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Archivio Living Theatre. Una nota inedita di Judith Malina
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Nel 2005 mi apprestavo a organizzare le celebrazioni in memoria di Julian Beck per i vent’anni della scomparsa. Scrissi a molti componenti del Living che conoscevo personalmente se volevano lasciarmi una memoria. E naturalmente scrissi a Judith. Che mi inviò una nota attualmente inedita.

Sto ancora elaborando un lutto drammatico. E pian piano dall’archivio ritrovo le immagini belle della mia scoperta del Living e della sua anima gigantesca: Judith Malina.

Dedicato a Julian Beck
Un testo per Anna Maria Monteverdi
di Judith Malina 
Quello che Julian Beck vide e fece con la sua arte e con la sua vita continua a mostrarci la strada. I suoi dipinti sono astratti perchè vide nello splendore delle forme e nei colori della vernice la liberazione dalla necessità di imitare e l’affermazione della loro propria realtà. La sua poesia canta il suo tormento e la sua estasi personale e ci esorta a osare sperimentare gli estremi della passione. Il suo teatro è politico perchè venne come Avilokitesvara alle Porte di Nirvana dove udì le grida della sofferenza umana e sentì il desiderio di rendere utile la sua arte per diminuire quella sofferenza. Ora non ha bisogno delle nostre lodi. Vuole che prendiamo il prossimo passo verso quel mondo più libero, meno penoso, più sexy, più tenero che lui ideò. Sì! Ma che conduca all’azione.

Judith Malina, October 2005

 

Archivio LIVING: Il video RESISTANCE di Marco Santarelli
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In una nota datata 1 giugno 1948, a pochi mesi dalla fondazione del Living Theatre, Judith Malina elenca, nel suo diario, i tre stadi necessari per la costruzione di un teatro politico: uno astratto, uno concreto, uno “attivo”:

1) Develop a theory of political philosophy (abstract)
2) Develop a historical understanding of what contributes to human happiness (concrete)
3) Be able to suggest procedures for integrating the ideal social situation with the real, individual, human factor (active)

A quel punto Malina ricorda da dove venne la prima ispirazione per la messa in pratica dell’Utopia del Teatro Vivente:

During my thoughts the mail brings “Resistance”, the anarchist newspaper, which I have been received. I am suprised to find it full of pertinent material.

E’ la prima volta nel diario che Malina nomina il movimento anarchico che da quel momento inizierà a frequentare e a condividerne gli ideali libertari grazie anche all’amicizia con Paul Goodman, che proprio in quell’anno avrebbe divulgato i principi di Communitas.
La storia del Living, inizia significativamente all’insegna di Resistance, parola chiave nel loro teatro. Resistance lo spettacolo ideato nel 2001 per spazi non convenzionali, è ispirato ai fatti della Resistenza a Rocchetta ligure, nel doloroso ricordo della Seconda guerra mondiale raccontato dai partigiani della val Borbera, là dove il Living ha oggi trovato la propria residenza stabile, presso Palazzo Spinola; ma lo spettacolo, come precisa puntualmente la stessa Malina, è emblema di ogni forma di resistenza umana al capitalismo, all’economia globale, alle guerre, tutte le guerre. Resistance ha, infatti, invaso le strade di Genova, durante le giornate del luglio 2001 in occasione delle manifestazioni Anti G8, ed è sbarcato in Libano, a Beirut.
Resistance – come già Paradise now!-diventa lo slogan di ogni comunità ribelle, parla di una storia recente e chiama in causa la nostra responsabilità alla creazione di un mondo non a misura umana bensì “frankensteiniano”, mostruoso:

“Trentacinque anni dopo la creazione del nostro Frankenstein, è arrivata una nuova generazione di attivisti e contestatori che alza la voce per individuare il mostro pericoloso dei nostri tempi. E’ l’incoronazione del Capitale come unico dio della società -il valore assoluto. Ed è contro questa Creatura, quest’artifico che è la legittimazione del sistema mondiale capitalistico, che i giovani si svegliano. Ed è a Québec, a Praga, a Waghington, a Seattle, a Genova cioè ovunque si riuniscono i potenti che dirigono la marcia verso la globalizzazione, che quelli con una prospettiva più ampia cercano di scuotere la coscienza del mondo”.
(Dall’introduzione di Judith Malina scritta per Frankenstein del Living Theatre, di A.M. Monteverdi, Pisa, BFS , 2002).

Dalla Resistenza al nazismo ad oggi, contro il nuovo nemico: teatro non è rievocazione di un fatto storico tramandato ma è evento, esperienza di vita, manifestazione irripetibile che trova la sua unica ragione di essere nell’efficace azione diretta sul pubblico. Può il teatro interrompere questo ciclo di morte? Una guerra è in corso adesso, non c’è più spazio per la memoria. Resistance, come già Antigone e Frankenstein, ripropone la figura del “resistente” dell’antico dramma, guardando brechtianamente al presente:

“La domanda è: “Cosa significa Resistenza?” ed arriviamo a Seattle dove i giovane protestano contro la globalizzazione. E questo nemico oggi è molto nuvoloso. Era bello dire: “Fascismo: questo è il nemico, ecco l’obiettivo”. Ma oggi il nemico sono le multinazionali e noi usiamo i loro prodotti, siamo coinvolti, siamo una parte del meccanismo, e anche quando protestiamo, protestiamo dentro la trappola del nemico, questo è molto vicino alle tematiche del Frankenstein. Questo lo dico per legare il lavoro del passato col lavoro di oggi: il lavoro del Living è una sola grande opera con parti in cui differenti momenti sembrano richiedere altre forme, ma è sempre un’opera unica.
Ogni volta che iniziamo un nuovo spettacolo parliamo per settimane, qualche volta per anni: “Cos’ è la prossima cosa che vogliamo dire? Cosa è importante esprimere?”
Ma certi principi fondamentali rimangono: siamo anarchici, pacifisti, femministi….è un unico atteggiamento e vogliamo guardare ai diversi momenti storici e ai diversi luoghi dove lavoriamo. Ci chiediamo: “Cosa è utile dire in questo momento? Cosa è cruciale adesso per noi e per gli spettatori?” E ogni volta decidiamo.
Qua siamo a Rocchetta, la maggior parte della popolazione è anziana e la cosa più importante per loro è stata l’esperienza della guerra. Erano tutti coinvolti e avevano queste storie dentro. E noi ci domandiamo: “Cosa vuol dire questo?” E allora decidiamo di fare uno spettacolo sulla Storia, ma sempre con questa idea: “Abbiamo imparato qualcosa da questa esperienza? Dove siamo adesso?” La Resistenza: “Essere un esercito di gente non bellicosa ma che vuole difendere la propria vita, uccidere o non uccidere, e uccidere chi? Solo fascisti tedeschi o anche fascisti italiani? Sono nostri fratelli o no? Cosa siamo l’un l’altro?” Tutti problemi morali attuali per loro e che sono ancora adesso nelle loro menti. E allora ci domandiamo: “Cos’era questo tempo così estatico e così orribile allo stesso tempo?”. C’è in fondo la speranza che questa orribile realtà non sia la nostra realtà perché a questa siamo costretti da un sistema che abbiamo inventato per sopravvivere e per il quale dobbiamo essere cattivi. Sembra che non abbiamo altra scelta, come i Partigiani: “Ci sono gli invasori, dobbiamo reagire”. Oggi in Israele, in Africa, gli orrori ci sono sempre perché crediamo che non ci siano altre alternative. Dobbiamo vedere queste alternative attraverso l’arte, la letteratura, il teatro, la musica…”.
(Intervista di A.M.Monteverdi a Judith Malina, in Frankenstein del Living theatre, cit)

