Archivi tag: videoteatro

#liberiamogliarchivi Bob WIlson, Odissey
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IN questo momento di emergenza RaiPlay ha messo a disposizione diversi materiali senza bisogno di effettuare login. Noi abbiamo selezionato alcuni video teatrali di grande interesse e integrali:

ODYSSEY di BOB WILSON nella rilettura del maestro americano in collaborazione con il drammaturgo inglese Simon Armitage, reinterpretato da una compagnia di attori-cantanti greci. L’allestimento teatrale è frutto della coproduzione tra il Piccolo Teatro di Milano e il National Theatre of Greece di Atene.

https://www.raiplay.it/video/2018/05/Odyssey—Prima-parte-362cae4e-5e72-488f-a155-d14821eb585c.html

(PARTE 1)

https://www.raiplay.it/video/2018/05/Odyssey—Seconda-parte-d89faabc-a697-4373-b5d1-a803d75cc208.html

Parte 2)

La rivolta degli oggetti- La gaia scienza/ Giorgio Barberio Corsetti 43 anni dopo. #liberiamogliarchivi
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Molti amici mi segnalano materiali video teatrali che sono a disposizione e che sono integrali (fondamentale).

Direttamente da RAIPLAY che per l’emergenza rende possibile la visione senza bisogno di LOGIN ecco un materiale in realtà nuovissssssimo…grazie!

A 43 anni di distanza dalla sua apparizione sui palchi del Beat 72, La rivolta degli oggetti torna ad abitare la sala di un teatro attraverso i corpi di tre giovani performer, guidati dagli interpreti originali dello spettacolo: i fondatori de La Gaia Scienza, Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi.

https://www.raiplay.it/programmi/lagaiascienza-larivoltadeglioggetti?fbclid=IwAR3vrnDD60cn4yZNJ0nkYQlJqBdnHuaVxUG74t2IDYt9S16o_zOqfREZiT0

La Cineteca Nazionale ricorda Giuliano Vasilicò.
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Ricordando Giuliano Vasilicò

02 febbraio 2016 cinema Trevi, Roma vicolo del Puttarello 25, Fontana di Trevi
ingresso libero fino a esaurimento posti

Giuliano Vasilicò, scomparso un anno fa.

Alle 20.45 incontro con Fabrizio Crisafulli, Giorgio Ginori, Dante Matelli, Lucia Vasilicò, Modera Andrea Schiavi

 La Cineteca Nazionale rende omaggio all’attore e regista teatrale Giuliano Vasilicò, scomparso un anno fa. Franco Cordelli, che lo ha seguito fin dagli esordi, lo ha ricordato così sul «Corriere della Sera»: «Era il 1970, si affacciò in quella che divenne la cantina romana per eccellenza del teatro d’avanguardia, il Beat 72. Il primo suo spettacolo fu Missione psicopolitica, che nel titolo riflette la temperie culturale di quegli anni, ma già ci parla del suo modo d’essere, del suo problema primo, che era tutto esistenziale. Il secondo s’intitolava L’occupazione, ne ho un ricordo indistinto. La missione teatrale a Roma di Giuliano Vasilicò, che veniva da Reggio Emilia, era di rifondare il mondo, ovvero se stesso, attraverso il teatro. Il terzo fu il primo dei suoi grandi spettacoli, un Amleto che durava un’ora: non s’era mai vista una simile sintesi, e tuttavia non s’era mai vista una simile fedeltà! Era tutto compresso nei movimenti, nei gesti, nelle figure, nella pura plasticità dei corpi. Con il quarto spettacolo, Le centoventi giornate di Sodoma del 1972, Giuliano divenne famoso: scrisse di lui Roland Barthes su Le Monde: fino a quel momento quali, oltre Strehler, erano gli italiani del teatro conosciuti fuori d’Italia?».

 ore 20.45 Al di là della parola, al di là del gesto di Vittorio De Sisti (11′)

Libera interpretazione del lavoro teatrale di Vasilicò Missione Psicopolitica.

Copia proveniente dell’Aamod

 a seguire incontro con Fabrizio CrisafulliGiorgio GinoriDante MatelliLucia Vasilicò

Modera Andrea Schiavi

a seguire Spogliati, protesta, uccidi di Vittorio De Sisti (1972, 85′)

«Samantha, figlia di un uomo politico americano, contesta il potere unendosi prima a Ken, giovanotto sballato,
e quindi al nero Nat Brook che si macchia di un duplice delitto. Entrambi affrontano la clandestinità» (Poppi-Pecorari).

