripresi dalle telecamere, i loro volti andare in diretta in televisione. Le tecnologie negli spazi urbani ci coinvolgono , nelle strade, nelle banche, vediamo immagini di noi stessi ovunque. La sorveglianza non viene soltanto assunta da istituzioni pubbliche e ufficiali, sta assumendo caratteristiche individuali e familiari. Scrive in un romanzo De Lillo: “La gente agisce in terza persona, si trasforma via via nella propria succursale di spionaggio, nella propria compagnia televisiva, nella propria stazione televisiva. Filma le percosse della polizia, i maltrattamenti delle baby sitter ai bambini che custodiscono”. C’è una video vigilanza diffusa. La città viene a costituire un mosaico di microvisioni e microvisibilità. Il video in scena quindi integra il procedimento del romanzo: lo shock dell’immediatezza, il senso di alienazione e di perdita di identità nel flusso della rappresentazione del sé: “Una sera camminavano accanto a un grande mafazzino,andavano a zonzo. E Marina guardando verso un televisore in vetrina vide la cosa più sorprendente, una cosa talmente strana che dovette fermarsi a fissarla, afferrandosi saldamente a Lee. Era il mondo che andava dal di dentro verso il di fuori. Stavano a bocca aperta a fissare se stessi dallo schermo tv. Era in televisione!” (Don DeLillo).

Gospodin di Giorgio Barberio Corsetti: la tragi-comica lotta al capitalismo nel XXI secolo
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di Vincenzo Sansone

ROMA – In anteprima nazionale il Roma Europa Festival ha ospitato presso il Teatro Eliseo la nuova regia di Giorgio Barberio Corsetti, “Gospodin”. La drammaturgia è di Philipp Löhle, giovane autore tedesco, vincitore di diversi premi. In scena tre attori: Claudio Santamaria, che interpreta il ruolo di Gospodin, Valentina Picello e Marcello Prayer, che interpretano tutti gli altri personaggi del variegato e a tratti strambo e surreale mondo di Gospodin.

La vita e le vicende di Gospodin vogliono rappresentare quelle di ogni uomo, che quotidianamente lotta per lavoro, amore, amicizia, scontrandosi con un mondo dove a far da padrone è il denaro. Gospodin è un uomo instabile, sente di non appartenere alla società in cui vive e diversi accadimenti lo conducono a prenderne coscienza e a realizzare, senza una sua apparente volontà, i propositi della sua vita.

La parabola di Gospodin inizia con la sottrazione, da parte di Greenpeace, del suo inseparabile e adorato lama, con cui andava sempre a spasso. La perdita del lama è solo la prima delle privazioni cui è sottoposto. Nel corso della storia, infatti, la compagna e gli amici lo privano di tutti i beni che possiede, come il frigorifero, la televisione e il letto. La perdita dei beni materiali è accompagnata anche dalla perdita di affetti, in primis quello della compagna, che, non tollerando il suo modo di vivere “non borghese”, lo abbandona. L’unica cosa che riceve è una strana valigetta stracolma di soldi che tutti vorrebbero avere (i suoi affetti ritornano quando scoprono questa immensa fortuna), ma che Gospodin non vuole neanche aprire. Gospodin potrebbe dunque essere “felice” con quel denaro, ma la sua felicità è lontana dai soldi ed è basata, invece, su quattro presupposti: 1) Una partenza è da escludere, sarebbe troppo facile lasciare il proprio paese. 2) I soldi non devono essere necessari, quindi tuttalpiù si vive di baratti. 3) Ogni proprietà è da rifiutare, perché la nullatenenza è libertà 4) Libertà è non dover prendere decisioni. L’iniziale tragedia di Gospodin si tramuta in conclusione in una commedia. Infatti, raggiunge i quattro obiettivi senza far nulla. Messo in prigione per aver con sé quella valigetta stracolma di soldi, Gospodin trova qui la sua felicità: non ha lasciato il suo paese; non ha bisogno di soldi e lavora per ricevere un pasto caldo; non possiede nulla di sua proprietà; nessuno gli impone di decidere qualcosa.