Resistance (Living theatre a Beirut)
di Marco Santarelli; prod. Doppler. Sceneggiatura: Marco Santarelli, Vincenzo Della Ratta.
Adattamento da Resistance del Living Theatre, Roma, 2001, 8’25”.
Opera video selezionata al Concorso Italia Riccione ttv 2002.
keydoppler@hotmail.com

Il videomaker Marco Santarelli ha seguito il Living theatre in Libano senza un progetto preciso, era uno dei “reclutati” antifrankenstein; l’atmosfera l’ha coinvolto, le immagini di una città devastata da una guerra interminabile (chi si ricorda le fotografie di Basilico di una Beirut desolata e disabitata?) non l’hanno lasciato indifferente, e ha deciso, telecamera alla mano, di assumersi il compito di una memoria originale della performance Resistance, nel qui e ora di una guerra ancora impressa negli occhi della popolazione, raccontata tra resti di bombardamenti e vita quotidiana. Nel tempo contratto di otto minuti Marco Santarelli ha accostato insieme, come fossero due occhi, le immagini del luogo, teatro antico di scontri, e momenti della preparazione dello spettacolo con un’intervista a Malina che racconta come il punto di partenza dello spettacolo sia stato l’interrogativo: Who’s the enemy?, chi è oggi il nemico?
E’ ancora lei, settantasei anni, figlia di ebrei scampati all’antisemitismo nazista, in prima linea in terra araba, pronta ad imbracciare la causa degli oppressi, sassi alla mano: “No pasaràn!”.

Mysteries del Living Theatre, o della poesia dei cinque sensi a teatro
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Mysteries and Smaller Pieces venne allestito per la prima volta dal Living Theatre il 26 ottobre 1964; il testo verrà trascritto soltanto nel 1969.


Mysteries and Smaller Pieces, The Chord.

L’occasione per un nuovo spettacolo che partisse dalle esercitazioni tecniche quotidiane della compagnia, dopo il successo di The Brig, l’allontanamento forzato dal loro teatro per inadempienze economiche e l’approdo in Europa come “esiliati”, è data dalla richiesta di una nuova creazione a opera dell’American Centre for Students and Artists di Parigi.


The Brig (foto di Riccardo Orsini).

Lo spettacolo è articolato in nove scene che coinvolgono i corpi e i cinque sensi di attori e spettatori: The Brig Dollar; il Raga; l’Incenso; Street Songs; il Coro; il Respiro; Tableaux vivant; Suoni e movimento; la Peste. La trama insegue sottilmente ma senza dialoghi o finzioni narrative, il tema dell’individuo incatenato in una società retta da rigidità militari, violenza e denaro, all’eterna ricerca di una trasformazione interiore.


Mysteries and Smaller Pieces (Rufus).

Mysteries dalla première di Parigi del 1964, durata tre ore e terminata con un pezzo di free jazz, è anche l’unico spettacolo rimasto ininterrottamente in repertorio sino a oggi, con riprese “parziali e non ortodosse” e con modifiche anche sostanziali quali l’introduzione dell’apporto diretto del pubblico a partire dalla versione di Bruxelles (1965), secondo la testimonianza di Cathy Marchand, membro del Living Theatre dal 1980. Concepito inizialmente non come spettacolo ispirato a un testo ma come semplice visualizzazione di esercizi tecnici teatrali e per la meditazione e come montaggio di scene da spettacoli precedenti, Mysteries è attualmente utilizzato dal gruppo per seminari e dimostrazioni di lavoro attoriale: viene usato infatti come riferimento per la tecnica dell’improvvisazione e per l’addestramento all’ensemble, il cosiddetto “passaggio del movimento” presente nella sezione centrale dello spettacolo, che ha come riferimento una tecnica artistica ideata da Lee Worley e Joe Chaikin – quest’ultimo ex membro del Living Theatre e fondatore dell’Open Theatre – che ne avevano insegnato la tecnica ai Beck.
Certamente ogni ripresa dello spettacolo equivale a una sua modificazione di senso, o meglio a una sua attualizzazione e ridefinizione nel tempo storico: nella versione del 1991 ad opera di Serena Urbani in occasione della Prima Guerra del Golfo, per esempio, lo slogan Stop the War! assunse le caratteristiche di una rivolta antimilitarista fondamentalmente antiamericana.


Mysteries and Smaller Pieces.

Centrale nel lungo percorso biografico e artistico del gruppo la data di nascita dello spettacolo, cronologicamente collocato tra l’incarcerazione dei fondatori Julian Beck e Judith Malina al Passaic County Jail del New Jersey per debiti fiscali, l’allestimento di The Brig, ispirato ai principi del teatro della crudeltà artaudiana – e di cui rimarrà significativa memoria nella prima delle nove sezioni dello spettacolo – e l’allestimento del Frankenstein, inno anarchico alla creazione dell’Uomo Nuovo. Fondamentale per la storia del teatro il rivoluzionario principio formale fondativo appena inaugurato (la creazione collettiva rispondente alle esigenze della neo nata formazione del numeroso gruppo in comune anarco-pacifista ispirata agli ideali enunciati in Communitas da Paul Goodman) e potente il motivo ispiratore (la rigidità del sistema equivalente alla rigidità cadaverica del teatro-peste di Artaud). Il Living Theatre sarà in Italia – diventata loro terra di adoazione – quasi stabilmente a partire proprio dal 1964: Mysteries verrà rappresentato tra il 1964 e il 1966 in numerose città italiane: Roma, Trieste (dove diversi membri del gruppo verranno arrestati per oscenità), Napoli, Firenze, Venezia (all’interno della Biennale del 1965, dove proporranno anche la prima di Frankenstein), Parma, Catania, Bologna, Reggio Emilia, Trento, Milano, Torino, Bari, Genova, Rimini, Lecco.


