Archivi tag: Anna Monteverdi

Leggere uno spettacolo multimediale è il libro del mese per #Cosmotaxi L’intervista di Armando Adolgiso
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Il regista ARMANDO ADOLGISO curatore da svariati anni del mitico COSMOTAXI dove si parla di letteratura cinema teatro arte e in generale di cultura ha dedicato la COVER_STORY al mio libro Leggere uno spettacolo multimediale. L’intervista la trovate al link e segnalo il mag perché è sempre aggiornato e approfondito. GRAZIE!

E qua il link al lungo CV di Armando

http://www.nybramedia.it/

EINSTEIN ON THE BEACH DI BOB WILSON 1976-2012. On line la versione integrale #liberiamogliarchivi
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OVVERO, QUANDO I CLASSICI DEL TEATRO RIEMERGONO.

In questa corte tutti gli uomini sono uguali.

Avete già sentito molte altre volte queste parole: Tutti gli uomini sono uguali. Ma le donne?

Tutte le donne sono pari agli uomini? C’è chi dice che lo sono.

Einstein on the beach, scena 2 “Il vecchio giudice”

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In Italia fu Franco Quadri a darne una importante descrizione critica nel volume Invenzione di un teatro diverso con intervista allo stesso Wilson. Un link dal film Absolute Wilson con un po’ di storia di questa straordinaria produzione. Come è possibile riproporre uno spettacolo “storico” senza il rischio di cadere nel riepilogo o nell’agiografico? Recuperando le coreografie originali di Lucinda Childs, i testi di Christopher Knowles e Samuel Johnson, le partiture di Philip Glass. Chi scrive non ha avuto la possibilità (anagraficamente parlando) di vedere la versione originale ma solo le numerose fotografie e brevi frammenti documentari che si trovano in rete, troppo pochi per azzardare un qualsivoglia paragone. Esperimento comunque inutile perché l’esperienza esaltante di questo concerto-spettacolo riproposto anche in Italia al Teatro Valli, rende superfluo qualunque altro argomento. Emozionante e coinvolgente, Einstein on the beach è una vera opera d’arte totale.

Cinque ore di visione e di ascolto indimenticabili introdotti da una speciale ouverture a loop in cui il personaggio femminile seduto in un banco, vestito di pantaloni da uomo, camicia bianca, bretelle e scarpe da ginnastica, recita dei numeri a caso, dove Wilson accompagnato dal progetto musicale di Glass, padre della musica minimalista, ispirato da una fotografia di Einstein bambino sulla spiaggia e da una immagine del fisico che suona il violino, svolge i suoi 4 atti con cinque “knee plays”, giunture tra un atto e l’altro sotto il segno della matematica. Così Miguel Morey e Carmen Pardo definiscono i “knee plays”:

Il termine Knee play designa il punto di articolazione di due elementi simili. Fu usato per la prima volta in Einstein on the beach (e in seguito in CIVIL warS) in cui 5 brevi scene sono agite sul proscenio o su una piattaforma sopra la buca dell’orchestra, nel punto più vicino al pubblico. Hanno una funzione strutturale di unione e insieme di separazione, agendo come un preludio, interludio o postludio alle scene principali. Servono a distogliere l’attenzione dai cambi di scena”.

Così Glass sulla genesi dell’opera:

Bob e io ci conoscemmo nel 1973, andai a vedere “Life and Times of Joseph Stalin”, una piéce silenziosa che durava 12 ore, dalle 7 del pomeriggio alle 7 del mattino del giorno dopo; ci trovammo nel suo spazio prove a Manhattan. Decidemmo di incontrarci ogni settimana per pranzo. E in un paio di mesi, cominciammo a lavorare a una pièce. Quando cominciammo a parlare di un soggetto, io suggerii Gandhi ma Bob non era interessato. Egli provò con Hitler allora fui io che non volli. Poi mi disse: “Che ne dici di Einstein?” Andò così: ero molto colpito da Einstein, era un eroe popolare negli anni Quaranta. L’opera musicale non era una narrazione sulla vita di Einstein. Ciò che legava me e Bob era che pensavamo a qualcosa su spazio e tempo in teatro. Lavorammo per primo con il tempo -4 ore- e come suddividerlo. Poi pensammo alle immagini e poi alla scena. Ho scoperto che Bob “pensava” con matita e carta: ogni cosa veniva fuori come disegno. Ho composto musica per questi disegni e poi Bob li ha messi in scena.

I gesti, i movimenti, le pose plastiche degli attori, le coreografie singoli e corali dei performer disposti secondo una rigida disciplina di “quadro”, rivelano una geometria nascosta, quelle “linee principali” e quella “musica del quadro” di cui parla Delacroix nel suo diario. Geometrie di corpi, di traiettorie coreografiche, di luci. Luci che creano architetture, corpi che tagliano la scena in diagonali perfette, uomini e macchinari disposti secondo linee parallele che non si intersecano mai, parole che si ripetono, parole che perdono il loro significato per diventare fonemi, lettere ripetute, sillabe solfeggiate, giochetti linguistici, aggregati di non-sense o semplici enunciati di numeri o di note. E’ una continua esplosione di visioni e visionarietà, con scene che si susseguono alternate da brevi intermezzi vocali o corali (14 solisti e due cori di sei persone) con musica ossessivamente ripetitiva suonata da un’orchestra non convenzionale (costituita da sassofono soprano, organo elettrico, flauto,  clarinetto basso, sassofono alto e due tastiere). Il tutto strutturato come un’equazione matematica, secondo le intenzioni di Glass e Wilson.

Interni ed esterni si alternano seguendo una partitura formale contemporaneamente musicale, visiva e coreutica: un treno che avanza lentamente, un tribunale con i giudici e un carcerato dietro le sbarre, la facciata di un palazzo. Molti oggetti prevalgono sulla scena: treni, orologi, astronavi collegati all’idea di unicità spazio-temporali. Indimenticabile la scena della barra luminosa che impiega 18 minuti (esattamente quanto la durata del pezzo) a spostarsi da orizzontale a verticale e la scena finale con la struttura in ferrotubi da edilizia su tre piani incorniciata da tubi di plastica avvolti a spirale su cui passa una luce rossa punteggiata al neon e dentro cui alcuni performer agiscono e musicisti suonano del free jazz (su ammissione di Wilson la struttura è una citazione dalla scenografia del Living Theatre dal loro spettacolo Frankenstein creazione collettiva, presentato alla Biennale di Venezia del 1964).

Quando si parla del suo teatro-cinema non si fa riferimento solo all’esasperato ralenti tipico del lavoro di Wilson (da Deafman’s glance in poi), ma anche alle scene che prevedono la stessa scenografia più piccola o più grande o gigantesca a seconda dei tre diversi campi di inquadratura, con relative sfumature di luce che si attenuano, diventando pulviscolari nel lontanissimo o limpidissime nel bagliore del ravvicinato sempre seguendo il ritmo della musica. Bidimensionale e tridimensionale si scambiano i ruoli grazie alla luce. Wilson è un maestro della visione: così Quadri sintetizza l’estetica di Wilson, un’estetica dedicata al tempo e all’immagine:

Wilson o la scoperta del tempo. Lo spazio non è più diviso in punti bensì in attimi e la lunghezza della scena è misurabile nello spazio dell’ora. L’immagine benché ritrovata non è percepibile, se non alla luce della quarta dimensione. E il tempo, da comprendere e di cui appropriarsi nella sua nuova accezione, si pone allo spettatore come chiave per entrare nel teatro di Wilson, attraverso uno sforzo di adesione fisica, superata  la passività della contemplazione di un’immagine. Il tempo ovvero un’entità determinante in un discorso musicale.

Sulla rivista scientifica ENGRAMMA Un approfondito saggio di Daniela Sacco su Einstein on the beach 

Presentazione del volume Memoria Maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage al Piccolo Teatro di Milano per Book City
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Memoria Maschera e Macchina al Festival Inequilibrio.Introduce Massimo Bergamasco
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Il volume Memoria maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage (Meltemi editore).  di Anna Maria Monteverdi appena edito per Meltemi con introduzione di Fernando Mastropasqua., sarà presentato per la prima volta a Castiglioncello il 20 giugno alle ore 16 nell’ambito del  Festival di Teatro “Inequilibrio” diretto da Fabio Masi e Angela Fumarola.

L’incontro vede la partecipazione insieme all’autrice, dell’Assessore alle Politiche giovanili del Comune di Rosignano Veronica Moretti  e di Massimo Bergamasco, docente di Ingegneria Meccanica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.  

L’ incontro è legato al Contest Giovani Innovatori 2018 promosso dal Comune di Rosignano Marittimo.

Memoria, maschera e macchina sono termini interscambiabili nel teatro di Robert Lepage, regista e interprete teatrale franco-canadese considerato tra i più grandi autori della scena contemporanea che usa i nuovi media; se la sua drammaturgia scava l’io del personaggio portando alla luce un vero e proprio arsenale di memorie personali e collettive, la macchina scenica video diventa il doppio del soggetto, specchio della sua interiorità più profonda. La perfetta corrispondenza tra trasformazione interiore del personaggio e trasformazione della scena determinano la caratteristica della macchina teatrale nel suo complesso che raffigura, come maschera, il limite tra visibile e invisibile. Il volume contiene interviste a Robert Lepage e allo scenografo Carl Fillion e un’antologia critica con saggi di Massimo Bergamasco, Vincenzo Sansone, Erica Magris, Giancarla Carboni, Francesca Pasquinucci, Andrea Lanini, Ilaria Bellini, Sara Russo, Elisa Lombardi, Claudio Longhi.

Anna Maria Monteverdi è ricercatore di Storia del Teatro all’Università Statale di Milano e docente aggregato di Storia della Scenografia. Insegna Cultura digitale alla Alma Artis Academy di Pisa ed è coordinatrice della Scuola di Arti e Nuove tecnologie dell’Accademia. Esperta di Digital Performance ha pubblicato: Nuovi media nuovo teatro (FrancoAngeli 2011), Rimediando il teatro con le ombre, le macchine e i new media (Ed.Giacché 2013), Le arti multimediali digitali (Garzanti 2005 ). Ha realizzato documentari teatrali per Rai5.

Massimo Bergamasco: Ordinario di Meccanica Applicata presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, è Direttore dell’Istituto di Tecnologie per la Comunicazione, Informazione e Percezione della Scuola. Ha fondato nel 1991 il Laboratorio di Robotica Percettiva, dove svolge attività di ricerca su temi di Robotica Indossabile, Interfacce Aptiche e Ambienti Virtuali.

 

AMM’s BIO
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 Esperta di tecnologie per l’arte e digital performance. Dottore di ricerca in Forme della rappresentazione audiovisiva, teatrale e cinematografica si è specializzata in Canada presso la sede Ex machina di Robert Lepage di cui ha scritto la prima monografia assoluta (Il teatro di Robert Lepage, ed. Franco Serantini, Pisa, 2005; nuova edizione in corso di stampa) e insieme con Giacomo Verde, il videodocumentario La faccia nascosta del teatro (Montréal 2000). E’ in corso di realizzazione il nuovo documentario su Lepage (riprese Giuseppe Baresi).