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Silvia Tarquini

Comunicazione, Marketing, Organizzazione mostre fotografiche ed eventi
Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale
Via Tuscolana 1524 00173 Roma

www.fondazionecsc.it

tel 06.72294393

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Remedi-Action, il videoteatro torna alla ribalta nel volume di Jennifer Malvezzi
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Mi rendo conto che una mia recensione di un libro in cui io compaio come citazione nella prima pagina dell’editore Postmedia rischia di non essere credibile. Ma non ci sono dubbi sul fatto che questo libro Remedi-Action. Dieci anni di videoteatro italiano scritto dalla giovane e ben documentata Jennifer Malvezzi, borsista di ricerca all’Università di Parma, sia un ottimo strumento di studio e di ricerca per chiunque voglia ancora addentrarsi in quel “paesaggio elettronico” che componeva la gloriosa arte teatrale degli anni Ottanta. Insomma un libro da consigliare a studenti e docenti e a tutti coloro che vogliono conoscere quel teatro italiano che ha avuto una brillante stagione di sperimentazione e in cui la tecnologia era uno dei linguaggi chiave da sperimentare in una generale e generazionale euforia di contaminazione.

Il mio ragionamento sulla “bontà” di questo libro si basa sul fatto che chiunque abbia scritto su questo argomento ovvero il videoteatro, a meno di non averlo vissuto personalmente come spettatore, ha sempre fatto riferimento sostanzialmente, al libro di Andrea Balzola (La nuova ricerca elettronica), a quelli di Valentina Valentini (Teatro in immagine, Camera astratta), a Bruno di Marino (il catalogo Elettroshock) e (of course) agli scritti sparsi di Carlo Infante. Sembrava non ci fosse più nulla da dire sul fenomeno, visto anche che quegli anni erano stati letti nelle recensioni straordinarie (e analiticissime) di critici come Beppe Bartolucci e Franco Quadri.

Quello che ha forse confuso la critica (me compresa) e molti di coloro che hanno tentato di fare una storiografia di  questo fenomeno già tramontato alla fine del decennio Ottanta e consegnato alla memoria e alla fortuna (nel senso latino del termine…), sono proprio questi validissimi scritti di studiosi e teorici tra il 1990 e il 1995 che hanno avuto  sicuramente il merito di portare alla ribalta un fenomeno artistico italiano degno attenzione ma che limitavano (per ragioni editoriali o di scelte personali) la ricerca a un ambito circoscritto di autori e opere.

Evidentemente molto rimaneva ancora da raccontare, e non certo tra i minori: il lavoro pionieristico di Michele Sambin, per esempio, performer video solitario e in seguito col Tam Teatromusica, è stato ingiustamente emarginato o solo parzialmente studiato, per poi essere riscoperto successivamente grazie al Festival Invideo che digitalizzò nel 2004 l’intero archivio di Sambin.pm143dpi300

Non a caso la copertina del libro della Malvezzi è una foto di scena del Tam Teatromusica che anticipa al lettore in qualche modo che il contenuto va nella direzione di una “riscoperta” di un sommerso di qualità.

In sostanza, la visione del videoteatro italiano anche nel percorso di studio di generazioni di studenti, si è sempre limitata ad alcuni esempi-faro (Camera astratta di Studio azzurro e Giorgio Barberio Corsetti/Gaia scienza; Crollo nervoso dei Magazzini; Tango Glaciale di Falso Movimento, Eneide di Krypton). Questo libro ha il pregio di raccontare un videoteatro diverso, certo anche con quegli esempi famosi e con quei protagonisti indiscussi della scena su cui forse era stato già detto quasi tutto, ma attingendo a un universo più ampio, che si apre al videoclip per esempio e alla cultura pop a cui molti autori si richiamavano. E così ecco spuntare le coppie Taroni/Cividin, Dal Bosco/Varesco ecco riemergere Antonio Syxty e le esperienze pionieristiche di distribuzione come Tape connection dell’attivissima Maia Borelli o Soft video (vedi ampia sezione di interviste ai protagonisti).

Il capitolo dedicato ai Magazzini di Tiezzi riporta alla luce, come da archeologia del postmodern, lavori sperimentali del gruppo e materiali inediti frutto di un’accurata ricerca d’archivio come si faceva una volta. Così la distanza cronologica dal fenomeno (per ragioni diciamo generazionali) in realtà, permette all’autrice di inquadrare il fenomeno nella giusta prospettiva critica attuale. La Malvezzi rielabora sulla base di molti testi pubblicati in questi anni sulla videoarte e sul teatro digitale, il videoteatro storico rintracciandone il valore non solo nella memoria ma nella “remediation” come occhieggia il titolo, ovvero ciò che un linguaggio esercita e elabora per riadattarsi a un nuovo ambiente (nel caso specifico al digitale). Quale sarà il volto del videoteatro attuale trasformato? Un discorso che apre scenari importanti considerata l’ampia produzione di performance tecnologiche contemporanee, ormai dimentiche di pionieri e affini.