Mysteries and Smaller Pieces (foto di Riccardo Orsini).

Si parlerà per Mysteries come di un brillante esempio di “spettacolo-che dura” secondo una bella espressione di Ruffini, di “teatro totale”, di “spettacolo-manifesto” (P. Biner, Il Living Theatre, Bari, De Donato, 1969, p. 115).


Antigone.

Ma quale spettacolo del Living non è stato un manifesto? Antigone, manifesto del pacifismo; The Brig, manifesto del teatro della crudeltà artaudiano, Paradise Now, la Rivoluzione a teatro.


Paradise Now (Judith Malina).

Mysteries non ha un vero testo, così come non ci sono ruoli, ma oltre ai famosi slogan pacifisti, al suono del raga indiano, al contagio endemico da attore a spettatore della peste – immagine dell’invivibilità della società contemporanea secondo Artaud – e ai Tableaux vivants degni di un teatro-immagine, contiene alcune presenze poetiche: il poema The Brig Dollar (che enuncia le parole contenute nella banconota da un dollaro scritta da John Harriman) e le Street Songs di Jackson MacLow.
Forse vale la pena ricordare che la prima sede del Living Theatre, quella del magazzino della 101a strada (marzo 1954-novembre 1955), era caratterizzata proprio dalla presenza di serate poetiche di cui erano protagonisti come autori, lo stesso Jackson MacLow o William Carlos Williams.
MacLow, tra i principali artisti Fluxus statunitensi, è di fatto, una presenza importante nella vita e negli spettacoli del Living, come autore e come amico nelle lunghe discussioni sull’anarchismo a partire dal 1950, anno molto significativo per la formazione politica e ideologica dei Beck perché a seguito della lettura di articoli e testi dalla rivista “Resistance” sposeranno definitivamente le tesi libertarie. Paul Goodman, filosofo e scrittore anarchico (autore di libri tra cui Autorità e individuoche molto influenzerà i Beck) era chiamato da Julian Beck “il nostro poeta in sede” (J. Malina,Diaries, p. 25). Un periodo decisamente ricco di collaborazioni, di connubbi artistici e umani, poco conosciuto ma riccamente documentato dai Diari della Malina datati 1947-1957 e dai primi scritti di Beck. L’amicizia con i poeti della Beat Generation, soprattutto Allen Ginsberg, Gregory Corso, Jack Kerouac, Michael McClure e John Giorno, aveva creato successivamente intorno alla seconda (e mitica) sede del Living, quella della 14a strada inaugurata nel 1957, un clima davvero creativo e “underground”, soprattutto se pensiamo che era collocato nel Greenwich Village, adiacente a vari locali storici della nascente cultura alternativa. Dunque Mysteries mantiene con la prima fase del teatro del Living, il cosiddetto “teatro di poesia” (De Marinis, 1995), un primo significativo legame; mentre la folgorazione dei Beck dal libro di Antonin Artaud tradotto in America da M.L. Richards (che sarà una degli artisti presenti al famoso Untitled event del 1952 ideato da John Cage alla Columbia University) produrrà la memorabile scena della peste descritta da Artaud non in un testo teatrale ma all’interno del saggio Il teatro e il suo doppio.


Bernando Bertolucci sul set di Amore e rabbia.

Il regista Bernardo Bertolucci assistette alla prima di Mysteries a Parigi nel 1964 e il suo incontro con Julian Beck fu importante: chiese agli attori del Living di interpretare, con la tecnica di improvvisazione vista proprio in Mysteries, Agonia, episodio del film collettivo Il fico infruttuoso che parlava degli ultimi attimi di vita di un santone con i tentativi da parte dei suoi adepti di riportarlo in vita.
Questo il ricordo di Bertolucci:

Volevo lavorare con il Living Theatre sin da quando fui abbastanza fortunato da essere presente alla prima diMysteries nel 1964 che, ricordo, produsse in me la più profonda e forse l’unica emozione reale che io abbia mai provato a teatro. Quando incontrai Julian Beck fui immediatamente e irresistibilmente sedotto dalla sua straordinaria intelligenza come da una specie di spiritualità che egli trasudava fisicamente.

Questo lo schema dei seminari che il Living Theatre propone ancor oggi in tutte le parti del mondo a partire da Mysteries:

MYSTERIES
I direttori del Living, Judith Malina e Hanon Reznikov, annunciano la creazione di un laboratorio di cinque giorni che offre ai partecipanti la possibilità di studiare diverse forme di espressione teatrale per poi poter recitare per un pubblico uno spettacolo “classico” della compagnia. Mysteries and Smaller Pieces, che esplose sui palcoscenici dell’Europa nel 1964, fu il primo spettacolo visto al mondo che eliminò tutti gli elementi tradizionali del teatro. Si tratta di uno spettacolo essenziale, senza personaggi fittizi, senza trama, senza scenografie, senza costumi, senza effetti luci. Invece, gli attori del Living presentarono una serie di riti drammatici, creata dal gruppo in maniera collettiva, sotto la direzione della stessa Malina e di Julian Beck, il co-fondatore del gruppo, che scomparve nel 1985.


Mysteries and Smaller Pieces: “The Body Pile”.

Il laboratorio, condotto da Malina e Reznikov, propone Mysteries come un ottimo veicolo per insegnare la pratica del teatro di ricerca a quelli che desiderano un’esperienza diretta nel campo. Lungo l’arco dei cinque giorni di lavoro (per quattro ore al giorno), i partecipanti impareranno l’improvvisazione, l’espressionismo artaudiano, il teatro politico di Brecht e di Piscator, l’uso dello yoga in scena e l’importanza primaria dell’ensemble nella recitazione. E siccome è sempre stato il parere del Living Theatre che non si può arrivare a capire il significato fondamentale del teatro senza l’incontro esistenziale con il pubblico, il laboratorio finisce con una vera e propria rappresentazione dello spettacolo, recitato nella sua forma originale e integrale dai partecipanti stessi. Il programma di lavoro è il seguente:
giorno 1 – introduzione al Living Theatre – il respiro yoga – l’improvvisazione
giorno 2 – l’espressione corporale – tableaux vivants – i cinque sensi nel teatro
giorno 3 – il teatro politico – l’addestramento dell’ensemble vivente – il canto indiano
giorno 4 – il teatro e la peste – l’incontro diretto con il pubblico – il mistero del silenzio
giorno 5 – prova generale e spettacolo

Mysteries come Misteri medioevali, come la ritualità dei Misteri cristiani senza la liturgia della parola ma unicamente del corpo. Corpo collettivo, corpo sociale.
Di Mysteries abbiamo alcune documentazioni con firme “eccellenti”, tra cui quelle del filmaker e critico lituano Jonas Mekas, regista indipendente, fondatore del Filmakers’ cooperative e già regista di The Brig e di altre registrazioni, alcune delle quali mai riversate in forma di film.

