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Arvo Part, Bob WIlson: Adam’s Passion 2015
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https://www.youtube.com/watch?v=_fUEA8ANw54

ADAM’S PASSION, 2015

Music by Arvo Pärt Designed and directed by Robert Wilson

Music director and conductor Tõnu Kaljuste Associate set designer Serge von Arx Costumes Carlos Soto Lighting design AJ Weissbard Associate director Tilman Hecker Dramaturg Konrad Kuhn Technical director Mauro Farina

SI SEGNALA IL TESTO CRITICO DI ANALISI di ANGELA DI MASO inserito in: TEATRO E IMMAGINARI DIGITALI. SAGGI DI MEDIOLOGIA DELLO SPETTACOLO MULTIMEDIALE a cura di Alfonso Amendola e Vincenzo Del Gaudio (Gechi edizione 2018)

#liberiamogliarchivi Bob WIlson, Odissey
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IN questo momento di emergenza RaiPlay ha messo a disposizione diversi materiali senza bisogno di effettuare login. Noi abbiamo selezionato alcuni video teatrali di grande interesse e integrali:

ODYSSEY di BOB WILSON nella rilettura del maestro americano in collaborazione con il drammaturgo inglese Simon Armitage, reinterpretato da una compagnia di attori-cantanti greci. L’allestimento teatrale è frutto della coproduzione tra il Piccolo Teatro di Milano e il National Theatre of Greece di Atene.

https://www.raiplay.it/video/2018/05/Odyssey—Prima-parte-362cae4e-5e72-488f-a155-d14821eb585c.html

(PARTE 1)

https://www.raiplay.it/video/2018/05/Odyssey—Seconda-parte-d89faabc-a697-4373-b5d1-a803d75cc208.html

Parte 2)

#Liberiamogliarchivi Bob Wilson, The life and death of Marina Abramovic
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By Robert Wilson and Marina Abramović

Premiered on July 9, 2011 at the Manchester International Festival, The Lowry, Manchester, United Kingdom

Performed in English.

At the intersection of theater, opera and visual art, Robert Wilson’s reimagining of performance artist Marina Abramović’s extraordinary life and work begins with her difficult childhood in former Yugoslavia, and chronicles her journey to the present day. Abramović, who plays herself as well as her imposing mother, is joined by world-renowned actor Willem Dafoe and singer Antony, performing original music and songs created for this ‘quasi opera.’

Premiered at the Manchester International Festival in 2011, The Life and Death of Marina Abramovićplayed to sold-out audiences and rave reviews in Madrid, Basel, Antwerp, Amsterdam, Toronto and New York. For New York’s Park Avenue Armory, Robert Wilson created a new staging that used the full sweep of the Wade Thompson Drill Hall.

https://youtu.be/tVq5hoh17Ew
https://youtu.be/2glrnA4i_qU
https://youtu.be/tSd2SALTJPY

In onda su Rai 5 il 16 luglio l’ODISSEA di WILSON
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Un grande poema epico, nella rilettura del maestro americano Bob Wilson e del drammaturgo inglese Simon Armitage, reinterpretato da una compagnia di attori greci. Sono gli elementi che compongono “Odyssey”, l’allestimento teatrale frutto della coproduzione tra il Piccolo Teatro di Milano e del National Theatre of Greece di Atene, che Rai Cultura propone in tre prime serate. Lo spettacolo è in greco moderno, nella versione tratta dal testo di Armitage per la regia di Wilson.
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Wilson stabilisce originali collegamenti tra l’antico e il moderno, dando una nuova lettura al tema eterno della lotta della specie umana per sopravvivere e migliorare la propria condizione in un mondo che, oggi totalmente esplorato, sentiamo paradossalmente ignoto nella sua complessità in continuo cambiamento. In scena 17 tra i migliori interpreti del teatro ellenico contemporaneo. Lo spettacolo ha debuttato nel 2012 ad Atene, ed è rimasto in scena per quattro mesi, nell’anno più difficile della crisi della Grecia e dell’Europa. L’edizione che propone Rai Cultura è stata registrata nell’ottobre 2015 al Piccolo Teatro Strehler di Milano

Tomi Janezic, Romeo Castellucci e Bob Wilson nelle nomination per il Golden Mask Award
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Il prestigioso Golden Mask fondato nel 1993 dal  Theatre Union of Russian Federation  premia le migliore personalità e le migliori produzioni teatrali (comprendendo anche balletto, operetta, musical e teatro di figura) prodotte e rappresentate in Russia ed è realizzato con il contributo del Ministry of Culture of the Russian Federation.

maska

Da poche ore sono on line le nomination per l’edizione 2016.

