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The plot is the revolution-video doc di Motus in memoria del LIVING THEATRE
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Un documentario a cura di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, con Judith Malina, Silvia Calderoni, Tom Walker e Brad Burgess. Inserito nel programma HELLO STRANGER, il progetto speciale che la città di Bologna dedica a Motus in occasione dei 25 anni di attività. Un percorso nella poetica della compagnia riminese con spettacoli, installazioni, film, incontri verso direzioni inesplorate, alla ricerca di ogni “altro” possibile.

Motus è un gruppo teatrale nomade e indipendente fondato nel 1991 a Rimini da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, che non concepisce frontiere tra Paesi, generi e forme artistiche. Ha realizzato spettacoli teatrali, performance, installazioni e workshop partecipando a grandi festival internazionali.

#hellostranger #motus25

 

Il documentario è il montaggio di una serie di materiali video inediti delle prove al Teatro di Clinton Street di New York dell’estate 2011. Questo backstage è la storia di un innamoramento e della caduta progressiva di barriere fra due compagnie e due attrici che sono entrate in telepatica simbiosi. Il tutto avvenne in quella sala che purtroppo oggi non esiste più: nel febbraio 2013 il Living è stato sfrattato e Judith Malina trasferita nel New Jersey, in una casa di riposo per anziani attori, dove ha trovato la morte, serenamente, il 10 aprile 2015.

 

Regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
riprese Daniela Nicolò
montaggio Iolanda Di Bonaventura
con Judith Malina, Silvia Calderoni, Tom Walker e Brad Burgess.
Produzione Motus

Foto:

Motus, The Plot is a revolution- vido doc foto di Tiziana Tomasulo

 

Archivio Living Theatre. Una nota inedita di Judith Malina
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Nel 2005 mi apprestavo a organizzare le celebrazioni in memoria di Julian Beck per i vent’anni della scomparsa. Scrissi a molti componenti del Living che conoscevo personalmente se volevano lasciarmi una memoria. E naturalmente scrissi a Judith. Che mi inviò una nota attualmente inedita.

Sto ancora elaborando un lutto drammatico. E pian piano dall’archivio ritrovo le immagini belle della mia scoperta del Living e della sua anima gigantesca: Judith Malina.

Dedicato a Julian Beck
Un testo per Anna Maria Monteverdi
di Judith Malina 
Quello che Julian Beck vide e fece con la sua arte e con la sua vita continua a mostrarci la strada. I suoi dipinti sono astratti perchè vide nello splendore delle forme e nei colori della vernice la liberazione dalla necessità di imitare e l’affermazione della loro propria realtà. La sua poesia canta il suo tormento e la sua estasi personale e ci esorta a osare sperimentare gli estremi della passione. Il suo teatro è politico perchè venne come Avilokitesvara alle Porte di Nirvana dove udì le grida della sofferenza umana e sentì il desiderio di rendere utile la sua arte per diminuire quella sofferenza. Ora non ha bisogno delle nostre lodi. Vuole che prendiamo il prossimo passo verso quel mondo più libero, meno penoso, più sexy, più tenero che lui ideò. Sì! Ma che conduca all’azione.

Judith Malina, October 2005

 

Mysteries del Living Theatre, o della poesia dei cinque sensi a teatro
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Mysteries and Smaller Pieces venne allestito per la prima volta dal Living Theatre il 26 ottobre 1964; il testo verrà trascritto soltanto nel 1969.


Mysteries and Smaller Pieces, The Chord.

L’occasione per un nuovo spettacolo che partisse dalle esercitazioni tecniche quotidiane della compagnia, dopo il successo di The Brig, l’allontanamento forzato dal loro teatro per inadempienze economiche e l’approdo in Europa come “esiliati”, è data dalla richiesta di una nuova creazione a opera dell’American Centre for Students and Artists di Parigi.


The Brig (foto di Riccardo Orsini).

Lo spettacolo è articolato in nove scene che coinvolgono i corpi e i cinque sensi di attori e spettatori: The Brig Dollar; il Raga; l’Incenso; Street Songs; il Coro; il Respiro; Tableaux vivant; Suoni e movimento; la Peste. La trama insegue sottilmente ma senza dialoghi o finzioni narrative, il tema dell’individuo incatenato in una società retta da rigidità militari, violenza e denaro, all’eterna ricerca di una trasformazione interiore.


Mysteries and Smaller Pieces (Rufus).

Mysteries dalla première di Parigi del 1964, durata tre ore e terminata con un pezzo di free jazz, è anche l’unico spettacolo rimasto ininterrottamente in repertorio sino a oggi, con riprese “parziali e non ortodosse” e con modifiche anche sostanziali quali l’introduzione dell’apporto diretto del pubblico a partire dalla versione di Bruxelles (1965), secondo la testimonianza di Cathy Marchand, membro del Living Theatre dal 1980. Concepito inizialmente non come spettacolo ispirato a un testo ma come semplice visualizzazione di esercizi tecnici teatrali e per la meditazione e come montaggio di scene da spettacoli precedenti, Mysteries è attualmente utilizzato dal gruppo per seminari e dimostrazioni di lavoro attoriale: viene usato infatti come riferimento per la tecnica dell’improvvisazione e per l’addestramento all’ensemble, il cosiddetto “passaggio del movimento” presente nella sezione centrale dello spettacolo, che ha come riferimento una tecnica artistica ideata da Lee Worley e Joe Chaikin – quest’ultimo ex membro del Living Theatre e fondatore dell’Open Theatre – che ne avevano insegnato la tecnica ai Beck.
Certamente ogni ripresa dello spettacolo equivale a una sua modificazione di senso, o meglio a una sua attualizzazione e ridefinizione nel tempo storico: nella versione del 1991 ad opera di Serena Urbani in occasione della Prima Guerra del Golfo, per esempio, lo slogan Stop the War! assunse le caratteristiche di una rivolta antimilitarista fondamentalmente antiamericana.


Mysteries and Smaller Pieces.

Centrale nel lungo percorso biografico e artistico del gruppo la data di nascita dello spettacolo, cronologicamente collocato tra l’incarcerazione dei fondatori Julian Beck e Judith Malina al Passaic County Jail del New Jersey per debiti fiscali, l’allestimento di The Brig, ispirato ai principi del teatro della crudeltà artaudiana – e di cui rimarrà significativa memoria nella prima delle nove sezioni dello spettacolo – e l’allestimento del Frankenstein, inno anarchico alla creazione dell’Uomo Nuovo. Fondamentale per la storia del teatro il rivoluzionario principio formale fondativo appena inaugurato (la creazione collettiva rispondente alle esigenze della neo nata formazione del numeroso gruppo in comune anarco-pacifista ispirata agli ideali enunciati in Communitas da Paul Goodman) e potente il motivo ispiratore (la rigidità del sistema equivalente alla rigidità cadaverica del teatro-peste di Artaud). Il Living Theatre sarà in Italia – diventata loro terra di adoazione – quasi stabilmente a partire proprio dal 1964: Mysteries verrà rappresentato tra il 1964 e il 1966 in numerose città italiane: Roma, Trieste (dove diversi membri del gruppo verranno arrestati per oscenità), Napoli, Firenze, Venezia (all’interno della Biennale del 1965, dove proporranno anche la prima di Frankenstein), Parma, Catania, Bologna, Reggio Emilia, Trento, Milano, Torino, Bari, Genova, Rimini, Lecco.


Mysteries and Smaller Pieces (foto di Riccardo Orsini).

Si parlerà per Mysteries come di un brillante esempio di “spettacolo-che dura” secondo una bella espressione di Ruffini, di “teatro totale”, di “spettacolo-manifesto” (P. Biner, Il Living Theatre, Bari, De Donato, 1969, p. 115).