Ma come non riconsiderare, per esempio, le scene prospettiche fatte di luce e diapositive di Ritorno ad Alphaville e in generale i lavori di Martone come le fondamenta dell’ampia (e spesso poco creativa) produzione di scenografia in videomapping?

Ritorno ad Alphaville, Martone. Foto di Cesare Accetta.
Ritorno ad Alphaville, Martone. Foto di Cesare Accetta.

Ci limitiamo a sottolineare che ben pochi lavori teatrali allo stato attuale delle tecnologie hanno avuto l’impatto e la forza eversiva di Camera astratta che a dirla tutta, fu presentato a Kassel (chissà che ne avrebbe detto Vila-Matas); ed oggi mostrare le testimonianze video a studenti d’accademia e persino a convegni internazionali (come quest’anno alla Sorbonne Nouvelle dove Vincenzo Sansone in un commosso omaggio a Paolo Rosa, ha presentato attività videteatrale di Studio azzurro) ha ancora un impatto tale che sembra giustificare l’affermazione di Rosalind Krauss: Reinventare un medium.

Ottime le schede finali (tratte da video opere ispirate agli spettacoli) che sintetizzano anche a vantaggio della nuova didattica, artisti e tendenze e dove forse, una scheda sul lavoro di Giacomo Verde ci stava bene. Un libro veloce dove come nella valigetta di Duchamp, ci sta dentro tutto. Anche le nostre memorie.

Archivio videoteatro. Angelica di Andrea Cosentino in video
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Angelica di Andrea Cosentino è uno spettacolo di un po’ di anni fa (2005) ma a cui sono particolarmente legata. Perché Andrea è un grandissimo attore e (non solo) narratore e monologhista: riesce a chiudere in una sintesi fulminea concetti giganteschi riducendoli a una manciata di immagini che ti raffiguri ma mentre ci pensi, lui sta già portandoti da un’altra parte. Il pianosequenza e la morte, la morte che non si riesce a raccontare e che narrata in TV fa pensare alle fiction di quart’ordine. Dello spettacolo ne ho tratto un film documentario che accentua l’aspetto cinematografico.

Così SImone Nebbia sullo spettacolo:

“Pier Paolo Pasolini alla cui morte è dedicato questo spettacolo, nelle sue Osservazioni sul piano sequenza in Empirismo eretico, sostiene che “la morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita” allo stesso modo di come il montaggio interviene sul materiale cinematografico; in questa maniera la comunanza dei due mezzi, ad operare sul materiale vivo e vivente, è decisiva: laddove il cut di entrambi compie un atto sempre violento di sintesi, paradossalmente si sta creando nuova vita, nuovo senso, perché se in sala di montaggio si avrà la versione sgrossata e addomestica della materia, per una migliore comprensione, ossia il film, allo stesso modo la morte netta la sequenzialità umana di ciò che all’apparire è superfluo, dà il conto e la misura, di una intera vita. Il senso della morte in Pasolini, dunque, si svolgeva lungo questa linea segmentata: ogni stacco una cesura, ogni cesura una morte. Si può morire più volte, allora, come Angelica, come tutti. Questo spettacolo è del 2005. La sua costruzione ha avuto un rapporto con la morte più intimo che in altri tempi: così vivo il ricordo dello Tsunami in Indonesia, onda anomala che da quel momento ha preso lettera maiuscola. Ho provato a rivedere i video, oggi, al ricordo stimolato da Cosentino, la ragazzina accanto alla madre e l’onda che travolge, la famiglia che realizza che “non c’è tempo di fare un video” e bisogna scappare sulle colline, dichiarando dell’immagine l’incapacità a raggiungere la vita reale, l’uomo in bilico a fare foto in mezzo a un piccolo atollo che sta per essere risucchiato, l’ultimo, che si chiama «l’uomo che ha filmato lo tsunami», ed è il ricordo sugli stessi luoghi di quel ragazzo che ha fermato la storia, perché io ne tragga un racconto. Insieme a questo un inspiegabile senso di esaltazione, di esistenza compresente, un conturbante strano sentimento di essere nell’incandescente accadere di mondo, adrenalina e decadenza, ovverosia, il senso della morte. La devastazione dell’onda, il dolore disumano e insieme umano, finiti negli interstizi dell’immagine, nel taglio di montaggio.
Simone Nebbia Teatro e Critica