Scrive recensioni, interviste e approfondimenti su Rumorscena, Hystrio, Digicult, Juliet Art Magazine, Culture teatrali, Arabeschi; fondatrice con Massimo Marino, Andrea Porcheddu e Ponte di Pino di Rete critica, la rete italiana della critica teatrale on line. Co.fondatrice del sito Ateatro.it con Oliviero Ponte di Pino ha scritto per il sito dal 2000 al 2013 con una sezione dedicata da Teatro e Nuovi media. Qua tutti gli articolintmlogo

Insegna Teoria delle arti multimediali alla Accademia Alma Artis di Pisa ed è la coordinatrice didattica del corso Art and Digital Technology; come docente di prima fascia insegna Storia dello spettacolo e Letteratura e filosofia del Teatro all’Accademia di Lecce per la Scuola di Scenografia.

Ha insegnato per 10 anni Digital video,poi Drammaturgia multimediale all’Accademia di Belle Arti di Brera.

Ha insegnato Drammaturgia dei media al Dams di Messina e di Bologna; Forme dello spettacolo multimediale al Dams di Imperia, Spettacolo multimediale al Corso di Laurea in Cinema Musica e teatro (Università di Pisa. Ha insegnato Analisi del repertorio multimodale al Biennio di Tecnologie del Conservatorio di Genova; Storia del teatro all’Università di Cagliari, Facoltà di Lettere, Storia dello Spettacolo; Storia del Cinema e del video, Storia del teatro musicale all’Accademia di Belle Arti di Torino. Tiene regolarmente lezioni e workshop presso Master in New Media (Master in Digital Environment design, NABA), Scuole di formazione professionale, Festival di Arti digitali, Fondazioni (Fondazione Toscana Spettacolo; Fondazione Paolo Grassi, Fondazione D’Ars).

Per Invideo ha curato la monografia su Michele Sambin e  la prima personale su Giacomo Verde. E’ stata membro di giuria per Riccione TTV con Paolo Rosa e Franco Quadri; presidente di giuria al festival di cortometraggi delle Accademie italiane I-mode visions (Macerata)

Anna Monteverdi con Robert Lepage
Anna Monteverdi e Robert Lepage; frame dal videodocumentario

Ha pubblicato numerose monografie, dossier e saggi su new media e performance. I più recenti sono “Nuovi media, Nuovo teatro” (FrancoAngeli) presentato al Teatro Valle Occupato e al Museo Nazionale dell’Attore di Genova; Rimediando il teatro con le macchine, con le ombre con i new media (2013).

Contributi su antologie recenti: S. Arcagni, I media digitali e l’interazione uomo-macchina; Atti del convegno CORPS EN SCÈNE : L’ACTEUR FACE AUX ÉCRANS; MIchele Sambin tra pittura musica e video, S.Vassallo (a cura di), Giacomo Verde; Atti del convegno Letteratura e teatro a cura dell’ADI associazione docenti italianistica.

Nel 2005 con A. Balzola ha pubblicato il volume enciclopedico “Le arti multimediali digitali” per Garzanti (3 edizioni +e-book); sempre con Balzola ha pubblicato Storie mandaliche, genesi di uno spettacolo interattivo per Nistri-Lischi con contributi critici di Antonio Caronia e Alfonso Iacono.
Come location manager ha lavorato per il duo di videomaker internazionali Masbedo in occasione della video installazione per due schermi sincronizzati, “Schegge d’incanto in fondo al dubbio”, commissionato dalla Biennale di Venezia (2009) e per “Distante un Padre” (produzione Arts of the World- Organizzazione Nazioni Unite, 2010).

Ha lavorato come production manager per spettacoli multimediali; è stata chiamata per creare gli eventi multimediali per la Festa della Marineria alla Spezia, per il centenario del Futurismo, per la celebrazione dei 140 anni dell’Arsenale della Spezia (Ars Genius); ha creato come production manager, un originale videomapping del Castello di Lerici e San Terenzo per i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Ha realizzato alcuni documentari videoteatrali; il più recente Teatri I Ri Ne Kosove (Nuovo Teatro in Kosovo) è stato acquistato dalla Rai, proiettato al Piccolo di Milano il 30 ottobre come selezione speciale da Invideo. Sul Kosovo ha curato per Cut up il primo volume teatrale sui testi di Jeton Neziraj (Traduz. M. Genesin e G. Carboni) e il dossier Teatro in Kosovo per Teatro e Storia.
E’ stata progettista per conto del DIRAAS di Genova di IAM (international Augmented Med) con focus su tecnologie di realtà aumentate per i beni culturali e il turismo, finanziato dalla UE per il triennio 2013-2015. Tra i Paesi aderenti: Palestina, Egitto, Libano, Spagna, Giordania.

Con IAM ha tenuto conferenze e workshop su VIDEOMAPPING presso la Biblioteca Alexandrina in Egitto, a Madrid, a Girona (dove ha anche coordinato una delle Jornades APP su architettura e proiezioni virtuali). Ha collaborato al Festival RomaEuropa per il programma di sala degli spettacoli 2015.

Ha fatto parte della Commissione che ha aggiudicato la gara per il Museo Storico multimediale della Fortezza di Sarzana (SP).

Invitata al convegno internazionale su Teatro e tecnologia presso la Sorbonne Nouvelle (giugno 2015) ha tenuto una conferenza su videomapping e teatro. Fa parte dell’International Federation of Theatre Research e ha partecipato con relatore e chair al convegno di Stoccolma (giugno 2016). Ha tenuto una conferenza al convegno Arte e scienza dell’Accademia di Belle Arti di Catania (Giugno 2016) dal titolo: I nuovi formati della digital art. Invitata a Riga (29 settembre 2016) alla conferenza Open field organizzata da RIXC Center for New Media Culture e l’ Art Research Lab of Liepaja University terrà una relazione su Software Theatre in a Software Culture.

E’ Program commitee di GARR per le tecnologie e la ricerca (Convegno annuale Firenze novembre 2016).

Attualmente sta lavorando a due documentari, uno su Puglia e Balcani con focus sul regista teatrale sloveno Tomi Janezic (con il patrocinio dell’Accademia di Belle Arti di Lecce); l’altro su Robert Lepage.

 anna.monteverdi@gmail.com

Uscito il volume a cura di Simone Arcagni “I media digitali e l’interazione uomo macchina” ed. Aracne
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Con l’avvento della rete e dei social network e con il sempre più deciso affermarsi della dimensione gaming del digitale, l’universo mediale è stato attraversato da forme intense di interattività: dal semplice commento, risposta e scrittura dei forum dei blog e dei social, fino a pratiche di storytelling partecipato. La televisione diventa smart e si fa interattiva, il cinema si ibrida in rete con i game e nascono forme di cinema, di web serie e di web documentari interattivi. L’uso di sensori come Kinect e di microchip rendono performativa la fruizione trasformando definitivamente lo spettatore in utente. E l’interactive design produce software e interfacce sempre più aperte alla manipolazione da parte dell’utente. L’interattività coinvolge il mondo dei media, il web e l’universo mobile e si insinua nelle pratiche: giornalismo, comunicazione pubblica, pubblicità, performing art e così via.

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I media digitali e l’interazione uomo macchina

Con saggi di:

Leandro Agrò, Stefania Antonioni, Sebastiano Bagnara, Ornella Costanzo, Luigi Galluccio, Salvatore Iaconesi, Mirko Lino, Giulio Lughi, Giusy Mandalà, Alberto Marinelli, Tatiana Mazali, Graziella Mazzoli, Vanessa Michielon, Sara Monaci,Annamaria Monteverdi, Domenico Morreale, Oriana Persico, Simone Pozzi,Andrea Resmini, Mario Ricciardi, Domenico Sciajno, Gabriella Taddeo, Luca Tremolada

Simone Arcagni è docente associato presso l’Università degli Studi di Palermo. Studioso di cinema, media, nuovi media e nuove tecnologie. Collabora con «Nòva24», «Oxygen», «Technonews», «Segnocinema», «Digicult» e altre riviste scientifiche e di divulgazione scientifica. Tiene un suo blog (Postcinema) per “Il Sole 24 Ore”. Dirige «Screencity Journal». Tra le sue pubblicazioni: Screen City (Bulzoni), Music Video (con Alessandro Amaducci), Oltre il cinema. Metropoli e media (Kaplan).

Intervista a Anna Monteverdi a cura di Armando Adolgiso
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Su Cosmotaxi, rivista interstellare del regista e scrittore, nonché raffinato conoscitore di Arte e Teatro Armando Adolgiso la mia intervista! Che leggete nell’originale qua:

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Studiosa da anni di digital performance e videoteatro, la ritengo, e non sono il solo, la più acuta osservatrice della nuova scena tecnologica che abbiamo in Italia. Autrice di opere quali l’imperdibile Nuovi media, nuovo teatro  imperdibile sia per gli addetti ai lavori – anche se di diversa tendenza espressiva – sia per quanti sono interessati all’influenza delle nuove tecnologie nella nostra vita quotidiana di lavoro e tempo libero. Questo perché il volume illustra, e interpreta, origini, percorsi e approdi dell’intercodice quando s’invera alla ribalta e, più spesso, anche in luoghi non elettivamente scenici, e da quelle indicazioni discendono importanti considerazioni sui nuovi modelli di comunicazione.
Più articolate notizie biografiche QUI.

Testimonianza dell’ampiezza e profondità del suo sguardo è il sito che conduce in Rete rintracciabile con un consigliabilissimo CLIC.

 Benvenuta a bordo, Anna, così come più rapidamente gli amici ti chiamano…

Bentrovato Armando!

A.A.La stellata Michelin e stellare chef Cristina Bowerman che illumina l’Hostaria Glass di Roma, mi ha consigliato di sorseggiare durante la nostra conversazione una bottiglia di Barolo Percristina di Domenico Clerico… cin cin!
Ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Anna secondo Anna…

AMM: Io mi definirei una teatro-compulsiva e una maniaca delle tecnologie, una brava studiosa che ha visto la luce il giorno che ha incontrato il tecnoregista Robert Lepage in Quebéc e che da quel momento nel 2000, non si è persa un suo spettacolo e arriva a prenotare con 6 mesi di anticipo ogni suo debutto da New York a Madrid a Nantes (dove andrò a febbraio). Mi dicono che i miei libri su teatro e multimedia sono diffusi nell’ambiente tecnologico e teatrale e in quello universitario e ne sono felice ma alla fine noi studiosi di materie così ai margini siamo, in fondo, degli sconosciuti noti solo in universi paralleli raggiungibili soltanto con l’Enterprise! E non abbiamo la percezione di quanto riusciamo a incidere nel cambiamento culturale di questo paese; mio figlio Tommaso mi dice di aggiungere che non so usare l’iphone 6 che mi hanno regalato a Natale. E questo chiude il quadro

A.A. Qual è lo scenario filosofico-estetico al quale fa riferimento il tecnoteatro?