Antigone.

Ma quale spettacolo del Living non è stato un manifesto? Antigone, manifesto del pacifismo; The Brig, manifesto del teatro della crudeltà artaudiano, Paradise Now, la Rivoluzione a teatro.


Paradise Now (Judith Malina).

Mysteries non ha un vero testo, così come non ci sono ruoli, ma oltre ai famosi slogan pacifisti, al suono del raga indiano, al contagio endemico da attore a spettatore della peste – immagine dell’invivibilità della società contemporanea secondo Artaud – e ai Tableaux vivants degni di un teatro-immagine, contiene alcune presenze poetiche: il poema The Brig Dollar (che enuncia le parole contenute nella banconota da un dollaro scritta da John Harriman) e le Street Songs di Jackson MacLow.
Forse vale la pena ricordare che la prima sede del Living Theatre, quella del magazzino della 101a strada (marzo 1954-novembre 1955), era caratterizzata proprio dalla presenza di serate poetiche di cui erano protagonisti come autori, lo stesso Jackson MacLow o William Carlos Williams.
MacLow, tra i principali artisti Fluxus statunitensi, è di fatto, una presenza importante nella vita e negli spettacoli del Living, come autore e come amico nelle lunghe discussioni sull’anarchismo a partire dal 1950, anno molto significativo per la formazione politica e ideologica dei Beck perché a seguito della lettura di articoli e testi dalla rivista “Resistance” sposeranno definitivamente le tesi libertarie. Paul Goodman, filosofo e scrittore anarchico (autore di libri tra cui Autorità e individuoche molto influenzerà i Beck) era chiamato da Julian Beck “il nostro poeta in sede” (J. Malina,Diaries, p. 25). Un periodo decisamente ricco di collaborazioni, di connubbi artistici e umani, poco conosciuto ma riccamente documentato dai Diari della Malina datati 1947-1957 e dai primi scritti di Beck. L’amicizia con i poeti della Beat Generation, soprattutto Allen Ginsberg, Gregory Corso, Jack Kerouac, Michael McClure e John Giorno, aveva creato successivamente intorno alla seconda (e mitica) sede del Living, quella della 14a strada inaugurata nel 1957, un clima davvero creativo e “underground”, soprattutto se pensiamo che era collocato nel Greenwich Village, adiacente a vari locali storici della nascente cultura alternativa. Dunque Mysteries mantiene con la prima fase del teatro del Living, il cosiddetto “teatro di poesia” (De Marinis, 1995), un primo significativo legame; mentre la folgorazione dei Beck dal libro di Antonin Artaud tradotto in America da M.L. Richards (che sarà una degli artisti presenti al famoso Untitled event del 1952 ideato da John Cage alla Columbia University) produrrà la memorabile scena della peste descritta da Artaud non in un testo teatrale ma all’interno del saggio Il teatro e il suo doppio.


Bernando Bertolucci sul set di Amore e rabbia.

Il regista Bernardo Bertolucci assistette alla prima di Mysteries a Parigi nel 1964 e il suo incontro con Julian Beck fu importante: chiese agli attori del Living di interpretare, con la tecnica di improvvisazione vista proprio in Mysteries, Agonia, episodio del film collettivo Il fico infruttuoso che parlava degli ultimi attimi di vita di un santone con i tentativi da parte dei suoi adepti di riportarlo in vita.
Questo il ricordo di Bertolucci:

Volevo lavorare con il Living Theatre sin da quando fui abbastanza fortunato da essere presente alla prima diMysteries nel 1964 che, ricordo, produsse in me la più profonda e forse l’unica emozione reale che io abbia mai provato a teatro. Quando incontrai Julian Beck fui immediatamente e irresistibilmente sedotto dalla sua straordinaria intelligenza come da una specie di spiritualità che egli trasudava fisicamente.

Questo lo schema dei seminari che il Living Theatre propone ancor oggi in tutte le parti del mondo a partire da Mysteries:

MYSTERIES
I direttori del Living, Judith Malina e Hanon Reznikov, annunciano la creazione di un laboratorio di cinque giorni che offre ai partecipanti la possibilità di studiare diverse forme di espressione teatrale per poi poter recitare per un pubblico uno spettacolo “classico” della compagnia. Mysteries and Smaller Pieces, che esplose sui palcoscenici dell’Europa nel 1964, fu il primo spettacolo visto al mondo che eliminò tutti gli elementi tradizionali del teatro. Si tratta di uno spettacolo essenziale, senza personaggi fittizi, senza trama, senza scenografie, senza costumi, senza effetti luci. Invece, gli attori del Living presentarono una serie di riti drammatici, creata dal gruppo in maniera collettiva, sotto la direzione della stessa Malina e di Julian Beck, il co-fondatore del gruppo, che scomparve nel 1985.


Mysteries and Smaller Pieces: “The Body Pile”.

Il laboratorio, condotto da Malina e Reznikov, propone Mysteries come un ottimo veicolo per insegnare la pratica del teatro di ricerca a quelli che desiderano un’esperienza diretta nel campo. Lungo l’arco dei cinque giorni di lavoro (per quattro ore al giorno), i partecipanti impareranno l’improvvisazione, l’espressionismo artaudiano, il teatro politico di Brecht e di Piscator, l’uso dello yoga in scena e l’importanza primaria dell’ensemble nella recitazione. E siccome è sempre stato il parere del Living Theatre che non si può arrivare a capire il significato fondamentale del teatro senza l’incontro esistenziale con il pubblico, il laboratorio finisce con una vera e propria rappresentazione dello spettacolo, recitato nella sua forma originale e integrale dai partecipanti stessi. Il programma di lavoro è il seguente:
giorno 1 – introduzione al Living Theatre – il respiro yoga – l’improvvisazione
giorno 2 – l’espressione corporale – tableaux vivants – i cinque sensi nel teatro
giorno 3 – il teatro politico – l’addestramento dell’ensemble vivente – il canto indiano
giorno 4 – il teatro e la peste – l’incontro diretto con il pubblico – il mistero del silenzio
giorno 5 – prova generale e spettacolo

Mysteries come Misteri medioevali, come la ritualità dei Misteri cristiani senza la liturgia della parola ma unicamente del corpo. Corpo collettivo, corpo sociale.
Di Mysteries abbiamo alcune documentazioni con firme “eccellenti”, tra cui quelle del filmaker e critico lituano Jonas Mekas, regista indipendente, fondatore del Filmakers’ cooperative e già regista di The Brig e di altre registrazioni, alcune delle quali mai riversate in forma di film.