santamaria

Il testo dunque vuole in qualche modo drammatizzare l’attuale situazione sociale in cui il capitalismo ci ha portati, tra crisi economica, lavori non pagati o sottopagati. Però più che criticare l’attuale capitalismo informazionale, descritto da Manuel Castells, in cui le merci sono diventate gli scambi di informazione, il testo è immerso nelle filosofie di fine Ottocento, in particolare nel materialismo marxista ortodosso, che rifiuta il capitalismo industriale, che si batte contro la borghesia, che è contrario alla proprietà privata. Gospodin inoltre sembra essere quell’uomo descritto dalla filosofia proto-esistenzialista di Kierkegaard nell’opera Aut-Aut. L’uomo kierkegaardiano è costretto  a prendere una decisione. Deve decidere come vivere la sua vita, invece di andare passivamente alla deriva trasportato dagli eventi. Quest’atteggiamento passivo, di non vera decisione, connota Gospodin, ma Kierkegaard avvisa che anche la non scelta, il non far nulla, è di per sé una scelta. Il nostro Gospodin, travolto passivamente dagli accadimenti, ha in realtà deciso di fare ciò. Il testo dunque è intriso di critica sociale, però utilizza degli schemi filosofici e una terminologia un po’ datati.

Dal sapore brechtiano, la messa in scena di Corsetti trascina lo spettatore dentro e fuori l’universo di Gospodin, accompagnato dai personaggi che uscendo dal loro ruolo si rivolgono direttamente alla platea, raccontando gli accadimenti della vita di Gospodin e i suoi pensieri, le sue ansie, i suoi desideri. La recitazione degli attori, a tratti naturale, a tratti esasperatamente e volutamente grottesca, tende a evidenziare le contraddizioni di questo mondo, diviso tra reale e surreale, tra quotidiano e paradossale.

Una scenografia digitale fa da contorno a questo strambo mondo. Dei pannelli movibili accolgono un video mapping 2D, con cui gli attori interloquiscono piuttosto che interagire. Infatti, in questo caso non si può parlare propriamente di interaction design, in quanto gli attori non sono legati tramite tecnologie digitali alle proiezioni e non le influenzano mediante le loro azioni. Le scenografie digitali aiutano piuttosto a delineare perfettamente le stramberie di questo universo, riproducendo, con schizzi e abbozzi, spazi interni e luoghi esterni che, più che reali, rappresentano la visione distorta che ne ha Gospodin.

Lo spettacolo, dopo il debutto a Romaeuropa, sarà in tournée a Pesaro (21/23 novembre), Torino (24/30 novembre), Cuneo (2 dicembre), Casal Monferrato (3/4 dicembre), Genova (5/7 dicembre), Macerata (18/19 dicembre), Ascoli Piceno (20/21 dicembre), Asti (20 gennaio), Milano (21/25 gennaio), Padova (5 febbraio), Verona (6 febbraio), Vicenza (7 febbraio).

Visto il 16 novembre 2014 al Teatro Eliseo in Roma, in occasione del Roma Europa Festival

regia Giorgio Barberio Corsetti
con Claudio Santamaria,Valentina Picello e Marcello Prayer

drammaturgia tratto da Gennant Gospodin di Philipp Löhle
traduzione Alessandra Griffoni a cura del Goethe-Institut
scene Giorgio Barberio Corsetti e Massimo Troncanetti
costumi Francesco Esposito
luci Gianluca Cappelletti
graphics Lorenzo Bruno e Alessandra Solimene
video Igor Renzetti
musiche Gianfranco Tedeschi e Stefano Cogolo
regista assistente Fabio Cherstich

una produzione Fattore K. / L’UOVO Teatro Stabile Di Innovazione
in collaborazione con Romaeuropa Festival