A.M.M: Negli anni Novanta l’argomento-chiave quello che aveva portato agli innesti spettacolari di Stelarc o alla corporeità tecnologica di Marcel.lì Antunez Roca come tu sai, era il “post human”, con gli studi di Donna Haraway (“Il manifesto del cyborg”); quel “connubio impuro” tra uomo e macchina fu elaborato e diffuso dallo studioso di cyber culture Antonio Caronia. Per me hanno avuto particolare influenza gli studi sui media di Negroponte (“Essere digitali”, 1999), Manovich, Maldonando, Pierre Lévy, Derrick De Kerckhove e i pensieri di Paolo Rosa fondatore di Studio Azzurro. Gli strumenti digitali in scena, ricordava Paolo, devono essere considerati alla stregua di un linguaggio artistico da plasmare e adattare drammaturgicamente alle esigenze della scena. Altri riferimenti vanno dalla “Teoria estetica” di Adorno all’ermeneutica di Gadamer. Ma ho una passione speciale per Rosalind Krauss e la sua teoria della “reinvenzione linguistica del medium” in arte.

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A.A. Tue parole: “La corporeità del teatro e l’immaterialità del virtuale”.
Esiste una possibilità di legame oppure è negata?

A.M.M.Certamente il teatro è il luogo del corpo, dello spazio, dell’incontro grotowskiano tra attore e spettatore qui e ora ma attualmente questo “qui e ora” si è trasformato con i media digitali e con la rete, in una dimensione di “là e altrove”, allargando i confini del teatro in uno spazio-tempo così ben descritto da Manuel Castells ne “La nascita della società in rete”, cioè uno spazio di flussi, di reti funzionali che sostituiscono lo spazio dei luoghi e ci immergono in una simultaneità interconnessa. Progetti di teatro via web, sistemi di animazione 3D e videomapping per le scenografie, visori come Oculus, definiscono oggi una “cultura della virtualità reale” per citare ancora Castells, ovvero una realtà (il teatro) immersa in un ambiente (virtuale) di immagini. Il teatro, idealmente il luogo dove si raccoglie la comunità, può però, usare questi strumenti per creare una “augmented sociality” e non solo una “augmented reality”…”.

A.A. Fra i meriti del nuovo teatro, c’è la creazione di un intercodice fra varie espressività, attirando nella propria area linguaggi che vanno dalla letteratura al fumetto, dalle arti visive alla tv, dalla danza ai videogiochi… è fruttuoso oppure no cercare un territorio da dove sono arrivati i contributi maggiori per numero e peso? O è necessario pensare diversamente?

A.M.M. Direi che dobbiamo resettare tutto. L’ambiente tecnologico di oggi non ha derivazioni dal passato analogico. Questa unione di digitale che è un codice che gestisce testo, immagine suono, con la scena che è un mix di corpo, scena, parola, immagine fa capire che ragionare in senso di specificità del linguaggio per il teatro tecnologico non ha alcun senso. La contemporaneità artistica è fatta di innesti paradossali e di produzioni miste, di progetti che vagano nel web e nelle gallerie d’arte. In questa generalizzata computerizzazione della cultura (vedi Manovich) si produce una fenomenologia artistica aperta, mimetica e mutante: il Nuovo teatro digitale, affrancato dai vincoli e dalle convenzioni del singolo mezzo, si nutre indistintamente di elementi dai videoclip, dalle installazioni interattive, dai vjin, e persino dai videogame art. E’ l’intertestualità la logica prevalente delle nuove produzioni mediali ed è la natura del digitale a determinare le mescolanze più impensabili. Ne parlo in questo saggio.

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A.A. Che cosa cambia per l’attore agire in una scena tecnologica invece che nel teatro tradizionale?

A.M.M.Robert Lepage dice che un attore tecnologico deve avere consapevolezza di sé e della propria “ombra”, ovvero di ciò che il suo gesto produce in termine di immagine. Un attore non può rimettere la questione della tecnologia a un professionista che sta in una consolle: le coreografie dovranno essere consapevolmente “orientate” alla macchina, e l’espressività dovrà nascere da questa combinazione tecnocreativa. Quanto al rapporto tra tecnico e artista, mi piace ricordare la frase di Giorgio Barberio Corsetti autore di alcuni degli esempi faro del videoteatro italiano: “Amo la tecnologia se dialoga col corpo dell’attore”: per fare questo il tecnico deve avere una “sensibilità artistica” e il regista deve poter avere quel minimo di competenza da potersi immaginare soluzioni tecnologiche in grado di diventare attivatrici di azioni drammatiche.

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A.A. Videomapping. La più recente tecnica di visionarietà tecno visuale. Te ne sei già occupata sul tuo sito web, e ne hai accennato poco fa.Puoi descriverne qui, in sintesi, la sua essenza tecnica…

A.M.M. Si tratta di proiezioni architetturali che replicano digitalmente e modificano gli elementi della facciata di un palazzo e conferiscono una “maschera virtuale” all’intera superficie, offrendo un’illusione ottica con animazioni 3D di grande effetto: portali, finestre e altri oggetti architetturali che esplodono, crollano o ospitano attori virtuali. Nata come forma pubblicitaria – una sorta di insegna digitale – è stata presa in prestito dagli artisti e piegata a modalità narrative innovative e oggi siamo arrivati a una perfetta maturità del genere con i lavori di Urbanscreen, Nuformer, AntiVj, gli italiani Apparati effimeri, i croati Visualia, gli spagnoli Koniclab. Ci sono Festival dedicati al videomapping, ed esiste persino un progetto europeo IAM project per il quale collaboro, che ha un focus sull’utilizzo del videomapping per promuovere turismo e arte; e il teatro oggi lo usa per creare scenografie al limite del virtuosismo virtuale!

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A.A. puoi fare qualche esempio di artista che mette a frutto questa tecnica?

A.M.M. Klaus Obermaier che ha reso il videomapping sia teatrale sia interattivo con un esempio da lasciare a bocca aperta, (vedi Dancing house) ma anche il gruppo 1024 Architecture. Poi il giovane Marko Bolkovic che ha ideato per il Festival di Girona un mapping straordinario dal titolo Transiency. Se qualcuno vuole conoscere tematiche e snodi critici sul videomapping rimando oltre che al mio sito, al lavoro editoriale di prossima uscita a firma di Simone Arcagni, giornalista e studioso di new media e post cinema. Si tratta della prima antologia italiana sul tema. Ultimamente mi occupo non solo di videomapping però ma anche di promuovere un progetto di teatro tecnomusicale Diffraction. In paradise artists can flydel musicista Gabriele Marangoni con testo del drammaturgo kosovaro Jeton Neziraj. Marangoni ha composto un poeticissimo e straneante paesaggio sonoro che sfrutta tutte le sue potenzialità di racconto non lineare e non convenzionale del teatro postdrammatico per tradurre in suoni, gesti e azioni tecnologicamente mediati, le tensioni e le inquietudini metropolitane

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A.A.Qual è il principale contributo che i nuovi media hanno dato al nuovo teatro?

A.M.M. L’artista lavora coi media per dar loro un senso diverso dalla finalità tecnica per cui sono state progettati e la tecnica non può prescindere da una poetica. Studio Azzurro, Robert Lepage, Dumb Type, Giardini Pensili hanno sottolineato in modalità diverse, le potenzialità espressive e drammaturgiche dei dispositivi computerizzati: una macchina “emancipata” dalla sua funzione pratica e perfettamente integrata con l’intero apparato spettacolare che è capace di reinventare nuove forme e un nuovo vocabolario narrativo

A.A.Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans… insomma, che cosa vuol dire per te “teatro di ricerca” oggi?

A.M.M.Sperimentare zone nascoste. Che esistono anche nella tecnologia, nonostante questa appartenga ormai al nostro quotidiano. L’artista di ricerca è colui che sa piegare la tecnica a svolgere funzioni per le quali non è stata progettata. Pensiamo alla piattaforma per videogiochi domestici Kinect usata per l’X-box. Oggi è di fatto lo strumento di motion capture più economico e flessibile che un coreografo digitale possa avere tra le mani per fare un lavoro di interaction design. Non più tute con cavi e sensori invadenti per l’interprete, solo una telecamerina che cattura i punti fondamentali del corpo e con quelle informazioni, trattate da un software, puoi gestire un sistema audio-video interattivo complesso. E’ un videogioco, ma nelle mani di un artista, può diventare molto altro. Condivido l’espressione di Rosalind Krauss studiosa di estetica che afferma che artista è colui che “reinventa il medium”, ovvero elabora su di esso una nuova grammatica e una nuova sintassi, dunque lo rende a tutti gli effetti un linguaggio.

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A.A. Non solo Orlan, Stelarc, Stelios Arcadiou, Yann Marussich, Marcel.Lì, ma anche gruppi usano il proprio corpo come esplorazione tecno-antropologica della fisicità. Come interpreti quest’interesse delle arti sceniche per una sorta di “neocorpo”?

A.M.M. Il loro lavoro (le operazioni chirurgiche in forma di performance di Orlan, gli innesti di Stelarc, le propaggini tecno corporee di Marcelì) ha sicuramente rappresentato una parte importante delle discussioni sull’ibridazione uomo-macchina, sul tema del cyborg negli anni Novanta. Forse oggi si potrebbe parlare di neocorpi trasferiti come Avatar nella rete. Ma l’impressione è che la sperimentazione attuale non sia più volta a creare un corpo che imiti la macchina ma piuttosto, che sia la macchina digitale ad aver acquisito una ‘sensibilità’ umana e le fattezze di un interprete. Guardiamo l’esempio di Cinématique di Adrien Mondot: la scena che si trasforma di continuo seguendo i danzatori, ridefinendo ogni istante i contorni video luminosi del palcoscenico. Qua la tecnologia è indubbiamente, il terzo attore: e non ci sono in giro ingombranti interfacce di comunicazione con il sistema. Solo uno spazio vuoto. Come voleva Peter Brook.

A.A,. Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei…che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…

A.M.M. Ho letto che l’attore che ha interpretato il capitano della nave stellare Enterprise, James Tiberius Kirk, ha ricevuto dalla Nasa la medaglia d’onore e nelle motivazioni si parla della “dedizione ad ispirare nuove generazioni di esploratori di tutto il mondo”. Diciamo che mi sento esattamente così, star trekkianamente un esploratore alla ricerca di universi nuovi o paralleli e sempre in orbita per viaggi intergalattici alla scoperta di forme non di vita ma di arte di incommensurabile e tecnologica bellezza. “Star Trek” prima e poi “Il neuromante” di William Gibson mi hanno proiettato dentro un sogno tecno-fantascientifico da cui non mi sono ancora svegliata. Vorrei assistere a uno spettacolo in cui un attore si palese in scena come nel ponte ologramma del film: non ci sarebbe più bisogno di immergersi con visori o sistemi multimonitor per ampliare il campo visivo dello spettatore teatrale: sarebbero direttamente gli oggetti e i personaggi a “fuoriuscire” dal loro mondo e ad affacciarsi direttamente nel nostro! Non sarebbe meraviglioso?