Il film Street Songs girato in 16 mm (del 1966, ma montato soltanto nel 1983) documenta brevemente la sezione più poetica dello spettacolo; quella – su stessa ammissione di Mekas – che lui più aveva amato nella rappresentazione del 4 agosto 1966 al Festival di Cassis:

Street Songs è la registrazione realizzata in Francia di una sezione dello spettacolo Mysteries and Smaller Pieces del Living Theatre. Basata su uno scenario determinatamente cambiato scritto da J. McLow nel 1961,Street Songs, mischia canti politico-militanti attraverso suoni mantra. Julian siede a gambe conserte in mezzo ad un palco vuoto; le frasi che ripete: ‘Liberate tutti gli uomini! Bandite le bombe! Fermate la guerra! Liberate i neri! Cambiate il mondo!’ sono sia meditazioni sia richiami all’azione, come una folla di voci che rispondono a ogni frase mentre gli attori salgono sul palco e si mettono in cerchio, battendosi uno con l’altro la schiena e intonando collettivamente ‘Om’… L’insieme dell’urgenza politica con la misticità umana è data dalle immagini drammatiche in bianco e nero di Mekas che pulsano in modo vitale date dal movimento e dagli zoom della cinepresa che si alterna nel mostrare sia la parte più sociale – il gruppo – sia quella più personale – una faccia, una mano. (Sally Banes, “The Village Voice”, 18 ottobre 1983, traduzione di Patrizia Daturi)

Recentemente Jonas Mekas ha montato in film nuovi materiali d’archivio sullo spettacolo accompagnandoli con la musica originale di Philip Glass: Mysteries 1966-2002.
La fondazione del New American Cinema a opera di Mekas e di cui farà parte John Cassavetes (autore di Shadows uno dei massimi successi underground, e soprattutto Shirle Clarke autrice di The Connection ispirato all’omonimo spettacolo del Living Theatre), il nascente clima underground, ifilm-diaries e i documentari di Mekas e compagni su tematiche di disagio spesso senza sceneggiatura e a basso costo, ben si adattavano all’ideologia politica e artistica del Living, che spesso ne era addirittura protagonista o soggetto ispiratore. La posizione di rifiuto di Julian Beck rispetto al teatro commerciale di Broadway, come si legge dal suo libro La vita nel teatro, ha evidenti analogie con i proclami anti-hollywoodiani presenti nei quattro saggi pubblicati da Mekas su “Film culture” agli inizi degli anni Cinquanta, che inneggiavano a una nuova generazione sperimentale di filmaker indipendenti. Una nuova linea artistica produttrice di istanze rivoluzionarie contrarie alle logiche mercantili dell’arte accomuna il cinema e il teatro di questi anni: dal free theatre al free cinema. Così Mekas:

Oggi, il bisogno di una approfondita ricerca riguardo gli standard estetici che raggiunga sia i film-makers che il pubblico per una completa revisione delle attitudini delle funzioni del cinema, ha assunto proporzioni più che mai di sfida. Le creazioni cinematografiche tendono ad essere avvicinate primariamente come merce, e gran parte del pubblico – per il quale andare al cinema è ancora semplicemente un passatempo – rimane spogliato del pieno significato dell’arte filmica. (“Film culture”, gennaio 1955; sul cinema underground, vedi A. Leonardi,Occhio mio Dio, Milano, Feltrinelli 2003 (nuova edizione); e inoltre http://web.tiscali.it/cinema_underground/)

In Meditazione I, 1962 Julian Beck sostiene la nascita di un nuovo teatro che rompa con la letteratura e con la produzione di beni per piaceri effimeri:

La falsità degli ideali. Morte da Broadway. Abiti ideali, conversazione ideale. Morte da compromesso. Morte sicura da lusso e da mancanza dello stesso. Aspetti della scena che non rappresentano il mondo ma vanità. E’ contro questa vanità della scena che ci siamo trinceratti, ancora senza sapere che utensili usare, né come usarli, insicuri, senza spirito, armata scalza di sbandati.
Il teatro di Broadway non mi piace perché non sa come dire Ciao. Il tono della voce è falso, i manierismi sono falsi, il sesso è falso, ideale, il mondo hollywoodiano della perfezione, l’immagine asettica, i vestiti bel stirati. Il culo ben strofinato, inodore, inumano, dell’attore di Hollywood, della star di Broadway. E’ il terribile falso sporco di Broadway, i bassifondi di uno sporco, imitato, impreciso.

Una testimonianza di Mysteries è presente anche nel film Se l’inconscio si ribella di Alfredo Leonardi, regista e protagonista della stagione del cinema sperimentale romano degli anni Sessanta e Settanta.Mysteries è una presenza emblematica all’interno del film, che testimonia l’interesse e l’affetto di Leonardi (come già in Living and Glorious) per una comunità di artisti che hanno rivoluzionato il linguaggio teatrale con un nuovo approccio che tentava di coinvolgere gli spettatori nel modo più intenso, diretto e autentico possibile.

 

Archivio Living Theatre. Il mio Living ha…25 anni
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Il mio Living ha quindici anni. Frammenti di un diario teatrale (2005)
di Anna Maria Monteverdi


Paradise Now.

A Pisa! A Pisa!
Ho cominciato a occuparmi del Living quando avevo vent’anni, alla fine degli anni Ottanta, dopo la morte di Julian Beck. O per meglio dire, a vent’anni ne sentii parlare per la prima volta a lezione all’Università di Pisa da Fernando Mastropasqua quando ancora qualcuno dentro il nostro Dipartimento si preoccupava di spiegare la grande stagione della neoavanguardia teatrale. Con me Giovanni Guerrieri dei Sacchi di sabbia e tra quelli della generazione successiva, Mauro Aprile e Erica Magris che hanno intrapreso o la carriera di registi teatrali e cinematografici o quella dello studio e della ricerca.

La mia generazione ha imparato a conoscere il Living dalle repliche di Mysteries, da Utopia, dai laboratori con Judith, Hanon e Tom Walker, quelli di Cathy Marchand e quelli di Gary Brackett. Dai video e dai film degli spettacoli e dai libri. Nel 1995 Mastropasqua ospitò a lezione Judith e Hanon in una giornata che fu davvero memorabile, professori e studenti per la calca si sedettero insieme per terra o sui banchi. Judith spiegò che “viviamo sempre in epoca pre-rivoluzionaria”e raccontò degli incontri nel Teatro della 14a strada con Cage, con i poeti Beat, il suo lavoro con Piscator e l’impegno anarco-pacifista a teatro e nella vita. Ricordo quel bel pranzo preparato al termine della mattinata universitaria dal mascheraio e studioso di teatro greco Ferdinando Falossi nella sua casa pisana. Pranzo rigorosamente vegetariano allestito con una cascata di colori che Judith apprezzò molto.


Paradise Now.

Memorabilia
La passione suscitata dai racconti del loro teatro da Mastropasqua mi convinse a compensare questo ritardo occupando le sale teatrali che ospitavano il nuovo Living o quelle cellule staccatisi negli anni dalla loro costola. Ma non ho mai voluto iscrivermi ai laboratori, pur partecipandoalla loro organizzazione. Osservavo e appuntavo, registravo o tenevo a mente, fotografavo e riprendevo. In maniera caotica, accumulando materiali che diventavano sempre più ingombranti da trasloco a trasloco: cataloghi di Festival, monografie e volumi stranieri, diari, fotocopie di recensioni, tesi di laurea e tutti i video, anche quelli non ufficiali, “non catalogati”.

Bellaria-Theandric
Nel 1994 “Living Picture”, la retrospettiva in film e in video dedicata al Living, di cui fui informata da un trafiletto su “Il manifesto”. Era in maggio, a Bellaria, collegata al Festival di Riccione e al Dams di Bologna, da un’idea di Cristina Valenti una delle studiose di teatro più seriamente impegnate sul fronte Living. Sarebbero stati presenti oltre a Judith e Hanon anche l’editore della Socrates, Fabrizio Pozzilli che proprio quell’anno aveva pubblicato in una veste ricchissima di fotografie inedite, l’edizione italiana di Theandric, curata da Gianni Manzella, con un’appendice di immagini dei quadri di Beck. Scattai varie foto nel gazebo all’aperto in occasione della presentazione di Theandric e presi molti appunti; trovai queste stesse note straordinariamente utili per il mio libro sul Frankenstein anni dopo. Da quell’anno Mastropasqua divenne il “presentatore” ufficiale di Theandric a Milano, a Prato, a Modena, a Roma, alla Spezia, oltre che amico carissimo di Pozzilli.
Quella retrospettiva fu l’inizio del mio viaggio verso il Living Theatre. Antonio Costa, responsabile della sezione audiovisivi ci permise di visionare in privato durante la manifestazione, l’Antigone. Credo che fu proprio quella visione “pirata” dentro una piccola sala non oscurata, dell’Antigone televisiva di Bari che sostituiva l’amaro ricordo della versionemalconcia della Biennale di Venezia, a folgorarci e a convincere me e Fernando a inseguire con maggiore ostinazione la meravigliosa storia di questo gruppo.
Un paio di anni dopo mentre tornavo da un concorso di dottorato a Bologna, in treno lessi sull’Unità che Fabrizio Pozzilli, era morto, stroncato da un male incurabile. Compresi il motivo del silenzio a tante nostre lettere. Io e Fernando ci impegnammo per anni a mettere in programma d’esame Theandric e a comprarne copie da regalare ad amici e biblioteche. Fabrizio aveva fatto in tempo a vedere realizzato il suo sogno: quello di pubblicare le biografie degli artisti che amava. Tra questi Julian Beck e John Cage.


Christmas Cake for Hot Hole and Cold Hole

(Torta di Natale per buco caldo e buco freddo) in una favela di Rio de Janeiro (1970).

Biblioteche e “Lost and Found”.
Ho sempre amato cercare materiali del Living in ogni biblioteca in cui mi trovavo. Alla Biblioteca di Arti dello Spettacolo dell’Arsenal di Parigi, nel quartiere della Bastiglia ho consultato alcuni dattiloscritti dell’epoca della presenza del Living a Parigi nel Sessantotto, mentre la direttrice mi metteva a disposizione un leggìo in legno e un segnalibro in stoffa imbottita. A Montréal, alla Biblioteca Cittadina e in quella universitaria di Québec City fotocopiai alcuni testi tra cui una tesi di laurea degli anni Settanta su Marcuse e il Living.
Gli amici poi, negli anni mi hanno aiutata a racimolare materiali sul Living: Fernando si separò dalla locandina di Paradise Now con il famoso diagramma, Andrea Balzola mi lasciò un’edizione rarissima stampata in numero limitato da una tipografia anarchica di un libretto sul Living datato novembre 1966; un bibliotecario di New York mi lasciò il diario di Judith The enormous despair destinato al macero con ancora annotate le persone che negli anni lo avevano preso in prestito. Giacomo Verde mi fece avere il libretto sulle Sette meditazioni e mi rilegò il copione del Frankenstein che mi ero fatta spedire da New York. Luca Fregoso, fotografo spezzino presente alla Biennale di Venezia negli anni Settanta, mi regalò incorniciata, una stampa in bianco e nero di un suo ritratto inedito di Julian Beck, fotografia che ho portato sempre con me in ogni trasferta. Almeno fino a quando non decisi di regalarla così com’era, con il suo vetro e la sua polvere, a Judith che a sua volta l’appese per due anni nella cucina di Rocchetta e una volta smantellata la sede, la foto è finita nell’archivio torinese dell’Orsa.


Judith Malina celebra il Shabbath al Centro Europeo del Living; al suo fianco Hanon Reznikov.

Viaggi di oggetti! Maurizio Maggiani mi ha regalato la sua copia di Paradise Now comprata quando uscì negli anni Settanta, molto sottolineata e con la copertina tenuta insieme al resto del libro da un elastico. Judith mi ha regalato invece il suo libro di poesie, Love and Politics con una dedica che mi commuove ancora ogni volta che la leggo.


Il Living Theatre a San Francisco alla fine degli anni Sessanta.

Maschera e rivoluzione
Con Mastropasqua abbiamo organizzato conferenze, incontri, proiezioni, retrospettive e pubblicato saggi. A Pisa per due anni di seguito la Biblioteca di storia e cultura anarchica Franco Serantini ci permise di mettere insieme un calendario fitto di appuntamenti sul Living a cui partecipò anche Cristina Valenti (presentandoAntigone e Le sette meditazioni sul sadomasochismo politico), che da poco aveva licenziato il libro-intervista a Judith Malina. Il volume Maschera e rivoluzione, testimonia queste conferenze dedicate alla loro storia, anche quella più recente.
Ospitammo poi Judith e Hanon alla Spezia e introducemmo una serie di incontri che coinvolgevano anche le scuole superiori. Organizzai l’evento con una piccola associazione e mi aiutò un assessore che era anche professore di filosofia. Non sapevamo come avrebbe risposto la città. Ci colpì la folla intervenuta in un luogo dove gli eventi culturali e specialmente teatrali sono evitati come la peste! Venne anche mia madre, coetanea di Judith. Tra gli spettatori il professore di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, prof. Fabio Trombetta che alla fine dell’incontro mi chiese di “venire ad affascinare i suoi studenti” con delle lezioni sul Living Theatre. La proposta era allettante e il modo con cui fui “precettata” davvero originale, proprio nello “stile Living”!
E poi la presenza per tre anni del Living a Livorno con laboratori su Mysteries e spettacolo al Nuovo Teatro delle Commedie dentro il progetto di Mastropasqua “La casa del teatro”.
Livorno accoglie tutti gli anni presentazioni del Living o opere a loro ispirate. Il tecnoartista Giacomo Verde ha creato in occasione dell’inaugurazione del Teatro restaurato nel dicembre 2003, l’installazione interattivaInconsapevole macchina poetica, in cui il visitatore poteva rispondere con la tastiera di un computer ad alcune domande e le risposte si “combinano” sullo schermo alle parole delle poesie di Beck, rendendo così lo spettatore “poeta inconsapevole” perchè “Ognuno è un artista sublime” (J. Beck).


Resistance a Beirut di Marco Santanelli.

Frankenstein, 1995
Per l’Accademia di Carrara decisi di occuparmi del Frankenstein. Hanon mi fece avere una copia della cassetta e passai mesi a decifrare il testo dello spettacolo e a tradurlo. Era il 1995, anno della morte di mio padre e la notte del 14 settembre di quello stesso anno, ad Amman mentre ero ospite in un albergo nel quartiere delle ambasciate, sognai Beck (erano 10 anni esatti dalla sua morte).
La difficoltà più grande nel mio studio fu riuscire a fare un’analisi del Frankenstein completa e storicamente coerente ma ero consapevole che sarebbe stata “filologicamente scorretta” perché prendeva spunto da tutte le versioni differenti di questo spettacolo elaborato dal gruppo collettivamente. Avevo creato un “mostro” Frankenstein che osservavo continuare a crescere e ad alimentarsi di quella “vita inevitabile” a cui un materiale drammaturgico e scenico così intenso era stato sottoposto. Non era scorrettezza filogica. Era la vita organica che si imponeva sul rigore libresco… Quando Gary dice che una delle imprese più straordinarie del Living è stata la “creazione collettiva” rende onore a una modalità tra le più irripetibili inventate dal Living ma anche tra le più difficilmente comunicabili! Ne ho fatto esperienza proprio con il Frankenstein. Una volta avuto il direction book cominciarono i guai: le diverse mani, i ripensamenti documentati dacancellature, riscritture successive e soprattutto le firme collettive impedivano di capire a fondo il procedimento creativo. Che, ho l’impressione, potrà diventare patrimonio di conoscenza reale solo per chi è parte integrante del processo artistico. Qualche anno dopo ho pubblicato un libro che radunava queste ricerche e che per me vale più di ogni altra cosa che ho scritto fino ad oggi perché lo ha stampato non una casa editrice teatrale ma una cooperativa anarchica (la BFS di Pisa) e soprattutto perché porta un’illuminante nota introduttiva scritta da Judith. Conservo ancora la lettera spedita da New York con unpost it giallo di saluti e il simbolo della pace: “Ad Anna, Per amore e Pace”.