Il film Street Songs girato in 16 mm (del 1966, ma montato soltanto nel 1983) documenta brevemente la sezione più poetica dello spettacolo; quella – su stessa ammissione di Mekas – che lui più aveva amato nella rappresentazione del 4 agosto 1966 al Festival di Cassis:

Street Songs è la registrazione realizzata in Francia di una sezione dello spettacolo Mysteries and Smaller Pieces del Living Theatre. Basata su uno scenario determinatamente cambiato scritto da J. McLow nel 1961,Street Songs, mischia canti politico-militanti attraverso suoni mantra. Julian siede a gambe conserte in mezzo ad un palco vuoto; le frasi che ripete: ‘Liberate tutti gli uomini! Bandite le bombe! Fermate la guerra! Liberate i neri! Cambiate il mondo!’ sono sia meditazioni sia richiami all’azione, come una folla di voci che rispondono a ogni frase mentre gli attori salgono sul palco e si mettono in cerchio, battendosi uno con l’altro la schiena e intonando collettivamente ‘Om’… L’insieme dell’urgenza politica con la misticità umana è data dalle immagini drammatiche in bianco e nero di Mekas che pulsano in modo vitale date dal movimento e dagli zoom della cinepresa che si alterna nel mostrare sia la parte più sociale – il gruppo – sia quella più personale – una faccia, una mano. (Sally Banes, “The Village Voice”, 18 ottobre 1983, traduzione di Patrizia Daturi)

Recentemente Jonas Mekas ha montato in film nuovi materiali d’archivio sullo spettacolo accompagnandoli con la musica originale di Philip Glass: Mysteries 1966-2002.
La fondazione del New American Cinema a opera di Mekas e di cui farà parte John Cassavetes (autore di Shadows uno dei massimi successi underground, e soprattutto Shirle Clarke autrice di The Connection ispirato all’omonimo spettacolo del Living Theatre), il nascente clima underground, ifilm-diaries e i documentari di Mekas e compagni su tematiche di disagio spesso senza sceneggiatura e a basso costo, ben si adattavano all’ideologia politica e artistica del Living, che spesso ne era addirittura protagonista o soggetto ispiratore. La posizione di rifiuto di Julian Beck rispetto al teatro commerciale di Broadway, come si legge dal suo libro La vita nel teatro, ha evidenti analogie con i proclami anti-hollywoodiani presenti nei quattro saggi pubblicati da Mekas su “Film culture” agli inizi degli anni Cinquanta, che inneggiavano a una nuova generazione sperimentale di filmaker indipendenti. Una nuova linea artistica produttrice di istanze rivoluzionarie contrarie alle logiche mercantili dell’arte accomuna il cinema e il teatro di questi anni: dal free theatre al free cinema. Così Mekas:

Oggi, il bisogno di una approfondita ricerca riguardo gli standard estetici che raggiunga sia i film-makers che il pubblico per una completa revisione delle attitudini delle funzioni del cinema, ha assunto proporzioni più che mai di sfida. Le creazioni cinematografiche tendono ad essere avvicinate primariamente come merce, e gran parte del pubblico – per il quale andare al cinema è ancora semplicemente un passatempo – rimane spogliato del pieno significato dell’arte filmica. (“Film culture”, gennaio 1955; sul cinema underground, vedi A. Leonardi,Occhio mio Dio, Milano, Feltrinelli 2003 (nuova edizione); e inoltre http://web.tiscali.it/cinema_underground/)

In Meditazione I, 1962 Julian Beck sostiene la nascita di un nuovo teatro che rompa con la letteratura e con la produzione di beni per piaceri effimeri:

La falsità degli ideali. Morte da Broadway. Abiti ideali, conversazione ideale. Morte da compromesso. Morte sicura da lusso e da mancanza dello stesso. Aspetti della scena che non rappresentano il mondo ma vanità. E’ contro questa vanità della scena che ci siamo trinceratti, ancora senza sapere che utensili usare, né come usarli, insicuri, senza spirito, armata scalza di sbandati.
Il teatro di Broadway non mi piace perché non sa come dire Ciao. Il tono della voce è falso, i manierismi sono falsi, il sesso è falso, ideale, il mondo hollywoodiano della perfezione, l’immagine asettica, i vestiti bel stirati. Il culo ben strofinato, inodore, inumano, dell’attore di Hollywood, della star di Broadway. E’ il terribile falso sporco di Broadway, i bassifondi di uno sporco, imitato, impreciso.

Una testimonianza di Mysteries è presente anche nel film Se l’inconscio si ribella di Alfredo Leonardi, regista e protagonista della stagione del cinema sperimentale romano degli anni Sessanta e Settanta.Mysteries è una presenza emblematica all’interno del film, che testimonia l’interesse e l’affetto di Leonardi (come già in Living and Glorious) per una comunità di artisti che hanno rivoluzionato il linguaggio teatrale con un nuovo approccio che tentava di coinvolgere gli spettatori nel modo più intenso, diretto e autentico possibile.

 

Archivio Living Theatre. Il mio Living ha…25 anni
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Il mio Living ha quindici anni. Frammenti di un diario teatrale (2005)
di Anna Maria Monteverdi


Paradise Now.

A Pisa! A Pisa!
Ho cominciato a occuparmi del Living quando avevo vent’anni, alla fine degli anni Ottanta, dopo la morte di Julian Beck. O per meglio dire, a vent’anni ne sentii parlare per la prima volta a lezione all’Università di Pisa da Fernando Mastropasqua quando ancora qualcuno dentro il nostro Dipartimento si preoccupava di spiegare la grande stagione della neoavanguardia teatrale. Con me Giovanni Guerrieri dei Sacchi di sabbia e tra quelli della generazione successiva, Mauro Aprile e Erica Magris che hanno intrapreso o la carriera di registi teatrali e cinematografici o quella dello studio e della ricerca.