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A.A. Sì, credo proprio di sì… nel frattempo siamo quasi arrivati a Monteverdi-A, pianeta abitato da alieni che per Portale del Sapere usano la Monteverdipedia… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “Percristina” di Clerico consigliata dalla chef Cristina Bowerman del Glass di Roma… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
A.M.M. Cercherò di avvistare l’astronave con il mio binocolo da teatro e salirò al volo portando con me una bottiglia di Rakia albanese per festeggiare!
A.A. … bene… ti aspetto e intanto ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

“Nuovo Teatro in Kosovo”, video di Anna Monteverdi
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Chi avrebbe mai immaginato l’esistenza di un Teatro nel Kosovo? Chi avrebbe mai speso gli ultimi due anni a promuovere il Teatro di un paese, uscito da una guerra fratricida e da pochissimo tempo resosi indipendente? Una studiosa, fascinosamente attratta dai nuovi media e dalla tecnologia, lo ha fatto affidandosi ad un genere come il documentario. Con la “scrittura collettiva” del video, anticipata da una serie di corrispondenze da Pristina e dalla curatela di “La distruzione della Torre Eiffel“, Anna Maria Monteverdi così ha completato la sua scoperta del Teatro in Kosovo e soprattutto del drammaturgo e capocomico Jeton Neziraj, uno degli intellettuali più pungenti e militanti di quest’Europa: sempre più Fortezza, sempre meno accogliente e tollerante. 

Queste le parole di Fabio Francione, critico teatrale e cinematografico de Il Manifesto sul film di Anna Monteverdi sul Teatro in Kosovo che si apre con un’immagine di una violenza simulata in teatro da parte di terroristi ai danni di un francese reo di aver cercato la propria fidanzata diventata invisibile dietro al velo integrale della religione islamica.Si tratta di un passaggio dello spettacoloLa distruzione della Torre Eiffel del drammaturgo Jeton Neziraj per la regia di Blerta Rrustemi Neziraj e musiche originali di Gabriele Marangoni che ha debuttato a Prishtina capitale del Kosovo alla fine del 2013 e che sembra profetizzare i recenti fatti tragici di Parigi alla redazione Charlie Hebdo.

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Neziraj, brillante drammaturgo kosovaro si fa beffa in questo spettacolo, del fondamentalismo religioso così come della paura generalizzata verso l’Islam delle democrazie europee: è lui il protagonista del documentario di Anna Monteverdi che spiega i dietro le quinte del lavoro teatrale attraverso le immagini delle prove e della generale, e ricorda le molte difficoltà delle compagnie teatrali ad avere sovvenzioni e relazioni con le istituzioni pubbliche. E ricorda anche il tragico periodo del regime di Milosevic, quando fu proibito lo studio della lingua e della cultura albanese e anche al teatro fu tagliata la lingua. Si continuò a fare resistenza nelle cantine e nelle scuole  “parallele” dove il giovane Jeton, drammaturgo politico e per questo scomodo, ha studiato ed è diventato una delle personalità di spicco del nuovo Kosovo. Commissioni teatrali che provengono dal Teatro Nazionale del Montenegro, dalla Germania, recentemente anche dall’Italia, traduzioni dei suoi testi in moltissime lingue e allestimenti in tutta Europa fanno di Neziraj una figura chiave da cui è impossibile prescindere occupandosi dei Balcani e della loro rinascita dopo il 1999.

Dice Anna Monteverdi:

Appena ho conosciuto Neziraj nel novembre 2012, in occasione del mio primo viaggio in Kosovo, ho pensato subito a un documentario su di lui ma mi sono data tutto il tempo.

 

Avevo bisogno di compagni di avventura con cui condividere questa esperienza video, che ho trovato in Alessandro Di Naro, fotografo e Giancarla Carboni, studiosa di teatro; loro hanno concretamente impostato il lavoro di registrazione dietro mie indicazioni ma anche autonomamente e si sono avventurati in situazioni cittadine talvolta scomode. Non volevo che nel film fosse rappresentato solo il teatro, al contrario: volevo che il teatro raccontasse e simboleggiasse le contraddizioni e la precarietà della società kosovara, il difficile processo di ricostruzione e di integrazione, l’aumento di frange terroriste, le difficoltà nei rapporti con la Serbia. Fortunatamente ci siamo trovati a fare le riprese in occasione delle prove di uno spettacolo La distruzione della Torre Eiffelche sintetizzava al meglio tutte queste tematiche in una scrittura ironica e surreale quale è la cifra stilistica di Neziraj il cui lavoro è spesso censurato e ostacolato dal Governo.

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Non è un caso che all’indomani dei fatti di Charlie Hebdo, questo spettacolo sia stato considerato in qualche misura, tragicamente profetico, data l’area da cui proviene Neziraj, il Kosovo, oggi sempre più al centro dell’attenzione per l’allarme terrorismo a causa dell’aumento di combattenti jihadisti fondamentalisti che partono da qui per Iraq e Siria, come denunciava l’Espresso nei mesi scorsi. Ci sono voluti sei viaggi per mettere a fuoco quello che volevo dire; alcuni passaggi del film per me fotografano esattamente l’immagine a contrasti netti del Kosovo: i sontuosi edifici del Boulevard Madre Teresa e i quartieri popolari limitrofi semidistrutti, il teatro come luogo “protetto” ma anche luogo “abbandonato” a se stesso, sede di eventi istituzionali ma privo di riscaldamento e talvolta di elettricità, territorio pieno di macchine di polizia internazionale ma con la corruzione ai massimi livelli. Il montaggio professionale di Luca Saggin e la supervisione della spezzina Sara Fgaier ha fatto il resto”.

Il documentario è stato co-prodotto dalla Mediateca Regionale Ligure.

Per info: anna.monteverdi@gmail.com

TOUCHDESIGNER BASIC WORKSHOP @ PERIFERICA FESTIVAL
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Dal sito Interactivedesign.it

L’Academy di Interactive Design in partnership con Fusolab presenta il workshop “TouchDesigner – Let’s Begin!” che si svolgerà all’interno del Festival “Periferica – Art Is Act” il 16 e 17 Febbraio negli spazi del festival dedicati ai workshop. Il corso è di tipo “basic” e permetterà ai partecipanti di iniziare passo passo la scoperta di “TouchDesigner”, uno dei tool di programmazione visuale più potenti in circolazione. Alla fine del corso con la collaborazione di tutti i partecipanti, presenteremo una installazione interattiva che farà parte del festival. A questo link la pagina di Fusolab per avere informazioni ed iscriversi, qui l‘evento facebook.

About

 TouchDesigner è uno dei più potenti visual programming tool esistenti. Studenti, artisti, creativi e professionisti hanno a disposizione una piattaforma aperta che permette di creare nuove esperienze utente straordinarie. Può essere utilizzato per effettuare una vasta gamma di arte interattiva , multi-screen, interactive experiences, data visualization, projection mapping, live visual performances e per la prototipazione rapida di qualsiasi impulso creativo. TouchDesigner è tra I tool più versatili per ogni visual artist che si vuole addentrare nel territorio dell’interattività.

http://www.derivative.ca/

https://www.derivative.ca/088/Downloads/

Programma

  • Introduzione a TouchDesigner
  • ( lingua italiano )
  •  Introduzione ai linguaggi di Programmazione Visuale
  • TouchDesigner
  • L’interfaccia
  • Gli Operatori
  • Comp
  • Top
  • Chop
  • Sop
  • Mat
  • Dat
  • Realtime compositing
  • Analisi dell’audio e grafica generativa 2D/3D
  • Creazione di effetti video
  • Leapmotion e Kinect motion analysis
  • Creazione dell’installazione interattiva di fine corso.

Materiali necessari per partecipare al corso

Pc/Notebook ( Windows 7, Windows 8 ), o Mac con Bootcamp ( Windows 7, Windows 8) , con scheda grafica Nvidia o Amd con almeno 512Mb di memoria GPU.

PERIFERICHE OPZIONALI ( se in possesso )

  • Kinect ( versione 1 o 2 )
  • Leapmotion

Docente

Massimo Zomparelli – Glasspiel

Un’immagine è un fascio di luce, ma non senza aver prima incontrato un frammento di vetro nel suo percorso, che si una lente o il cristallino di un ochhio. Glasspiel è l’arte di suonare e far vibrare questo vetro, un caleidoscopio in cui sensibilità differenti danno vita a molteplici modalità espressive di cui, lo stimolo visivo, ne è elemento fondante. Saldatori, sensori e programmazione visuale, integrati con un passato di nastri magnetici a bobina e centraline analogiche sono il linguaggio di Glasspiel. Negli anni, il collettivo ha ideato, progettato e sviluppato ambienti interattivi che nascono dalla volontà di abbattere la distanza tra creazione e fruizione dell’opera. Lo spettatore diviene parte attiva sovvertendo i precetti che lo hanno sempre voluto in una posizione contemplativa. L’esperienza e il know how di Glasspiel si ritrovano in interactivedesign.it il digital hub creato con l’intento di esplorare e aggregare interesse verso queste tematiche, un network/blog che è divenuto in breve tempo un punto di riferimento per numero di contatti e pubblicazioni.

Massimo Zomparelli è Direttore tecnico e Digital Designer nonchè cofondatore di Glasspiel Creative. Con un background di oltre trenta anni nell’uso del computer nelle arti digitali e negli ultimi dieci, nell’interaction design. TouchDesigner è il suo tool di riferimento nella realizzazione di sistemi interattivi, projection mapping , generative art e nuove User experience.

Convegno Le Théatre dans la sphére du Numèrique, Paris, Centre Pompidou (in francese)
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Le premier Rendez-vous du programme de rencontres
« Création numérique, les nouvelles écritures scéniques » s’est déroulé le Vendredi 24 octobre 2003 au Centre Georges Pompidou dans le cadre du Festival Résonances de l’Ircam.

Il programma del convegno 

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Un grand merci à Anna-Maria Monteverdi qui a fait un compte-rendu de la journée

Ce premier Rendez-vous intitulé « Le théâtre dans la sphère du numérique » s’est déroulé face à un important public d’artistes, de chercheurs, de professionnels des arts de la scène et d’étudiants français et étrangers. Après une présentation du programme et de la journée par Anomos et Dédale puis Franck Bauchard, conseiller Théâtre au Ministère de la Culture et de la Communication, Bernard Stiegler, Directeur de l’Ircam, a proposé une introduction générale de la question « arts de la scène et technologies ».

Le programme a ensuite abordé les trois étapes suivantes :

Arts de la scène et technologies, la création contemporaine en perspective historique.
Cette première partie était organisée autour de deux axes :
– Les précurseurs : les avant-gardes de 1900 à 1960.
– Le choc du numérique : quelques expériences significatives de la question « arts de la scène et nouvelles technologies » de 1960 à nos jours.