Seguite il Living ovunque esso sia
Andai a salutare il gruppo alla fine dello spettacolo Capital changes a Empoli nel 2001 alla sala teatrale del Giallo Mare minimal teatro di Renzo Boldrini e Vania Pucci. Ero con Giacomo Verde, chiesi cosa potevamo fare per loro, ci dissero: “Venite a teatro ovunque siamo”. E così la lunga catena del Living si rigenera e si alimenta con le nuove generazioni di spettatori come un fuoco inestinguibile. Siamo decine di migliaia in tutto il mondo che hanno questo compito di “andare a vedere il Living, ovunque esso sia” ed è una promessa “capitale”!

Rocchetta Ligure, 30 novembre 2000
Per il lavoro sul Frankenstein andai a trovare Judith e Hanon a Rocchetta Ligure, in un autunno di alluvioni del 2000. Mio figlio Tommaso aveva già compiuto un anno. Mi domandavo cosa ci trovavano in questo posto così sperduto tra i monti. Ma mi dovetti ricredere: lo spazio affidato al Living era grande, caldo e accogliente, con varie stanze e sala prove, tutto ricavato all’interno dello storico Palazzo Spinola. Un panorama incantevole. Hanon prepara il caffé, Judith prima di venire nella sala si sistema addosso una giacca molto colorata. Mi canta l’Inno alla gioia che faceva parte del Frankenstein. Spero che Giacomo la stia riprendendo. Un momento di grazia. Molta tranquillità. Il pomeriggio si preparano ad accogliere bambini delle scuole per il laboratorio su Resistance. Mi dice che lo porteranno in forma di oratorio col titolo Resist Now! a Genova 2001.


The Moloch Machine a Genova.

Né io né Judith né Giacomo potevamo immaginare in quel momento quale carneficina ci sarebbe stata, la morte di Carlo Giuliani, il ferimento da parte della polizia di tanti attivisti pacifisti.

Il laboratorio del Living Theatre a Livorno

Qualche foto.

Resist! e la sincerità di Dirk
Ho conosciuto Dirk Szousies, che mi ha molto colpito per la sua forza e la sua sincerità. Uscito dal Living alla morte di Beck, ne lascia forse il ricordo più straziante nel suo film Resist!, uno deidocumentari più belli che siano mai usciti non solo sul Living ma sulla storia di una compagnia teatrale. Le immagini di Judith sulla tomba di Beck. Non riesco a non abbassare lo sguardo rivedendo quei passaggi così drammatici. Dirk spiega il suo allontanamento dal gruppo: “Pensavamo che il Living fosse finito con Julian”. Una grande sincerità e poesia guida questo film. La povertà del Living non rendeva possibile mantenere una compagnia così numerosa e i tentativi di rifare il repertorio fallirono miseramente. Molti, dice Dirk, abbandonarono il gruppo e tornarono nei loro Paesi; il Living non poteva neanche assicurar loro un biglietto aereo…

 

In memoriam Judith Malina, text by Hans Echnaton Schano (Living Theatre)
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Now that Judith Malina has passed on, so much will be said about her founding of the Living Theatre and about all of her known achievements. There might even be voices of criticism questioning whether her work was successful or not, but the genius that was Judith Malina will supersede all of that.

Judith was a thinker, a doer, and a knower.

She never stopped to think about the truth of a matter until it could take on a clear form and only then would she insist that now something had to be done about it.

She helped us to understand how our highest ideals are bound and coopted by self-serving power structures and how we could resist.

She let us see how the means to end the violence amongst people can be discovered through nonviolent activism.

She led us to a threshold where we had to choose between destruction and creation.

Her unstoppable conviction that people can change shook us awake.

Her enormous despair was the truthful expression of her not ignoring human suffering at any time.

She called on us to feel the pain that our ignorance causes others, so that it may move us to understand and transform its causes.

With her authenticity and her undeterred will to stand up for and voice what is right, she has created a vision of the beautiful nonviolent revolution that will live on and grow until it becomes a reality. She knew that it has to if present humanity is to survive.

 

Hans Echnaton Schano è stato membro del Living Thetre, Polinice nell’Antigone, attore-creatore in Frankenstein, Paradise Now, Masse Mensch, The Yellow Methusalem, nel ciclo brasiliano.
Poeta, scrittore, attore teatrale, televisivo e cinematografico, raffinato performer, dopo l’esperienza travolgente e unica del Living degli anni Sessanta e Settanta, seguendo l’onda di alcuni pensatori che ebbe la fortuna di conoscere personalmente, da Marcuse a Paul Goodman, da Steve Ben Israel a Jody Williams, ha continuato l’attività teatrale che lo ha portato in 17 paesi del mondo recitando in 6 lingue. In Austria ogni anno crea un evento in memoria di Hiroshima e Nagasaki.

 

 

E’ morta Judith Malina, anima del Living Theatre. Un ricordo.
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Oggi è un giorno triste per il Teatro perché è morta una delle sue anime più belle e rappresentative, Judith Malina, fondatrice con Julian Beck del Living Theatre.

Il suo lavoro ha inciso profondamente nella mia vita di studiosa, l’ho seguita in molte occasioni, sono stata con lei a Rocchetta Ligure per intervistarla, ho catalogato i materiali video dell’archivio italiano, ho discusso diverse tesi su di loro e infine ho scritto un libro Frankenstein del Living theatre con una introduzione di Judith. Ho organizzato convegni, incontri, presentazioni e la segui per molte tappe del suo tour quando fu pubblicato THEANDRIC su Julin Beck dalla casa editrice Socrates di Fabrizio Pozzilli.

Come omaggio vorrei riprendere un mio articolo di quando venne alla Spezia. Lei e Hanon Reznikov lessero alcuni brani dal loro storico spettacolo ANTIGONE e poi lei lesse alcune poesie dal suo libro LOVE AND POLITICS: mi fece una dedica che ho nel cuore:

For Anna Maria
who has understood so much
of what we are trying to do

Qualcosa nel teatro oggi si è interrotto inesorabilmente.

—————————–

31 luglio 2003

Labirinto dell’immaginario è un reading poetico molto speciale con poesie di Reznikov, Malina e Beck; aveva debuttato a Napoli, Castel Sant’ Elmo, a luglio, in occasione della omonima mostra-omaggio a Julian Beck, ideata dalla Fondazione Morra

Inizia una raggiante Malina con una sua poesia tratta dalla recente raccolta Love and Politics, in cui la visione libertaria della vita genera una nuova classicità:

While off the isle of Cyprus in a boat,
I saw the heaf of Aphrodite afloat,
And told her I’m an Anarchist and do not vote.
She answered, “That’s all right”.
(…)
“Oh stay!” I cried. “There are so many things
we should discuss: the power of unnecessary kings,
The sexual oppression of which Sappho sings…”
But she sank out of sight.

Ancora ricordi in forma di poesia di Julian Beck tratti dal suo testamento poetico e postumo, La vita del teatro, letti alternativamente da Reznikov e Malina.
Malina interrompe le letture per spiegare il significato del “teatro politico” secondo il Living e l’eredità che ha raccolto dal maestro Erwin Piscator, “il cui pensiero ha toccato le sperimentazioni sulle forme artistiche contemporanee”. Malina amava molto le costruzioni scenografiche “tecnocratiche” di Piscator, ricche di strutture a più piani, di pareti di proiezione per diapositive o film: “Oggi forse avrebbe fatto spettacoli con ologrammi!”. Il vero lascito di Piscator secondo Malina è che “oggi il teatro si può fare ovunque”; grazie alla sua idea di “teatro totale”,

tutto quello che facciamo nella nostra vita quotidiana è davvero un momento di teatro, ma non nel senso che è finzione ma che è azione drammatica, rinnovato e consapevole modo di essere.


Ancora sull’impegno dell’attore, seguendo il pensiero di Piscator Malina ricorda:

Il lavoro del regista è effimero, il lavoro dell’attore è nella testa; quando un attore entra in scena qualcosa succede, c’è un senso elevato in questo comunicare a teatro con altre persone, è un modo più intenso di vivere, è come vivere un più alto senso di realtà. Dobbiamo avere qualcosa di importante da dire, qualcosa di bruciante per noi, non ci deve essere culto della personalità né egoismo.

C’è una frase di Piscator che Malina cita nel suo diario datato 1947-1957 e che mi piace ricordare: “Vorrei fare di ogni attore un pensatore e di ogni drammaturgo un combattente”.
E racconta la scoperta “della bella storia degli anarchici” da cui ha appreso “come è possibile organizzare tutta la nostra vita da un altro punto di vista che non sia quello del potere e del profitto” e che ha portato lei e Julian Beck a quella forma di “rivoluzione permanente” che è il loro teatro, “teatro migliorativo”, “teatro della consapevolezza sociale”. Pochi minuti per sintetizzare una vita e un’idea di teatro ancora “living” da 56 anni. Vengono in mente le migliaia di riflessioni sul pacifismo, sulla libertà, contro la guerra e tutte le forme di oppressione e prigionia che animano i diari suoi e di Beck, le “notes” agli spettacoli, alcuni dei quali mai pubblicati o mai tradotti in italiano, altri resi pubblici da piccole case editrici anarchiche.

Il diario 1947-1957 di Malina offre una testimonianza straordinaria sulle vicende personali e storiche, un interessante mescolarsi di letture interiori, riflessioni sugli eventi quotidiani, squarci degli avvenimenti dell’epoca. La ricerca del lavoro e la ricerca di uno spazio dove aprire un teatro, la scelta del repertorio, la nascita del figlio Garrick, la conoscenza di William Carlos Williams, Allen Ginsberg, Jackson Mac Low e ee cummings, l’uccisione di Gandhi il 31 gennaio 1948, il timore di un nuovo conflitto mondiale in pieno clima di guerra fredda, l’ondata anticomunista e le leggi restrittive di Joseph Mac Carthy sull’attività sindacale e sull’attività politica, la Bomba H fatta esplodere in un atollo del Pacifico che quasi convinse Beck a partire per l’Europa, il costante timore di arresti per il proprio credo politico, la guerra in Corea, l’arresto durante una manifestazione pacifista insieme con Doroty Day del sindacato dei lavoratori Catholic Workers, la descrizione delle condizioni delle detenute e del livello di solidarietà e di aggregazione.


Con Hanon dànno poi, sul palco, corpo e voce attraverso la poesia, all’immagine anarchica di Utopia che “non sta in nessun luogo perché non è un punto ma una linea dove dirigersi” e sorprendono il pubblico con la decisione di mettere in scena anche alcuni brevi frammenti dell’Antigone, considerato universalmente lo spettacolo-manifesto del pacifismo. Vengono in mente i recenti bombardamenti sull’Iraq in nome dell’Impero.
Ci piace riportare la sequenza del dialogo tra Creonte e Antigone nella traduzione di Judith Malina (New York, Applause Theatre Book Publishers, 1990) recitata in inglese alla Spezia:

KREON
Do you admit or you deny that you did it?

ANTIGONE
I say that I did and I don’t deny it

KREON
Now tell me, and be brief:
are you aware of what was announced
in the open city about this particular corpse?

ANTIGONE
I knew it. How could I help you. It was clear enough.
(Guarda intensamente il pubblico e coglie il singolo sguardo dello spettatore)

KREON
And yet you dared to break my law?

ANTIGONE
Just because it was your law, a human law,
that’s why a human being may break it – and
I am just as human as you and only slightly more
mortal. And if
I die before my time, I think it’s
because it has its advantages; when you’ve lived
the way I have, surrounded by evil, isn’t there some
slight advantage in death? And further, if I had my mother’s
dead son lie unburied
that would have made me unhappy; but this
does not make me unhappy. And if seem crazy to you
because I fear the judgement of heaven,
which hates the bare sight of mangled bodies,
and I don’t fear your judgement,
then let a crazy judge judge me.

KREON
The toughest iron yelds
and loses its stubbornness, tempered
in the ovens. It happens every day.
But this one here enjoys
making fun of the laws of the land.
And to top this impertinence, now that
she’s done it. I hate that: when somebody’s
caught in a crime and tries to make it look pretty.
And yet, though she insults me in spite of our family ties,
I’ll be slow to condemn her because of our family ties.
Therefore I ask you: since you did it in secret
and now it’s out in the open, wouldn’t you say,
to avoid severe punishment, that you’re sorry you did it?
Tell me why you’re so stubborn.

ANTIGONE
To set an example.

KREON
Doesn’t it matter to you that I have you in my hands?

ANTIGONE
What more can you do to me, since you have me, than kill me?

KREON
Nothing more. But having this, I have all.

ANTIGONE
What are you waiting for? I don’t like
what you’re saying and I won’t like what you’re going
to say.
And I know you don’t like me either.
Thought there are those who do, because of what I did.

KREON
So you think there are others who see things as you do?

ANTIGONE
They see it too and they are moved by it
(indicando il pubblico)

KREON
Aren’t you ashamed to claim their support without asking?

ANTIGONE
There’s nothing wrong in honoring my brother.


Malina termina con il ricordo in forma di poesia, dell’incontro con il suo principe, Julian Beck, quando ancora diciottenne lavorava in una lavanderia e sognava l’Arte del Teatro:

Every one of the cleaning women
dreamt of something else
when she was seventeen.
They smile, they joke, they sigh,
in their smocks and comfty shoes –
They try not to recall the plans
for a miracle or a marriage.
(…)
When I was eighteen and worked
in the laudry counting
the dirty wash, I dreamed
that the prince would come.
And he come. And that my talent and ardor
woud rescue me from listing:
Five napkins – 8 pieces underwear –
rescue, and lead to a privileged life.

And I was the fortunate one,
leading a privileged life – rescued
from smock and broom, and now my friends
ask me why I’m so sad when I see the cleaning women
laughing as if it were nothing.

“You and your Jewish guilt”
“But somebody has to do it”.

But every one of the cleaning women
dreamed that it wouldn’t be she.


Alla fine dello spettacolo Judith e Hanon raggiungono il foyer interno del teatro dove sono stati ricavati i camerini e dove sono raggiunti da una telefonata in diretta da Radio 3 per un’intervista.

Portovenere-Le Grazie, 1° agosto 2003

Abbiamo appuntamento alle 19 all’Hotel Paradise a Portovenere, che ha una splendida terrazza sul Golfo; porto il liquido per le lenti a contatto che Hanon mi aveva chiesto per telefono la mattina; il personale dell’Hotel chiede loro il permesso di fare una fotografia. E in disparte a me, di scrivere i loro nomi su un foglio.
Dico a Judith e Hanon che la serata della Spezia era stata davvero emozionante per tutti e che il pubblico aveva partecipato con passione sincera: “Molti ci hanno detto questo, c’era in effetti un clima particolare”.
Iniziamo a parlare dell’attualità dell’Antigone, per rilanciare il significato urgente della pace. Sull’attualità del testo di Sofocle Malina ci dice che

è sempre il tempo giusto per fare Antigone perché le guerre sono sempre in corso. Era il tempo giusto per l’Antigone quando ci avevano chiamato in Israele nel 1982 e scoppiò la guerra in Libano; era il tempo giusto per un’Antigone «clandestina» quando negli anni Ottanta eravamo in Polonia ad appoggiare il gruppo di Solidarnosc e Havel era in prigione. Con tutti i problemi del mondo non c’è però motivo di perdere la speranza.

Mi parlano con entusiasmo della grande mostra di Napoli, del catalogo “grande come un elefante” che la Fondazione Morra ha realizzato per l’occasione. Oltre ai materiali storici ci sono installazioni visive e sonore di artisti contemporanei, mentre fino a settembre il programma prevede performance, concerti legati alla memoria, diretta o indiretta, del Living Theatre e di Julian Beck. Porteranno alcune di queste opere anche a New York, nel nuovo spazio che stanno costruendo:

Entrare in scena, di Fernando Mastropasqua.
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Dedicato a Julian Beck, con foto di Evandro Costa.

Entrare in scena è l’atto con cui si dà inizio allo spettacolo. Un semplice passare dal non visto al guardato, dalla confortevole tenebra delle quinte alla luce priva di ripari del palcoscenico, un passo, un semplice passo e si scavalca un confine, quella soglia di morte, la cui presenza i Greci avvertivano nel suono della parola skené. Per entrare dove? Nel teatro inutile direbbe Julian Beck: 

E’ questo forse un posto per esseri umani, questa insinuazione di lusso e ori, la pompa di queste scale, l’ingannevole grandiosità di questo candelabro, questo moderno teatro un’opera d’arte? O architettura dei potentati! O puzza di denaro! E’ qui che ha volato l’Uccello dello Spazio? Dove sono i facchini, gli operai tessili, i meccanici? Non ci sono contadini qui, nessuno di coloro che costruirono questo edificio, nessuno che abbia coltivato alimentari, qui non ci sono neri, nessuno che pulisca le fogne, nessuno che cucia nei laboratori. Per chi è questo palazzo? Dov’è il popolo? Che cosa si fa qua dentro che non li riguarda? Il tappeto è fatto per pallidi piedi patrizi, le poltrone procurano una comodità che aliena all’azione, che ostacola la partecipazione, che indulge alla passività del corpo. Muri di separazione! O possa questa nostra sonora arringa far tremare e cadere i muri, crollare prigioni, abbattere le fortezze della falsa industria, e tutte le case di divisione. Unità. La si ha, quando le persone stanno insieme e non si mettono una contro l’altra, esiste quell’armonia che dissipa la disperazione, estende l’essere e rende possibili tutte le speranze più impossibili.

Foto di Evandro Costa. Qua una più ampia gallery

Quando mi siedo nella poltrona di velluto, circondato da fibre acetiche, se una persona grida, se un uomo muore è solo un’interruzione. Non sono preparato a reagire alla vita. Osservo soltanto. Circondato da gelidi compagni in un’atmosfera d’inganno, siedo nella fastosità. Son venuto qui per morire congelato? Come posso prorompere in emozioni? Investito di una regalità di rayon. Come posso trascendere in un ambiente di velluto, come posso trovare la chiave nell’oscurità di questa sala? Solo sognando. Ma questo sogno è menzogna, non sento nulla. E’ tutto menzogna, non ho carne, sono essenzialmente asessuato. E tutto avviene a causa della mia presenza qui.” (J.Beck, La vita del teatro, Torino, Einaudi, 1975, pp.13-14). 

L’attore entrando in scena entra nell’orrore del mondo, in quegli inferi che sono la vita stessa, e di fronte a sé trova gelidi compagni, ombre esangui, pronte a cibarsi di lui risucchiandogli la linfa vitale con gli occhi, appuntiti vogliosi taglienti come i canini di un vampiro. Il passo che ha scavalcato il confine rivela quanto questo fosse irrilevante, come un abisso dipinto. Dal mondo di morte quotidiano a quel cimitero imbellettato che è il luogo teatrale. Entrare in scena deve dunque voler dire di più, non passare un confine, ma definire un confine, perché solo tracciandolo può esserne disarmata la funzione menzognera: si può oltrepassare e lasciarselo alle spalle. Si apre, per virtù dell’attore, un luogo che è oltre la tetra esistenza di lutti presenti e di inferni promessi, nel quale il pubblico di insaziati dormienti dalla vista assassina possa balzare dalle non più comode poltrone e accogliere il respiro dell’attore:

Ansimando in cerca d’aria – è così che il pubblico viene a teatro, rigidamente avvolto dal corsetto della convenzione (legge e conformismo). Il pubblico può respirare a malapena. Si sente morire. L’intero atto teatrale è un rituale concepito per rinnovare la nostra vitalità, per liberarci dalla morte, e ciò si compie con un respiro. Questo respiro comincia come un ansito, come quello di un bambino appena nato. Il teatro senza questo ansimare ci soffoca, poco importa che ci possa divertire, lasciamo sempre il nostro spirito ancora più fiaccato dalla delusione. Insisto sul teatro. Insisto su di esso perché lo riconosco come un rituale senza cui la nostra sopravvivenza perde terreno davanti ai confini della morte, sempre invadente, la morte che cala su di noi con il suo silenzio senza respiro. Insisto che si vada a teatro in cerca di rivitalizzazione, le renouveau, sì, come pazienti che vanno all’ospedale. Stiamo morendo e andiamo a teatro in cerca d’aria fresca all’interno di un’atmosfera sempre più contaminata. Lo scopo dell’arte è far ansimare il pubblico.” (J.Beck, Theandric, Roma, Socrates, 1994, p.24) 

Considerando i primi spettacoli del Living, come un solo lungo spettacolo, potremmo riconoscere l’entrata per eccellenza nell’incipit dell’Antigone e l’uscita per eccellenza, come viaggio oltre il confine designato e distrutto, l’esodo di Paradise Now: il teatro è nella strada. Come si può stabilire il confine? Nell’Antigone l’attore invece di offrire la gola allo sguardo dello spettatore gli pianta gli occhi in faccia, come Amleto per scrutare il comportamento del re davanti allo spettacolo che rivela il suo delitto [Amleto, III,2, 85], sguardo contro sguardo, nemico contro nemico. Judith Malina ricorda che ogni attore aveva il compito di individuare il nemico in un determinato spettatore e che questo serviva ad incrinare l’unità della massa del pubblico (v. a questo proposito C. Valenti, Dove gli dèi ballano, in F. Mastropasqua, Maschera e rivoluzione, Pisa, BFS, 1999, p.38, nota 24).

L’entrata degli attori in scena obbliga ad avere la consapevolezza che tutti si è entrati in un luogo sospeso, dove non hanno più senso le convenzioni abituali, del teatro come della vita. Anche il pubblico si trova al di là del confine che gli attori hanno tracciato proprio là dove non era pensabile, e i corpi – non più le ombre infere della consuetudine – si impossessano dell’antico respiro perduto e diventano presenze, non per dimenticare il mondo, ma per rovesciarlo. Perché si entra nel teatro attraverso il mondo. Virtù anche questa dell’aver determinato il confine e averlo scavalcato. Il passo che ha permesso di superare quella soglia, si è lasciato alle spalle il mondo dell’orrore, ma non lo ha cancellato. Ognuno di noi se lo porta dentro. Risuona l’insegnamento di Amleto: l’orrore che vediamo intorno a noi è dentro di noi: “Che ci sta fare uno come me a strisciare fra cielo e terra?” [III,1,129]. Ed è proprio questa coscienza che permette ai corpi entrati in scena (attori e spettatori) di rovesciare la bruttezza in bellezza, la malvagità in pietas, il dolore in gioia:

“Si entra nel teatro attraverso il mondo, mondo che è sacro, mondo che è imperfetto, si entra nel teatro attraverso la consapevolezza di una bruttezza indistruttibile. La bruttezza della vita. Si abbraccia questa bruttezza e si dimentica ciò che è bello. […] Non vorrei dare pièces di dolore, di problemi, di idee difficili, ma di gioia, piacere, riso, esultanza, non risate crudeli, niente satira, ma gioia. Ma è faticoso provare gioia, e quindi ancora più faticoso conoscere la gioia, quando si è pallidi e il mondo è estraneo e moribondo. Desiderio di un teatro diverso, che valga ciò che siamo realmente, speranza che il teatro cambierà, ma quel che vogliamo davvero è cambiare noi stessi, cambiare tutti insieme, e che cambiando cambi il mondo.” (J.Beck, La vita del teatro, cit., p.11, 15).

 Link to Txt: Frankenstein del LIVING  by AMM

Si ringrazia Evandro Costa per la concessione delle fotografie dal suo archivio personale.

Ricordando Julian Beck, testo di Gerald Thomas
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Note inedite raccolte da Anna Monteverdi

 Nel 1985 il giovane regista Gerald Thomas che aveva già lavorato con John Cage (qui una testimonianza di CAGE sul suo lavoro) diresse per l’ultima volta Julian Beck in un piéce da Beckett, That Time prima della sua morte. L’ho raggiunto via mail e mi ha lasciato questa testimonianza inedita.

Samuel Beckett e Gerald Thomas

Quando Julian Beck mi invitò a dirigerlo, quasi svenni. La ragione? Era uno degli uomini di teatro che avevo maggiormente ammirato (e seguito) durante la mia giovinezza a Londra, a New York e in Brasile, e improvvisamente, questa Icona, uscita per un momento dal suo Living Theatre mi invitava a dirigerlo.

Ero già conosciuto a New York per il mio legame diretto con Samuel Beckett e avevo già allestito in anteprima mondiale alcuni dei suoi testi al teatro La MaMa e in altri luoghi, con grandi risultati, non solo a New York ma anche oltre oceano. Ci presentarono. Era già molto malato e io ero senza parole.

Julian mi lasciò libero di scegliere quale testo di Beckett rappresentare, e io decisi per That Time, una premiére assoluta per l’America. Inoltre avrebbe richiesto molto poco sforzo fisico per Julian. Il brano consisteva di un personaggio che ascoltava la sua stessa voce divisa in tre parti, raccontare del suo passato. Era immobile, o almeno io l’ho reso così, con un piccolo tocco della mano sul volto ogni tanto, quando veniva pronunciata la frase “when was that?

Poiché Julian non poteva parlare con chiarezza per lungo tempo all’epoca (il cancro gli aveva colpito le corde vocali) andammo in studio e registrammo tutto, parola per parola. Prevedendo che il risultato finale sarebbe potuto essere noioso per il pubblico, decisi di usare partiture musicali. Una di John Cage, l’altra di un mio ex compagno di lavoro artistico Luciano Berio (in Zaide a Firenze, 1995, Maggio Musicale). E così il testo divenne, in qualche modo, musica. Julian sembrava sorpreso e felice dell’idea. Ricordo che che quando ascoltò per la prima volta il registratore chiese: “Sono io o avete trovato un altro attore con una voce simile a me che può cantare così meravigliosamente?” Tutti in teatro risero.

E la conclusione non fu altro che un enorme successo. Andavo a prendere Julian a casa sua (nel West End Avenue, 98th Street, a Manhattan) ogni giorno per lo spettacolo. Facemmo tutto esaurito in teatro un mese prima. Lo spettacolo si spinse fino al Theater Am Turm di Francoforte e progettammo altri viaggi, ma Julian si ammalò sempre di più durante la trasferta e dovemmo cancellare la data di Belgrado e altre ancora. Ritornammo tutti a New York. Lo spettacolo fece a un gran successo in Germania, e sullo spettacolo il critico Peter Iden scrisse un articolo molto lungo che entrava nel merito soprattutto del mio metodo del metalinguaggio teatrale: un vero uomo che stava realmente morendo, recitava sulla scena un uomo che stava morendo.

Pochi mesi dopo Julian morì. Ero a Rio e tornai subito a New York in tempo per i funerali, Allen Ginsberg fece una registrazione video della sepoltura nel New Jersey.

Questa fu una tra le più onorevoli e incredibili esperienze della mia vita. Julian mi disse: “Se vuoi fare una cosa falla grande, e più grande ancora, vattene da New York. Vai in Brasile”. L’ho fatto. Ho seguito ogni singolo consiglio che lui mi diede. Julian non era di questo mondo. Devo gran parte della mia posizione artistica oggi (71 testi e opere liriche rappresentate in 12 Paesi) al consiglio di Julian.

Dio ti benedica Julian. E’ duro credere di essere stati su questo pianeta per vent’anni senza di te. Ricordo ogni ruga sul tuo volto, tutte le volte che hai sorriso, nonostante il tuo dolore, il tuo enorme dolore metafisico di non essere stato in grado di cambiare il mondo come avevi sognato. Ma, d’altra parte, ti sei salvato dalle atrocità di George W. Bush e dalla militarizzazione ed egemonia degli Stati Uniti nel mondo, dall’invasione dell’Iraq, dalla morte di 200.000 civili che non c’entravano niente, tutto in nome del Petrolio, dell’avidità e oggi c’è ancora più discriminazione di quando eri tra noi. Il mondo è tornato indietro. Viviamo in una società orribile, Julian. Tu ci hai lasciato appena in tempo, quando la corruzione si poteva appena vedere o sospettare. Ora infetta tutti i media, tutte le istituzioni, governi e società. In qualche modo sono felice che tu non sia testimone di questa globalizzazione.

D’altra parte però sono infelice che il mondo abbia perso uno dei suoi più valorosi guerrieri. Forse se tu fossi qui, tutto questo orrore sarebbe stato colpito allo stomaco e al cuore, non avrebbe resistito al tuo carisma. Il tuo incredibile carisma. Mi spiace, sto piangendo e non riesco più a scrivere. Mi manchi troppo.

 LOVE

 Gerald Thomas-

Website: www.geraldthomas.com; videosite: http://geraldthomas.net

Photo: a sinistra Judith Malina e Julian Beck; al centro Gerald Thomas con Samuel Beckett; a destra Julian Beck in That time ritratto da IRA COHEN;

BIO: Born in 1954,Gerald Thomas has spent his life partly in the United States, England, Brazil and Germany, graduating as a reader of Philosophy at the British Museum Reading Room and “officially” beginning his life in the theater at La MaMa Experimental Theater (but having received early on in life a great inspiration by watching the rehearsals of Victor Garcia’s masterpiece staging of Genet’s Balcony in Sao Paulo in the seventies. A year later, at the Aldwych in London, Thomas was able to become an ‘intruder’ in Peter Brook’s rehearsals of the RSC in the Midsummer Night’s Dream. Back in the US, at La MaMa, Thomas became an illustrator for the Op-Ed page of the New York Times while also conducting workshops at La MaMa, where he adapted and directed a few world premiere Samuel Beckett prose and dramatic pieces. In the early eighties, Thomas began working with Beckett, the man himself, in Paris (after a lot of correspondence had been exchanged between them for almost two years), adapting new fiction by the author. Of these, the more notorious were “All Strange Away” and “That Time” staring the legendary Living Theater founder, Julian Beck in his only stage acting role outside of his own company, The Living Theater. In the mid-eighties, Thomas became involved with German author Heiner Müller, directing his works in the US and in Brazil, and began a long term – and highly questionable partnership with American composer Philip Glass.