La mia generazione ha imparato a conoscere il Living dalle repliche di Mysteries, da Utopia, dai laboratori con Judith, Hanon e Tom Walker, quelli di Cathy Marchand e quelli di Gary Brackett. Dai video e dai film degli spettacoli e dai libri. Nel 1995 Mastropasqua ospitò a lezione Judith e Hanon in una giornata che fu davvero memorabile, professori e studenti per la calca si sedettero insieme per terra o sui banchi. Judith spiegò che “viviamo sempre in epoca pre-rivoluzionaria”e raccontò degli incontri nel Teatro della 14a strada con Cage, con i poeti Beat, il suo lavoro con Piscator e l’impegno anarco-pacifista a teatro e nella vita. Ricordo quel bel pranzo preparato al termine della mattinata universitaria dal mascheraio e studioso di teatro greco Ferdinando Falossi nella sua casa pisana. Pranzo rigorosamente vegetariano allestito con una cascata di colori che Judith apprezzò molto.


Paradise Now.

Memorabilia
La passione suscitata dai racconti del loro teatro da Mastropasqua mi convinse a compensare questo ritardo occupando le sale teatrali che ospitavano il nuovo Living o quelle cellule staccatisi negli anni dalla loro costola. Ma non ho mai voluto iscrivermi ai laboratori, pur partecipandoalla loro organizzazione. Osservavo e appuntavo, registravo o tenevo a mente, fotografavo e riprendevo. In maniera caotica, accumulando materiali che diventavano sempre più ingombranti da trasloco a trasloco: cataloghi di Festival, monografie e volumi stranieri, diari, fotocopie di recensioni, tesi di laurea e tutti i video, anche quelli non ufficiali, “non catalogati”.

Bellaria-Theandric
Nel 1994 “Living Picture”, la retrospettiva in film e in video dedicata al Living, di cui fui informata da un trafiletto su “Il manifesto”. Era in maggio, a Bellaria, collegata al Festival di Riccione e al Dams di Bologna, da un’idea di Cristina Valenti una delle studiose di teatro più seriamente impegnate sul fronte Living. Sarebbero stati presenti oltre a Judith e Hanon anche l’editore della Socrates, Fabrizio Pozzilli che proprio quell’anno aveva pubblicato in una veste ricchissima di fotografie inedite, l’edizione italiana di Theandric, curata da Gianni Manzella, con un’appendice di immagini dei quadri di Beck. Scattai varie foto nel gazebo all’aperto in occasione della presentazione di Theandric e presi molti appunti; trovai queste stesse note straordinariamente utili per il mio libro sul Frankenstein anni dopo. Da quell’anno Mastropasqua divenne il “presentatore” ufficiale di Theandric a Milano, a Prato, a Modena, a Roma, alla Spezia, oltre che amico carissimo di Pozzilli.
Quella retrospettiva fu l’inizio del mio viaggio verso il Living Theatre. Antonio Costa, responsabile della sezione audiovisivi ci permise di visionare in privato durante la manifestazione, l’Antigone. Credo che fu proprio quella visione “pirata” dentro una piccola sala non oscurata, dell’Antigone televisiva di Bari che sostituiva l’amaro ricordo della versionemalconcia della Biennale di Venezia, a folgorarci e a convincere me e Fernando a inseguire con maggiore ostinazione la meravigliosa storia di questo gruppo.
Un paio di anni dopo mentre tornavo da un concorso di dottorato a Bologna, in treno lessi sull’Unità che Fabrizio Pozzilli, era morto, stroncato da un male incurabile. Compresi il motivo del silenzio a tante nostre lettere. Io e Fernando ci impegnammo per anni a mettere in programma d’esame Theandric e a comprarne copie da regalare ad amici e biblioteche. Fabrizio aveva fatto in tempo a vedere realizzato il suo sogno: quello di pubblicare le biografie degli artisti che amava. Tra questi Julian Beck e John Cage.


Christmas Cake for Hot Hole and Cold Hole

(Torta di Natale per buco caldo e buco freddo) in una favela di Rio de Janeiro (1970).

Biblioteche e “Lost and Found”.
Ho sempre amato cercare materiali del Living in ogni biblioteca in cui mi trovavo. Alla Biblioteca di Arti dello Spettacolo dell’Arsenal di Parigi, nel quartiere della Bastiglia ho consultato alcuni dattiloscritti dell’epoca della presenza del Living a Parigi nel Sessantotto, mentre la direttrice mi metteva a disposizione un leggìo in legno e un segnalibro in stoffa imbottita. A Montréal, alla Biblioteca Cittadina e in quella universitaria di Québec City fotocopiai alcuni testi tra cui una tesi di laurea degli anni Settanta su Marcuse e il Living.
Gli amici poi, negli anni mi hanno aiutata a racimolare materiali sul Living: Fernando si separò dalla locandina di Paradise Now con il famoso diagramma, Andrea Balzola mi lasciò un’edizione rarissima stampata in numero limitato da una tipografia anarchica di un libretto sul Living datato novembre 1966; un bibliotecario di New York mi lasciò il diario di Judith The enormous despair destinato al macero con ancora annotate le persone che negli anni lo avevano preso in prestito. Giacomo Verde mi fece avere il libretto sulle Sette meditazioni e mi rilegò il copione del Frankenstein che mi ero fatta spedire da New York. Luca Fregoso, fotografo spezzino presente alla Biennale di Venezia negli anni Settanta, mi regalò incorniciata, una stampa in bianco e nero di un suo ritratto inedito di Julian Beck, fotografia che ho portato sempre con me in ogni trasferta. Almeno fino a quando non decisi di regalarla così com’era, con il suo vetro e la sua polvere, a Judith che a sua volta l’appese per due anni nella cucina di Rocchetta e una volta smantellata la sede, la foto è finita nell’archivio torinese dell’Orsa.


Judith Malina celebra il Shabbath al Centro Europeo del Living; al suo fianco Hanon Reznikov.

Viaggi di oggetti! Maurizio Maggiani mi ha regalato la sua copia di Paradise Now comprata quando uscì negli anni Settanta, molto sottolineata e con la copertina tenuta insieme al resto del libro da un elastico. Judith mi ha regalato invece il suo libro di poesie, Love and Politics con una dedica che mi commuove ancora ogni volta che la leggo.


Il Living Theatre a San Francisco alla fine degli anni Sessanta.