VIDEO TEATRALI on LINE: l’archivio dell’INA (Francia)
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INA (Institut-national-audiovisuel) è  un’istituzione pubblica culturale francese nata con lo scopo di salvaguardare e valorizzare il patrimonio audiovisivo. Per quanto riguarda il teatro ha realizzato un sito specifico che si chiama En Scènes. Le spectacle vivant en vidéo dove è possibile trovare materiali sia integrali che estratti di spettacoli, interviste ad artisti e compagnie e documentari di ogni genere. Per non perdersi ci sono griglie di ricerca molto utili, la suddivisione in generi di spettacolo (circo, teatro, danza, arte di strada, opera…) e in autori (registi, drammaturghi, scenografi ecc ecc) o per percorsi tematici e storici.

Tra i contributi utili per la digital performance segnaliamo la versione integrale della Fura dels Baus per La damnation de Faust di Berlioz (1999).

Tra i contributi brevi 10 minuti tratti dalla versione teatrale originale de Deafman glance di WIlson (1972).

Cinematique della compagnia Adrien Mondot e Claire Bardainne

Un’intervista a Robert Lepage (3h 17′) sul percorso d’artista, sulla questione politica del Quebec, sul bilinguismo, sul teatro e sull’opera, sulle tecnologie a teatro.

Qua un video su SVOBODA

Percorsi tematici con saggi e inserti di materiale video: dalla commedia dell’arte al teatro politico a Grotowski al teatro dell’avanguardia. 

GIORGIO BARBERIO CORSETTI, la scena video teatrale italiana
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Un percorso di ricerca

L’itinerario artistico di Giorgio Barberio Corsetti si presenta ricco di esperienze, di luoghi e di incontri, ma è allo stesso tempo caratterizzato da un’estrema coerenza, perché, come afferma Oliviero Ponte di Pino, la sua cifra è “l’equilibrio tra la fedeltà ad alcune tematiche e modalità espressive e la loro continua evoluzione attraverso successive contaminazioni e innesti”.[1] È quindi molto interessante ripercorrere alcune tappe del suo percorso, per comprendere meglio le sue scelte attuali e per interrogarsi sulle specificità della sua pratica teatrale.

Corsetti si avvicina al teatro all’università, e in seguito sceglie di intraprendere la strada della regia attraverso il canale istituzionale dell’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, dove è allievo di Luca Ronconi. Terminato il corso di studi nel 1975, intraprende una ricerca personale che si distacca nettamente dall’ambiente del teatro di prosa e si rivolge alla scena alternativa romana, all’epoca un laboratorio effervescente di sperimentazione nutrito da personalità di eccezione come Carmelo Bene, Mario Ricci, Memé Perlini, Giancarlo Nanni, solo per citare qualche nome.[2] Con Alessandra Vanzi e Marco Solari fonda il gruppo la Gaia Scienza, che presenta le sue creazioni nel circuito delle “cantine” e si impone, insieme al Carrozzone di Federico Tiezzi, al Beat 72 di Simone Carella e a Falso Movimento di Mario Martone, come uno dei principali esponenti della Post-avanguardia prima  e della Nuova Spettacolarità poi.

Il lavoro collettivo della Gaia Scienza, i cui tre membri sono contemporaneamente performer, registi e autori, si fonda sul rifiuto del teatro tradizionale, sulla decostruzione dell’evento teatrale e sulla sua ricomposizione in elementi primari, secondo una poetica del frammento, dello squilibrio e della contaminazione con altre forme artistiche. La Gaia Scienza costruisce spazi obliqui, ritagliati con la luce, dove i corpi sfidano le leggi naturali fra corse sfrenate e momenti di sottile lirismo. Testi letterari e poetici vengono utilizzati come pretesti per creare degli eventi performativi, ispirati alle tecniche di improvvisazione del jazz e alle soluzioni espressive della new dance americana.[3]

Negli anni Ottanta i linguaggi dei mezzi di comunicazione di massa suscitano un vivo interesse negli artisti teatrali, che realizzano video ispirati agli spettacoli e ad introdurre gli schermi televisivi sulla scena. Anche Corsetti produce alcuni clip, e inizia a collaborare con Studio Azzurro per diverse videoinstallazioni. Dopo lo scioglimento della Gaia Scienza, Corsetti fonda una compagnia che porta il suo nome e insieme a Studio Azzurro crea tre spettacoli (Prologo a diario segreto contraffatto,Correva come un lungo segno bianco e La camera astratta) di grande bellezza e portata innovativa, fondati sull’ibridazione di teatro e video, e sul dispositivo della doppia scena. Dietro a un palco invaso di monitor è infatti collocato un set nascosto, da cui vengono riprese in diretta alcune delle immagini trasmesse sugli schermi. Per gli attori, il passaggio da uno spazio all’altro coincide con un cambiamento di stato, da corpi materiali a corpi elettronici.

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Esaurite le possibilità del campo di ricerca specifico del rapporto tra teatro e video, nel 1988 Corsetti compie un passo molto importante e affronta per la prima volta l’opera di Franz Kafka, di cui mette in scena tre racconti nello spettacolo Descrizione di una battaglia. L’elemento testuale e quello narrativo entrano a far parte della creazione teatrale, attraverso una scrittura – quella kafkiana – che è però, secondo la definizione di Walter Benjamin, un “codice di gesti”. Per questa caratteristica, ma anche per il senso dell’ironia e il grottesco, affini alla sensibilità di Corsetti, Kafka è per il regista romano un territorio di ricerca nel quale ritorna più volte, mettendo in scena i tre romanzi e diverse opere brevi. In seguito Corsetti mette in scena, se pure raramente, anche alcuni testi drammatici, e si avvicina all’opera musicale, che costituisce una nuova direzione di sperimentazione, nella sua affascinante compresenza di parole, azione, musica e immagini. Dal 2000, quando crea, in occasione del Giubileo, Graal, spettacolo ispirato a Chrétien de Troyes e Wolfram Von Esenbach, Corsetti si interessa ai grandi poemi epici della tradizione occidentale, dalle Metamorfosi di Ovidio alleArgonautiche di Apollonio Rodio. In queste ultime creazione, l’elaborazione di una nuova drammaturgia si accompagna all’introduzione delle arti circensi: il linguaggio estremamente ricco e raffinato del regista romano, composto di acrobazie attoriali,  di musiche e immagini video, invita lo spettatore ad un percorso contemporaneo attraverso i miti fondatori della nostra civiltà.

 Il paradosso della regia: tra individuale e collettivo, continuità e mutazione

Nella scrittura dei suoi spettacoli, Corsetti interviene sulla quasi totalità degli elementi scenici: dirige gli attori – ed è stato attore lui stesso – , è scenografo e si occupa anche dall’adattamento dei testi e della rielaborazione drammaturgica. Nonostante si consideri un autore e si inserisca quindi nella tradizione mejercholdiana della regia novecentesca, ha mantenuto, come ai tempi della Gaia Scienza, il piacere della collaborazione, il rispetto e la curiosità per l’opera di altri artisti. La capacità di “ascolto” è per Corsetti la caratteristica più propria del teatro e deve investire i rapporti fra tutte le differenti figure che partecipano alla realizzazione dello spettacolo, dal regista agli attori, dagli spettatori ai tecnici.

La sua compagnia, Fattore K., è formata da attori con i quali lavora da diverso tempo – ad esempio, Federica Santoro ha cominciato il suo percorso insieme a Corsetti nel 1988, in Descrizione di una battaglia, Milena Costanzo e Filippo Timi dai primi anni Novanta – che quindi si sono formati insieme a lui e hanno le caratteristiche necessarie per realizzare la sua idea di teatro. Intorno al regista e agli attori si è venuta a formare negli anni, attraverso gli incontri che si sono via via verificati, un’ampia costellazione di collaboratori: nel gruppo di lavoro de Gli Argonauti troviamo Mariano Lucci, responsabile dell’ideazione scenografica, che si occupa della realizzazione tecnica delle scene da Descrizione di una battaglia, Gianfranco Tedeschi, che si avvicina all’orbita di Corsetti prima come strumentista, poi come compositore delle musiche degli spettacoli, e Raquel Silva, da qualche anno assistente alla regia e dramaturg. Insieme a Cristian Taraborrelli, scenografo e costumista, Fabio Massimo Iaquone, videoartista,  Pier Giorgio Foti, tecnico luci, contribuiscono in maniera determinante a definire l’universo estetico che caratterizza gli spettacoli di Corsetti.

La costellazione non è chiusa su se stessa, ma si configura piuttosto come un sistema aperto e in movimento, che può continuamente acquisire o perdere degli elementi. Corsetti, infatti, ama incontrare nuove personalità, e assumere uno sguardo straniato rispetto alla propria opera. Lavorare all’estero, con attori e tecnici stranieri, con diverse condizioni produttive, costituisce per il regista romano un’ottima occasione per ripensare il proprio modo di fare teatro. A partire dagli anni Novanta lavora quindi molto frequentemente fuori dall’Italia, particolarmente in Portogallo e Francia, dove ha avviato collaborazioni stabili con Stéphane Braunschweig al Théâtre National de Strasbourg e con Les Colporteurs, la compagnia di nouveau cinque che ha partecipato alla creazione de Le metamorfosi.

Ogni nuovo incontro, prima umano che artistico, produce nella ricerca di Corsetti nuovi interrogativi e le offre nuovi strumenti, che si inseriscono senza provocare fratture nella continuità del suo percorso. Lo  spettacolo diventa quindi il risultato dell’alchimia di lavoro e della complicità fra queste differenti personalità, sulle quali il regista esercita una tensione unificante, in un equilibrio che ben rappresenta uno dei paradossi cruciali della regia contemporanea.

Corpo, spazio, immagine

La scena di Corsetti è contemporaneamente un luogo concreto di corpi, oggetti  e materiali, ed un flusso di energia fluido, leggero, impalpabile come un immagine elettronica in continua trasformazione.

Seguendo l’insegnamento del Living Theatre e di Grotowski, Corsetti  considera l’attore un atleta affettivo, che utilizza l’intero corpo come mezzo espressivo con vitalità ed energia. Le corse, i balzi, le arrampicate e la gestualità antinaturalistica caratterizzano la totalità delle sue creazioni, come la ricerca continua di un’interazione dinamica fra il corpo e lo spazio, sia che egli lavori in teatri all’italiana, sia che occupi al contrario luoghi non tradizionali o extra-teatrali.

Per Corsetti lo spazio è un elemento fondamentale della scrittura scenica: come ha più volte affermato, esso non illustra o suggerisce semplicemente l’ambientazione dell’azione, ma racconta una storia autonoma rispetto a quella raccontata dagli attori, con la quale entra quindi in un rapporto poetico. Nel suo lavoro di scenografo, egli ama studiare ed inventare insieme agli attori e ai tecnici delle macchine teatrali – vere e proprie “machines à jouer”- di memoria costruttivista: ecco allora la parete bianca dentro alla quale viene scavata la tana dei personaggi in Descrizione di una battaglia, le pareti mobili de Il legno dei violini sulle quali gli attori scivolano, cadono, si scontrano, e i dispositivi mobili e le passerelle che costituiscono il labirinto in cui si svolge l’assurda e tragica vicenda di Josef K ne Il processo.

 L’utilizzazione del video in scena è inizialmente riconducibile alla ricerca di un corpo e di uno spazio extra-naturali ed è strettamente legata alla storia della tecnologia. Negli anni Ottanta, il mezzo dominante di diffusione dell’immagine elettronica è il monitor, ingombrante e tendenzialmente di forma cubica, che si presta quindi ad una ricerca in cui l’oggetto e lo spazio virtuale in esso racchiuso entrino in relazione con il corpo dell’attore. Nei tre spettacoli realizzati con Studio Azzurro i doppi elettronici sono imprigionati nei monitor, strisciano al loro interno, in un gioco di illusioni che dà una terza dimensione alla superficie luminosa dello schermo. L’attore di Corsetti, abituato a forzare i limiti fisici del suo corpo e dello spazio circostante, si adatta perfettamente a questo gioco fra spazio reale e spazio virtuale.

 Il recente approdo all’arte circense si inserisce coerentemente in questa ricerca, anche se fornisce ad essa una diversa risposta: cavi, sospensioni, trapezi, che da Le metamorfosi fanno parte del linguaggio dell’attore di Corsetti, ne esaltano la duttilità e la capacità di sovvertire le leggi fisiche che regolano invece l’ “aldiquà” della scena, la realtà.

Servendosi delle interazioni dei corpi con lo spazio, Corsetti, profondamente influenzato dal cinema e dalla Roma barocca reinterpretata alla luce della lettura di Walter Benjamin, compone immagini che a tratti annullano la profondità della scena e la trasformano in uno schermo bidimensionale, con risultati che a tratti ricordano Robert Wilson e il teatro-immagine americano. Come ha sottolineato lo studioso francese Didier Plassard « […] l’incarnazione teatrale assume in tal modo la forma di un campo di tensione fra il materiale e l’immateriale, fra l’ombra e la luce, fra il vicino e il lontano, il pieno e il vuoto, il distinto e l’indistinto »[4].  Corsetti gioca con quelli che Béatrice Picon-Vallin definisce i « registri di presenza » [5] della scena e realizza un’alternanza di illusione e svelamento, in una trasformazione continua dello spazio e degli attori.

I principali processi di metamorfosi dello spazio teatrale in tela o schermo sono l’inquadratura del corpo, tramite l’uso di scenografie praticabili che costringono l’attore e ne rendono visibili al pubblico solo alcune parti, e l’utilizzazione di ombre e di riflessi, che costituiscono i doppi naturali dei personaggi. In Descrizione di una battaglia le sagome scure degli attori si stagliano su una parete bianca, e ne rompono la superficie dall’interno fino a disegnare una sorta di quadro astratto.

 Ombre e controluce punteggiano tutti gli spettacoli, come è possibile osservare nell’esempio seguente tratto da Il festin de pierre, in cui gli attori, significativamente posti su un dispositivo a forma di ruota, si stagliano contro il fondo luminoso colorato, quasi perdendo la loro trimensionalità e  trasformandosi in ombre.

 Infine, l’elemento naturale dell’acqua, interviene spesso sulle scene di Corsetti, e crea suggestivi giochi di riflessi : la critica Maria Grazia Gregori racconta che in America la sequenza del Teatro di Oklahoma si svolgeva davanti a due enormi pozzanghere, illuminate da una luce spettrale, mentre in Graal, una pozza d’acqua raddoppiava il Re Pescatore in una scena di grande suggestione. Ne Le metamorfosi, l’acqua, sostanza primaria legata alle trasformazioni raccontate da Ovidio, assume un ruolo fondamentale, in particolare nel racconto di Narciso, che, immobile al centro del tendone da circo inondato, rimane rapito dalla contemplazione della sua immagine.

Come l’acqua genera una percezione visiva del reale mediatizzata che può nuocere, come nel caso di Narciso, o aiutare a conoscere, le immagini suscitate da Corsetti negli occhi dello spettatore, lo incantano, lo rapiscono e gli permettono di immaginare una realtà differente.


[1] PONTE DI PINO O., La leggerezza dell’orrore. Le Metamorfosi di Giorgio Barberio Corsetti alla Biennale di Venezia, inwww.ateatro.it, n° 42, 2002

[2] Per inquadrare il periodo delle “cantine romane” vedi DE MARINIS M., Il nuovo teatro, Milano, Bompiani, 1987 e SINISI S., Neoavanguardia e postavanguardia in Italia, in ALONGE R. – DAVICO BONINO G. (dir.), Storia del teatro moderno e contemporaneo, Volume Terzo, Torino, Einaudi, 2001, pp. 703- 736

[3]  Sul lavoro della Gaia Scienza e di Corsetti fino alla seconda metà degli anni Ottanta, vedi le interviste a Corsetti e a Alessandra Vanzi e Marco Solari in PONTE DI PINO O., Il nuovo teatro italiano 1975-1988. La ricerca dei gruppi: materiali e documenti, Firenze, La casa Usher, 1988, disponibile in rete all’indirizzo http://www.trax.it/olivieropdp/materiali.htm

[4] PLASSARD D., Dioptrique des corps dans l’espace électronique, in PICON-VALLIN B. (dir.),Les écrans sur la scène, Paris, L’Age d’Homme, 1998, p. 163 ; Plassard spiega quetsa tendenza mettendola in relazione da un lato con la nozione frammentata del personaggio e la predilezione per le figure del doppio, dall’altro con le ricerche sulla presenza umana sul palcoscenico sviluppate dalle avanguardie storiche.

[5] L’espressione è tratta dal volume PICON-VALLIN B. (dir.), Les écrans sur la scène, Paris, L’Age d’Homme, 1998 e in particolare dall’introduzione, PICON-VALLIN B., Hybridation spatiale, registres de présence, pp. 9-35

[6] PONTE DI PINO O., La leggerezza dell’orrore. Le Metamorfosi di Giorgio Barberio Corsetti alla Biennale di Venezia, in www.ateatro.it, n° 42, 2002

[7] Vedi BAIONI G., Kafka. Romanzo e parabola, Milano, Feltrinelli, 1962

(ERICA MAGRIS)