Spicca la presenza di Bob Wilson con il kolossal PUSHKIN`S FAIRY TALES, Theatre of Nations, Moscow; Romeo Castellucci/Socìetas Raffaello Sanzio per HUMAN USE OF HUMAN BEINGS, e Tomi Janezic per A HUMAN BEING, Bolshoi Drama Theatre, St. Petersburg

TOMI JANEZIC
Tomi Janezic

Ecco la lista completa delle nomination dei registi:

  • Airat ABUSHAKHMANOV, THE BLACK-FACED, Bashkirian Drama Theatre, Ufa
  • Semen ALEXANDROVSKY, ELEMENTARY PARTICLES, Stary Dom (Old House) Theatre, Novosibirsk
  • Konstantin BOGOMOLOV, MAURICE’S JUBILEE, Moscow Art Theatre
  • Denis BOKURADZE, TANYA-TANYA, Gran (Edge) Theatre, Novokuibyshevsk
  • Alexei BORODIN, NUREMBERG, Russian Theatre of Youth, Moscow
  • Yury BUTUSOV, FLIGHT, Vakhtangov Theatre, Moscow
  • Yury BUTUSOV, BRECHT CABARE, Lensoviet Theatre, St. Petersburg
  • Dmitry VOLKOSTRELOV, BECKETT. PIECES, TYuZ, St. Petersburg
  • Marat GATSALOV, TELLURIA, Alexandrinsky Theatre, St. Petersburg
  • Kama GINKAS, WHO’S AFRAID OF VIRGINIA WOOLF? TYuZ, Moscow
  • Sergei ZHENOVACH, THE SUICIDE, Studio of Theatre Art, Moscow
  • Andrii ZHOLDAK, ZHOLDAK DREAMS, Bolshoi Drama Theatre, St. Petersburg
  • Romeo CASTELLUCCI, HUMAN USE OF HUMAN BEINGS, Stanislavsky Electrotheatre, Moscow, and Socìetas Raffaello Sanzio, Italy
  • Dmitry KRYMOV, O-h. LATE LOVE, Dmitry Krymov Laboratory, School of Dramatic Art, Moscow
  • Evgeniy MARCHELLI, A MONTH IN THE COUNTRY, Drama Theatre, Yaroslavl
  • Andreas MERZ-RAYKOV, A STREETCAR NAMED DESIRE, Drama Theatre, Serov
  • Andrei MOGUCHIY, DRUNK, Bolshoi Drama Theatre, St. Petersburg
  • Alexei PESEGOV, A LULLABY FOR SOPHIE, Drama Theatre, Minusinsk
  • Ivan POPOVSKI, A MIDSUMMER NIGHT`S DREAM, Fomenko Theatre, Moscow
  • Kirill SEREBRENNIKOV, AN ORDINARY STORY, Gogol Centre, Moscow
  • Robert WILSON, PUSHKIN`S FAIRY TALES, Theatre of Nations, Moscow
  • Valeriy FOKIN, MASQUERADE. RECOLLECTIONS OF THE FUTURE, Alexandrinsky Theatre, St. Petersburg
  • Pyotr SHERESHEVSKIY, THE LITTLE TRAGEDIES, Russian Drama Theatre of Udmurtia, Izhevsk
  • Tomi JANEŽIĆ, A HUMAN BEING, Bolshoi Drama Theatre, St. Petersburg

Tomi Janezic  sarà a breve in ITALIA a dirigere un testo di Cechov con la produzione di Pontedera teatro e cast interamente italiano.

PETER PAN di Bob Wilson al Festival di Spoleto 2014
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Peter Pan di Robert Wilson CocoRosie Berliner Ensemble atterra a Spoleto.

una produzione del Berliner Ensemble in collaborazione con Change Performing Arts
 