Maschera e rivoluzione
Con Mastropasqua abbiamo organizzato conferenze, incontri, proiezioni, retrospettive e pubblicato saggi. A Pisa per due anni di seguito la Biblioteca di storia e cultura anarchica Franco Serantini ci permise di mettere insieme un calendario fitto di appuntamenti sul Living a cui partecipò anche Cristina Valenti (presentandoAntigone e Le sette meditazioni sul sadomasochismo politico), che da poco aveva licenziato il libro-intervista a Judith Malina. Il volume Maschera e rivoluzione, testimonia queste conferenze dedicate alla loro storia, anche quella più recente.
Ospitammo poi Judith e Hanon alla Spezia e introducemmo una serie di incontri che coinvolgevano anche le scuole superiori. Organizzai l’evento con una piccola associazione e mi aiutò un assessore che era anche professore di filosofia. Non sapevamo come avrebbe risposto la città. Ci colpì la folla intervenuta in un luogo dove gli eventi culturali e specialmente teatrali sono evitati come la peste! Venne anche mia madre, coetanea di Judith. Tra gli spettatori il professore di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, prof. Fabio Trombetta che alla fine dell’incontro mi chiese di “venire ad affascinare i suoi studenti” con delle lezioni sul Living Theatre. La proposta era allettante e il modo con cui fui “precettata” davvero originale, proprio nello “stile Living”!
E poi la presenza per tre anni del Living a Livorno con laboratori su Mysteries e spettacolo al Nuovo Teatro delle Commedie dentro il progetto di Mastropasqua “La casa del teatro”.
Livorno accoglie tutti gli anni presentazioni del Living o opere a loro ispirate. Il tecnoartista Giacomo Verde ha creato in occasione dell’inaugurazione del Teatro restaurato nel dicembre 2003, l’installazione interattivaInconsapevole macchina poetica, in cui il visitatore poteva rispondere con la tastiera di un computer ad alcune domande e le risposte si “combinano” sullo schermo alle parole delle poesie di Beck, rendendo così lo spettatore “poeta inconsapevole” perchè “Ognuno è un artista sublime” (J. Beck).


Resistance a Beirut di Marco Santanelli.

Frankenstein, 1995
Per l’Accademia di Carrara decisi di occuparmi del Frankenstein. Hanon mi fece avere una copia della cassetta e passai mesi a decifrare il testo dello spettacolo e a tradurlo. Era il 1995, anno della morte di mio padre e la notte del 14 settembre di quello stesso anno, ad Amman mentre ero ospite in un albergo nel quartiere delle ambasciate, sognai Beck (erano 10 anni esatti dalla sua morte).
La difficoltà più grande nel mio studio fu riuscire a fare un’analisi del Frankenstein completa e storicamente coerente ma ero consapevole che sarebbe stata “filologicamente scorretta” perché prendeva spunto da tutte le versioni differenti di questo spettacolo elaborato dal gruppo collettivamente. Avevo creato un “mostro” Frankenstein che osservavo continuare a crescere e ad alimentarsi di quella “vita inevitabile” a cui un materiale drammaturgico e scenico così intenso era stato sottoposto. Non era scorrettezza filogica. Era la vita organica che si imponeva sul rigore libresco… Quando Gary dice che una delle imprese più straordinarie del Living è stata la “creazione collettiva” rende onore a una modalità tra le più irripetibili inventate dal Living ma anche tra le più difficilmente comunicabili! Ne ho fatto esperienza proprio con il Frankenstein. Una volta avuto il direction book cominciarono i guai: le diverse mani, i ripensamenti documentati dacancellature, riscritture successive e soprattutto le firme collettive impedivano di capire a fondo il procedimento creativo. Che, ho l’impressione, potrà diventare patrimonio di conoscenza reale solo per chi è parte integrante del processo artistico. Qualche anno dopo ho pubblicato un libro che radunava queste ricerche e che per me vale più di ogni altra cosa che ho scritto fino ad oggi perché lo ha stampato non una casa editrice teatrale ma una cooperativa anarchica (la BFS di Pisa) e soprattutto perché porta un’illuminante nota introduttiva scritta da Judith. Conservo ancora la lettera spedita da New York con unpost it giallo di saluti e il simbolo della pace: “Ad Anna, Per amore e Pace”.

Seguite il Living ovunque esso sia
Andai a salutare il gruppo alla fine dello spettacolo Capital changes a Empoli nel 2001 alla sala teatrale del Giallo Mare minimal teatro di Renzo Boldrini e Vania Pucci. Ero con Giacomo Verde, chiesi cosa potevamo fare per loro, ci dissero: “Venite a teatro ovunque siamo”. E così la lunga catena del Living si rigenera e si alimenta con le nuove generazioni di spettatori come un fuoco inestinguibile. Siamo decine di migliaia in tutto il mondo che hanno questo compito di “andare a vedere il Living, ovunque esso sia” ed è una promessa “capitale”!

Rocchetta Ligure, 30 novembre 2000
Per il lavoro sul Frankenstein andai a trovare Judith e Hanon a Rocchetta Ligure, in un autunno di alluvioni del 2000. Mio figlio Tommaso aveva già compiuto un anno. Mi domandavo cosa ci trovavano in questo posto così sperduto tra i monti. Ma mi dovetti ricredere: lo spazio affidato al Living era grande, caldo e accogliente, con varie stanze e sala prove, tutto ricavato all’interno dello storico Palazzo Spinola. Un panorama incantevole. Hanon prepara il caffé, Judith prima di venire nella sala si sistema addosso una giacca molto colorata. Mi canta l’Inno alla gioia che faceva parte del Frankenstein. Spero che Giacomo la stia riprendendo. Un momento di grazia. Molta tranquillità. Il pomeriggio si preparano ad accogliere bambini delle scuole per il laboratorio su Resistance. Mi dice che lo porteranno in forma di oratorio col titolo Resist Now! a Genova 2001.


The Moloch Machine a Genova.

Né io né Judith né Giacomo potevamo immaginare in quel momento quale carneficina ci sarebbe stata, la morte di Carlo Giuliani, il ferimento da parte della polizia di tanti attivisti pacifisti.

Il laboratorio del Living Theatre a Livorno

Qualche foto.

Resist! e la sincerità di Dirk
Ho conosciuto Dirk Szousies, che mi ha molto colpito per la sua forza e la sua sincerità. Uscito dal Living alla morte di Beck, ne lascia forse il ricordo più straziante nel suo film Resist!, uno deidocumentari più belli che siano mai usciti non solo sul Living ma sulla storia di una compagnia teatrale. Le immagini di Judith sulla tomba di Beck. Non riesco a non abbassare lo sguardo rivedendo quei passaggi così drammatici. Dirk spiega il suo allontanamento dal gruppo: “Pensavamo che il Living fosse finito con Julian”. Una grande sincerità e poesia guida questo film. La povertà del Living non rendeva possibile mantenere una compagnia così numerosa e i tentativi di rifare il repertorio fallirono miseramente. Molti, dice Dirk, abbandonarono il gruppo e tornarono nei loro Paesi; il Living non poteva neanche assicurar loro un biglietto aereo…

 

In memoriam Judith Malina, text by Hans Echnaton Schano (Living Theatre)
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Now that Judith Malina has passed on, so much will be said about her founding of the Living Theatre and about all of her known achievements. There might even be voices of criticism questioning whether her work was successful or not, but the genius that was Judith Malina will supersede all of that.