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Studio azzurro celebra i 20 anni di Videoteatro. Ricordando Paolo Rosa
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Raccontare 15 anni della presenza trasversale di Studio Azzurro nell’ ambiente del teatro italiano ed europeo è quello che si propone l’evento Studio Azzurro e il teatro che si terrà sabato 20 settembre dalle 17 in poi al Teatro Out Off. una giornata dedicata a proiezioni e incontri con gli artisti che hanno sperimentato la “Vocazione plurale alle regia” .
Era il 1995 quando Fabio Cirifino, Paolo Rosa, Leonardo Sangiorgi e Stefano Roveda attraverso la realizzazione di videoambienti, ambienti sensibili e interattivi, percorsi museali, performance teatrali e film, disegnano un percorso artistico trasversale alle tradizionali discipline e formano un gruppo di lavoro aperto a differenti contributi e importanti collaborazioni.
Per ricordare il lavoro svolto da Studio Azzurro e il suo rapporto con il teatro vengono proposte due serie cronologiche di video, da cui emergono i soggetti artistici con cui i progetti sono stati condivisi e realizzati, con intermezzi dai testi di scena interpretati da Irene Grazioli.
Dalle 17 alle 20, verranno proiettati : Prologo a Diario Segreto Contraffatto del 1985, Primo Scavo del 1988, Alexander Nevskji 
del 1989, Kepler’s Traum del 1990, La Perfezione di uno Spirito Sottile del 1991,Ultima Forma di Libertàil Silenzio del 1993, The Cenci del 1997, presentato al Teatro Almeida di Londra, rappresenta un importante riferimento del teatro danza e del teatro musicale, Due Lai del 2000,Neither del 2004, Racconta del 2007.
Dopo un’ora di pausa, dalle 20 alle 21, si riprende con La Camera Astratta del 1987, commissionato da Documenta 8 di Kassel e vincitore del Premio UbuIl Combattimento di Ettore e Achille del 1989, Delfidel 1990, Che-cambiare la Prosa del mondo del 1991, Striaz del 1996, Giacomo mio, salviamoci del 1998, Il fuoco, l’acqua , l’ombra. Le immagini della natura in Tarkovskji del 1998, Wer mochte Wohl Kaspar Hauser sein 
2000, Trittico dei Canti Rocciosi del 2002, Ambleto del 2003, Galileo. Studio per l’Inferno del 206, Stanze del 2008.

Video intervista al regista teatrale sloveno Tomi Janezic per Rumor(s)cena
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Anna Monteverdi per Rumor(s)cena ha intervistato il regista slavo Tomi Janezic al Festival Fabbrica Europa di Firenze dove è andato in scena in prima nazionale  “Il gabbiano” per la sezione “Balcanica”.

On line sul  canale video di Rumor(s)cena Intervista a Janezic

Stazione Leopolda Firenze 

Prima Nazionale

TEATRO NAZIONALE SERBO

Il Gabbiano

da Anton Pavlovich Chekhov

direzione, regia, allestimento e luci: Tomi Janežič

Festival Fabbrica Europa 

Definito “il Peter Brook slavo”, Tomi Janežič ha diretto un cast di 30 persone, tra attori e tecnici, per allestire unGabbiano  da Chekhov  della durata di  quasi 7 ore. Uno spettacolo che attiene al concetto di teatro come spazio di riflessione sull’essenza, oasi di pensiero sulla nostra esistenza, su noi, sulle relazioni, la vita. Il tentativo in scena è di porre interrogativi sul processo artistico, sulla creatività stessa e le arti in generale, ma il vero senso del lavoro è dare alle pubblico una ragione per prendersi del tempo e meditare sulla vita, incontrarsi e condividere impressioni.

 

 

 

Il Gabbiano regia di Tomi Janežič

Il Gabbiano regia di Tomi Janežič

 

Filip Ðuric, Dušan Jakišic, Milica Janevski, Deneš Debrei, Draginja Voganjac,
Ivana Vukovic, Boris Liješevic, Boris Isakovic, Dimitrije Dinic, Jovan Živanovic, Milica Trifunovic, Tijana Markovic Dušan Mamula
musicisti: Aleksandar Ružicic (flauti), Borislav Cicovacki (oboe)
drammaturgia: Katja Legin
costumi: Marina Sremac – assistente costumi: Snežana Horvat
compositore: Isidora Žebeljan – suono: Tomaž Grom
assistente allestimento: Željko Piškoric – assistente alla regia: Dušan Mamula e Dimitrije Dinic
regia ed editing del film: Tomi Janežic – collaborazione all’editing: Brane Klašnja
riprese: Srdan Ðuric – suono: Uroš Stojnic – tecnici luci: Miroslav Ceman, Marko Radanovic
poster design: Tomi Janežic, Katja Legin, Srdan Ðuric – produttore: Elizabeta Fabri
sound master: Dušan Jovanovic – registrazione musiche: Zoran Marinkovic