Les nouvelles formes scéniques, panorama européen.

Il s’agissait ici de dresser un état des lieux européen des acteurs et des projets artistiques, de dégager, par pays ou zone géographique, les grandes tendances actuelles et de montrer comment les caractéristiques culturelles propres à chaque pays influent sur cette question des rapports arts de la scène et technologies. Les questions professionnelles (lieux de production, de diffusion, festivals) ont également été abordées. Les trois zones géographiques qui ont fait l’objet d’une attention particulière sont : l’Europe du Sud (Italie), l’Europe du Nord (Allemagne, Pays-bas) et l’Europe de l’Est (Pologne).

Arts de la scène et technologies, la création contemporaine en perspective historique.

Les précurseurs

Dans le cadre de la section dédiée aux précurseurs, la directrice du Laboratoire de Recherches sur les Arts du Spectacle du CNRS Béatrice Picon-Vallin (qui était absente, mais dont le texte a été lu par Clarisse Bardiot, collaboratrice du programme « Création numérique, les nouvelles écritures scéniques ») a proposé une interprétation de la scène technologique contemporaine qui s’inspire des avant-gardes du 20ème siècle : la scène actuelle serait une dernière contribution au thème de la conquête d’un théâtre de l’expression totale et d’un nouvel espace scénique généré non pas à partir de la peinture ou de la littérature, mais de la lumière et du mouvement :
« La scène architectonique » de Craig, la scène constructiviste ou celle du Bauhaus, génèrent des machines à jouer, échos des recherches de l’avant-garde plastique, capables entre autres innovations radicales, de découper l’espace tridimensionnel en une série de cadres précis dans lesquels et entre lesquels le comédien devra maîtriser le mouvement scénique, le jeu se voyant défini comme maîtrise des formes plastiques dans l’espace. La lumière tend également à éliminer la peinture pour distribuer elle-même dans l’espace qu’elle fluidifie couleurs et mouvements (…) Aujourd’hui, la machine à jouer se fera machine à projeter des images, et le jeu des comédiens devra tenir compte de celles-ci, fixes ou animées, qui peuvent habiter l’espace dans son ensemble, apparaître sur toute surface constituant le dispositif, et non plus seulement sur les écrans suspendus au dessus de la scène ou placés au fond du plateau (comme dans les années 20) – images qui peuvent même capter l’acteur en direct et être retraitées, toujours en direct, images surgies, fantomatiques, toujours au bord de l’évanouissement, de la disparition, par lesquelles l’acteur de chair est redoublé, agrandi, magnifié ou sous surveillance.
(B. Picon-Vallin, Un stock d’images pour le théâtre. Photo, cinéma, vidéo, in B. Picon-Vallin, sous la direction de, La scène et les images, Paris, CNRS Editions, 2001, p.21-22).

Béatrice Picon-Vallin propose une subdivision temporelle en cinq actes de cette histoire du théâtre technologique à laquelle tous les facteurs ont contribué de manière directe, qu’ils soient de nature sociale, politique, idéologique ou économique.

1. Les années 20 en Russie
2. Les années 20-30 en Allemagne
3. Les années 50-60 à Prague
4. Les années 60 aux Etats-Unis
5. Les dernières vingt années du 20ème siècle en Europe et aux Etats-Unis

Béatrice Picon-Vallin a porté une attention particulière au « théâtre de la totalité » de Moholy-Nagy, à l’acteur-marionette d’Oskar Schlemmer et à son célèbre ballet triadique et à Josef Svoboda, le scénographe tchèque, inventeur de la « Lanterne magique » et du système de poly-projections Polyécran présenté à l’exposition universelle de Bruxelles (1958). Des extraits du documentaire  biographique de Denis Bablet Jospef Svoboda scénographe (1983) ont été présentés. Un des extraits montrait le spectacle Intolérance 1960, sorte de manifeste pour une idée d’un théâtre multimédia (ayant de nombreuses implications politiques), qui a été créé en 1960 avec le musicien Luigi Nono sur le livret d’Angelo Maria Ripellino pour la Fenice de Venise dans un premier temps (mais les images furent censurées) et pour Boston dans un second temps. Cette dernière version prévoyait la substitution des images cinématographiques avec un système de reprise télévisuelle à circuit fermé : c’était en somme, comme le rappelle Bablet, « une nouvelle forme d’opéra, un nouveau type de théâtre total ».
Lire le texte de l’intervention de B. Picon-Vallin

Sylvie Lacerte, ex-directrice générale du Find lab (laboratoire international de recherche et de développement de la danse) de Montréal et doctorante à l’UQAM, a proposé l’exemple pionnier des EAT – Experiments in Arts and Technologies — l’organisation fondée conjointement en 1966 par les ingénieurs Billy Klüver et Fred Waldhauer de la téléphonie Bell et les artistes Robert Raushenberg et Robert Whitman. Cette organisation a été lancée lors de la manifestation 9 evenings : theatre and engineering qui s’est déroulée en 1966 à New-York. Il s’agissait de performances qui mêlaient ensemble danse, théâtre, musique et vidéo. Parmi les artistes présents, il y avait : J. Cage, S. Paxton, D. Tudor, R. Rauschenberg, L. Childs. Sylvie Lacerte a travaillé à la reconstruction détaillée de ces œuvres artistiques qui intégraient de façon inhabituelle les technologies. Comme le rappelle la chercheuse dans son texte sur l’histoire de l’EAT, en ligne sur http://www.olats.org :
Pour la mise sur pied de cet événement, un système électronique environnemental et théâtral fut inventé par l’équipe des ingénieurs. Le THEME – Theater Environmental Module – fut mis sur pied pour répondre aux besoins de dix artistes, en fonction de situations théâtrales bien spécifiques. Le THEME, qui n’était pas visible de la salle, permettait entre autres, le contrôle à distance d’objets et la possibilité d’entendre des sons et de voir des faisceaux lumineux provenant de sources multiples et simultanées.

Sylvie Lacerte a montré un extrait d’une des neuf performances, Open score de R. Raushenberg et J. MC Gee (ingénieurs ) avec Franck Stella et Mimi Kanarek, qui jouaient une partie de tennis avec des raquettes dont les manches étaient équipés de micros sans fil qui amplifiaient le bruit de la balle.


Le choc du numérique 

Dans la seconde section du panorama historique, Christopher Balme, professeur de théâtre et directeur du Département Arts du spectacle de Mayence (Allemagne) a proposé une intervention sous le nom de « Contamination et déploiement ; théâtre & technologies 1960-2003 ».
Dans cette intervention, Balme traçait trois trajectoires du rapport entre théâtre et technologies :
– l’art vidéo
– le théâtre multimédia
– la performance numérique et la performance à travers Internet
Après avoir anticipé les positions anti-technologiques du théâtre des années 60, en particulier celles de Jerzy Grotowski et Peter Brook, Balme a souligné très justement à quel point cette querelle du théâtre et des technologies est un sujet encore largement débattu. Pour la partie relative à la première vague de l’innovation technologique, les expériences artistiques de Nam June Paik, mais aussi celles de Jacques Polieri dans les années soixante ont été évoquées ainsi que les œuvres vidéos de Bill Viola et les spectacles de Giorgio Barberio Corsetti pour la période relative aux années soixante-dix et quatre-vingts. Balme soutient que ces artistes, pourtant éloignés dans leur pratique artistique, ont tous en commun une même attitude esthétique qui cherche à dépasser la dichotomie traditionnelle entre l’art et la technologie. En référence au passage de l’art vidéo à la scène, certains artistes de la soi-disant « scène multimédia » états-uniennes dont le Wooster Group d’Elizabeth Lecompte, pionnier dans l’utilisation sur scène de la vidéo, live et préenregistrée, ont été cités.

Rappelons-nous le spectacle Brace-up ! :


Brace up!
, mise en scène de Elizabeth LeCompte: Scott Renderer, Jeff Webster (sur le grand moniteur), Paul Schmidt (sur le petit moniteur), Kate Valk. (photo © Mary Gearhart)

Leur travail est poursuivi de façon parfaite par John Jesurun et The Builders Association (on se souvient en particulier du spectacle Everything that rises must converge, 1990). L’interaction entre l’action de l’acteur et de la vidéo est un postulat important selon Balme pour le développement de la performance numérique et à travers Internet.

Balme a présenté certains extraits du spectacle de Robert Lepage Les sept branches de la rivière Ota, premier projet théâtral réalisé avec la compagnie pluridisciplinaire Ex Machina dans lequel le metteur en scène canadien développe une trame visuelle faite de silhouettes, corps, images vidéos littéralement mêlés ensemble de façon à former un théâtre d’ombre muet, métaphore visuelle de la persistance de la mémoire d’Hiroshima dans le monde occidental et oriental. Dans la seconde partie, relative au numérique, Balme a parlé de la première performance sur Internet, Hamnet (1993) des Hamnet Players de Stuart Harris.

Il s’agit d’une performance réalisée via un système de chat à travers le canal Internet Relay Chat (IRC) #hamnet. L’essai en ligne de Brenda Danet offre une lecture précise de cette expérience :http://jcmc.huji.ac.il/vol1/issue2/contents.html.

Lire le résumé de l’intervention de Christopher Balme (en anglais)

Les nouvelles formes scéniques, panorama européen.

L’Europe de l’Est : l’exemple de la Pologne
Pour le panorama européen, Izabella Pluta-Kiziak, doctorante à l’Université de Silésie (Pologne), a proposé une intervention intitulée « Entre l’Internet et la réalité post-communiste » avec des fragments vidéos des spectacles de Komuna Otwock : Bez tytulu et Trzeba zabic pierwszego boga.


Desing: Gropius / Dlaczego nie bedzie rewolucji – Komuna Otwock.

La chercheuse a rappelé que le phénomène du théâtre et des nouvelles technologies est totalement différent en Europe de l’Est par rapport à l’Europe de l’Ouest ou aux Etats-Unis. L’actuel changement politique est d’ailleurs un facteur déterminant de ce phénomène. Il existe cependant des implications économiques et de forts liens avec la tradition théâtrale qui freinent une réelle expérimentation dans cette direction.
La chercheuse a proposé :
– un cadre historique de ce que l’on appelle le théâtre alternatif après 1989 et la direction du théâtre de recherche polonais à partir de la question « Peut-on vraiment introduire les nouvelles technologies dans le théâtre polonais après Grotowski et Kantor ? »
– un panorama des manifestations, festivals, centre de ressources. Entre autres, ont été présentés : le Festival international de théâtre alternatif Réminiscences théâtrales à Cracovie, Malta-Festival de Théâtre à Poznan (http://www.malta-festival.pl/) et WRO Centre (http://www.wrocenter.pl/), Centre des arts des médias à Wroclaw (qui organise la biennale des arts des médias).
– La génération des metteurs en scène « plus jeunes, plus talentueux », qui utilisent la vidéo sur scène : Grzegorz Jarzyna avec Psychosis 4.48 ; Anna Augustynowicz, Mloda smiercBalladyna.

Lire le texte de l’intervention d’Izabella Pluta-Kiziak

L’Europe du Nord : l’exemple de l’Allemagne et des Pays-Bas 
Meike Wagner, professeur en arts du spectacle à l’Université de Mayence a présenté deux projets :
– Alientje (2002) du groupe holandais Wiersma & Smeets qui travaille avec des projections, des personnages en papier, des objets filmés avec un simple système audiovisuel. Il s’agit d’un projet pour enfants.

– Cyberpunch (2003) du groupe théâtral de Thomas Vogel à Berlin. Il s’agit d’un projet de « cyberstage » avec des personnages virtuels en interaction avec des marionnettes et des acteurs réels sur scène. Le « cyberstage » de Thomas Vogel est un work in progress.

Lire le texte de Meike Wagner

L’Europe du Sud : l’exemple de l’Italie
Pour le panorama italien, Anna-Maria Monteverdi a proposé une digression sur trois aspects historiques :
– l’héritage du théâtre-images : panorama du théâtre de recherche italien enrichi par la présence des médias sur la scène et l’héritage du théâtre-images des années soixante-dix.
– Le videoteatro italien : de la post avant-garde à la « nouvelle spectacularité » : Giorgio Barberio Corsetti, Studio Azzuro.
– Teatri 90 et la « Troisième vague » : la nouvelle génération du théâtre italien.
Et, comme cas d’étude, Giacomo Verde de Teleracconto et Storie Mandaliche 2.0 ; et la compagnie Motus : « de l’installation au théâtre » (Twin rooms).

Motus est une compagnie de théâtre basée à Rimini (Italie) et dirigée par Daniela Nicolò et Enrico Casagrande. Ex Generazione Novanta, Motus est une jeune compagnie qui s’inscrit d’ores et déjà parmi les compagnies historiques. Leur théâtre traverse depuis toujours les territoires les plus variés de la vision : cinéma, vidéo, architecture, photographie…, une visio éclectique et multiforme, irrespectueuse des spécificités de genre qui transpose sur scène les techniques du cut up, du découpage, du mixer et du montage. Dans le projet Rooms qui atteint son point culminant avec Twin Rooms, ils mettent en scène De Lillo et le cauchemar de la vidéosurveillance. La ville comme une mosaïque de micro-visions – énorme « digital room » contiguë à la scène-dispositif représentant une chambre d’hôtel – accueille un amas incontrôlable d’images et une tentation psychotique à leur consommation.

Giacomo Verde est « médiactiviste », computer artist et technoperformer. Il a construit son esthétique sur l’idéologie dulow tech pour socialiser les savoirs technologiques. Par le biais du théâtre, il soutient la cause de la démocratie et de l’accès aux technologies et pose la question politique des images télévisuelles. Le teleracconto — ou le fait de filmer en direct des objets en gros plans, conjointement à leur vision sur moniteur (critique ironique de l’univers médiatique) selon une modalité théâtrale (techno) narrative pour enfants — est devenu un procédé clé de son théâtre : les images sont créées en live et les effets numériques constituent la toile de fond vidéo qui se modifie suivant le cours de la narration en OVMM inspiré des Métamorphoses d’Ovide. C’est une manière d’affirmer de façon provocatrice que « la télévision n’existe pas » et que « toutes les images sont abstraites ». Storie Mandaliche 2.0 (2003) créé avec Zonegemma et Xear.org est l’un des premiers exemples de spectacle interactif appliqué à une dramaturgie hypertextuelle (textes d’Andrea Balzola).

Cosmotaxi parla del sito AMM
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Si parla del sito AMM! Sono ospite del Cosmotaxi di Armando Adolgiso! Merci!

“Per tutti quelli che lavorano nelle nuove forme teatrali, o studiano il rapporto fra teatro e nuovi media, c’è da pochi giorni in Rete una maiuscola, occasione per informarsi sull’espressività scenica dei nostri giorni e quella futuribile.
Quest’opportunità è data da un sito ideato e guidato da una eccellente studiosa e saggista: Anna Maria Monteverdi (in foto).
Esperta in digital performance e videoteatro, ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università di Pisa in Forme della rappresentazione teatrale, cinematografica e audiovisiva studiando a Québec City presso la struttura produttiva di Robert Lepage.
Insegna Storia dello spettacolo all’Accademia di Torino e Digital Video all’Accademia di Brera.

Il suo website, alla ribalta dal primo gennaio, raccoglie quindici anni di scrittura on line e più di venti di ricerca teatrale allargata ai territori della performance tecnologica e del videoteatro. In mezzo ci sono quattro monografie e tre antologie pubblicate, ristampate, riedite anche in formato e-book.
Mi va qui di ricordare con piacere un intervento di Anna Maria Monteverdi su questo sito quando fu pubblicato il suo “Nuovi media, nuovo teatro. Teorie e pratiche tra teatro e digitalità”.

Ecco una dichiarazione che profila gli intenti della pubblicazione.
La scrittura critica mi è congeniale, ho nel pc decine di articoli inediti che voglio mettere on line e prima o poi diventeranno il nucleo di qualche nuovo libro. Ho sempre fatto così. La teoria dopo la pratica. Pratica da spettatrice. Da osservatrice creativa, come mi chiamava Giacomo Verde e il titolo mi piace! Il sito (che amplia il campo del precedente digitalperformance.it) ospiterà articoli già pubblicati (che verranno indicizzati tematicamente nella MonteverdiPedia) e nuove recensioni, still da spettacoli, eventi culturali, riflessioni. E’ anche un sito di supporto alla didattica perché inserisco materiali di studio, testi di conferenze e dispense visionabili dagli studenti dei miei corsi attraverso login. Ho aggiunto una pagina I LIKE dove segnalo siti interessanti, blog e materiale di comune utilità reperita in rete. Vorrei ospitare testi di altri studiosi, critici, liberi pensatori. Vorrei che il sito che fosse un collettore di pensieri teatrali sparsi senza gerarchie. Dedico il sito alla persona che in questi anni ha maggiormente guidato con il suo lavoro e il suo pensiero, la mia scrittura: l’artista Paolo Rosa, scomparso ad agosto 2013. Mi scelse nel 1994 per un volume di Studio Azzurro della Lindau che lui generosamente voleva fosse scritta da giovani critici sconosciuti. Condivisi la scrittura con talenti curatoriali, artisti e giornalisti del calibro di Andrea Lissoni, Fabio Francioni e Alessandro Amaducci. Sono partita da lì e non ho più smesso. Buona lettura!

 

 

Mapeando superficies. Artículo de A.M.Monteverdi y Enzo Gentile
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Artículo de Anna Maria Monteverdi y Enzo Gentile que hace un recorrido de las técnicas de video mapping y contextualiza esta nueva técnica artística en el contexto teatral y su historia.  www.xanela-rede.net (tradotto in spagnolo da Konic thtr; in italiano su Interactive-performance). 

 

images (1)Primero era la video proyección. Entonces llegó el mapeo de vídeo digital y eclipsó todo lo demás. El mapping arquitectónico, façade mapping, 3D vídeo mapping, videoprojection mapping, architectural VJ, son algunas de las expresiones utilizadas para definir estos nuevos formatos artísticos. El ámbito de aplicación de estas técnicas es la llamada Realidad Aumentada, una superposición de revestimiento virtual sobre estructuras materiales con el objetivo de modificar la percepción visual.

Sobre la base de estos experimentos de realidad aumentada se crearon obras videográficas y arquitectónicas intrínsecamente nocturnas, y espectáculos teatrales que juegan con escenografías / actores virtuales y proporcionan un mapeo (mapping) 2D y 3D de gran realismo con proyecciones sobre enormes superficies: paredes de palacios, castillos, torres, pero también telones teatrales.

Animación, música, experimentaciones videográficas e interactividad se prestan al desarrollo de innovadores objetos multimediales y artísticos. Esta técnica agrega una audaz interacción entre la solidez de la arquitectura y la fluidez de las imágenes en movimiento.
Si el artista callejero norte-americano Julian Beever – rebautizado familiarmente Pavement Picasso – usa la tiza para crear efectos ilusionistas tridimensionales en el suelo de las calles (3D street art), ahora es la tecnología vídeo aquella capaz de engañar al ojo y de hacernos creer ver lo que no hay.

 En Italia son especialistas en este campo Apparati Effimeri (creadores del visual de Madre assassina por Teatrino Clandestino), Roberto Fazio, Luca Agnani, AreaOdeon, Claudio Sinatti, Enzo Gentile/Giacomo Verde de White Doors Vj e Insynchlab. En el mapa internacional destacan los alemanes Urban Screen, arquitectos especializados en instalaciones digitales e instalaciones también en áreas urbanas. Nacidos como grupo en el 2008 pero activos ya desde el 2004 con sede en Brema, trabajan en el campo del entretenimiento, de la publicidad y del espectáculo usando los nuevos medios de comunicación digitales y las videoproyecciones. Abiertos a la colaboración con artistas que trabajan el motion graphic y el video, han creado un nuevo género de arte público estrictamente digital.

El trabajo artístico se inició con las técnicas y programas creados específicamente para ello y se basa en una reproducción precisa de la superficie del elemento arquitectónico que se va a intervenir y la proyección de un video digital o de animaciones perfiladas con exactitud sobre este fondo arquitectónico. Esta proyección da lugar a extraordinarios acontecimientos y a efectos tridimensionales improbables cuanto fantasmagóricos.

Real o virtual? Desde la perspectiva de Video Mapping monumentista. 

La ilusión perceptual, en los casos más exitosos de Video Mapping, es la de una “arquitectura líquida”, flexible, que se adhiere como una película o se separa de la superficie real. Los fragmentos de superficies crean una ilusión óptica de impacto como si fueran piezas de Lego, todo bajo la mirada del público o del transeúnte, que ya no pueden distinguir entre la trama arquitectónica real y virtual.

Inmediatamente adoptado por las grandes marcas internacionales para su publicidad y el lanzamiento de nuevos productos, la técnica hace también entrever un posible empleo performativo digital, que permite unir vídeo arte, animación, instalaciones, artes gráficas, diseño de iluminación y teatro en vivo. Fachadas de casas e iglesias con cada uno de sus elementos arquitectónicos que se disgregan, se convierten en imágenes / cuadros en movimiento, adornados con manchas de luces y colores que cambian al ritmo de la música, personajes digitales que se encarnan en las ventanas, portones, techos: es un nuevo arte medial, un arte media-performativo.

La técnica es la del mapeo y del uso de máscaras, que explotan la pre-distorsión de la imagen o del vídeo para que aparezca no distorsionado sobre la superficie mapeada. La proyección tiene que ser ante todo perfectamente homógrafa: dos planos resultan ser homógrafos cuando los elementos geométricos de un plano corresponden a los del otro de manera biunívoca. Cualquier alteración de la distancia y del ángulo de incidencia del haz de luz implica alteraciones de la perspectiva de la imagen y por consiguiente de las irregularidades geométricas. Se tiene que considerar también la posición de los espectadores (una desviación máxima de + o – 15° con respecto a la proyección) para percibir los elementos en 3D no natural (que son en 2D…)

Estamos frente a una renovada “máquina de visión”. En el fondo, el Video Mapping se basa en el mismo principio que las “visiones inefables” del siglo XVI, es decir, aquellos que son sujetos a la anamorfosis, a los extremos de la perspectiva lineal del Renacimiento. En las obras anamórficas, la realidad sólo puede ser percibida a través de un espejo deformante, mientras que el mapeo de vídeo no es más que una máscara que distorsiona / crea una realidad inexistente. La historia del arte nos ha aportado no sólamente la perspectiva exacta “a la italiana”, pero también los puntos de vista, el “sfondati prospettici “, la concatenación de los planos y múltiples puntos de vista que plantean el problema de la profundidad en la pintura, la expresión en un solo plano de la tercera dimensión. Un antecedente histórico y artístico de esta técnica de ilusión tridimensional sobre la arquitectura, lo podemos encontrar en la perspectiva monumental y la pintura barroca (el llamado quadraturismo, en palabras de Vasari, con referencia a la representación de la perspectiva de la arquitectura que “rompe” los límites del espacio real engañando al ojo, y que Omar Calabrese define como “triple espacialidad en la pintura) y el trompe-l’oeil.

Vasari_frescos

Frescos del gran salón del palacio de la Cancillería, de Vasari.

La sugerencia y construcción ficticia del espacio mediante la unión entre el fondo y el primer plano, y el artificio ilusionista resultante, es la base del arte monumental: desde Vasari con sus Frescos de la Cancillería a los frescos en el Palazzo Labia de Tiépolo, de la Cena en casa de Levi de Veronese hasta la pintura de Miguel Ángel en la Capilla Sixtina, la pintura se une a la arquitectura y se fusiona con ella. Así lo afirma Charles Bouleau en La geometría secreta de los pintores:

“La perspectiva monumental es el conjunto de la convenciones que impone a una obra de arte el espacio que ocupa dentro del monumento. El caso es que no exista confrontación, sino armonía entre la obra representada historiada o no y el monumento que es también a su vez obra. El monumento exige que se conserve cierta relación con sus muros, con sus proporciones, y que se respete su escala. Los pintores no deben destruir mediante las ilusiones que crean, la superficie mural, y por otra parte los escorzos no deben perjudicar a las pinturas en sí mismas”.

Peruzzi

Bibbiena_Villa_Prati

Arriba: la escena de Baldassarre Peruzzi para La Calandria la escena comica de Serlio. Abajo: los frescos de Bibbiena a Villa Prati.

Haciendo un recorrido por la historia del teatro, es imposible no mencionar las técnicas de representación gráfica del espacio con un fondo pintado en perspectiva, la escenografía del ilusionismo de los siglos XVI y XVII y el conjunto de obras y tratados relacionadas con estas técnicas: de los dibujos de Baldassarre Peruzzi para la Calandria (1514) a las escenas clásicas en los dibujos de las escenas de Serlio para la comedia, para la tragedia y para escena rústica(1545) a la sección teatral de la obra Perspectivae libri sex de Guidubaldo (1600), los libros de Andrea Pozzo (1693) y Ferdinando Gallos Bibbiena (1711), pasando por la famosa Pratica di fabbricar scene e machine ne’ teatride Nicolò Sabatini (1638) (sobre esto, ver los estudios específicos y en particular el volumen de Ferruccio Marotti Lo spazio scenico. Teorie e tecniche scenografiche in Italia dall’età barocca al Settecento, Bulzoni, 1974).

En la época actual, podemos mencionar:

Lepage1

Lepage2

- el landscape, el cubo de Lepage para Andersen Project, un dispositivo cóncavo que acoge las imágenes de vídeo proyectadas y que gracias a la elevación de la estructura parece tener una corporeidad tridimensional.  

Motus
-la jaula en perspectiva en L'Ospite de Motus, una escenografía monumental y apremiante constituida por un plano inclinado cerrado por tres lados todos ellos convertidos en pantallas que dan la sensación de aplastar a los personajes. El ingenio de esta puesta en escena permite una integración artesanal y eficiente del cuerpo y la imagen gracias a una ligera elevación de la estructura central, dando la ilusión de volumen y profundidad a las imágenes proyectadas.

 La técnica de videomapping está despertando gran interés, y ahora no hay prácticamente ningún gran evento, noche en blanco, celebración de centenario que no incluya un videomapping. El videomapping también se ha convertido en un paso “obligado” para el lanzamiento de las grandes marcas: hemos pasado de los carteles e impresiones enmarcadas con luces de neón a la señalización digital (la publicidad en formato electrónico, los LED de las pantallas LCD o las de plasma, las pantallas táctiles en los espacios públicos). A menudo, estos eventos no sólo son financiados pero también promovidos por grandes empresas como Toshiba, Nokia, Sony, Smasung, LG, para demostrar la potencia de sus proyectores (ya que, obviamente, los usuarios principales de proyectores de decenas de miles de lúmenes son los mega-eventos en estadios, conciertos, promocionales).


Las fachadas de edificios se han utilizado como grandes telones de fondo y acompañan conciertos en vivo, como en la Piazza Duomo, en 2008, con un concierto de Christian Fennesz con imágenes de Giuseppe La Spada. El evento fue firmado por la empresa italiana Urban Screen Spa, a cargo del primer proyecto de medialización urbana en Milano con una mediafachada de 487 metros cuadrados (patio Arengario, Piazza Duomo, Milán, proyecto Mia, Milan El Alto): Mia es la arquitectura multimedia de LED más grande en Europa. Se multiplican los festivales internacionales dedicados al género, como el Mapping Festival en Ginebra o el Kernel Festival en Desio, entre otros. El fenómeno, a medida que ha ido adquiriendo proporciones cada vez mayores y una difusión internacional, ha sido también el tema de conferencias internacionales organizadas por la Asociación Internacional Urban Screen, con eventos (en Manchester y Amsterdam) y la primera publicación exclusivamente dedicada a este tema y de descarga gratuita desde el sitio web Networkcultures.org. En el Festival des Lumières de Lyon en 2010, el Grupo 1024 Architecture produce una pieza notable, que cubre literalmente el palacio con una el  palacio con una máscara interactiva.

Grupo1024

En este miesmo año, el Festival Kernel nos muestra una sucesión de colapsos, grietas e intrusión de plantas y de ciencia-ficción en la fachada del Palacio Tittoni en Desio. O bien el mapeo de la tierra de las pistas de tenis para el Master de Francia en París Bercy, activado por un controlador de PS3 y el software MadMapper (siempre a manos de Arquitectura 1024). También Studio Azzurro realizó en noviembre de 2011 un videomapping titulado Awakening, una alegoría de las figuras de la música en la plaza Scala de Milán: para la inauguración de los Museos “Galerías de Italia”, dedicado al siglo XIX, el mapping se proyecta en los cuatro principales palacios a la vez, el Palacio Beltrami, el Palacio Anguissola, la Scala y el Palacio Marino. En consonancia con la poética de Studio Azzurro, las figuras de las pinturas cobran vida, flotan, fuera del marco e invitan a la gente a entrar en el museo. White Doors VJ utiliza la superficie arquitectónica mapeada como un “lugar” para una acción videoperformativa en vivo, en la que Giacomo Verde actúa al ritmo de la música, generando efectos digitales sobre unas formas y objetos filmados en directo que se mezclan al contenido del videomapping. Es una variación significativa de su “Videofondali” diseñado para la lectura de poesía en vivo, eventos coreográficos o sonoros.

Se ha logrado una verdadera ilusión óptica en este evento en Berlín, un mapeo con ilusiones en 3D el donde el edificio se convierte en un robot, un cubo de Rubik, un transformador, un palacio de hielo.

Herramientas:

Los software más usados para el videomapping son: vvvv (o V cuatro), processing (de código abierto); KPT (gratis), Isadora, Adobe Flash, MAX / MSP/Jitter, Pure Data (código abierto), OpenFrameworks (código abierto) . En 3D: Blender (open source), 3D Studio Max , Cinema 4D.

Processing es un lenguaje de programación basado en Java, a su vez heredero del antepasado de todos los lenguajes orientados a objetos – el C – con el que se pueden desarrollar aplicaciones visuales impresionantes, gestionar la interacción entre sonidos y entorno visual y crear simulaciones realistas para juegos o contenido interactivo. Tiene una sintaxis muy lineal, y puede alcanzar altos niveles de complejidad. Es particularmente adecuado para aplicaciones multimedia distribuidas con licencia de código abierto. El lenguaje, que tiene versiones en todas las plataformas (Windows, Mac, Linux, Android…), cuenta con una amplia comunidad internacional, donde uno puede disfrutar de un diálogo continuo y compartir sus logros. Sitio de referencia: www.processing.org.

VVVV es otro entorno de programación multimedia libre para uso no comercial. Permite manejar gráficos, audio y video en tiempo real a través de una interfaz visual de tipo diagrama de flujo, que no se basa en código escrito sino en objeto-iconos que le confieren características interactivas y una edición visual. Es una forma de programar por “objetos” con un enfoque intuitivo, especialmente adecuado para aquellos que están acostumbrados a tratar con representaciones visuales de comunicación. Sitio de referencia principal: www.vvvv.org

Mapeando objetos. Cualquier objeto se puede mapear, no solamente las superficies de paredes, sino también (y de manera más fácil) los pequeños objetos, muebles a medida, o incluso maniquíes. Por lo tanto, el mapping se puede utilizar en campos como la escenografía, el vestuario, las salas de exposición o el diseño de interiores. En esta demo se muestran las infinitas posibilidades de videomapping a pequeña escala, utilizando como superficie de proyección un maniquí que gracias al mapping se ve vestido videodigitalmente de mil maneras distintas.

Original e inquietante es la máquina humana diseñada para la instalación Locomotoras creada y mappeada en la Place des Arts del grupo canadiense Departement: una maraña de cuerpos pasan a formar un engranaje corpóreo en un mosaico de pantallas.

Locomotive – Place des Arts – Espace culturel

 Impresionante también son las instalación de AntiVJ, que trabajan con elementos orgánicos en proyectos como Paleodictyon para el Centre Pompidou en Metz.

PALEODICTYON

 Del cubo a la catedral


Podemos considerar que Urban Sreen con su 555Kubik fueron los que iniciaron el genero de vídeo mapping a gran escala en 2009.

UrbanScreen

Una mano gigante y un teclado se posan sobre un edificio en forma de cubo, mientras que los cuadros que forman la superficie de la pared parecen salir de ella en un juego de geometría intrigante. En este contexto, también encontramos Rose Bond, Fokus Productions, Telenoika, Paradigma, AntiVJ, Obscura Digital (quien creó el mapping tanto para el aniversario de Coca Cola, como para un evento de interacción inspirado en el mundo de Facebook durante una reunión de los desarrolladores de la red social).

AntiVJ

Fueron Obscura Digital, quienes después de trabajar para la Sydney Opera House, quienes crearon la proyección de vídeo más espectacular que se haya realizado hasta ahora, sobre la Gran Mezquita de Abu Dhabi para celebrar la Unión de los Emiratos Árabes. Las cifras hablan por sí solas: 44 proyectores para un total de 840.000 lúmenes cubrieron un área de 180 metros de ancho y 106 de alto.

Sheikh Zayed Grand Mosque Projections

Los presupuestos que manejan las grandes empresas para estos eventos, no son obviamente al alcance de la mayoría de los artistas independientes. Por tanto, es necesario centrarse en las ideas innovadoras para hacer frente a esta limitación. La proyección arquitectónica en un espacio cerrado, preferiblemente interactiva, es una gran oportunidad que los artistas y los diseñadores tienen a su disposición para representar sus ideas.

El vídeo mapping puede aplicarse en espacios cerrados, en teatros equipados, sin tener que utilizar los grandes proyectores que tienen un coste equivalente al de comprarse una vivienda. En este tipo de situaciones, emociones e ideas pueden prevalecer sobre el gigantismo tan de boga en estos momentos.Eso es lo que el mappimg viene aplicando en la cultura vj, para los clubes, discotecas y otras salas abarrotadas, donde la música tecno es siempre acompañada de vídeo en directo. En Ibiza el grupo Palnoise entretiene a la audiencia con un mapping abstracto pegado al ritmo salvaje de un DJ. Pero el mapping de audiovisuales más espectacular ha sido el de Amon Tobin: sus actuaciones se caracterizan por una estructura geométrica en el centro de la escena, en la que se proyectan las imágenes. El impacto visual proporciona un excelente soporte a su peculiar sonido.

El grupo Le Collagiste VJ, como indica su nombre, propone soluciones espectaculares de VJ mapping.

El público está particularmente atraído por estas formas de espectáculo visual y musical, no sólo por su novedad, sino también por la fascinación hacia las convulsiones de la percepción, la creación de objetos ‘imposibles’ y la precisa sincronización entre imagen y sonido.

Nos referimos al canal de vídeo Vimeo dedicado a videomapping con actualizaciones continuas: ilovemapping

y por supuesto a los numerosos blogs, sitios web y “tutoriales” en la red que explican el procedimiento y el funcionamiento de los distintos programas de software.

El paso siguiente en la evolución de esta técnica ha sido la incorporación de la interacción del público: un ejemplo de mapping de proyección interactiva es Dancing House, por el artista austríaco Klaus Obermaier / Exilio para Lichtsicht, (Bad Rothenfelde, Alemania).

 Roberto Fazio con Nicholas Saporito está experimentando con el mapeo arquitectónico interactivo con vvvv. La interacción se produce a través del movimiento humano captado por una Kinect, pero también puede interactuar cantando o hablando en un micrófono como en este mapping de 1024 Architecture para el Festival Lumière de Lyon, fachada del teatro Célestin.

Nuform nos propone también utilizar el IPad: el público puede elegir el color, la iluminación de efectos especiales y otras maravillas que se proyectan en los edificios. NuFormer, una compañía con sede en los Países Bajos, se ha especializado en la comunicación digital, motion graphics, películas digitales y proyecciones en 3D para eventos de negocios: extraordinario efectos en su Projection on Buildings.

NUform

El vídeo de esta fachada de edificio que parece desmoronarse bajo los ojos del público o que se llena de bolas de colores ha recorrido los todos los sitios dedicados al arte digital, aportando el éxito a esta muy especial y nueva forma de arte.

NuFormer Showreel 2011

Così Rob Delfgaauw de Nuformer: 
 Tenemos solicitudes de espectáculos, performances, conciertos y eventos. Estamos desarrollando una técnica para usar proyección 3D en interior y específicamente para teatros y en contexto de conciertos. En la actualidad, nuestra investigación se centra en cómo encontrar la forma más adecuada para combinar la interactividad con proyecciones en 3D y comunicar la experiencia al público. Desde el momento en que hay suficiente oscuridad y la luz ambiente es baja, podemos proyectar de la misma manera en exteriores o en el interior de un teatro. Los artistas tienen que hacer frente a una nueva forma y un nuevo entorno con el cual expresarse. Trate de considerar un gran edificio como si se tratara de fondo animado de un escenario. Es impressionante. Sobretodo si el contenido se genera en tiempo real.”(entrevista de Anna Maria Monteverdi/Enzo Gentile, 2010).

Il teatro di guerra del Kosovo
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Pubblicato su Repubblica on linePost teatro di Anna Bandettini

Tradotto e pubblicato in albanese sul quotidiano Koha Ditore

Ricevo da Anna Maria Monteverdi un bel reportage dal Kosovo, con particolare attenzione al teatro di di Jeton Neziraj (in basso, a destra nella foto), drammaturgo da noi ancora sconosciuto che dovrebbe essere conosciuto. Mi fa piacere pubblicarlo per farlo leggere a chi è interessato

Di Anna Maria Monteverdi*

TEATRO DI GUERRA. JETON NEZIRAJ E IL TEATRO DEL KOSOVO

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Sono passati ormai 5 anni dall’indipendenza (febbraio 2008) e 14 dalla fine del conflitto con la Serbia, ma oggi il Kosovo è ancora sotto il controllo delle forze di polizia dell’Unione Europea (Eulex) e dell’Onu (Unmik e Kfor) : il processo di “normalizzazione” dei rapporti tra Belgrado e Pristina e di legittimazione internazionale dei confini in quest’area dei Balcani occidentali sta procedendo ma lentamente.
Il teatro non può che essere protagonista assoluto in questo territorio in cui la divisione territoriale in forma di barricate e la difficile convivenza etnica e religiosa nel post war Kosovo viene definita shakespearianamente: Romeo and Juliettism. Il teatro è una naturale piattaforma di dialogo tra i popoli, un ponte tra culture che non si incontrerebbero mai, un luogo dove la «normalizzazione» -per dirla con i termini burocratici di Bruxelles-, imposta dall’alto, frutto di negoziati, bilaterali, o attraverso meccanismi di controllo di polizia internazionale passa, con assai migliore efficacia, da un genuino senso di ricerca collettiva di valori condivisi legati alla indipendenza, alla ricostruzione morale e civile oltre i separatismi e i nazionalismi.

Fluturimi-mbi-Teatrin-e-Kosoves-460x360Tutte riflessioni e interrogativi alla base del lavoro teatrale di Jeton Neziraj, drammaturgo trentacinquenne già direttore del Teatro Nazionale del Kosovo, i cui testi, rappresentati in molti paesi europei (recentemente ha avuto successo al festival di Lipsia Euro-scene con Yue Medlin Yue) e negli Stati Uniti (con The demolition of the Eiffel Tower) lo hanno reso un personaggio da cui è impossibile prescindere occupandosi della scena balcanica.
Neziraj si ritiene un «autore in tempo di guerra». I suoi testi che trattano tematiche politiche urgenti come il problema dei profughi di ritorno, dei rimpatriati forzati, del fondamentalismo islamico, sono solo in parte assimilabili ad un «teatro documentario»; lui preferisce parlare di un lavoro di «dramatizing reality». Nel suo teatro l’umorismo e la comicità possono diventare un’arma fenomenale per distruggere luoghi comuni e convinzioni nazionaliste.

images (1)Nel dicembre scorso ha debuttato con grande successo al Teatro Nazionale di Pristina il nuovo spettacolo tratto dal suo testo Fluturimi Mbi Teatri e Kosoves (Qualcuno volò sul teatro del Kosovo) messo in scena dalla bravissima moglie, Blerta Neziraj e dalla compagnia Qendra con in scena anche due talentuosi musicisti italiani, una violinista e un fisarmonicista: Gabriele Marangoni e Susanna Tognella. La trama è divertente: un regista e la sua compagnia mentre stanno provando la più famosa piéce di Beckett, ricevono la visita del segretario del Primo Ministro. Dovranno mettere in scena l’indipendenza (ancora non avvenuta) del Kosovo. Unica incognita: la data, ancora da definire perché dovrà stare bene a tutti: Usa e membri Ue, ma anche Eulex, Kfor, Unmik… Segreto anche il testo del MInistro che dovrà essere inserito nello spettacolo. Così in questa snervante attesa beckettiana, mentre la censura interviene perché i nemici di un tempo oggi sono diventati amici, a un tecnico di palco viene in mente di attuare una eroica missione: fare una trasvolata aerea aggiustando un velivolo e lanciando volantini con scritto «Riconoscete il Kosovo». Quando la data dell’indipendenza arriva è troppo tardi e coglie il primo attore ubriaco che sul palco implora la moglie di ritornare a casa. Se l’indipendenza del Kosovo è passata attraverso il consenso dei Paesi che contano a Bruxelles, senza coinvolgere direttamente la popolazione, l’indipendenza teatrale è stata messa effettivamente a rischio. Come in un classico play-within-play infatti, la piéce di Neziraj ha rischiato di non andare in scena per una censura politica. E anche in questo caso, come per tutta l’economia kosovara, salvifico è stato il deus ex machina dall’accento germanico (ovvero, l’intervento dell’ambasciatore svizzero e tedesco).
Il registro tragicomico di Jeton Neziraj trova il suo felice compimento nella regia di Blerta che accentua il ridicolo dei personaggi di potere (con relativi servi) e della situazione generale (un’indipendenza ottenuta con il permesso dell’UE e con il benestare di tutti i paesi ospiti -non sempre così graditi- sul suolo kosovaro). La soluzione scenica è semplice ma efficace: 4 sedie che diventano un’ottima appendice attoriale, con cui gli attori davvero straordinari, improvvisano balletti, gag, atti di seduzione, proclami ufficiali. I due musicisti hanno creato una partitura ritmata coinvolgente, allegra, scanzonata e folle almeno quanto la scrittura teatrale: da Singing in the rain pizzicato alla viola fino a Mission impossibile ai cori brechtiani fatti solo con le sigle dei contingenti militari e dei paesi UE. Solo questi passaggi varrebbero tutto lo spettacolo per restituire il senso di una forte denuncia (non meno attenuata dalla scelta del registro parodico) di un sistema di potere che in Kosovo ha assunto le forme di un protezionismo UE. Lo spettacolo ha avuto una breve tournée in Albania, in Macedonia e in Serbia. Speriamo sia possibile vederlo anche in Italia.

*Anna Maria Monteverdi è docente di Storia dello spettacolo all’Accademia Albertina di Torino e Storia del teatro alla Facoltà di Lettere di Cagliari. Dopo due viaggi in Kosovo ha deciso di dedicarsi al progetto “Theatre in a state of war” traducendo i testi di Jeton Neziraj e organizzando dibattiti e iniziative sul teatro dei Balcani. info: anna.monteverdi@gmail.com

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