Judith was a thinker, a doer, and a knower.

She never stopped to think about the truth of a matter until it could take on a clear form and only then would she insist that now something had to be done about it.

She helped us to understand how our highest ideals are bound and coopted by self-serving power structures and how we could resist.

She let us see how the means to end the violence amongst people can be discovered through nonviolent activism.

She led us to a threshold where we had to choose between destruction and creation.

Her unstoppable conviction that people can change shook us awake.

Her enormous despair was the truthful expression of her not ignoring human suffering at any time.

She called on us to feel the pain that our ignorance causes others, so that it may move us to understand and transform its causes.

With her authenticity and her undeterred will to stand up for and voice what is right, she has created a vision of the beautiful nonviolent revolution that will live on and grow until it becomes a reality. She knew that it has to if present humanity is to survive.

 

Hans Echnaton Schano è stato membro del Living Thetre, Polinice nell’Antigone, attore-creatore in Frankenstein, Paradise Now, Masse Mensch, The Yellow Methusalem, nel ciclo brasiliano.
Poeta, scrittore, attore teatrale, televisivo e cinematografico, raffinato performer, dopo l’esperienza travolgente e unica del Living degli anni Sessanta e Settanta, seguendo l’onda di alcuni pensatori che ebbe la fortuna di conoscere personalmente, da Marcuse a Paul Goodman, da Steve Ben Israel a Jody Williams, ha continuato l’attività teatrale che lo ha portato in 17 paesi del mondo recitando in 6 lingue. In Austria ogni anno crea un evento in memoria di Hiroshima e Nagasaki.

 

 

E’ morta Judith Malina, anima del Living Theatre. Un ricordo.
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Oggi è un giorno triste per il Teatro perché è morta una delle sue anime più belle e rappresentative, Judith Malina, fondatrice con Julian Beck del Living Theatre.

Il suo lavoro ha inciso profondamente nella mia vita di studiosa, l’ho seguita in molte occasioni, sono stata con lei a Rocchetta Ligure per intervistarla, ho catalogato i materiali video dell’archivio italiano, ho discusso diverse tesi su di loro e infine ho scritto un libro Frankenstein del Living theatre con una introduzione di Judith. Ho organizzato convegni, incontri, presentazioni e la segui per molte tappe del suo tour quando fu pubblicato THEANDRIC su Julin Beck dalla casa editrice Socrates di Fabrizio Pozzilli.

Come omaggio vorrei riprendere un mio articolo di quando venne alla Spezia. Lei e Hanon Reznikov lessero alcuni brani dal loro storico spettacolo ANTIGONE e poi lei lesse alcune poesie dal suo libro LOVE AND POLITICS: mi fece una dedica che ho nel cuore:

For Anna Maria
who has understood so much
of what we are trying to do

Qualcosa nel teatro oggi si è interrotto inesorabilmente.

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31 luglio 2003

Labirinto dell’immaginario è un reading poetico molto speciale con poesie di Reznikov, Malina e Beck; aveva debuttato a Napoli, Castel Sant’ Elmo, a luglio, in occasione della omonima mostra-omaggio a Julian Beck, ideata dalla Fondazione Morra

Inizia una raggiante Malina con una sua poesia tratta dalla recente raccolta Love and Politics, in cui la visione libertaria della vita genera una nuova classicità:

While off the isle of Cyprus in a boat,
I saw the heaf of Aphrodite afloat,
And told her I’m an Anarchist and do not vote.
She answered, “That’s all right”.
(…)
“Oh stay!” I cried. “There are so many things
we should discuss: the power of unnecessary kings,
The sexual oppression of which Sappho sings…”
But she sank out of sight.

Ancora ricordi in forma di poesia di Julian Beck tratti dal suo testamento poetico e postumo, La vita del teatro, letti alternativamente da Reznikov e Malina.
Malina interrompe le letture per spiegare il significato del “teatro politico” secondo il Living e l’eredità che ha raccolto dal maestro Erwin Piscator, “il cui pensiero ha toccato le sperimentazioni sulle forme artistiche contemporanee”. Malina amava molto le costruzioni scenografiche “tecnocratiche” di Piscator, ricche di strutture a più piani, di pareti di proiezione per diapositive o film: “Oggi forse avrebbe fatto spettacoli con ologrammi!”. Il vero lascito di Piscator secondo Malina è che “oggi il teatro si può fare ovunque”; grazie alla sua idea di “teatro totale”,

tutto quello che facciamo nella nostra vita quotidiana è davvero un momento di teatro, ma non nel senso che è finzione ma che è azione drammatica, rinnovato e consapevole modo di essere.


Ancora sull’impegno dell’attore, seguendo il pensiero di Piscator Malina ricorda:

Il lavoro del regista è effimero, il lavoro dell’attore è nella testa; quando un attore entra in scena qualcosa succede, c’è un senso elevato in questo comunicare a teatro con altre persone, è un modo più intenso di vivere, è come vivere un più alto senso di realtà. Dobbiamo avere qualcosa di importante da dire, qualcosa di bruciante per noi, non ci deve essere culto della personalità né egoismo.

C’è una frase di Piscator che Malina cita nel suo diario datato 1947-1957 e che mi piace ricordare: “Vorrei fare di ogni attore un pensatore e di ogni drammaturgo un combattente”.
E racconta la scoperta “della bella storia degli anarchici” da cui ha appreso “come è possibile organizzare tutta la nostra vita da un altro punto di vista che non sia quello del potere e del profitto” e che ha portato lei e Julian Beck a quella forma di “rivoluzione permanente” che è il loro teatro, “teatro migliorativo”, “teatro della consapevolezza sociale”. Pochi minuti per sintetizzare una vita e un’idea di teatro ancora “living” da 56 anni. Vengono in mente le migliaia di riflessioni sul pacifismo, sulla libertà, contro la guerra e tutte le forme di oppressione e prigionia che animano i diari suoi e di Beck, le “notes” agli spettacoli, alcuni dei quali mai pubblicati o mai tradotti in italiano, altri resi pubblici da piccole case editrici anarchiche.