 Maestro del teatro d’avanguardia, Robert Wilson è stato chiamato a Spoleto da Giorgio Ferrara, fin dal suo primo anno di direzione artistica, per dare inizio a una felice collaborazione che si protrae ormai da sei anni e grazie alla quale sono state presentate per la prima volta in Italia le messe in scena del grande regista con il Berliner Ensemble (Opera da tre soldi, Sonetti di Shakespeare,Lulu) e le nuove produzioni per il Festival di Giorni felici con Adriana Asti e de L’ultimo nastro di Krapp da lui stesso interpretato, originali incursioni nel mondo di Samuel Beckett, oltre a The Old Woman di Daniil Kharms, interpretato nella scorsa edizione dal leggendario Mikhail Baryshnikov e dall’attore americano Willem Dafoe. Quest’anno Wilson torna a Spoleto con il suo nuovo spettacolo Peter Pan.
 Con Peter Pan, l’eterno fanciullo, lo scrittore scozzese James Matthew Barrie ha creato uno dei miti immortali della modernità. Pochi altri testi hanno influenzato così profondamente l’immaginazione di intere generazioni come quello di Barrie che racconta il favoloso e onirico viaggio verso l’Isola che non c’è. Robert Wilson trasforma questo universo rocambolesco popolato di pirati, indiani, sirene e fanciulli che possono volare in uno spettacolo teatrale pieno di invenzioni, sostenuto dalle musiche originali create dal duo americano CocoRosie, e come sempre dagli splendidi attori e musicisti della compagnia del Berliner Ensemble.
ROBERT WILSON
ll New York Times ha definito Robert Wilson “una pietra miliare del teatro sperimentale mondiale e un innovatore nell’uso del tempo e dello spazio in palcoscenico”. Wilson, nato a Waco in Texas, è tra i più importanti artisti visivi e teatrali al mondo. Il suo lavoro si serve di diverse tecniche artistiche integrando magistralmente movimento, danza, pittura, luce, design, scultura, musica e drammaturgia.
Alla metà degli anni ’60, Wilson fonda a New York il collettivo artistico “The Byrd Hoffman School of Byrds” con cui elabora i suoi primi originali spettacoli, Deafman Glance – Lo sguardo del sordo e A Letter for Queen Victoria. Nel 1976 firma con Philip Glass Einstein on the Beach, performance che cambia la concezione convenzionale dell’opera come forma artistica.
Negli anni ha stretto collaborazioni con autori e musicisti del calibro di Heiner Müller, Tom Waits, Susan Sontag, Laurie Anderson, William Burroughs, Lou Reed e Jessye Norman.
Disegni, dipinti e sculture di Wilson sono stati esposti in centinaia di mostre collettive e personali, e fanno parte di collezioni private e musei in tutto il mondo.
Ha ricevuto numerosi premi e onorificenze, tra cui la nomination per il Premio Pulitzer, due premi Ubu, il Leone d’Oro per la scultura alla Biennale di Venezia e il premio Laurence Olivier.
COCOROSIE
Gruppo nordamericano di folk psichedelico fondato nel 2003 dalle sorelle Bianca (Coco) e Sierra (Rosie) Casady, il cui stile musicale integra canto lirico, gospel e pop music. Nate e cresciute negli Stati Uniti, la loro carriera artistica ha inizio però a Parigi; il loro universo poetico comprende anche i suoni dell’acqua, delle pentole e dei giochi dell’infanzia. Compongono insieme: Sierra alla chitarra e al flauto, Bianca alle percussioni. Il loro debutto avviene con l’album La Maison de Mon Rêve, nel 2004, dopo aver suonato in tour con altri artisti come Gena Rowlands, Battles, Ratatat e Devendra Banhart. Del 2005 è il secondo album intitolato Noah’s Ark, più elettronico, che vanta tra gli altri la collaborazione con Antony Hegarty voce del gruppo Antony and the Johnsons. Seduce la loro poesia che unisce fragilità e anticonformismo; le loro esibizioni in palcoscenico lasciano il segno. Nel 2007 pubblicano The adventures of Ghosthorse & Stillborn, la cui copertina è firmata da Pierre & Gilles. Osannate dalla critica, le due sorelle firmano quattro anni più tardi Grey Oceans e nel 2013, Tales of a Grass Widow.
BERLINER ENSEMBLE
Sull’onda del successo ottenuto con Madre Coraggio, Bertold Brecht e Helene Weigel fondano nel 1949 la compagnia del Berliner Ensemble, che dal 1954 si installa presso l’attuale sede del Theater am Schiffbauerdamm. Nel 1956, dopo la morte di Brecht, si avvicendano alla direzione Helene Weigel, Ruth Berghaus, Manfred Wekwerth e quindi un collettivo artistico formato da Matthias Langhoff, Fritz Marquardt, Heiner Müller, Peter Palitzsch e Peter Zadek.
Nel 1999 assume la direzione del teatro Claus Peymann, che già aveva diretto la Schauspielhaus di Bochum e il Burgtheater di Vienna, e che sposta la programmazione verso la drammaturgia contemporanea e la rilettura dei classici, come il Riccardo II di Shakespeare. Riprende anche molti testi di Brecht e apre la via alla collaborazione con numerosi registi, come George Tabori, Robert Wilson, Peter Stein e Luc Bondy, per la creazione di nuove produzioni che entrano nel repertorio del teatro.
Ancora oggi al centro della programmazione del Berliner Ensemble ci sono i testi dei drammaturghi tedeschi contemporanei, come Thomas Bernhard, Botho Strauss, Elfriede Jelinek e Peter Handke.

A proposito di Hamlet: Wilson e Lepage.
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Riflessione sul volume di Andy Lavender Hamlet in pieces (New York, Continuum), analisi di trespettacoli ispirati al testo shakesperiano: Hamlet: a Monologue di Robert Wilson, Qui est là, Peter Brook ed Elseneur di Robert Lepage. 

Teatro immagine, teatro tecnologico, teatro della tradizione della ricerca. 
Due di questi spettacoli furono concepiti come solo (Wilson e Lepage); tutti e tre i lavori di questi maestri della regia contemporanea furono progettati e allestiti tra il 1995 e il 1996.
Approfitto del tema libro per ricucire ragionamenti (che forse ci portano anche lontano dalle conclusioni del libro stesso) offerti dalla personale memoria dello spettacolo di Wilson (utilizzando il videodocumentario The Making of a Monologue, Usa, 1995) e di Lepage (utilizzando, anche in questo caso, la registrazione audiovisiva realizzata a Londra in occasione dello spettacolo al Royal National Theatre di Londra, consultabile presso l’Archivio di Lepage) La coincidenza temporale causò anche qualche piccolo inconveniente e contrattempo:

“Nel 1993 poco prima di dare via al mio progetto”, ricorda Robert Lepage nel libro-intervista di Rémy Charest, “incontrai Bob Wilson a Toronto e mi disse della sua idea di fare una regia di un Amleto come one-man-show. Come me, voleva fare la parte di tutti i personaggi e il suo spettacolo sarebbe iniziato solo due mesi prima del mio. E durante un incontro che ebbi a Monaco, Peter Brook mi disse che era interessato all’Amleto di Shakespeare specialmente nella questione della traduzione. Dati tali progetti, mi trovai in una terribile situazione e per un po’ misi da parte Amleto“. 

Si tratta, in realtà, di lavori molto distanti: Lepage allestisce una scena tecnologica-modernista (nonostante il tentativo della critica di voler legare l’opera di Lepage con il teatro-immagine di Wilson), Wilson sintetizza e accentua il dramma nel ricercato contrasto bianco e nero delle luci di scena, Brook guarda alla tradizione del teatro (Craig, Stanislavskij, Artaud, Mejerchol’d, Zeami).
Le sezioni del saggio di Lavender propongono una sorta di cronistoria degli spettacoli e un’analisi delle diverse fasi di creazione (nel caso dello stesso Lepage assolutamente essenziale per comprendere il senso più profondo dell’opera, la quale scaturisce proprio da una lunga elaborazione a più mani ed in cui cambiamenti sostanziali intervengono anche a lavori ultimati, dando vita a numerose varianti – interpretate da attori diversi da Lepage – di uno stesso spettacolo; il suo teatro è un vero “cantiere in costruzione permanente”). Scopo dichiarato del libro: cercare di indagare come sono state create le diverse interpretazioni dal testo shakesperiano. Partendo da Wilson, la caratteristica del suo Hamlet non è la variazione della trama, ma è l’abolizione della trama stessa all’interno della più generale abolizione del tempo della storia.
Secondo Wilson il testo di Shakespeare è una roccia. Wilson mette in scena il testo-roccia che viene a sua volta letteralmente inglobato nell’attore. Questi si fa cavità entro cui si raccoglie l’intera opera letteraria. L’immagine che Wilson suggerisce per darci un luogo (in senso craigghiano) e sopra il quale l’attore si presenta nella prima e più famosa scena è, appunto, la roccia, anzi una serie di lastre di pietra sovrapposte. Lastre di pietra che non sono elemento scenografico, ma appunto il testo di Shakespeare. La roccia non è immune al divenire. Esso accade, si sgretola, si demolisce. Quei pezzi man mano che si prosegue nello spettacolo diventano parte del corpo dell’attore stesso. Molti strati di roccia all’inizio fino a diventare niente perché totalmente assorbiti dall’attore. La metamorfosi della roccia va di pari passo con l’evoluzione della storia, con il suo divenire e l’attore ne è parte integrante. Nel finale la roccia diventa il baule del trovarobato teatrale: gli abiti dei personaggi (ovvero, tutto quello che rimane quando la storia è già stata raccontata) sono diventati il mestiere dell’attore. All’immagine della roccia Wilson pone una luce. Tutto è calcolato perfettamente con effetti computerizzati e l’attore deve adattare i propri tempi alla macchina. Le luci hanno una base che si stabilisce tra il bianco e il nero e tra il nero e il nero. A questi si accompagna un riflettore che mostra dettagli che sono i simboli dell’intero dramma. La luce direzionale permette di offrire un elemento costante dell’intero spettacolo: è il braccio, che è la vera arma. E’ l’assassinio, è il gesto fratricida (Caino che uccide Abele), è il gesto archetipico della civiltà: il primo unico gesto fondatore. La nostra civiltà è segnata dal gesto. L’attore-Amleto evoca la Regina Gertrude che ha un braccio artificiale.
Il testo viene frammentato e ricomposto sulla base di temi comuni, anticipando a posticipando eventi o prelevandoli da situazioni diverse ma solo esclusivamente dall’Amleto. Il movimento è circolare, il testo non è letto nella sua successione ma si muove dalla fine e si ritorna alla fine. Tutto è presente contemporaneamente. La storia che viene racconta è già accaduta. Tutto sembra costruito come una sorta di flashback, il movimento è all’indietro, un riaffiorare di parole nella memoria di Amleto. Aver distrutto la trama, confuso le battute, ha fatto distruggere la stori: il teatro non è più ripetizione ma nuovo sguardo. Con questo tema ci troviamo in pieno nel teatro di ricerca: palcoscenico è il luogo dove ci si colloca oltre il tempo della narrazione per privilegiare il tempo-ora, quello dell’istante e della complessità. L’elemento portante di tutto il lavoro di Wilson è, indubbiamente, la luce; 370 unità di luci e speciali stoffe per il fondale per provvedere all’effetto di “blackness”; il nero è il colore predominante associato allo spettacolo: il suo visual book (un vero story board in 15 riquadri appena abbozzati e riportato nel libro di Lavender) creato per la preparazione dello spettacolo mostra schematicamente questo accentuato contrasto bianco e nero. Il nero è ora una tenda laterale (con un evidente richiamo alla “tendina cinematografica”), ora il fondale, ora il sipario teatrale (che ribadisce la natura “teatrale” della storia: la scena è, cioè, continuamente “incorniciata”).

Elseneur (1995) si basa su un luogo – come mi ha precisato Lepage in una intervista – ed è un’esplorazione della mente di Amleto. Tutti i personaggi sono luoghi della sua mente: il padre l’orecchio, la madre gli occhi, gli attori la lingua; tutti i personaggi dell’Amleto sono, dunque, parti del suo stesso io. Ma la testa di Amleto, è a sua volta contenuta in un altro luogo, Elsinore, appunto. Un unico elemento scenico, un dispositivo mobile e roteante (progettato dal geniale stage designer Carl Fillion) attraverso le sue molteplici possibilità di movimento ed attraverso la relazione che instaura con il personaggio che abita dentro i suoi meccanismi, mostra questa indivisibile e opposta polarità. L’unico suo attributo è la trasformabilità:

“The combination of the moving set, continually creating new relationships between the performer and the space, and the depiction of a range of backstage areas configures a number of the play’s theme. Elseneur is about instability, about a whirly of activity around a central figure, about continual tensions between a human figure and a piece of machinery which one could express, metaphorically, as a tension between individual and state, or even the human and the cosmic”. (A. Lavender, Hamlet in pieces. Shakespeare reworked by Peter Brook, Robert Lepage, Robert Wilson, New York, Continuum, 2001) 

Carl Fillion, come mi ha raccontato nel corso di un’intervista, ha creato un prototipo basandosi dapprima sull’immagine, fornita dal regista stesso, di un monolite e poi sul movimento del corpo umano. La forma finale risultante è quella di un cerchio inscritto in un quadrato, simbolo dell’armonia, della perfezione e dell’uomo stesso: un enorme pianale metallico quadrato è collegato a dei motori che gli permettono di alzarsi in verticale a 180 gradi, spostarsi orizzontalmente, diventando indistintamente muro, soffitto o parete. Il dispositivo (che lo stesso Lepage chiama “the machine”) contiene, invisibile, un disco circolare che permette ulteriori rotazioni, lente o veloci. Esattamente collocato al centro, un varco rettangolare, una porta (o finestra o tomba). Alla struttura furono aggiunti due schermi laterali per le immagini in proiezione.
Importantissima l’indicazione fornita da Lepage al set designer Fillion circa il tema del monolite su cui il regista avrebbe voluto costruire l’intero dramma perché, a suo avviso, sintesi visiva del dramma: il blocco unico del monolite non può essere scalfito ma può assumere, teatralmente parlando, angolature diverse. Il monolite di pietra (che nel progetto di scena diventerà, invece, di metallo) è Elsinore, il mondo della corte, duro e compatto, a simboleggiarne la disumanità e la falsità: non è, infatti, attraversato dalla luce, non è trasparente. Ed è infinitamente più grande dell’uomo stesso. In riferimento al monolite ideato da Lepage per l’Amleto non sfuggirà all’occhio degli studiosi di teatro il richiamo ai numerosissimi disegni, progetti di scena e bozzetti preparatori di Edward Gordon Craig per Amleti e Macbeth mai realizzati e alle xilografie che illustrano gli screen (pannelli semoventi progettati per l’Amleto di Mosca in collaborazione con Stanislavskij, 1912). Questi materiali, da intendersi come idee o visioni dal testo di Shakespeare lontane da una specifica produzione, mostrano proprio altissime e massicce architetture di pietra, colonne monolitiche, pilastri giganteschi scanditi da una luce vibrante che incombono minacciosamente su una scena che si impone per il suo caratteristico respiro verticale e per la sproporzione tra essa stessa e l’attore. Elsinore è il luogo, al tempo stesso fisico e mentale, della tragedia, al cui centro è collocato Amleto, costretto a “stare tra”, a vivere separato-unito dalla corte corrotta, relegato ad un’impossibilità di libero movimento, mentre la scena si muove incessantemente intorno a lui. Questa macchina (“umanizzata”, come piace definirla allo stesso Fillion), soggetta a variazioni e mutevolezze, vera maschera teatrale, assume espressioni, volti e caratteri diversi, trasformandosi continuamente, vivendo di vita propria. Se tutte le scene sono state costruite in base al movimento stesso del dispositivo scenico, l’attore è obbligato a seguirne il ritmo, il respiro, attraversandola, standovi in bilico, aggrappandovisi, creando una relazione di convivenza simbiotica, dialogandovi, trovando in essa protezione ma anche pericoli mortali tra gli ingranaggi; è chiaro che avviene un rovesciamento dei ruoli: la macchina, che ha spezzato le sue ultime determinazioni artificiali per essere corpo, diventa vero protagonista e l’attore, diventato una sorta di “macchina attoriale-Supermarionetta”, suo deuteragonista. Se la macchina è umanizzata, l’attore diventa macchina: “Pour moi, la machinerie”, ammette Lepage, “est dans l’acteur, dans sa façon de dire le texte, d’approcher le jeu: il y a une mécanique là-dedans aussi “. La profezia di Craig sembra avverarsi. 1 Ma in Elseneur la macchina è anche la macchina a raggi X che penetra nei meandri dei pensieri di Amleto portando all’evidenza della sua coscienza ricordi e verità in forma di immagini e che, come Orazio, racconterà la sua storia.

1. “Je raconte des histoires avec des machines. L’acteur en soi est une machine. Je sais que plusieurs acteurs n’aiment pas q’on parle d’eux comme étant des machines mais lorsque tu fais du théâtre, c’est un peu ça “, R. Lepage, in Lepage tourne la page, “Le Devoir”, 16 novembre 1995. Sul rapporto che, nello spettacolo di Lepage, lega luogo e attore e sul tema della mobilità della scena riconosciamo, le medesime soluzioni progettate da Craig con i suoi screens. Così Ferruccio Marotti spiega tale rapporto: “La scena di Craig muta il suo volto non per seguire il filo di una storia, bensì per creare il luogo ideale per ogni stato d’animo, per ogni emozione, per ogni atmosfera (…) Craig creava non più un’immagine immobile ma una visione dinamica dello spazio, privo di qualunque soluzione di continuità; e ogni elemento in scena – compreso l’attore – diventava una funzione spaziale, era integrato nello spazio puro, nel suo divenire e trasmutarsi continuo sotto l’impulso dell’ispirazione poetica”. F. Marotti, Amleto o dell’oxymoron, Roma, Bulzoni, 1966, p. 73.