Il diario 1947-1957 di Malina offre una testimonianza straordinaria sulle vicende personali e storiche, un interessante mescolarsi di letture interiori, riflessioni sugli eventi quotidiani, squarci degli avvenimenti dell’epoca. La ricerca del lavoro e la ricerca di uno spazio dove aprire un teatro, la scelta del repertorio, la nascita del figlio Garrick, la conoscenza di William Carlos Williams, Allen Ginsberg, Jackson Mac Low e ee cummings, l’uccisione di Gandhi il 31 gennaio 1948, il timore di un nuovo conflitto mondiale in pieno clima di guerra fredda, l’ondata anticomunista e le leggi restrittive di Joseph Mac Carthy sull’attività sindacale e sull’attività politica, la Bomba H fatta esplodere in un atollo del Pacifico che quasi convinse Beck a partire per l’Europa, il costante timore di arresti per il proprio credo politico, la guerra in Corea, l’arresto durante una manifestazione pacifista insieme con Doroty Day del sindacato dei lavoratori Catholic Workers, la descrizione delle condizioni delle detenute e del livello di solidarietà e di aggregazione.


Con Hanon dànno poi, sul palco, corpo e voce attraverso la poesia, all’immagine anarchica di Utopia che “non sta in nessun luogo perché non è un punto ma una linea dove dirigersi” e sorprendono il pubblico con la decisione di mettere in scena anche alcuni brevi frammenti dell’Antigone, considerato universalmente lo spettacolo-manifesto del pacifismo. Vengono in mente i recenti bombardamenti sull’Iraq in nome dell’Impero.
Ci piace riportare la sequenza del dialogo tra Creonte e Antigone nella traduzione di Judith Malina (New York, Applause Theatre Book Publishers, 1990) recitata in inglese alla Spezia:

KREON
Do you admit or you deny that you did it?

ANTIGONE
I say that I did and I don’t deny it

KREON
Now tell me, and be brief:
are you aware of what was announced
in the open city about this particular corpse?

ANTIGONE
I knew it. How could I help you. It was clear enough.
(Guarda intensamente il pubblico e coglie il singolo sguardo dello spettatore)

KREON
And yet you dared to break my law?

ANTIGONE
Just because it was your law, a human law,
that’s why a human being may break it – and
I am just as human as you and only slightly more
mortal. And if
I die before my time, I think it’s
because it has its advantages; when you’ve lived
the way I have, surrounded by evil, isn’t there some
slight advantage in death? And further, if I had my mother’s
dead son lie unburied
that would have made me unhappy; but this
does not make me unhappy. And if seem crazy to you
because I fear the judgement of heaven,
which hates the bare sight of mangled bodies,
and I don’t fear your judgement,
then let a crazy judge judge me.

KREON
The toughest iron yelds
and loses its stubbornness, tempered
in the ovens. It happens every day.
But this one here enjoys
making fun of the laws of the land.
And to top this impertinence, now that
she’s done it. I hate that: when somebody’s
caught in a crime and tries to make it look pretty.
And yet, though she insults me in spite of our family ties,
I’ll be slow to condemn her because of our family ties.
Therefore I ask you: since you did it in secret
and now it’s out in the open, wouldn’t you say,
to avoid severe punishment, that you’re sorry you did it?
Tell me why you’re so stubborn.

ANTIGONE
To set an example.

KREON
Doesn’t it matter to you that I have you in my hands?

ANTIGONE
What more can you do to me, since you have me, than kill me?

KREON
Nothing more. But having this, I have all.

ANTIGONE
What are you waiting for? I don’t like
what you’re saying and I won’t like what you’re going
to say.
And I know you don’t like me either.
Thought there are those who do, because of what I did.

KREON
So you think there are others who see things as you do?

ANTIGONE
They see it too and they are moved by it
(indicando il pubblico)

KREON
Aren’t you ashamed to claim their support without asking?

ANTIGONE
There’s nothing wrong in honoring my brother.


Malina termina con il ricordo in forma di poesia, dell’incontro con il suo principe, Julian Beck, quando ancora diciottenne lavorava in una lavanderia e sognava l’Arte del Teatro:

Every one of the cleaning women
dreamt of something else
when she was seventeen.
They smile, they joke, they sigh,
in their smocks and comfty shoes –
They try not to recall the plans
for a miracle or a marriage.
(…)
When I was eighteen and worked
in the laudry counting
the dirty wash, I dreamed
that the prince would come.
And he come. And that my talent and ardor
woud rescue me from listing:
Five napkins – 8 pieces underwear –
rescue, and lead to a privileged life.

And I was the fortunate one,
leading a privileged life – rescued
from smock and broom, and now my friends
ask me why I’m so sad when I see the cleaning women
laughing as if it were nothing.

“You and your Jewish guilt”
“But somebody has to do it”.

But every one of the cleaning women
dreamed that it wouldn’t be she.


Alla fine dello spettacolo Judith e Hanon raggiungono il foyer interno del teatro dove sono stati ricavati i camerini e dove sono raggiunti da una telefonata in diretta da Radio 3 per un’intervista.

Portovenere-Le Grazie, 1° agosto 2003

Abbiamo appuntamento alle 19 all’Hotel Paradise a Portovenere, che ha una splendida terrazza sul Golfo; porto il liquido per le lenti a contatto che Hanon mi aveva chiesto per telefono la mattina; il personale dell’Hotel chiede loro il permesso di fare una fotografia. E in disparte a me, di scrivere i loro nomi su un foglio.
Dico a Judith e Hanon che la serata della Spezia era stata davvero emozionante per tutti e che il pubblico aveva partecipato con passione sincera: “Molti ci hanno detto questo, c’era in effetti un clima particolare”.
Iniziamo a parlare dell’attualità dell’Antigone, per rilanciare il significato urgente della pace. Sull’attualità del testo di Sofocle Malina ci dice che

è sempre il tempo giusto per fare Antigone perché le guerre sono sempre in corso. Era il tempo giusto per l’Antigone quando ci avevano chiamato in Israele nel 1982 e scoppiò la guerra in Libano; era il tempo giusto per un’Antigone «clandestina» quando negli anni Ottanta eravamo in Polonia ad appoggiare il gruppo di Solidarnosc e Havel era in prigione. Con tutti i problemi del mondo non c’è però motivo di perdere la speranza.

Mi parlano con entusiasmo della grande mostra di Napoli, del catalogo “grande come un elefante” che la Fondazione Morra ha realizzato per l’occasione. Oltre ai materiali storici ci sono installazioni visive e sonore di artisti contemporanei, mentre fino a settembre il programma prevede performance, concerti legati alla memoria, diretta o indiretta, del Living Theatre e di Julian Beck. Porteranno alcune di queste opere anche a New York, nel nuovo spazio che stanno costruendo: