#14::SKYLINE_EXTENDED:: is a stage version belonging to the SKYLINE series created for ECOSS that is held within the IDN PLUS festival at the Mercat de les Flors in homage to Núria Font.
A concert of dance and visual poetry in a world of hybrid languages.
Filmación completa – Full Documentation – Show #14::Skyline_extended 18/10/2018 Mercat de les Flors Barcelona + INFO about the show on our website: https://koniclab.info/?project=14skyl…
#14::SKYLINE_EXTENDED:: is a show consisting of dance, music and live visuals where two female dancers, a female performer and a male musician interact with the spaces and stage scenery and props in a highly visual show.
In this piece Kònic Thtr offers a critical look at the new techniques of power, that rely on the access and manipulation of the sphere of psyche to submit people.
“an interwoven flow of movements, music and live images”
The four characters explore through relational semantics between body, movement, light and sound, inspaired by the idea of an inverted panoptic where each individual lends itself to being observed and confined within its own definition of itself, as in a self-digital version of Big Brother.
Le necessità reali, le vite e le morti reali, che non sopportano di essere ridotte a interpretazioni, sono tornate a far valere i loro diritti. Maurizio Ferraris, Manifesto del Nuovo Realismo
.Ha appassionato tutti gli studiosi e gli spettatori questo versante “iperreality” del teatro: stiamo parlando della nuova (ma non nuovissima) tendenza del teatro; come ben spiegato nel dossier di “Hystrio” (2/2019) sul Teatro della realtà curato da Roberto Rizzente e Corrado Rovida, specialmente nell’intervento di sintesi storica scritto da Renato Palazzi, questo filone di teatro-documento che ha il suo emblema in Milo Rau, recupererebbe forme e approcci teatrali degli anni Sessanta (dagli happeining a Peter Weiss a Carlo Cecchi). Si espande dalle biografie, all’analisi di fatti cronachistici agli spaccati socio-politici (She she pop), alle storie di emarginazione sociale (Pippo Del Bono) per giungere a veri e propri brandelli di realtà in scena. I famosi “quarti di bue sul palco” nel teatro-tranche de vie di Antoine citati da Palazzi sono tornati di moda?
Di fronte alla realtà -diremo filosoficamente- “evenemenziale”, “fattuale”, non c’è interpretazione che tenga. Serve un occhio critico che smascheri e ci faccia riconoscere ciò che è da ciò che è socialmente costruito. Un ritorno a una realtà –come dice il filosofo Maurizio Ferraris nel Manifesto del Nuovo Realismo– “non emendabile”, contro falsificazioni, mistificazioni mediatiche e omologazioni. Congedo dal realitysmo (la vita drammatizzata e fictionizzata) e approdo al Nuovo Realismo? -seguendo ancora Ferraris.
E cosa accade al teatro tecnologico?
A mio avviso il teatro tecnologizzato arriva a una medesima conclusione e a un medesimo approdo interrogandosi sulla realtà in un momento molto preciso: con l’Orfeo, opera lirica a firma di Romeo Castellucci. Non si tratta di usare semplicemente una semplice diretta video come già avevano fatto evidentemente in molti: è il concetto di “presenza” a pesare sulla bilancia del palcoscenico e a mostrare l’altro lato del teatro, ovvero la Realtà cos’ com’è, inesorabile e inequivocabile. Il mito greco si incarna nella figura di Else, una donna in coma vigile, ferma sulla soglia tra vita e morte e a cui il teatro concede un momento di sospensione dell’attesa, con l’ascolto celestiale della musica di Gluck/Berlioz. La donna che non si sarebbe congedata da noi, a meno che non fossimo noi stessi a staccare la spina del collegamento video, diventava -potenza del teatro- Euridice sulla soglia degli inferi, oppure Ofelia nella dimora del tempo sospeso dentro la macchina amletica di Heiner Muller. Else ci sbatte in faccia la realtà in un tempo-ora, ed è ancora Ferraris a darci la chiave per leggere la storia: Non si può fare a meno del reale, del suo starci di fronte e non essere disponibile a negoziare. Sia quello che sia, ci renda felici o infelici, è qualcosa che resiste e che insiste, ora e sempre, come un fatto che non sopporta di essere ridotto a interpretazione, come un reale che non ha voglia di svaporare in reality.
1.Verso una Realtà proxy: la visione di Hyto Steyerl dell’Arte al tempo del “panico del dasein totale“
Duty free art è il titolo del libro dell’artista e filosofa tedesca di origine giapponese Hyto Steyerl, nominata come la più influente artista contemporanea dalla rivista “Art review”; la Steyerl (che in questo periodo espone a Rivoli, alla Biennale di Venezia e alla Serpentine gallery di Londra) lavora sul tema della Intelligenza Artificiale (A.I.): crea opere di arte visiva con uso di AI e riflette attraverso l’arte, sulle trasformazioni e deformazioni della società e dell’arte stessa all’epoca di quello che lei definisce con un neologismo molto efficace il circolazionismo delle immagini. La Steyerl non fa teatro ma i suoi testi possono avere un riflesso anche nel teatro perché parla di presenza, tema evidentemente molto teatrale: mai come oggi, dice, il vero valore dell’arte dipende dalla presenza, citando la performance della Abramovic, The artist is present. Infatti oltre a produrre opere l’artista deve produrre presenza, deve essere presente in una delle molte declinazioni del tema, in un lavoro che diventa a sua volta una vera performance dell’esserci. Essere qua effettivamente ora. Qua o ovunque, noi o qualunque altra incarnazione del noi: una presenza sempre connessa, che moltiplica i nostri stati in una dimensione multipla in forma di proxy, controfigure, bot. Il corpo non è essenziale, è essenziale la presenza, la presenza è, secondo le parole della Steyerl una ” modalità di investimento”. Questa sorta di economia globale della presenza genererebbe di conseguenza il panico da dasein totale.
Ma che realtà producono queste appendici di noi stessi, queste informazioni automatiche gestite da nostri sostituti in forma di assistenti-software, che mandano tweet al posto nostro, che chattano usando il nostro gergo? Producono, appunto, dice la Steyerl una realtà proxy. In sostanza, per dirla con Johnny Stecchino, una realtà che “non ci somiglia per niente”.
2.Dall’illusione della realtà alla Realtà vista dalle macchine: il videomapping.
Verificando quale sia stata la tecnologia più usata negli ultimissimi anni, cioè il videomapping (tecnologia di Realtà aumentata) ci si può rendere conto che si è andati sempre più verso una richiesta di interazione, azione, presenza di una live technology.
Dalla scena urbana su enormi superfici addirittura media facade si è approdati a teatro: sempre di più le scenografie diventano ricoperte di questa illusoria e neobarocca “luce videomapping”. L’illusione della realtà ha però, un limite legato alla percezione.
La tecnica infatti, è quella del mapping and masking, che sfrutta la pre-distorsione dell’immagine o del filmato per farlo apparire non distorto sulla superficie da mappare. La proiezione deve essere prima di tutto perfettamente omografa: due piani risultano essere omografici quando gli elementi geometrici dell’uno corrispondono biunivocamente a quelli dell’altro. Qualunque alterazione della distanza e dell’angolo di incidenza del fascio luminoso implica modificazioni dimensionali e prospettiche dell’immagine, e conseguentemente irregolarità geometriche e defocalizzazioni più o meno estese dell’immagine proiettata. E’ necessario considerare inoltre, la posizione degli spettatori (max + o -15°) rispetto alla proiezione per ridurre gli effetti di percezione innaturale del 3D. Siamo di fronte a una rinnovata “macchina di visione”: in fondo le video proiezioni in mapping si basano sullo stesso principio su cui erano fondate anche le “visioni ineffabili” del Cinquecento, quelle cioè, soggette all’anamorfosi, legate alla forzatura estrema della prospettiva lineare rinascimentale. Nelle opere anamorfiche, la realtà può essere percepita solo attraverso uno specchio deformante, mentre il mapping video non è che una maschera che deforma/crea una realtà inesistente. Sul tema ho ampiamente scritto su varie antologie; qua segnalo il mio testo: Mediaturgia del videomapping.
3.Dall’illusione all’interazione: il videomapping e il motion tracking design
Il limite del videomapping, tecnica di proiezione di realtà aumentata applicata in scenografia che ormai sta cadendo in disuso, non era legato solo alla fragilità della percezione e dell’illusione, ma all’esigenza di avvicinarsi di più alla realtà: alla ricerca di ciò che determina l’esserci della tecnologia a teatro, gli artisti hanno incontrato l’attore, il performer, il danzatore.
Il limite del videomapping statico e “poco teatrale” viene ovviato con l’aggiunta di software che permettono la gestione live ma soprattutto dalla progettazione di un sistema di interazione della proiezione con la figura umana. Già introdotto nei primi anni 2000 con i progetti di Klaus Obermaier e di Art+Com (il loro progetto di teatro lirico The jew of Malta viene citato da Lev Manovich come esempio brillante di software culture a teatro) l’interazione del performer con la scena digitale diventa una sorta di soglia obbligata: dopo i tentativi di utilizzare l’armatura della MoCap (da Roberto Latini a Marcel,li Antunez Roca) e un arsenale di sensoristica, viene sperimentata la kinect per la motion capture live. La kinect è il controller cinetico di Xbox che entra in commercio nell’ambito dei videogame nel 2010. Ha una barra motorizzata in grado di seguire tramite video, i movimenti dei giocatori, orientandosi nella posizione migliore per il riconoscimento dei movimenti La periferica era in grado di rilevare e leggere fino a sei corpi in simultaneo. Adrian Mondot (del duo AM&CB) crea con la Kinect il prototipo di uno spettacolo ad alto tasso di interazione, pur con una tecnologia semplificata ma originaria: il primo spettacolo è Cinematique (a cui seguiranno altri) ed è sviluppato a partire dal software proprietario Emotion che integra dinamica di movimento, oggetti grafici e mapping grazie proprio alla Kinect.
4. Ma non è abbastanza reale! Il face mapping
La kinect nello spettacolo riconosceva le ombre, le forme, la luce e i movimenti ma non andava a identificare specificamente il soggetto, il quale poteva anche non essere reale ma una semplice marionetta. Occorreva mappare il volto per approdare a una “realtà” vera.
Il live face mapping è un formato che si è andato a perfezionare a partire da un prototipo di Nobumichi Asai del 2014 presentato ad Ars Electronica. Si chiamava OMOTE termine giapponese per indicare la maschera (proprio la maschera giapponese Nogaku, maschera come zona liminale tra esterno e interno). Venne usato un sistema integrato di face tracking (in particolare il sistema di motion capture Optitrack) e mapping (con il software Live mapper) usando sensori/marker per il rilevamento del volto, del movimento. dei muscoli facciali. Era tecnicamente molto difficile all’epoca tracciare e quindi proiettare immagini aderenti al volto in tempo reale. Nessuno lo ha fatto prima a quel livello di perfezione perché il processo è piuttosto complesso: bisognava rilevare i dati dei sensori, elaborare i dati, calcolare la posizione e l’orientamento del viso, far combaciare il modello in Computer Graphics del viso con la sua texture animata e infine inviare l’immagine sul volto tramite proiettore.
5. Ma non è ancora abbastanza reale! Verso il Dynamic projection mapping
Il soggetto nel primo face tracking progettato per lo più doveva stare fermo o muoversi limitatamente per il problema della latency. Nel 2017 l sistema Dynamic projection mapping sviluppato dal Watanabe laboratory dell’University of Tokyo risolve il problema e sarà proprio Nabumichi Asai a mostrarlo al mondo il giorno dell’anniversario della bomba su Hiroshima con un video mapping live sul volto delle performer che diventavano maschere di morte.
Un proiettore ad alta velocità che può proiettare immagini a 1000 frame al secondo: unito a un sistema altrettanto veloce di rilevamento dati, dà effetto di una metamorfosi del viso in tempo reale. Le immagini virtuali proiettate sono connesse strettamente con il movimento reale del corpo: la maschera digitale aderisce perfettamente e l’illusione di realtà è completa. Anche nella scenografia si risolve il problema della latenza delle immagini del mapping su superfici mobili: queste diventano tutt’uno con la superficie restituendo un’effetto pitturato (come nel caso del Ring di Lepage).
6. La svolta algoritmica: la Realtà vista dalle macchine.
Nel teatro tecnologico tutto cambia con quella che è stata definita da Simone Arcagni “la svolta algoritmica” ovvero “il passaggio all’uso di software di computer vision in grado di trasformare in informazioni visive gli input di vari sensori, e dal machine learning che mette a disposizione delle macchine un’ampia autonomia decisionale“.
Nel 2017 la Kinect esce di produzione, gli analisti del mercato dicono che è dovuto al fatto che per i videogames oggi funziona di più la Realtà Virtuale. A mio avviso il tema invece, è quello del riconoscimento reale del corpo (e del volto soprattutto, perchè contiene la maggior parte delle nostre informazioni specifiche). Oggi qualunque dispositivo mobile ha la possibilità di questo riconoscimento come FACE ID dell’IPHONE. Come si legge dalle caratteristiche tecniche, la telecamera TRUE DEPTH utilizzata per l’autenticazione del cellulare con il volto, acquisisce con precisione i dati proiettando e analizzando più di 30.000 punti invisibili per creare una mappa di profondità del viso; inoltre cattura un’immagine a infrarossi. Una parte del motore neurale del chip A11, A12 Bionic e A12X Bionic (protetto all’interno di Secure Enclave) trasforma la mappa di profondità e l’immagine a infrarossi in una rappresentazione matematica che confronta con i dati facciali registrati.
Inoltre già da alcuni anni software liberi come Open CV di Intel riuscivano a fare un rilevamento facciale (facial detection). La community di OpenCV è molto attiva: il famoso algoritmo di Viola-Jones che vede la luce già nel 2001, apre le porte a molteplici sperimentazioni di Computer vision aumentando il raggio di applicazioni della Intelligenza Artificiale. Nel 2009 nasce IMageNet enorme database di immagini ideata dalla ingegnere cinese Fei-Fei-Li e dal suo staff : un tentativo di classificare ogni elemento della realtà con un nuovo glossario, attribuendo a ogni immagine non più solo parole chiave ma una serie di “synonym set” or “synset”, una sorta di rete di parole associate all’immagine. Una nuova interpretazione del mondo a vantaggio delle macchine. La versione avanzata cioè il Large scale Visual recognition Challenge sviluppa un algoritmo che potrà far riconoscere, identificare e classificare gli oggetti con una precisione straordinaria. Si parla di una percentuale di errore del 5%. Che le macchine aggregando dati possano vedere meglio di noi è un dato di fatto: il problema è catalogarli. Dalla medicina alla sorveglianza, questi dispositivi di AI cambieranno ogni modalità di lavoro e di ricerca e avranno un impatto decisivo su tutta la nostra vita. Come ben ci illustra Lev Manovich nel suo recente libro AI ESTHETICS: http://manovich.net/index.php/projects/ai-aesthetics
7.E A TEATRO?
Una nuova generazione di sistemi basati sul machine learning e sulle reti neurali sta rendendo possibile rilevare il linguaggio del corpo direttamente dalle immagini. Dopo venti anni di sperimentazioni con la motion capture per registrazione azioni e imprimerle a un personaggio virtuale oggi con un software come Openpose tutto è diventato semplicissimo: una telecamera rileva qualunque tipo di movimento e riconosce e classifica espressioni.
La AI –processo in base al quale “una macchina si comporta in modi che sarebbero definiti intelligenti se fossero fatti da un uomo” – definizione del 1955 di Johm Mac Carthy- nasce originariamente per insegnare al computer una serie di cognitive task: dal risolvere problemi matematici al comprendere la scrittura e il linguaggio parlato, riconoscere le immagini. Con l’avvento di potenti processori in grado di archiviare e gestire big data, dati variabili, ed elaborarli con grande velocità, si passa da computer che fanno quello per cui sono programmati a computer che autoapprendono (da qui il tema del machine learning), cioè immagazzinano informazioni provenienti da miliardi di banche dati che sono la benzina di cui si alimentano continuamente per evolvere la loro analisi dei dati.
8.Cosa dice la vostra AI di voi?
Fece scalpore un post del grande teorico dei new media Lev Manovich che provò su di sé il test del Software Kairos e Clarafai consistente in un sistema di algoritmi di Computer vision ed è risultato un uomo di 38 anni di razza asiatica o sudamericana. Qualcosa non funziona nell’analisi dei dati: eppure questa funzione predittiva (predictive policing ) delle AI. è attualmente in uso dalla Agenzia nazionale per la sicurezza negli States.
Vogliamo lasciare alle macchine l’interpretazione dei nostri stati d’animo da un frame di un sopracciglio, la classificazione sociale in base alla presunzione di riconoscere la razza dagli zigomi? E chi gestirà questi dati? Nel simposio tenuto da Hyto Steyerl al Castello di Rivoli e in particolar nel suo speech (dal titolo impegnativo e che va a ritroso alle immagini del MedioEvo Quante intelligenze artificiali possono ballare sulla punta di uno spillo?) si è parlato delle conseguenze sociali e politiche derivata dall’uso sistematico degli automatismi delle AI per identificare sospetti e introdurre un sistema di controllo sociale. Siamo di fronte a un nuovo Lombrosismo digitale? Un esempio riportato da Hito Steyerl è questa ricerca dal titolo molto chiaro Automated Inference on Criminality using Face Images https://www.semanticscholar.org/paper/Automated-Inference-on-Criminality-using-Face-Wu-Zhang/1cd357b675a659413e8abf2eafad2a463272a85f
E in direzione della Realtà va anche ADOBE che ha messo in commercio un nuovo strumento di AI per riconoscere foto “photoshoppate” con l’intento di dare una svolta “etica” all’azienda, riconoscendo la problematica dei contenuti “fake”.
L’artista che come la STEYERL sta smascherando il potenziale pericolo sulla riservatezza dei dati e sulla terrificante ipotesi di classificazione degli esseri umani viene svelato da Trevor Paglen, definito per il suo impegno attivista lo “Snowden dell’arte”. Nella serie Invisible Images è la stessa Steyerl a essere il soggetto dell’opera nelle “fotografie fatte dalle macchine per essere lette dalle macchine”.
9.Da Deafman glance a Sight machine-Una questione di sguardi
La stessa tecnologia di CV Computer Vision usata per le telecamere di sorveglianza, viene applicata a un concerto live con i Kronos quartet dal titolo significativo Sight machine che riconosce oggetti e soggetti, ha in memoria la loro attività e interpreta le espressioni dei performer da cui ne deduce orientamenti sessuali e politici. Le macchine ci osservano e vedono il nostro mondo attraverso le stesse deviazioni interpretative che imparano dalla quantità di dati prelevati dalle banche dati mondiali. Come difendersi? Diamo quindi per assodato il fatto che i computer siano in grado di imparare da noi, una volta che gli forniamo un numero sufficiente di esempi da studiare, diventa allora fondamentale concentrarsi proprio su quali informazioni stiamo passando all’Intelligenza Artificiale.
Qua Paglen nel finale dello spettacolo di musica SIGHT MACHINE mette lo spettatore in guardia di fronte a tecnologie non generiche ma che riguardano tutti noi: la stessa telecamera che riprendeva i musicisti ora riprende il pubblico che viene classificato in base ai dati in possesso della AI: uno scenario inquietante non più da 1984 ma da Black mirror. Il teatro, come ben auspicava Brecht, torna a essere luogo per una riflessione critica collettiva della società e della coscienza, di una necessaria riacquisizione della Realtà a cui rischiamo di non avere più accesso diretto.
Il festival 1minute Projection Mapping, a MIYAZAKI è probabilmente il più importante festival di videomapping in area asiatica.
Il tema di quest’anno era : myth & fable. Dopo una prima selezione a cui hanno partecipato 150 lavori circa, solo 18 (+1 in un secondo step) sono stati selezionati per la finale che si svolgeva tra l’1 e il 3 gennaio
Tra questi TOMMASO RINALDI, artista torinese docente alla Alma Artis Academy di Pisa che si è aggiudicato il PREMIO SPECIALE.
Chaos – Projection Mapping on Miyazaky Prefectural Art museum
Chaos,according to some authors, appears to be in the mythology and cosmogony of the ancient Greeks, the personification of the primordial state of “emptiness”, the darkness preceding the generation of the cosmos from which the gods and men emerged. Interpreters of the Theogony generally agreed that Chaos is not simply the “void”, the “place” where the entities come into being and find their place “, so it would be an entity not only spatial but also material: a sort of nebulosity without form associated with darkness. So I recreated this formless nebulosity in constant relationship with the darkness, starting from the given architecture, but changing it into a timeless space, in which the relationship between darkness and light represents a creative but also destructive force that constantly changes our reality (and at the same time the way we perceive it) in an orderly and not disordered manner as one would expect from Chaos.
Ecco il render su gentile concessione dell’artista
Augmented Reality means overlaying virtual, digital elements on reality. It refers to the innovative multimedia techniques which make reality interact with digital constructions and reconstructions, thus modifying, enhancing and enriching the perceived world. It includes interactive projections, lighting techniques, virtual architecture and communication and audio-visual instruments. Its applications are numerous, ranging from overlapping virtual components onto reality (geolocalisation and referencing, logical and physical mapping) to simulation of virtual reality elements (simulating time-space interactions) and artistic applications through performances, video projections and installations. The best definition of A.R. is by Azuma (1997): “Augmented Reality enhances a user’s perception and interaction with the real world” (p.355).
Virtual reality offers great opportunities for the world of museums, galleries and archives. VR is an important tool to interact with 3D models and a fundamental help in making culture more accessible to the wide public and in documenting, recording and conservation of the Cultural Heritage. Oculus1 Rift DK2 and the Leap Motion controller allow new experiences in cultural tour inside museums, archaeological sites.
The user puts the oculars on his head and when he looks along, he can see the world in 3D; oculus device uses custom display and optics technology designed for VR, featuring two AMOLED displays with low-persistence. The technology enables incredible visual clarity for exploring virtual worlds and for using VR gaming. The headset is tracked by IR LED constellation tracking system for precise, low latency 360-degree orientation and position tracking. Features an integrated VR audio system designed to convince your ears that you are truly there.
Also videomapping can offer new modality of augmented perception and a new experience of seeing cultural heritage. Enormous projections with images, lights and writings by LED are parts of the urban landscape and they constitute the basic arsenal of advertising.
The mediatization of the public space
Lev Manovich states that the radical change that regards culture in the era of information society also concerns space and its systems of representation and organization, becoming itself a media: just like other media – audio, video, image and text- nowadays the space can be transmitted, stored and retrieved instantly. It can be compressed, reformatted, converted into a stream, filtered, computerized, planned and managed interactively (Manovich311). The urban screens follow the trend of a mediatization of the public spaces, bringing in open and collective places, an element traditionally used in enclosed spaces in its various forms and genres (cinema, television and computer). On one hand we consume virtual spaces through electronic devices (cell phones, GPS, huge screens) that change the perception of space and time and social relations, on the other hand we walk environments dense of screens, which create a new urban landscape.
Paul Virilio says about it:
Today we are in a world and reality split in two; on the one hand there is the contemporary, real space (i.e. the space in which we are now, inside the perspective of the Renaissance); on the other there is the virtual space, which is what it happens within the interface of the computer or the screen. Both dimensions coexist, just like the bass and treble of the stereophonic or stereoscopic (Virilio 10-11).
To characterize the urban scene in recent years is the phenomenon of “giantism”. They are called “hypersurfaces”, “interactive media facades” those walls or architectures, either permanent or temporary, designed to accommodate bright and colourful surfaces and big video projections and screens. Enormous projections with images, lights and writings by LED are parts of the urban landscape and they constitute the basic arsenal of advertising. Urban screens, architectural mapping, facade projections, 3D projection mapping, display surfaces, architectural Vj sets are some of the definitions used for describing this technique and the context is that of so called “Augmented Reality” but according to Lev Manovich it is more correct to speak about “Augmented Space” because there is a superposition of electronic elements in a physical space: a relational space in which persons could have a new type of dialogue.1
After ten years, this technique born for a specific commercial and advertising purpose as a digital signage or for the launch of a new brand, has become flexible for create live and interactive performances, live painting, laser painting, videoart using the big dimension of the architectural surface. In videomapping we could unite together graphic art, animation, light design, performances, music and also interactive art and public art. The borders of theatre change and become widen: the environment is no longer the background, is the focus of the artwork. Based on these advanced experiences, artists have created augmented reality video works, stage designs provided with video mapping of great realism and huge projections: videomapping is a new media art, a media-performative art.
Paul Virilio talks of “Gothic Electronic” in reference to this aspect of contemporary architecture linked to the role of the images:
I think that the revolution of the Gothic age, which has been so important in Europe in every field, also corresponds to the new role from the image as a building material. . . . The most interesting images are those of the windows, as in Gothic art they corresponded to information that is more intangible, that transmitted by light in extraordinarily refined creations such as large rosettes (Virilio 6).
The aesthetics of the beautiful, of the astonished, the one that Andrew Darley in his book Digital Culture defines “aesthetic of the surface”, it is behind these spectacular artistic forms related to videomapping in the work of Urban Screen, NuFormer, Macula, Apparati Effimeri, Visualia, AntiVJ, Obscuradigital.
We are facing a new machine vision in a theatrical sense: the videomapping projections are based on the same principle as the “ineffabile vision” of the XVI century,those paintings created on the basis of anamorphosis forcing to the extreme the linear perspective of the Renaissance. In the work based on an anamorphic way technique, reality can only be perceived through a distorted mirror, while the videomapping is nothing else than a mask that deforms a reality that doesn’t exist at all. Art history has given us not only the linear perspective but also other view, the so called “broken perspective”, the concatenation of plans, the multiple points of view that pose the problem of depth in painting, the imaginary level of the third dimension. The suggestion, the fictional construction of the space, the union of the backclothes and the first floor and the resulting artificial illusion are the basis of monumental frescos by Vasari, Tiepolo, Veronese and above all, of Michelangelo’s Sistine Chapel that joins architecture and paintings..
Italian painters of the late XV century such as Andrea Mantegna (1431–1506) began painting illusionistic ceiling paintings, generally in fresco: he employed perspective in painting and techniques such as foreshortening in order to give the impression of greater space to the viewer below.
This type of trompe l’œil as specifically applied to ceiling paintings is known as “di sotto in sù” (“from below, upward”). The elements above the viewer are rendered as if viewed from true vanishing point perspective. Well-known examples are the Camera degli Sposi in Mantua.
We said videomapping is an art of illusion, an art of perception: so we can make a confrontation between two different kinds of OCULO2: Andrea Mantegna studied a special fresco decoration that would invest all the walls and the vaulted ceilings, adapting to the architectural limits of the environment , but at the same time breaking through the walls with illusionistic painting, as if space was expanded far beyond the physical limits of the room; nowadays the well known technological group Urban screen with the videomapping entitled “320 degree” that uses the circular surface of the Gasometer of Oberhause has tried to obtain a similar effect as a visual game of shapes and lights in which the observer experiences the sens of void and of the deph.
As Thomas Maldonado remember us, Western civilization basically became a producer and consumer of trompe-l’oeil:
Our has been called a culture of images . . . This definition would be more true, if we add that it is a civilization in which a particular type of images, images made by trompe-l’oeil, reach, thanks to the contribution of new technologies, a prodigious yield realistic . . . Confirmation is stronger, today, thanks to the computer graphics, especially when you consider its latest developments in the field of the production of virtual reality (Maldonado 48).
Following the history of the theatre and searching similar attempts in that ancient art to give the illusion of three dimensional space, we can mention the techniques of painted background in perspective: we can quote the drawings of Baldassare Peruzzi for “Calandria” (1514), the painted scene-prototype by Serlio (the comic, tragic and satirical scene, 1545), the theorical books: Perspectivae books by Guidubaldo (1600), Andrea Pozzo (1693) and Ferdinando Galli Bibbiena (1711), and above all, La pratica di fabrica machine ne’ teatri byNicola Sabbatini (1638).
For the contemporary theatre, we can quote two examples of scenographes created with a simple technique of illusion of three dimensional space and of perfect integration of body and stage or dispositif:
– The “digital landscape” used by Robert Lepage and created by stage designer Robert Fillion for Andersen Project (2005), a concave device that includes images in video projections which, thanks to an elevation of the central structure, seemed to have concrete and lively form and succeds in interacting with the actor, literally immersed in this strange cube built around him;
– The dispositive used by Italian group Motus for L’Ospite inspired by Pasolini’s Teorema: it is a monumental scenography looming and crushes the characters, made up of a deep platform inclined, enclosed on three sides and composed of three screens for video projections. This video triptych produces the illusion of an huge house without the fourth wall.
VIDEOMAPPING PROJECTIONS IN THEATRE
The use in the theatre of the videomapping concerns not only the sets (the stage, the volumes in which images could be projected) but also objects, actors, costumes and the entire empty space.
The group Urban Screen produces a curious experiment with videomapping projection for What’s up? A virtual site specific theatre, made in Enschede (Netherlands) in 2010, where the actors were moving images projected forced into a box that picked up their intimacy, built into the walls of the building in a surreal atmosphere. Or Jump in! where the façade of the building becomes a sort of “free climbing wall” for actors who jump, climb, hide among the windows. For the opera Idomeneo, King of Crete by Mozart, Urban Screen has used an architecture of lights in mapping that adheres to the volumes of stage on which the singers acted; these structure is a simple white furniture composed by several block unite together and similar to the cliffs with the reference to the god Neptune, one of the character of the opera. Projections adhere to the structure, thanks to a software created expressely by Urban Screen called Lumentektur.
Apparati Effimeri an Italian technological group, has created a dramatic short cameo, in baroque style, for Orfeo ed Euridice (2014), directed by Romeo Castellucci: they used videomapping for reconstructing the scene a “grove of greenery” embedded in a scene completely empty, from where emerges an ethereal female figure, showing a sad atmosphere and a bucolic landscape worthy of a painting by Nicolas Poussin. We are in Arcadia, the scene unfolds and the video projectes on the scene moving images and 3D effects of high accuracy, leaving the illusion of wind on the leaves, the lights on the water and the evening shadows. The “baroque technologic style” of the set generates the amazing sensation reserved for large frescoes of the past and it is perfectly in syntony with the myth and with the emotions of the drama which focuses on the image live from an hospital, of the women in coma which represents in the theatrical fiction, the “double” contemporary of Euridice.
https://www.youtube.com/watch?v=rQmaUSAC-pg
Robert Lepage has used videomapping in his most ambitious project: the opera direction for tetralogy of Wagner (The Ring) produced by the Metropolitan of New York (2014). Protagonist of the scene is the huge machine designed for the entire tetralogy, a true work of mechanical engineering, made up of 45 axes movable independently of each other and surging and rotate 360 ° thanks to a complex hydraulic system which allows a large number of different forms, becoming the plug of a dragon, a mountain or the horse of the Valkyries. On the surface of the individual axes are projected 3D images in videomapping showing trees, caves, the waters of the Rhine, the lights of the Walhalla.
IAM PROJECT: AN EUROPEAN PROJECT FOR VIDEOMAPPING
IAM (International Augmented Med) is an international cooperation project in which 14 partners from 7 mediterranean countries work together to demonstrate and promote the use of Augmented Reality, videomapping and innovative interactive multimedia techniques for the enhancement of cultural and natural heritage sites. The Partnership is led by the City of Alghero, Italy. Other participating countries are: Egypt, Jordan, Lebanon, Palestine, Spain, Tunisia. It is funded by the European Union’s ENPI CBC Med programme and runs from October 2012 to October 2015.
The winners of the grants awarded in the framework of the IAM project are one Croatian and one French candidate. These subgrants are managed by project partner Generalitat de Catalunya (Government of Catalonia region – Spain, Department of Culture).From 1 to 3 October 2014 the Spanish project partners of the I AM project are hosting the I AM festival, in Girona – Catalonia, Spain, under the title “JornadesAPP” (App Days).
Three days of round tables, discussions, demonstrations, presentations, video-mappings, mobile apps and more in various locations in the historic city of Girona.
The Spanish group Konic thtr proposed in Girona an audiovisual composition that combines symbolic elements of the building with historical elements related to the former use of the building as a hospital (now Regional Office of the Catalan Government), with visual elements related to the use of medicinal plants. Processus is the title and proposes a large scale architectural projection based on the history of the projected building. Life, death and spirituality that convert into the ADN of this XVII century building, important part of the archaeological heritage of the city of Girona.
The fundamentals of Video Mapping, according to KONIC stand on concepts that define, identify, structure and characterize the technique. The mapping has to co-live with the dramatic text, the actor’s actions, the choreography and the sound, taking part of the narrative of the piece and contribute to the tension and development of the piece through the visual evolutions. As stated by Koniclab:
We can understand it as a treated space, or as a dynamic stage set, that will bring dynamics, stories, actions along time, by its audiovisual evolution. The media co-exists with the actors and/or dancers and bring to the piece another layer in a horizontal hierarchy with the other elements composing it. We can think of a global work, in which the different disciplines and materials participate to the narration and composition of the work.The audience, from our experience, perceives the piece as a whole and is often surprised by the intimate and somehow magical dialogue established between light-image-sound-object or architecture- and the actors/ bodies, who will bring the human scale and the humane-fictional proportions.When the projection is interactive, it offers direct participation of the audience in the piece, who will then coexist with the actors and can then become a part of the fictional world, and make the step from social being to active part of the piece (Monteverdi).
In their opinion, the following elements should be taken into account when developing a stage play that incorporates this technique:
– The inter-relation image-object-volumetric support, convey the fact that the dramaturgy is focused on the image mapped onto the object. This is to say on the augmented object transformed into an object-image hybrid. The visual narrative is driven by this object-image articulation, and not only by the image. Hence, the object should ideally be related with the visual compositions projected onto it.
– The concept of Mapping = a skin made of visuals and light covering the volumetric object. A dynamic and flexible skin, which will adapt like a dress to the object onto which it is projected or visualised.
– The technology, in understanding that mapping is building a perceptual device composed of light, image, sound, software, hardware, space and time, architecture, actors and audience, and all these elements together create an experiential and relational whole.
Marko Bolkovic one of the two winners of IAM subgrants, with his group Visualia from Croatia, has presented in Girona a mapping for Casa Pastors of high visual impact made entirely in 3D entitled Transiency, inspired by the metamorphosis of life.
Marko Bolkovic said about his videomapping:
Video mapping can be made with any available material, such as video material, film. It’s necessary to adjust this material to a projected surface, which is done with special computer software. 3D video mapping is much more complicated and takes more time for its production: first of all, a model of the object where a projection will be made should be created, afterwards all the animation should be made in a special software provided just for that. The greatest difference between video mapping and a 3D video mapping lies in the final outcome – with 3D video mapping you get a realistic space effect on an even surface, and with usual, “ordinary” mapping there’s no such depth and realism. Visualia Group specialized in 3D video mapping. One of groups goals is to educate people about this rather “new art”, to show its potential and to present its great effect as realistic as possible. In this particular project the artists tried to tell a story about transiency of things, people and life itself, combining it with almost magical building transformation, so realistic and dreamy at the same time. First idea was to create video mapping with historical basis – the group wanted to show how the building was built and how it survived for 3 centuries. Unfortunately, due to a lack of material and information, the idea was dropped at the end.
The group than decided to follow its free will and artistic spirit and to simply bring life to Casa del Pastors using 3D softwares. Due to Group’s rich experience in 3D video mapping, they decided that the best way to create a really powerful and realistic effect for audience is to draw the whole building from the beginning. The front of the building (facade) was challenging enough: it is made out of bricks so it was a really one great creative challenge for the Group to model and revive the building. The Group also agreed that Casa del Pastors is a great place to “tell the story” about the transiency of time, things and life.. Everything passes and it is unreachable and unstoppable. It exists only in moments, which we’re aware of only when they’re already gone. “Transiency” became the name of Group’s “story”, which has to be told. How to present transiency through images and video animations? After discussing this, the artistic Visualia Group decided to start with creation process – clouds (air element) symbolize imagination from which emerges the water element (life), which is continued to a birth process (the tree) and it culminates with simpler form of life (caterpillar) becoming a higher, more complex form (butterfly) which is a symbol of a free art.
The 3D animation were made by Jean, and he divided this animation process in 4 different parts:
– Geometry – fragmentation and deconstruction
– Contrast – black and white matter with optical and hypnotic illusions
– Creation process – air, water, LIFE
– Colors – free art
Conclusion
Videomapping has a restrictive format, partly due to the aesthetic criteria of those leading these expressions and artistic interventions. There are certain artists that show videomapping as what we can define as behavioural or linear, showing architectural videomapping as a display full of effects produced with and upon the image and structure of the façade. This criterion, based on a restrictive approach of available effects, tends to deplete the poetic of the interventions by playing with an aesthetic model based on visual and sound effects that the public recognizes and expects.
As we have seen in the works by Kònic and Marko Bolković, the architectural mapping has to understand the function of the building onto which the artist works not only as a façade around the building but also as the context in which it is located, its history; bearing in mind that they are working with heritage buildings or historical sites. Could technologies enrich, enhance local heritage, in a new manner of communicating history, arts giving a hand to the economy, offering new and unexpected forms for visiting historical monuments, archaeological sites inspiring an interplay of different interests such as traditions, history, visual and youth culture?
We try to reflect on the rules of temporary or permanent media architecture, on their importance for the continued revitalisation of the area, on the new role of media for public spaces. We point out the shift in the application of these technologies from commercial, advertising purpose to cultural purposes.
There is a need for a strategy of sustainable urban media development that targets the intersections between the need of residents, tourists, government agencies, the commercial interest of companies and the ideas of architects and urban planners in the perspective of connecting cities, and also creating tourist attractions. We need to reflect on the relationship between the transformation of our cities and the identity-conferring power of digital architecture.
A building’s façade is more than just a wall and a framework for the entrance, it always reflects the functions of the building, it has symbolic patterns, signs or architectural elements that identify the urban typology.
If a place can be defined as relational, historical and concerned with identity, then with innovative digital media in public space we can create dynamic revitalization of places in empathy with the area, and the audience, making visible the past, its history and functions. Media façade should primarily have the task of representing the identity of the building, of the city seen as a large number of overlapping stories and connections, history, emotions, humanity.
Referring the book Invisible cities written by Italo Calvino (1972), which suggests a poetic approach to the imaginative potentialities of the cities, the urban screens and the digital mapping works can make visible the invisible and allow us to understand, create and experience the city with all its change, story, secret folds and diversity.
The mapping has to co-exist with the dramatic text, the actor’s actions, the choreography and the sound, taking part in the narrative of the piece and contributing to the tension and development of the piece through the visual evolutions. We can understand it as a treated space, or as a dynamic stage set, that will bring dynamics, stories, actions through time, by its audio-visual evolution. The media co-exists with the actors and/or dancers and brings to the piece another layer in a horizontal hierarchy with the other elements composing it. We can think of a global work, in which the different disciplines and materials participate to the narration and composition of the work.
The audience perceives the piece as a whole and is often surprised by the intimate and somehow magical dialogue established between light-image-sound-object or architecture- and the actors/ bodies, who will bring the human scale and the humane-fictional proportions.
When the projection is interactive, it offers direct participation of the audience in the piece, who will then coexist with the actors and can then become a part of the fictional world, and make the step from social being to active part of the artistic work. There are countless options to have the public involved in an interactive way. There is still much work to do, still a lot to be explored and understood, and the rapid evolution of the technologies involved can also help us to find new solutions and criteria for the artistic intervention in public spaces.
Notes
1. Urban screens, is a term coined by Mirjam Struppek considered a pioneer in the field of urban digital surfaces; in 2005 she curated the first Urban Screens Conference in Amsterdam paving the way for Urban screen conference in Manchester and in Melbourne in 2007 and 2008. She wrote an essay Urban potential of public screens for interaction about the mediatization of architecture.
2. An oculus (plural oculi, from Latin oculus, eye) is a circular opening in the centre of a dome or in a wall. Originating in antiquity, it is a feature of Byzantine and Neoclassical architecture. The oculus was used by the Romans, one of the finest examples being that in the dome of the Pantheon. Open to the weather, it allows rain to enter and fall to the floor, where it is carried away through drains. Though the opening looks small, it actually has a diameter of 27 ft (8.2 m) allowing it to light the building just as the sun lights the earth. The rain also keeps the building cool during the hot summer months (from Wikipedia).
Works Cited
Arcagni, Simone. Urban screen e live performance. 2009. Web. 10 May 2015.
Artieri Boccia, Giovanni. Preface. “La sostanza materiale dei media. Video culture digitali tra
virtuale e performance”. Videoculture digitali. Spettacolo e giochi disuperficie nei nuovi
media. By Andrew Darley. Milano: FrancoAngeli, 2006.
Darley, Andrew. Videoculture digitali. Spettacolo e giochi disuperficie nei nuovi media. Milano:
FrancoAngeli. 2006. Print.
Maldonado, Tomàs. Reale e virtuale. Milano: Feltrinelli, 1992. Print.
Manovich, Lev. Il linguaggio dei nuovi media. Milano: Olivares 2002.
Monteverdi, Anna Maria. Hypersuperface and Mediafaçade. Urban Screen. 2014. Web. 02 May
2015.
—, Drammaturgy of Videomapping. Interview to Koniclab. 2014. Web. 06 May 2015.
—, L’Orfeo di Castellucci, Musica celestiale per un angelo in coma vigile. 2014. Web. 08 May
2015.
Virilio, Paul. “Dal media building alla città globale: i nuovi campi d’azione dell’architettura e
dell’urbanistica contemporanee”,Crossing n°1, numero monografico
La Chiesa Abbaziale di Santa Maria Assunta alla Spezia è diventata lo scenario di uno spettacolo davvero…miracoloso. Il famoso musicista e maestro d’organo Ferruccio Bartoletti grazie all’associazione musicale Caesar Franck e alla Fondazione Carispe ha definito una serie di appuntamenti musicali per le Chiese provinciali e ha inaugurato la rassegna proprio ieri, 8 giugno con un suo concerto.
La caratteristica è stata l’improvvisazione sia per la musica che il video che ha fatto da brillante e stupefacente scenario alla musica. Il videomapping (in interno e non in esterno) ha ricreato la giusta atmosfera andando a definire i contorni dello spazio absidale, delle vele, dell’altare, uno spazio sacro e mistico esaltato e impreziosito dalla luce e dall’effettistica video.
A lato l’imponente organo di Bartoletti; il Maestro profondamente ispirato, dava il giusto “mood” al giovane artista visivo Tommaso RInaldi, aka Highfiles per far virare di colorazioni scure o infuocate la parete sovrastante l’altare. Effetti che ricordavano talvolta il barocco o il gotico, replicando le forme a sesto acuto delle volte e le forme intagliate delle guglie antiche ricreando un’atmosfera mistica.
E così il video ricrea l’idea di affreschi dell’antichità, portando il pubblico dentro una dimensione immersiva davvero potente. Tante le suggestioni suggerite dalla musica e raddoppiate dal video, che in alcuni casi davvero ha ricreato dei momenti cinematografici impressionanti.
E così una tecnica e una modalità tipica del mondo del VJing e dei club musicali entra in un mondo completamente altro, creando quella ibridazione (prima di tutto culturale e poi tecnica) di cui parla Jenkins nel fondamentale volume Cultura convergente.
Folla straordinaria in..”religioso silenzio” (doveroso peraltro dato il luogo).
Abbiamo chiesto alcune delucidazioni tecniche a Hightfiles che in questi giorni sta partecipando come finalista a una kermesse di Live mapping a Roma e da un anno è anche titolare del corso di DRAMMATURGIA MULTIMEDIALE all‘ACCADEMIA ALMA ARTIS di PISA:
Come ti prepari tecnicamente a una improvvisazione con videomapping?
Di solito seguo un canovaccio mentale, che spesso però, da metà circa lo tralascio quasi senza rendermene conto per dar spazio ad una improvvisazione pura. ieri non sapendo bene cosa avrebbe fatto Ferruccio Bartoletti (ho scoperto qualcosa di più nei pochi secondi precedenti al live) , ho preparato una Serie di animazioni a loop su after effect, poi mixate, gestite live, effettate e rese sound reactive tramite il software resolume.
I video davano una dimensione pittorica. Lo avete stabilito in precedenza insieme con il musicista questo effetto?
No! Abbiamo lavorato liberi e a compartimenti totalmente stagni, e ci siamo parlati solo pochi istanti prima di iniziare… Lo considero un atto molto performativo, ma allo stesso tempo l’idea di base su cui abbiamo lavorato, senza saperlo era abbastanza simile
E lo scenario che diventa affresco era forse frutto di qualche tua reminiscenza d’accademia dove ti seri formato a Torino?
credo che gli studi passati continuino ad influenzare in qualche modo, ma a un livello di subconscio soprattutto. E poi spesso sono gli “studi” (non ero il migliore degli studenti ecco) classici fatti in precedenza che mi forniscono spunti, in questo caso mi interessava mettere a confronto due forze, una oscura e una luminosa, un po’ il dualismo che ci contraddistingue e che è per me il perno della religione cattolica, il peccato e il perdono.
Ritornano gli appuntamenti con la musica organistica promossi dall’Associazione Musicale César Franck.
Venerdì 8 giugno alle 21.15, presso la chiesa Santa Maria Assunta di piazza Beverini si terrà l’evento anteprima della XXVII Rassegna Internazionale d’Organo Città della Spezia, dal titolo Lights and Sounds.
L’evento sarà caratterizzato da un concerto di improvvisazione organistica eseguito da Ferruccio Bartoletti insieme a uno spettacolo di video mapping realizzato dal visual artist Tommaso Rinaldi aka High Files.
Ciò permetterà ai fruitori di vivere un’esperienza totalizzante dove musica e luce daranno nuova vita allo spazio nel quale sono inserite.
L’intento dell’Associazione è quello valorizzare i beni storici della nostra cultura antichi di secoli, utilizzando linguaggi e metodologie attuali
DynaFlash: High-speed 8-bit image projector at 1,000fps with 3ms delay
Summary
In the application fields including projection mapping, digital signage, user interface, AR (Augmented Reality), and so on, the projector technology for the image projection to the real-world object has become important. Also, in the industrial application fields such as robot applications, there are various developments of the image sensing systems which consists of a camera and a projector. However, the conventional projectors supposes to project to a static target such as a flat screen. Therefore, although they have high image quality, the frame rate, mainly targeted as 30-120 fps, is not enough performance for the applications described above. To solve this problem, we have developed a working prototype of the high-speed projector “DynaFlash”. DynaFlash can project 8-bit images up to 1,000fps with 3ms delay.
1. 8-bit-level image projection up to 1,000fps
The developed high-speed projector projects 8-bit-level images up to 1,000 fps with the minimum delay of 3 ms using digital micromirror device (DMD) and high-brightness LED. Newly developed high-speed processing modules installed in FPGA control the two devices and this technology enables the performance of high frame rate. Moreover, our own original module of the communication interface is mounted in a computer and transfers images at high speed. This reduces the delay from the image generation to projection within 3 ms at the best performance.
2. New applications in the integration of high-speed projector and high-speed vision
We aim at the development of the new applications by integrating the high-speed projector and the high-speed vision that has ever been developed. As a first example application, we have realized a projection mapping system for the high-speed moving objects. This system recognizes the position of the object by the high-speed vision and projects images to the object with no delay using the high-speed projector. Conventional display technologies have no enough speed performance compared with the motion speed of the object. This causes the large misaligned gap in the interaction of the image projection to the moving object. Our system solves this problem based on the high-speed processing performance. We also plan to develop the sensing with the order of millisecond, for example three-dimensional measurement, whose moment cannot be perceived by human eyes.
Installazione di Apparati Effimeri in Piazza Vecchia a Bergamo su progetto di Lodewijk Baljon a cura di Storyfactory, in collaborazione con ABenergie e sound design di Nicola Giannini, all’interno del Festival I Maestri del Paesaggio 2017.
INTERACTIVE SCREENLESS PROJECTIONS by JOANIE LEMERCIER
“I’m obsessed with projections in mid-air, ever since I first saw Princess Leia ‘so-called’ hologram, and I dreamed for years of having a go at Tom Cruise’s UX in minority report.
I’ve used various techniques to explore similar aesthetics: peppers ghost (used in the Tupac Coachella concert), semi transparent screens, mirrors and lenses, which are often referred to as “holograms” but are in fact cheap tricks and just 2d projections.
To avoid misleading use of the word hologram (remember the heated debate with Kickstarter’s CEO about the Holus scam?), I use the term No-logram (not a hologram).
I’m now developing a technique using super fine particles of water, high pressure gaz and custom nozzles, to create true volumetric projections, and build large installations in public spaces. Technically there is no limitation in size / scale.
I use common tracking technologies (depth sensor and image analysis) to allow interaction between the user/audience and the projections.
My works explores geometric patterns, repetitive shapes in nature, and the similarities we can witness when looking at the structure of the universe at various scales. The volumetric projections are also a great medium to question the nature of reality, and how technology can modify our perception of the world we live in.
The video below is an early experiment, I am now exploring these ideas further with an interactive installation that I’m planning to show in festivals, and hoping to do a permanent installation in public space, this should work very nicely in gardens and parks. Watch this space 😉
* Modeling a 3d House of Mertens
* Modeling 9 cars and fire trucks as well as animating them
* Animating 15 character models
* VFX animation of fire, smoke, water and glass
* Sound design courtesy of our mutual friend
First prototype sent to client
Reference test animation
Preparation for video projection mapping
3D Modeling and compositing of House of Mertens
Setting up simple car animations
Creating smoke and fog animations
Animating windows shattering
Creating fire animations for later use inside the building
Video showing first test animation for a fireman model
Dopo la sfavillante prima edizione, riparte la call del Festival di luci, videoarte, videomapping di Pomezia. Scadenza 12 gennaio
Pomezia Light Festival è uno dei primi festival di light art della
Regione Lazio e il primo in assoluto nell’Agro Romano.
L’obiettivo del festival è quello di radunare nella cittadina alle
porte dell’Agro Romano artisti che, utilizzando nuove e vecchie
tecnologie, facciano della luce il loro mezzo espressivo.
Questo tipo di eventi si presta particolarmente ad un’operazione
di tipo urbanistico attraverso una duplice azione: la
valorizzazione di luoghi, edifici, strutture particolarmente
interessanti e al contrario la rilettura in chiave critica o esaltativa
di situazioni architettonicamente problematiche.
Dopo la prima edizione, l’obiettivo di creare nella città di
Pomezia un polo di riferimento per gli artisti e i curiosi
interessati a questo tipo di manifestazioni, si può dire raggiunto.
Continuiamo il nostro lavoro di disseminazione per favorire la
scoperta di questo nuovo modo di produrre arte e spettacolo
attraverso tecnologie digitali – e non – e il linguaggio della luce.
L’evento si propone come forte stimolo alla creatività delle molte
realtà artistiche, culturali, associative e laboratoriali nel territorio,
oltre che a proporsi come finestra su un panorama artistico più
vasto, invitando anche artisti nazionali o internazionali a
prendere parte.
La novità 2018 sono le 3 sezioni
AROUND THE CITY
digital performance \ video installazioni \ installazioni luminose \ digital art
Sabato 28 ottobre dalle ore 14:00 Casa della Cultura
Via Casilina 665
Il workshop a cura di Simone Palma, si articolerà in una breve introduzione al Projection Mapping ed alle sue diverse tecniche di produzione per poi passare ad analizzare il rapporto tra strumentazione e dunque tra proiettori e la materia proiettata sulle diverse superfici, in ambito architetturale, scenografico ed urbano.
Simone Palma è un artista attivo da quasi vent’anni nel campo della multimedialità in ambito teatrale e performativo, soprattutto nella realizzazione di scenografie digitali. Tra i suoi numerosi lavori nel settore delle videoproiezioni teatrali possiamo citare The Coast Of Utopia, Valse de Meduse, Citizen X, Operacamion Figaro e Phantasmagorica di TehoTeardo e MP5. Palma si occupa inoltre di animazione tridimensionale per diversi studi di architettura e di produzioni video indipendenti. Collabora con RGB Light Experience, per il quale ha realizzato nel 2015 il videomapping Stream of Life.
Le superfici proiettabili sono diventate le facciate dei grandi palazzi: dal media building[1] al media façade all’architectural mapping il paesaggio delle metropoli si è ampiamente trasformato e arricchito. Il video mapping (proiezione 3D su architetture), nato come spettacolare forma di intrattenimento luminoso e di digital signage[2] su palazzi e spazi urbani, nei suoi dieci anni di vita[3] ha fatto progressi giganteschi, definendosi come genere artistico con caratteristiche tecniche proprie, specificità linguistiche (la narrazione audiovisiva breve in 3D) e ambiti sempre più allargati (alle arti performative e installattive).
Il video mapping permette di trasformare qualsiasi superficie in un display video dinamico: software specifici sono utilizzati per distorcere e mascherare l’immagine proiettata e adattarla perfettamente agli schermi o a superfici di forma irregolare. Trattasi di un’arte digitale effimera e immediata, legata indissolubilmente a una forma stabile (architettura o volumi scenografici)[4] che in tempi recenti è stata applicata anche al restauro virtuale dei beni culturali[5] e al teatro.
Nell’articolo intitolato The Poetics of Urban Media Surfaces, Lev Manovich elenca le situazioni in cui sono coinvolti schermi “al di fuori dello spazio di una galleria“[6], ovvero quelle esperienze non strettamente legate ad un ambito artistico ma altrettanto ricche di effetti visuali: dagli show room agli spazi al chiuso per performance musicali e vjing.
Gli urban screens seguono la tendenza ormai radicata di una mediatizzazione degli spazi pubblici, collocando in luoghi aperti e collettivi, un elemento tradizionalmente usato negli spazi chiusi nelle differenti declinazioni (cinema e monitor tv). Manovich considera questa presenza di schermi nelle città, un fattore anticipatore della diffusione massiccia e generalizzata dell’Augmented Space, ovvero un nuovo tipo di spazio pubblico che si origina a partire da dati informatici diffusi o personali.
Fino a pochi anni fa i professionisti che operavano in questo campo venivano chiamati media designer, video designer. Recentemente la United Scenic Artists Local Usa ha proposto una nuova categoria, quella del projection designer[9] o projection artist.
Il campo professionale e quello accademico ha riconosciuto quindi, un valore di “progettualità” all’ambito della “proiezione dal vivo” essendo ormai evidente che l’allestimento, la scelta della location, o dell’edificio dove proiettare (e non il semplice schermo) diventano parte di una “drammaturgia” multimediale di cui la proiezione è l’elemento portante; si interviene sul corpo della facciata, contribuendo a definire l’immagine scenografica con prospettive annesse, a partire da un centro ottico e determinando di conseguenza, anche uno speciale rapporto tra osservatore e creazione artistica.
La dialettica tra ornamento e superficie di proiezione, tra architettura e pittura (sia pur digitale) sta sviluppando stili e tendenze, con frequenti infrazioni tra struttura e deformazioni di immagini, come ci trovassimo di fronte a una macchina cinquecentesca per le visioni anamorfiche o a un prodigio di scenotecnica barocca[10].
Il mapping attraverso la proiezione, assolve alla funzione che aveva l’arcoscenico alla fine del Quattrocento, agli albori della nascita del teatro moderno, cioè “la frontiera tra realtà e illusione”[11]. D’altra parte è evidente che la dimensione illusionistica, la ricerca coinvolgente della finta profondità, tipica del video mapping rimanda proprio al teatro.
L’evoluzione del mapping in direzione di una drammaturgia visiva è stato sviluppato dal 2011 in poi, da alcuni gruppi come Urban screen, Telenoika, Anti Vj, Koniclab, Architecture 1024 e Sila Sveta: dopo aver esplorato tutta la casistica di effetti speciali 3D, alcuni artisti iniziano, infatti, a creare nuovi formati ancora generatori di stupore, ma con una maggior propensione alla narrazione. Emblematica la teorizzazione di Koniclab circa la necessità di una drammaturgia sia visiva che sonora e performativa del video mapping architetturale che guardi alla storia del palazzo, alla sua simbolica funzione, al ruolo attribuito a esso dalla comunità e alla tecnologia nel suo complesso, in un’ottica unitaria di un dispositivo di luce, audio, corpo, architettura:
Le fondamenta del video mapping si poggiano su concetti che definiscono, strutturano, caratterizzano la tecnica. A nostro avviso i seguenti tre elementi dovrebbero essere tenuti in considerazione quando si sviluppa un progetto che includa questa tecnica. E sono:
la drammaturgia è focalizzata sull’immagine “mappata” sull’oggetto. L’oggetto aumentato è trasformato in un ibrido immagine-oggetto. La narrazione visiva è guidata da questa articolazione oggetto-immagine, e non solo dall’immagine.
il concetto di mapping: è una pelle fatta di immagini e luce che coprono l’oggetto volumetrico. Una pelle dinamica e flessibile che si adatterà come un vestito all’oggetto su cui è proiettata o visualizzata.
la tecnologia: il video mapping costruisce un dispositivo percettivo unitario composto di luce, immagine, suono, software, hardware, spazio e tempo, architettura, attori e spettatori, e tutti questi elementi insieme, creano un insieme esperienziale e relazionale.
Il mapping deve convivere con il testo drammaturgico, con le azioni dell’attore, con la coreografia e i suoni prendendo parte alla narrativa complessiva del lavoro scenico e contribuendo alla tensione e allo sviluppo della performance attraverso le evoluzioni visive[12].
L’arte del video mapping: Palnoise e Visualia.
Il gruppo catalano Palnoise specializzato in video mapping, ha applicato questa speciale forma di proiezione indifferentemente ad ambiti artistici e commerciali (architectural mapping, stand mapping e micromapping[13]), dando vita a uno speciale stile anche per i live e vj mapping legati per lo più, alla cosiddetta “club culture”. Il loro primo video mapping architettonico risale al 2009 ed era davvero pionieristico: la proiezione avvenne sopra la facciata neoclassica del Teatro El jardì de Figuéres a Girona[14] e il video mapping era una tecnica semi sconosciuta.
Il segno di Palnoise è definito da un tratto astratto molto riconoscibile: al gioco dei rilievi delle paraste e dei cornicioni dei balconi sottolineati da una linea di luce e a quello della scomposizione dei singoli oggetti architettonici della facciata, si aggiunge una pittura accesa di rosso che si rovescia come vernice definendo un originale elemento pittorico. Sempre a Girona un anno dopo, nel Palazzo della Generalitad che ospitava un antico ospedale e che si estende in larghezza per 48 metri e in altezza per 18 metri, Palnoise crea un mapping fumettistico, ben lontano dalla storia del palazzo che lo ospita di stile barocco spagnolo, immaginandosi uno scenario alla Escher con tanto di scale visionarie, impossibili e continue percorse da figure in nero che entrano ed escono da diverse camere (i riquadri di luce in cui viene scomposto l’edificio). L’apparenza da cartone animato surreale fatta di desolanti figure va in voluta antitesi con il senso della storia dell’edificio ma anche con la sua stessa forma, che diventa in alcuni momenti solo una superficie di proiezione. Il finale prevede invece, l’armamentario tipico del mapping visivo e 3D (ramificazioni, scoppi di colori e fiori). Palnoise applica il video mapping in forma live a scenografie per discoteche ed eventi all’aperto: in alcuni casi vengono costruite intelaiature apposite di grandi dimensioni (come la piramide Maya di 18 metri che faceva da sfondo alla musica live e l’enorme mandala a Juan Gaviota in Guatemala per due edizioni del Guatemala Festival Guat’s up). Queste architetture effimere, costruite in acciaio e vinile vengono smontate a fine evento.
Marko Bolkovic con il gruppo croato Visualia (Marko Bolković, Jean Sambolec e Ania Ladavaccon) ha realizzato nel 2014 un video mapping molto significativo dal titolo Transiency sulla facciata di Casa Pastors a Girona in Spagna; il gruppo ha deciso di iniziare con un semplice processo creativo e uno story board ispirato alla natura: nubi (elemento aereo) che simboleggiano l’immaginazione da cui emerge l’ elemento acqua (vita), che è collegato ad un processo di nascita (albero) e culmina con la forma più semplice di vita (bruco) diventando una forma complessa (farfalla), che è un simbolo di un’arte libera. La caratteristica del breve ma spettacolare evento video mapping, è la realizzazione interamente in 3D di una narrazione astratta, basata sullo speciale connubbio audio e video che si avvicina all’atmosfera techno e alla club e Vj’ng culture. Un mix esplosivo di effetti optical bianco e neri e forme dai colori flashanti alternati, insieme con il gioco di scomposizione dei singoli elementi architettonici fanno del palazzo storico qualcosa di più di una superficie di proiezione. Articolato su storie di luci, atmosfere romantiche, da sogno e cupe sottolineate dalla musica, il mapping smaterializza il palazzo che diventa qualcosa di liquido o aereo, evanescente e pittorico insieme giocando sul tema della metamorfosi. Un risultato tra i più riusciti del video mapping internazionale che suggerisce come la grammatica del mapping sia sempre più spinta sull’animazione in grafica 3D e musica perfettamente sincronizzata agli effetti visivi e colorati di grande impatto.
Le tre fasi del video mapping teatrale.
L’uso delle proiezioni su volumi grazie al video mapping, permette l’inserimento di un elemento sostenibile e non invasivo anche in strutture storiche e architetture protette (come avvenuto nel mapping floreale per il Teatro Olimpico di Vicenza).
L’idea originaria che apre la prima fase di un video mapping teatrale, è quella di usare la facciata dei palazzi nello spazio pubblico, come palcoscenico; emblematici sono gli esempi firmati Urban screen: What’s up è il titolo di una performance video architetturale dove il corpo ingigantito di un personaggio (precedentemente registrato in ambiente green screen) viene incastrato dentro un cubo, a sua volta inscritto nel cubo dell’edificio collocato al centro di Enschede (Olanda). Una situazione comica e surreale allo stesso tempo che propone un evento teatrale un po’ kafkiano, ben giocato nell’illusione tra gli ingombri delle finestre reali del palazzo, raddoppiate in digitale e la superficie virtuale della proiezione. Altro esempio di teatro in verticale, ossia di un palcoscenico/palazzo è evidenziato dalla proiezione progettata sempre da Urban screen nelle coperture architettoniche a forma di vela dell’Opera house di Sidney. Due corpi di danzatori si muovono nello spazio limitato dalle vele, trovando un elemento sia narrativo che coreografico nell’ambientazione generale e nella forma stessa dello spazio in cui sono collocati. Anche in questo caso le immagini sono state registrate precedentemente in green screen in uno spazio che simulava le dimensioni della copertura architettonica.
Il secondo passaggio verso un video mapping teatrale è rappresentato dall’uso dell’interazione tra superficie video mappata e il pubblico, come è evidente nel progetto di Architecture 1024 (Perspective lyrique, 2010) al Teatro dei Celestini a Lione in occasione della annuale Fête des lumiere, e quello di Klaus Obermaier (Dancing house) esposto durante la White Night Košice 2014, in Slovenia. Nel primo esempio la deformazione del palazzo e delle figure annesse era determinata e controllata in tempo reale dalla voce del pubblico tramite un microfono e un algoritmo di analisi sonora; nel secondo caso è il corpo stesso delle persone che assistono, a volte inconsapevoli, tracciate tramite sistema ottico, a determinare significative storpiature delle immagini e creare una dinamica molto partecipata.
Il terzo passaggio al mapping teatrale è rappresentato dal video mapping architetturale con interazione tra performer e immagine video: un progetto di spettacolo architetturale interattivo abbastanza illuminante è quello di Xavi Bové dal titolo Cycle of Life,con proiezioni su Casa Pastors a Girona. La voce della soprano grazie a un software appositamente creato, permetteva la modificazione delle immagini da un repertorio scelto precedentemente.
L’evoluzione del progetto è Moviments Granados, un show interattivo di musica dal vivo e immagini in tempo reale sulla facciata di Gaudi’, la Pdedrera a Barcellona.
Klaus Obermaier ha pionieristicamente sperimentato a teatro le più ardite modalità tecno scenografiche per spettacolari video mapping e per le sue performance audio video interattive a partire da Apparition presentato al FutureLab di Ars Electronica nel 2012. Così l’artista digitale spiega il concept del lavoro di danza interattiva in cui è il corpo dell’attore a essere tracciato e a diventare supporto per la proiezione:
“Le tecnologie interattive liberano l’esecutore dai limiti della coreografia pre-impostata e generano il contenuto visivo in tempo reale. L’obiettivo era quello di creare un sistema interattivo che fosse molto più che semplicemente un’estensione dell’operatore, ma un potenziale partner esecutivo.
I processi computazionali che modellano e simulano la fisica del mondo reale creano uno spazio cinetico in cui la bellezza e la dinamica del corpo umano e la qualità del movimento vengono estese e trasferite nel mondo virtuale.
Queste due aree principali di ricerca, il sistema digitale interattivo come partner di performance e la creazione di uno spazio cinetico immersivo, costituiscono la cornice artistica di Apparition”[15].
Il video mapping si unisce spesso all’interaction design: l’esempio più clamoroso che ha unito danza e tecnologia 3D, è quello del duo Adrien Mondot e Claire Bardainne con le numerose varianti scenografiche dal primo stupefacente spettacolo Cinematique (2011) create con il software E-motion. Si tratta di spettacoli che sembrano far uscire dal nulla, e solo col movimento delle danzatrici, mondi, geometrie, astrazioni. Artefice del sistema e regista è Adrien Mondot che parla di “paesaggi oni(nume)rici: corpi che compiono evoluzioni con oggetti. In questa costruzione sinuosa ho scelto di sbarazzarmi di tutto ciò che non mi sembrava essenziale. La scenografia, sintetizzata in un immenso spazio di possibili, torna alla sua più semplice espressione: le due pagine bianche di un libro aperto, ancora da scrivere”.
Interamente in mapping sono le proiezioni della nuova versione di Les aiguilles et l’opium di Robert Lepage (2015): in un macchinario praticabile a forma di cubo con due lati aperti e in movimento gli attori si muovono come acrobati; le proiezioni seguono tale movimento ricreando ambientazioni diverse: la camera d’hotel, la sala di doppiaggio, il concert-hall.
Il contenuto in proiezione video mapping si affianca, ormai di consuetudine ai classici fondali anche nell’opera lirica, creando una visione scenografica al passo con la modernità tecnologica, fornendo un incremento visivo su pìù livelli di schermi per un’immersione totale dello spettatore.
Gli esempi di video mapping più originali applicati al teatro d’opera arrivano dal Rossini Opera Festival: citiamo il video mapping per L’italiana in Algeri con motion graphics, modellazione e animazione 3D ideato dalla società D-Wok. La Komisch Opera di Berlin o ha realizzato, inoltre il suo Flauto magico interamente in video mapping senza alcuna scenografia: solo volumi bianchi su cui proiettare immagini ispirate agli anni Venti. Il mix esplosivo di video proiezioni, graphic art, slipstick comedy e cinema espressionista, tra Murnau e Buster Keaton, ha creato la giusta atmosfera insieme di sogno, incubo e favola. Se la cupa regina della notte diventa nella fantasia del regista Barrie Kosky, una spaventosa Vedova nera, Pamina è ispirata all’attrice degli anni Venti Louise Brooks che trascina nel personaggio un’inconsapevole nota sensuale, provocante ma anche infantile e innocente.
Il giapponese Nobumichi Asai presentò tre anni fa ad Ars Electronica Omote project, primo esempio di Real Time video mapping. Tecnicamente è complicatissimo proiettare sul volto in tempo reale, immagini in movimento: si traccia con massima precisione il volto tramite sensori OptiTrack, processando i dati, facendo opportuni rendering e usando i proiettori. In questo progetto è stato ridotto al minimo il ritardo tra il mapping e la proiezione. Possiamo solo immaginare quale straordinario effetto potrebbe generare nelle performance dal vivo, per adesso usata una sola volta da Lady Gaga per un omaggio alla rockstar David Bowie, la cui particolare maschera colorata era letteralmente proiettata sul volto della cantante durante un concerto live.
Il progetto Omote è il risultato della collaborazione tra l’artista digitale giapponese Nobumichi Asai, il make up artist Hiroto Kuwahara e l’ingegnere digitale Paul Lacroix. Omote è la parola giapponese per volto o maschera. Dice l’autore: Il volto è considerato lo specchio che riflette l’anima, una soglia tra l’esteriore e l’interiore; nello spettacolo giapponese classico di musica, il Nogaku i performer usano le maschere per esprimere una moltitudine di emozioni drammatiche. Siamo consapevoli della somiglianza con le maschere Omote del Nogaku e esploriamo ulteriori possibilità di integrazione tra la tecnologia e l’arte classica giapponese. L’ Omote project usa la tecnica di projection mapping per mettere un make up ed effetti digitali sul volto della modella e il tutto in tempo reale[16].
In occasione dell’ #Hiroshimaday il 6 agosto 2017 Asai ha proposto l’evoluzione del suo prototipo nato con Omote: uno straordinario effetto di proiezione dinamica su oggetti e volti in movimento grazie alla collaborazione con il Watanabe Lab di Tokyo. La performance si chiama Inori/Prayer.
Ma la tecnologia che cambierà il volto delle scenografie tecnologiche è il Dynamic projection mapping, per ora allo stato di prototipo. Si tratta di una proiezione dinamica su scenografie (anche superfici non rigide) in movimento con una significativa riduzione del ritardo tra il tracciamento (cioé il riconoscimento del movimento e dell’oggetto) e la proiezione tramite sensori, telecamera con frequenza di 1000 frame al secondo e proiettori ad altissima velocità. Il ritardo infatti, è ciò che determina un disallineamento significativo non tollerabile per l’occhio umano, considerato il fatto che il mapping lavora sull’illusione percettiva.
Mapping on trees è il nome di una delle proiezioni di videmapping su alberi degli italiani Apparati Effimeri, una delle strutture più vivaci del panorama dell’arte digitale internazionale che collabora anche per progetti di scenografie in video mapping. Appartiene al progetto Gardenia projectionpensata come dicono gli autori per animare giardini e parchi, creando un’atmosfera da sogno, magica e favolosa. Apparati Effimeriera presente a Digital Life 2012 (sezione digitale del Romaeuropa Festival) con la garden projection dal titolo Naturalis historia, una video proiezione su alberi e arbusti veri, appositamente allestiti all’interno dello spazio Ex GIL a Trastevere. La proiezione in tre dimensioni, applicata alla vegetazione che compone il giardino, ha avvolto lo spettatore in un’atmosfera onirica e meravigliosa che ha modificato la percezione dello spazio contribuendo ad amplificarne le prospettive.
Apparati Effimeri approfondisce lo studio degli elementi naturali iniziato con l’esperienza delParsifaldi Wagner diretto da Romeo Castellucci, proseguito con gli antichi erbari di Ulisse Aldrovandi per il progetto Linfa Vitale e giunto qui all’incontro con il testo fondamentale per tutti gli studi di fisica e scienze naturali: l’enciclopedica Naturalis Historia di Plinio Il Vecchio. Il fruitore era immerso in un’ambientazione boschiva alle primi luci dell’alba, quando le foglie acquistano sfumature madreperlacee e tutto accade in una dimensione cangiante e mutevole.
https://vimeo.com/57462779
Dal “media design” al “projection design”: guerrilla light projection,digital graffiti e live projection mural.
Il video mapping è solo uno degli esempi (forse il più eclatante) di una vastissima produzione artistica piuttosto variegata e sempre in aumento che si è generata non soltanto dalla specificità del digitale (e dei software) ma da una caratteristica ben più evidente: la presenza della proiezione.
Questa modalità d’arte “proiezionale” produce formati effimeri naturalmente performativi e fortemente scenografici; formati che spesso sono collegati tra loro in forma ibrida: dal light painting al live drawing, al projection mapping live performance, dal live projection mural, all’augmented drawing, dal Vj set, al laser painting all’holographic projection dal digital graffiti, al projection installation, al Cave immersive technology[17]. Si tratta di modalità artistiche digitali versatili che stanno abbandonando progressivamente non solo lo schermo ma anche la galleria d’arte per proporsi in un formato proiezionale che si esprime principalmente come “arte pubblica” in esterno.
Le nuove tecnologie entrano nel mondo dell’arte urbana definendo nuove soluzioni artistiche, in cui l’interazione tra artista e superficie attraverso il software è il cuore dell’azione performativa, facendo evolvere sia la videoarte che la street art.
Se la scena teatrale offre ampi margini di sperimentazione ma con le limitazioni del quadro scenico, la strada, la piazza, i portici aprono a possibilità illimitate, leggere e brulicante di connessioni urbane. Negli spazi esterni giochi di luce, mapping e light projection danno vita a uno spettacolo che interagisce col pubblico fuori dai luoghi e dalle modalità convenzionali. Le proiezioni valorizzano i beni culturali dando vitalità a spazi comuni e sociali.
Molti formati di “projection art” sono radunabili nella cosiddetta area della street art projection o della guerrilla light projections: quando si usa la strada come palcoscenico, le possibilità degli spazi artistici sono infiniti, ma assume un valore fortemente simbolico utilizzare aree sottoposte a degrado, dando visibilità alla periferia e alle comunità che la abitano. La scelta è quella di creare un’azione e un’incursione digitale utilizzando anche il light painting, tecnica fotografica che permette di dipingere il soggetto controllando una sorgente luminosa come fosse un pennello. Una soluzione originale è quella di VJsuave in cui la proiezione è in movimento poiché il proiettore è applicato su biciclette o unità mobili e il pubblico deve muoversi con loro. Nel light painting interattivo si lancia allo spettatore la sfida di diventare artista creando un elemento visivo dinamico e in continua trasformazione, come una fioritura di disegni che si alternano nel tempo.
La natura temporale, effimera, quasi immediata della proiezione, la bassa qualità, la limitatezza della superficie di proiezione, il gesto veloce della “pittura digitale” rende l’azione artistica ancora più significativa e contro il mercato dell’arte ed ogni convenzione estetica. Come sostengono gli “Urban projection”:
Ci piace fare il nostro lavoro per le strade. Chiamala “Projection Art” o Guerrilla Projection”, quello che vuoi, ma è uno dei modi più efficaci ed emozionanti di raggiungere il pubblico e catturarli sorprendendoli. La potenza della proiezione è nella semplicità del mezzo, e quando si usa la strada come tela, le possibilità sono infinite. Potrebbe essere la semplicità di uno slogan, un bellissimo murals realizzato live, disegnato digitalmente da un artista graffitaro o l’interattività dei social – ci sono possibilità illimitate per raggiungere il pubblico e ricevere feedback.
Alcuni gruppi orientati fortemente all’hacker art e all’attivismo digitale, hanno anche teorizzato l’importanza dell’uso della proiezione di scritte e di luci come “interventi urbani” in forma di slogan, graffiti luminosi o azioni visive, tanto da denominarsi proprio “The illuminator”. Essi sostengono che la proiezione trasforma lo spazio pubblico e porta lo spettatore ad avere una aspettativa fuori dalle normali condizioni ambientali:
Le proiezioni in forma di Guerrilla Art hanno due aspetti principali formali distintivi. Il primo aspetto è che sono eventi transitori, effimeri: ciò è particolarmente evidente nel paesaggio mutevole di una strada cittadina. Più che imporre una grave limitazione al mezzo artistico, questa natura temporale può addirittura migliorare il dialogo urbano che viene “provocato” dalla proiezione. Inoltre, come alter forme più tangibili di arte urbana, le proiezioni di luce sono decisamente “site specific”. Tuttavia, la loro natura non distruttiva e meno invasiva consente alle guerrilla projections di accedere a siti che persino gli artisti di strada più audaci non sarebbero in grado di raggiungere. Le proiezioni di luce non solo creano consapevolezza su un problema, ma possono anche trasmettere un grande senso di potere personale all’osservatore. Le nostre esperienze quotidiane sono inquinate da un ambiente visivo molto commercializzato, per cui attaccando con successo questi spazi direttamente, le proiezioni possono contribuire a trasmettere la sensazione di poter sfidare efficacemente lo spazio politico pubblico occupato da varie corporations, che invade anche le nostre vite.
Nell’ambito della guerrilla projection sono state creati appositivi dispositivi mobili di proiezione: i videoproiettori vengono caricati su biciclette, strani carri o macchine; si tratta di vere e proprie unità mobili di proiezione autosufficienti come quelli usati dagli Urban projections[18]. Come si capisce dal loro nome, essi prediligono spazi urbani, all’aperto, magari abbandonati, a cui riconsegnare un’inaspettata bellezza di cui usufruirà anche il passante; la scelta artistica è quella di creare un’azione e un’incursione digitale che operi di nascosto (salvo poi promuoverla in rete) intaccando minimamente o senza intaccare affatto, muri con scritte video-spray creando “graffiti digitali”. Ispirandosi alla street art creano disegni al tratto veloci, pennellate di luce create con la lavagnetta digitale incrementate dalla musica live oppure segni che vengono esaltati dalla luce e dalla proiezione (come nel caso di Stylus #1 di Rebecca Smith e Pete Barber. Il disegno a mano viene terminato da una tecnica di mapping via Resolume)[19]
I Graffiti Reseach Lab (G.R.L) utilizzano tecnologia open source per le azioni artistiche urbane; sono famosi per aver creato il Laser Tag System[20] un dispositivo composto da un proiettore, un pc portatile, una webcam ed una penna laser e con l’aiuto di un software da loro stessi sviluppato trasformano il raggio laser in una sorta di spray luminoso con cui è possibile disegnare sui muri di palazzi e grattacieli che si trovano a decine di chilometri di distanza dalla loro postazione.
Dal micromapping all’augmented sculture
Il territorio del micromapping e dell’augmented sculture appare la tecnica più richiesta nel campo della pubblicità e dell’arte; si va dalle sculture animate (ovvero volumi su cui vengono proiettate immagini in movimento e animazioni 3D), a singoli elementi di una scenografia oppure sculture su cui la luce imprime “vita”. Jack Projection Mapping Sculpture di Motomichi Nakamura è un’opera creata con software Madmapper commissionata dal Museo d’arte contemporanea di Monterrey.
Protagonista dell’augmented sculture è sicuramente Pablo Valbuena con uno stile minimale e in bianco e nero riconoscibilissimo. Nelle sue “Augmented scuplture series” una sinfonia di luci bianche e ombre in mapping va a lambire volumi accompagnata ritmicamente da un sonoro dalle atmosfere cupe e drammatiche; sembrano geometrie apparentemente senza storia ma che ricordano le architetture cubofuturiste e quelle delle Bauhaus e delle avanguardie storiche.
Assistere a un’installazione di Pablo Valbuena è un’esperienza teatrale e cinematografica insieme: ricorda sia le scenografie di Svoboda e Craig dalle potenti ombre e luci di taglio che i film animati astratti di Hans Richter. Il segno luminoso va a ridisegnare i segni ottagonali di antiche mattonelle o le forme ripetute dei colonnati creando un’ illusione ottica che su sua stessa ammissione si ispira a una specifica tecnica pittorica del Barocco: il Quadraturismo. Si costruisce così, lo spazio da una scenografia illusoria, che ha una dimensione principalmente mentale e percettiva.
NOTE
[1] I media buildings sono edifici con media incorporati.. Sono palazzi, sedi centrali di multinazionali e società, grattacieli, musei la cui superficie è interamente o quasi ricoperta di schermi o scritte a Led. Il primo edificio definibile media building, insieme al Four Times Square di New York, è il Telecom Office Power (2000), costruito a Rotterdam da Renzo Piano.. Questa la definizione di media building di François Burkhardt -docente di Storia e teoria del design, già direttore del Centre de Création Industrielle del Centre Pompidou di Parigi e della rivista Domus: “Il media building è un nuovo tipo architettonico di grande interesse che eserciterà d’ora in poi un profondo influsso sul futuro dei centri urbani, incrociando tre sfere sempre più determinanti per il progetto architettonico: l’economia, le nuove tecnologie e i mass media. Considerato un’utopia ancora negli anni Sessanta, disegnato frequentemente da gruppi d’avanguardia come gli Archigram, questo genere di edificio oggi viene costruito realmente: lo si trova in Times Square a New York, a Las Vegas, a Shanghai: è un edificio che risponde alla domanda di informazione istantanea di una società che si considera società della comunicazione”.
[2] Quando si parla di digital signage si intende l’uso di display elettronici che mostrano video, informazioni, pubblicità o messaggi di pubblica utilità, la réclame in formato elettronico, a LED su schermi LCD o al plasma su touch screen in spazi pubblici.
[3] Il 2005 è l’anno in cui si svolge la prima edizione dell’Urban Screen Conference ad Amsterdam a cura di Mirjam Struppek che ha posto le basi per le successive conferenze di Manchester e Melbourne nel 2007 e nel 2008. Struppek ha scritto anche un saggio sul tema: Urban potential of public screens for interaction about the mediatization of architecture, in N.Papastergiadis, Ambient Screens and Transnational Public Spaces, Hong Kong University Press, 2016.
[4] Vedi A.M.Monteverdi, L’Arte della superficie in www.ateatro.it
[5]Vedi A.M.Monteverdi, Augmented heritage: Augmented Reality for museums, tourism and cultural heritage in AA.VV., Handbook of Research on Emerging Technologies for Cultural Heritage in corso di pubblicazione.
[6] L. Manovich, The Poetics of Urban Media Surfaces, in Firstmonday.org, n.4. Numero speciale su Urban Screens, 2008.
[7] L. Colini, L. Tripodi, Urban Screens, in Digimag.it, n° 27, Marzo 2007.
[9] Nel 2010 la Yale School of Drama ha proposto corsi e Master in Projection Design.
[10] Rimando alla mia relazione “The Mediaturgy of Video mapping” per il convegno alla Sorbonne, giugno 2015 L’acteur et l’écrans. Gli atti del convegno sono in corso di stampa.
[11] Cfr.: E. Tamburini (Il quadro della visione. Arcoscenico e altri sguardi ai primordi del teatro moderno, Roma, Bulzoni, 2004) che ben documenta la nascita e l’evoluzione dell’arco scenico, in relazione alla prospettiva applicata a teatro.
[12] A.M.Monteverdi, Le regole per una drammaturgia del mapping secondo i Koniclab nel sito annamonteverdi.it. Parte del saggio è contenuto anche in A.M.Monteverdi, Reale o virtuale. Dal monumentismo digitale al video mapping teatrale in S. Arcagni I media digitali e l’interazione uomo-macchina Aracne editore Roma. 2015.
[13] Per “stand mapping” si intende un mapping applicato al design di stand, show room o interni. La peculiarità di questa forma di “vetrina digitale” è la versatilità con cui è possibile cambiare arredamento, creare nuovi ambienti e generare video di presentazioni e sfilate in tempo reale. Per micro mapping applicato all’ambito commerciale e promozionale si intende una videoproiezione su un singolo oggetto per mettere in risalto e rendere dinamico il prodotto nelle vetrine.
[14] Commissionato dalla Casa de Cultura di Girona il video mapping di Palnoise era inserito nell’evento Giroscopi cultural. Le dimensioni della proiezione erano 25×20 metri.
[15] Scheda del lavoro sul sito di Klaus Obermaier.
[16] Si rimanda all’intervista ad Asai sul sito annamonteverdi.it
[17] CAVE sta per Cave Automatic Virtual Environment. Dal sito https://www.tomshw.it/articoli/3d-realta-virtuale-e-tecnologia-immersiva-il-futuro-53535-p7 “CAVE è una stanza che combina tecnologie di rendering stereoscopico e il motion tracking per fornire uno spazio virtuale senza soluzione di continuità. I proiettori a corto raggio creano immagini di due muri e un piano di una stanza con più videocamere che osservano l’utente. I proiettori proiettano immagini 3D attive riprodotte da un server che usa schede video Nvidia Quadro. Mentre il computer traccia il movimento, il sistema di proiezione adatta e cambia la posizione e il campo visivo”. Nonostante la concorrenza potenzialmente rappresentata, almeno per quanto riguarda la realtà aumentata, dall’Oculus Rift e dai Google Glass per la visualizzazione immersiva e interattiva, la loro bassa risoluzione (1280×720 totale, con ogni occhio limitato a 640×720) richiederebbe comunque uno schermo almeno a 1080, motivo per cui viene preferito in molte circostanze, il Cave con proiettori a corto raggio che creano immagini di due muri e un piano di una stanza con più videocamere che osservano l’utente.
[18] Gli Urban Projections usano la “light cycle”, un curioso dispositivo mobile di street art che trasporta un proiettore digitale ad alta luminosità, un Ipad, un macbook pro, un sistema di amplificazione Sonora un gruppo elettrogeno. Viene usato per portare arte digitale in spazi pubblici e come un mezzo per trasformare aree in disuso.
[19] Stylus è un progetto di pittura murale digitale inventato da Pete Barber e Rebecca Smith. Combina insieme il video projection mapping e imagine create a mano in una forma di performance live. I due elementi interagiscono per creare un ambiente di luce pittura e immagini in movimento.
“Box” è un insieme di studi sul projection mapping dinamico. Due robot a 6 assi (tipo quelli industriali) montati su dolly permettono alle proiezioni di ruotare e levitare e perfino di interagire.
(articolo tratto da : http://www.backstagenews.it/2013/10/24/bot-dolly-box/ di LORENZO MOZ ORTOLANI)
Ogni elemento base della performance è familiare ai più, lo è meno la tecnologia di controllo. Oltre alla perfetta sincronizzazione tra proiezione e movimento dei pannelli, ci sono vari effetti di parallasse particolarmente efficaci che non sarebbero possibili senza una perfetta sincronia con i movimenti camera (anch’essa montata su robot). Naturalmente, questo ultimo concetto significa che non è possibile raggiungere lo stesso effetto ad occhio nudo, perché è relativo alla posizione dello spettatore.
Descrivono il progetto così:
“Box esplora la sintesi dello spazio reale e digitale, attraverso la proiezione mappata su superfici in movimento. Il video documenta una performance dal vivo, catturata interamente a porte chiuse. Bot & Dolly hanno prodotto questo lavoro per utilizzarlo sia come una dichiarazione artistica che come dimostrazione tecnica . È la collimazione di diverse tecnologie , tra cui la robotica industriale, la projection mapping, e l’ingegneria del software . Crediamo che questa metodologia abbia l’enorme potenziale di trasformare radicalmente le performance teatrali e definire nuovi generi di espressione.”
Nella pagina web di Derivative, gli sviluppatori del software usato per l’opera, TouchDesigner, commentano:
Box explores the synthesis of real and digital space through projection-mapping on moving surfaces. The short film documents a live performance, captured entirely in camera. Bot & Dolly produced this work to serve as both an artistic statement and technical demonstration. It is the culmination of multiple technologies, including large scale robotics, projection mapping, and software engineering. We believe this methodology has tremendous potential to radically transform theatrical presentations, and define new genres of expression.
As the performer engages with a morphing set, unfathomable shapes, graphics and animations are revealed. As the video continues, we’re eventually shown that it is in fact, a robotic mechanism hidden behind every illusion.
This behind the scenes film contains interviews with GMunk (Bradley G Munkowitz), BOX’s Design Director and Tarik Abdel-Gawad, BOX’s Creative Director together with behind scenes footage from the making of BOX.
Interview with Bot & Dolly’s Tarik Abdel Gawad, Creative and Technical director on “Box”
Can you please confirm for our readers that none of the box visuals were comped in post?
Yes, this is a capture of a physical performance. The visuals are not added in post.
Where did the idea for this project come from? Was it commissioned?
Box is an internal project that grew naturally out the the intersection of art and technology at Bot & Dolly. We have a great interdisciplinary team of designers and engineers that made the project possible.
From the start, the exploration of classical magic fit with our creative process. Magicians have a long history of mixing technology with performance and the categories of classical magic were perfect inspiration for the geometric illusions in Box.
Can you tell us a little more about the robots? What are those robots normally used for?
The spec sheets on the Bot & Dolly website are the best source of information on our robots.
How did you work out the choreography between the performer and the robots?
Working out the choreography was a process of rehearsal and iteration. For mainly practical reasons it was actually me performing. I had the most experience operating the robots, and since this was an internal project, rehearsals often took place at night. Each robot weighs around one and a half tons so it takes awhile to get comfortable moving around them, and safety is important.
How did you track the movement of the surfaces by the projector? Was it all preprogrammed based on the robots’ movements?
The projectors and robots are all calibrated within the same coordinate frame. Bot & Dolly’s software, BDMove, makes its possible to synchronize graphic content with robotic motion.
What was the design process for this like? Where did you start? And did you need to test and iterate a bit before getting it down?
We would start with a category of classical magic and begin exploring limited narratives made up of only abstract geometric shapes and a single performer. During the animation phase we relied on quick hand drawings and moving blocks around a table to communicate ideas because it was nearly impossible to describe something just with words.
Choosing the right geometry was very important to creating the illusion of depth, and directly affects the robotic motion. The primary illusion is created by transforming the geometry of the physical 4’ by 8’ canvas mounted to the robotic arm, through projection.
In the first section, “Transformation”, we extrude the canvas into a cube. Later on we combine two canvases to form a larger hinging shape, which in return affects the robotic animation. We tried to make each section build upon the last, and we were always learning something based on what was just completed. By the end, we ended up with a very complex environment, the performer is inside of the projected volume, there are holes in the floor and line drawing on the back wall.
What was the most challenging aspect of the job?
The difficult part is that you don’t know exactly how something will turn out until you’ve seen it projected in the space. Even then it changes with the environment’s lighting, which is also synchronized with the graphic content and robotic movement.
Many software applications were used on this project in conjunction with BDMove. It’s a very collaborative process with a lot of creative control, so it takes a lot of time and iteration to get to the point where everyone is happy.
video mapping project “Mayakovsky”, presented back in 2015. Created by Sila Sveta for the 5th Moscow International Festival “Circle of Light”, the show also won the Grand Prix of the festival’s Art Vision Modern competition.
According to Ilya Balakin, Art Director of the show and Design Director of Sila Sveta, it was one of the most challenging and interesting projects of all time. Many people were involved, and the creative process was admittedly even more interesting than the result itself.
The work was inspired by the Soviet avant garde movement and was presented with an unusual soundtrack — a recording of Mayakovsky’s poetry. Projection on the Central pavilion of VDNKh Exhibition Center was a minimalistic combination of graphics, text visuals and video footage.
Cité Mémoire, Michel Lemieux and Victor Pilon’s latest artistic endeavor, was a large-scale project that included more than 20 architectural projections spread across Old Montreal. VYV brought these two artists’ legendary creativity to life using 65 Tachyon servers.
The walls of historic Montreal buildings were transformed into true works of art with which visitors could interact in real-time.
Arriva questo messaggio su Facebook e allora noi diffondiamo la notizia perché ne vale la pena: E’ un italiano si chiama Tommaso Rinaldi (aka High files) il giovanissimo vincitore di uno dei contest più famosi al mondo di Light art con un progetto di videomapping HIGHCONTRAST.
Sono felice e orgoglioso di annunciare la mia vittoria nella categoria “Vj ART” nel Contest dell’ Odessa Light Fest con il Video Mapping “High Contrast”. Un grazie speciale a Marco Ganora aka Grano e Vella Valentina per l’intensa musica, senza di voi sarebbe stato tutto più difficile.
Tommaso ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Torino e lo trovate in molti festival internazionali, recentemente una sua installazione era anche al Pomezia Light Festival e siccome c’era piaciuta molto, ne abbiamo parlato qua
Gli abbiamo fatto due domande in chat sul progetto.
Ci dici qualcosa del tuo progetto vincitore?
“High Contrast” è un videomapping in bianco e nero pensato per la facciata del Consiglio cittadino di Odessa e realizzato per l’Odessa Light Fest, in cui la superficie della facciata cambia materia e diventa un solido astratto capace di mostrarci nuove dimensioni e realtà, realtà fatte di una materia e un tempo sconosciuti. Un lavoro che parla di nuove trasformazioni spaziali e che mette in gioco la mente umana e le sue percezioni attraverso un uso improprio di una luce pura, ma che basta ad ingannare l’occhio dello spettatore trascinandolo in una dimensione irreale e fittizia.
Software?
Resolume arena, after effects e trapcode
Musica?
La musica a cura di Marco Ganora Aka Grano e Valentina Vella alla voce è stata realizzata appositamente per questo Videomapping con lo scopo di creare anche una struttura sonora difficile da comprender, con sezioni noise e astratte e forti melodie vocali e ritmiche a tratti.
Ispirazione?
l’ispirazione nasce da studi che sto conducendo su teorie fisiche e scientifiche e soprattutto dalla relatività Einstainiana. sono rimasto affascinato dalla relazione costante tra tutte le forze che influiscono sul nostro universo fisico e soprattutto sulla relazione tra gravità e luce, da lì nasce l’intento di piegare e in certo modo curvare ,tramite la luce, tanto la superficie fisica dell’edificio quanto la percezione mentale dello spettatore
Ishikawa Watanabe Laboratory at the Graduate School of Information Science and Technology, The University of Tokyo, and Tokyo Electron Device Ltd co-developed a high-speed projector capable of projecting images with a frame rate of 1,000fps.
The projector has an 8-bit color scale (256 levels) and a resolution of 1,024 x 768. When combined with a high-speed camera having a frame rate of 1,000fps, it is capable of projection mapping on a fast-moving object.
It recognizes an object in real time with the high-speed vision technology. And an image is projected on the object by the high-speed projector. It takes three millisecond to project an image (lag time).
The projector realizes the high-speed operation for a frame rate of 1,000fps by adding original control techniques to Texas Instruments Inc’s DLP (digital light processing) system. The DLP is an optical engine using a DMD (digital micromirror device) that is made by using a MEMS (micro-electric-mechanical system) to form many micromirrors on a silicon chip.
It takes images by changing the orientation of each mirror and turning the irradiation of reflected light on/off for each pixel. It has already been widely used in projectors for use in homes and movie theaters. But their frame rates are usually 30-120fps.
This time, to realize the frame rate of 1,000fps, a new driving technology was developed mainly by Tokyo Electron Device. There were some challenges. For example, when the orientations of micromirrors on the DMD were frequently changed, the mirrors did not go back to desired orientations. The company solved such problems to make commercialization possible.
For the fast-speed operation, a control circuit embedded with an FPGA was newly developed. Also, an original communication interface for high-speed transmission of image data was newly employed.
THIS IS NOT A HOLOGRAM !
Holograms are still images captured on photographic plate with a laser, and were invented in 1971.
THIS IS A VIDEO PROJECTION appearing to float in the air and following the viewers perspective, overlayed with the real world. Unlike AR and VR, no headset, device or screen is required. this particular technique is view-point dependant, so it only works for one user.
“In this large multi-user installation I use another technique with truly volumetric content that works from every point of view- It works best with rear projection, the projected light scatters on the water particles at a 50 degrees angle, so several projectors can be used to allow wider viewing angle”.
Il Contest è aperto a tutti gli artisti, di ogni nazionalità, under 35 e la partecipazione è gratuita. Per la selezione dei video verrà nominata commissione composta dal Prof. Andrea Sciascia, Direttore del Dipartimento di Architettura, il dott.re Marco Mancini referente del comune di Palermo, 10 laureandi della facoltà di architettura, 2 referenti del progetto ed un videomaker. L’artista accetta che la sua opera sia proiettata on line e off line, nonché sul sito Light in Brancaccio. Se selezionato il video diventerà parte dell’archivio di Light in Brancaccio e dei partner organizzatori e tutto il materiale inviato non sarà restituito e rimarrà agli atti come documentazione.
https://www.youtube.com/watch?v=6L3kQviS90Q
Tutti i diritti sono di proprietà dell’autore.
L’autore dichiara sotto la propria responsabilità, ai sensi del D.P.R. 445/2000, che tutto il materiale usato (immagini, audio, video, etc.) è di sua proprietà o comunque è in regola con diritti spettanti a terzi.
I video maker dovranno portare la loro attrezzatura tecnica: PC portatile- controller- eventuali adattatori HDMI / VGA.
Il video deve avere una durata massima di 3 minuti, pena l’esclusione.
Gli artisti, sia che partecipino in forma individuale sia in maniera associativa, possono candidarsi soltanto per una delle quattro location. Gli artisti sono tenuti alla compilazione dell’apply form in tutte le sue parti.
L’omissione o la non corretta compilazione di una o più parti decreta l’esclusione dal contest. È obbligatorio introdurre nel video, all’inizio o alla fine, il proprio nome o logo, qualsiasi marchio o simbolo che suggerisce di chi è il lavoro presentato. I lavori che non rispettano queste caratteristiche non saranno ammessi al contest.
Tommaso Rinaldi, aka High Files, visual artist, techno performer, vj, al Pomezia Light Festival ha presentato l’installazione Marea, nella fontana di Piazza San Benedetto da Norcia, non più funzionante.
Un’installazione in un luogo che ha perso la sua funzione materiale per cui nella fontana non scorre nulla ed è rimasto solo il cemento con alcune canaline dove un tempo c’era l’acqua. La materia liquida ritorna in forma di video a raccontare storie di giochi d’acqua, memoria di un elemento che è stato sottratto a uno spazio pubblico e che adesso giace silenzioso ingombrante e inutile.
L’asciutto piano inclinato viene utilizzato come un vero e proprio schermo sul quale si proiettano in mapping una serie di video a tema acquatico. L’attivazione dei video dipende da un’azione dello spettatore. Un’azione insolita, curiosa, semplice: Il meccanismo è attivato da un circuito elettrico collegato a una tastiera esterna. Chiudendo il circuito il segnale arrivava a diversi tasti che davano l’avvio dei video.
L’azione della mano dello spettatore (o meglio degli spettatori, fino a sei contemporaneamente) ognuno su una ciotola d’acqua, chiude un circuito elettrico che avvia la proiezione. L’azione combinata e casuale dei sei circuiti offe una proiezione sempre diversa.I contenuti sono tutte riprese video in macro, di forti flussi e acque correnti. Quasi tutti i video hanno un movimento a cascata per rendere quasi verosimile la riattivazione della fontana,
Abbiamo fatto un paio di domande al giovane artista, già attivo in vari Festival, sulla sua attività e nello specifico sull’installazione per #PomeziaLightFestival
Qual è il tuo percorso artistico?
TOMMASO RINALDI/HIGHFILES: Durante gli anni dell’Accademia di Belle Arti a Torino ho iniziato a intraprendere un percorso legato alla visual art ma slegata dal consueto ambito; interessandomi principalmente l’atto performativo mi sono lanciato nel mondo del vjing e del video mapping. Avendo fatto però studi in scenografia spesso i miei video mapping vengono concepiti come sculture mappate. Questo mi ha permesso di lavorare in più ambiti, dai club ai festival di arte indipendente ad esempio Nesxt festival di Torino. In più trovo fondamentale l’ interdisciplinarietà, così spesso collaboro con musicisti, ballerini, coreografi ed altri artisti visivi.
Per quanto riguarda la mia attività come High Files è difficile da definire… Mi occupo un po’ di tutto… Dalla realizzazione di contenuti visivi alla messa in atto live. pazio dalla realizzazione di strutture alla loro mappatura.. Installazioni… Visual e vj set.. Performance… Vado in crisi al pensiero di dovermi definire mi piace essere libero e non categorizzarmi!
Com’è nata l’idea dell’installazione Marea?
TOMMASO RINALDI/HIGHFILES L’idea nasce dal’intento di ridare vita ad una architettura di Pomezia che nel tempo ha perso la sua funzione originaria. Essendo lo spazio una fontana ho voluto mettere in rapporto il pubblico con l’elemento acqua direttamente e in modo da coinvolgere più sensi, Passando dal tatto per arrivare a vista e udito. Ma l’idea nasce anche e soprattutto dal concetto che gli spazi in disuso possano tornare a vivere solo se la cittadinanza abbia il reale desiderio di relazionarsi e rapportarsi attivamente con questi. L’installazione fondamentalmente vuole creare uno stimolo ad andare verso questa direzione.
Qual è il significato del gesto dello spettatore che attiva il video tramite una baccinella d’acqua e dei circuiti?
TOMMASO RINALDI/HIGHFILES Il gesto vuole ribaltare in un certo senso il rapporto che si ha con le acque delle nostre fontane, ritenute quasi “sacre” ed intoccabili, e la cui fruizione è per lo più passiva. Tramite il contatto diretto con l’acqua e l’interattivita questa fruizione diventa esclusivamente attiva. Poi visto che non sono un tecnico ho pensato che potesse essere un metodo semplice ma comunque efficace per lo scopo che volevo ottenere, una semplice attivazione, senza dovermi inoltrare in complesse scritture di programmi, essendo quello un ambito assolutamente da me incompreso
C’è un’ispirazione anche legata al contenuto? Qualche artista di riferimento?
TOMMASO RINALDI/HIGHFILES: In realtà l’ispirazione nasce da una specie di sogno avuto in quei leggeri dormiveglia.. sai..quando i sogni sono quasi tangibili. Sicuramente son stato influenzato da altri artisti ma non sarei in grado di individuarli. Sicuramente il periodo impressionista mi ha fornito spunti su come trattare il tema acqua nonostante la mia fosse una rielaborazione video.
Che software hai utilizzato?
TOMMASO RINALDI/HIGHFILES: Il software utilizzato è Resolume arena e un video ( quello della goccia per intenderci) è stato realizzato digitalmente in after effect mentre tutto il resto sono registrazioni da campo audio e video. La parte interattiva era controllata da una tastiera esterna interfacciata in Resolume
Ti occupi anche di videoperformance. Ci vuoi raccontare come sei approdato a questo genere live?
TOMMASO RINALDI/HIGHFILES Le video performance nascono come naturale sviluppo di un percorso parallelo che ho seguito negli ultimi anni che è quello della performance artistiche. questo percorso è iniziato con un workshop tenuto da Francesca Arri e da lì ho iniziato a performare per lei (tra l’altro recentemente abbiamo lavorato assieme alla performance “Anomala” in cui per la prima volta il mio contributo non è più stato fisico, bensì visivo). Da qui è nata la necessità di slegarmi dalla solita condizione in cui lavoro, ossia solitamente nascosto e relegato in una regia, e aggiungere all’apparato visivo anche la mia presenza e mostrare il processo creativo live al pubblico per renderlo più partecipe anche attivamente.
Questa è la foto della performance realizzata per nesxt festival. la performance consisteva nella realizzazione di video di oggetti a mia disposizione raccolti da me nel tempo, e poi nel convertirli, e modificarli live. Questo comportava un notevole carico sulle prestazioni del mio computer che generava anomalie di frame rate. Fondamentale è stata l collaborazione del pubblico per la realizzazione dei contenuti
Hai realizzato anche dei graffiti videomapping, un format molto “indie”
TOMMASO RINALDI/HIGHFILES Il graffito è un lavoro di videomapping live per l’organizzazione di eventi musicali Genau di Torino. Il dipinto che è stato realizzato realizzato da Btoy è stato rielaborato prima in formato video (realizzazione di una cinquantina di loop) tramite azioni di motion graphic e uso di fotografie per rendere il videomapping iperrealistico, poi gestito live per le 7 ore di concerto.
L’ospite della serata era Rebekah, una famosissima dj berlinese. e in realtà questo è un lavoro che nasce per puro divertimento, ho sempre pensato frequentando il Bunker, locale dove si è svolta la serata, che fosse una superficie perfetta per un videomapping, e collaborando spesso con Genau abbiamo approfittato dell’occasione per fare qualcosa di nuovo e a cui il pubblico non fosse abituato.
TOMMASO RINALDI/HIGHFILES: Sempre tramite genau sono entrato in contatto con un corpo di danza, le Ephimera con cui stiamo realizzando spettacoli di visual danza
Invece “Incubus, è una installazione video realizzata durante la residenza artistica “Una Diversa Geografia” in collaborazione con Globster, artista che lavora con il suono. questo è un estratto perchè i video venivano gestiti ed elaborati, dopo essere stati preparati in precedenza, totalmente a caso, dal software, sempre Resolume.
Trailer for a live, immersive installation at Sundance New Frontier 2017 by Dandypunk, Darin Basile and Jo Cattell
“There was an amazing projection mapped, immersive theater piece at Sundance this year by Heartcorps called “Riders of the Storyboard.”
Trained street performers interacted with a virtual projection-mapped 2D objects, and through the slight of hand of magic broke these flat objects into the third as glowing 3D props. There were 15 people packed into a small room with about half a dozen performers for a 13-minute show about a these 2D characters who interact with the performers who are playing Alchemy of Light gods in the third dimension. It was an awe-inspiring performance, and the projection mapping technology provided a shared augmented reality experience. Heartcorps is proving out some of the techniques with projection mapping technology that should also work really well in the future of live performance and immersive theater designed for augmented reality glasses.
Here the interview to dandypunk who talks about their process, ritual inspiration, and mixture of immersive theater and cutting-edge projection mapping. from the e-mag The voices od Virtual Reality:
Eccoci finalmente a tirare le somme di un Festival decisamente importante per il panorama italiano e di cui sentiremo sempre più parlare. Una prima edizione davvero coi fuochi d’artificio, considerato che si è trattato di uno dei primi eventi del suo genere nella regione Lazio.
Parliamo del POMEZIA LIGHT FESTIVAL (9-10-11 giugno 2017).
Nato con l’ambizione di farsi largo tra i grandi festival europei di luci (Lione e Pola), il Pomezia Light Festival come prometteva il sottotitolo (realtà aumentata e habitat urbano) ha sommato nel suo ricco programma, molto di più di quello che si vede normalmente nei festival internazionali: la selezione dei giovani artisti tecnologici, tra videoart e light art; la vetrina delle nuove tecnologie, l’evento in videomapping che mostra in nuova luce l’architettura centrale della cittadina, la Torre civica; gli eventi di formazione, gli approfondimenti, i momenti di gioco per bambini, i laboratori creativi.
Non poteva mancare il Walkabout condotto da Carlo Infante (UrbanExperience) e Anna Marotta (Cantierealtà) con il percorso alla scoperta dell’ambiente urbano.
Una formula che il pubblico ha apprezzato, riempiendo all’inverosimile la piazza e facendo lunghe file per vedere le installazioni e tornarci anche due o tre volte.
Completamente organizzato dall’Associazione Culturale Opificio, composta in parte da ex studenti dell’ISS Roberto Rossellini e dal Prof. Roberto Renna e dalla Professoressa Daniela Venanzangeli, l’evento ha modificato, dal 9 all’11 giugno, il volto della città alle porte di Roma.
Il coinvolgimento di scuole, associazioni, gruppi di artisti e di studiosi, ha reso il Festival particolarmente vivace e partecipato, secondo un’idea condivisibile, di territorio come “campo di forze”, un insieme di idee, progetti e modalità creative che possono spargersi intorno come in un arcipelago ma dove è necessario orientarsi con una mappa. Una mappa non solo portatrice di dati ma anche di segni: una mappa poetica che chiede di essere interpretata.
Ma oltre a questo, l’eccellente direzione artistica di Roberto Renna (una vita nella produzione filmica e teatrale, oggi dedito con grande passione alla formazione dei giovani) e del suo staff Opificio (segnaliamo l’ottimo Emanuele Polani), ha siglato con un marchio di grande originalità il Festival, grazie a uno studiato e attento percorso nelle vie cittadine scandito da luci e video, dove lo scorcio quotidiano persino banale diventava prezioso, insolito e familiare al tempo stesso: e così gli artisti hanno giocato con gli oggetti “trovati” della città, chiedendo la prossimità, l’avvicinamento quasi intimo dello spettatore all’opera.
Si è valorizzato col Festival, un nuovo paesaggio, in un’alchimia di forme, colori e luci che ha tracciato traiettorie sensoriali inusuali ed emozionali. Nell’allestimento effimero ma significativo di una scena urbana, sono diventati palcoscenici naturali gli spazi residuali della città estesa e i segni marcati di una deindustrializzazione in corso.
Una festa fatta di fontanedanzanti, di glitch art, di light painting, di installazioni interattive, di alberi che si illuminavano con led, di graffiti digitali, di video live e spettacoli; un festival che ha emozionato per le proiezioni sull’acqua, per la maestria inaspettata di giovanissimi artisti, per la ricchezza tematica dei percorsi.
Il Guerrilla Lighting è stato poi, un altro momento particolarmente atteso: un evento effimero che si proponeva di illuminare edifici particolari mostrandoli sotto una diversa prospettiva a cura degli studenti delle scuole I.I.S. “Via Copernico”, Liceo Blaise Pascal, IIS Largo Brodolini,
La bravura di chi ha organizzato il Festival sta proprio nel senso etimologico del verbo comporre: saper disporre insieme cose diverse.
Collaborazione Alma Artis Academy ed Acquario della Memoria – Pisa 2017 – Cine-bicicletta sulle mura di Pisa – Progetto nell’ambito del corso di Digital Video 2 in Accademia Alma Artis
Proiezioni itineranti a tappe lungo la nuova pista ciclabile “Parco Mura”, con pubblico in bici e a piedi. Silhouette e grafiche animate, interviste, fotografie e filmati d’epoca per raccontare a tappe (5-6 video di circa 5′) la storia di Pisa e delle sue mura, fra assedi e conquiste, distruzioni e ricostruzioni, dalle glorie del Medioevo alla Seconda Guerra Mondiale.
Partner coinvolti: Comune di Pisa, Amur, Università di Pisa, Accademia Alma Artis (Pisa).
Anticipazione del mio saggio su Les aiguilles et l’opium di Lepage per il volume antologico di Vincenzo Del Gaudio e Alfonso Amendola sul teatro tecnologico. (prima parte)
Revival o ripensamento?
Nel 2012 Bob Wilson riproponeva sulle scene, in una nuova versione molto fedele all’originale, il capolavoro senza tempo Einstein on the beach (1976); Marina Abramovich presentava una sorta di “teaser” teatrale delle sue storiche performance con The Biography Remix a Romaeuropa, mentre nel 2016 Wim Vandekeybus rilanciava In Spite of Wishing and Wanting, suo storico spettacolo di danza del 1999 con un nuovo cast di dieci giovani danzatori chiamati a interpretare i temi del desiderio, del sogno e della passione.
Robert Lepage (Quebéc city, 1957) nel corso della sua trentennale carriera di attore e regista, ha riproposto, insieme con la sua compagnia Ex machina[1], a distanza di vent’anni dalle prime edizioni, ben due suoi lavori teatrali. Ci prova dapprima nel 2003 con la riedizione per il Festival des Amériques in Québec, del suo primo spettacolo come regista: il kolossal di sei ore Trilogie des Dragons (1987)[2], rilavorandoci successivamente nel 2008 per dare vita a The Blue Dragon[3], un vero e proprio “sequel” che lo vede impegnato anche come attore.
Il 2013 è invece, l’anno del rilancio di uno dei suoi spettacoli-culto, che lo ha reso famoso al grande pubblico internazionale, Les aiguilles et l’opium[4]; precisamente, dopo il debutto nel 1991 che lo vedeva unico interprete in scena (a Palais Montcalm, Quebéc city; nel 1992 trionferà al Festival d’Automne di Parigi dove otterrà il Gran Premio della Critica come miglior spettacolo straniero), si ebbe una prima ripresa nel 1994 con l’attore canadese Marc Labrèche in versione francese e inglese (Needles and Opium), poi una seconda nel 1997, con l’interpretazione dell’italo-argentino Nestor Sayed dalla traduzione italiana di Franco Quadri [5].
Robert Lepage nel 2015 decide di riprendere questo pluripremiato “solo show”, definito una sorta di “teatro musicale da camera”, con una rinnovata tecnologia in scena e con più attori per esaltare maggiormente la scrittura scenica. Così una delle sue prove attoriali più riuscite, con un testo originale e profondo, basato sulle vite di Jean Cocteau e Miles Davis e sulle reciproche dipendenze da droghe, torna a rivivere sul palcoscenico in una forma tecnologica molto innovativa e al tempo stesso, rispettosa dell’originale.
La biografia di Cocteau, i suoi film, i suoi libri (soprattutto Lettres aux Américains e Opium), l’amicizia con i grandi pittori surrealisti e con Picasso (documentata anche nel film Le testament d’Orphée, 1960), con musicisti e danzatori come Satie e Nijinskij, la partecipazione ai grandi movimenti artistici del primo Novecento e dall’altro lato la biografia di Davis, i fermenti del cool jazz negli anni Cinquanta a New York, diventano l’occasione per parlare di arte, ispirazione e droga. Ne Gli aghi e l’oppio l’attore è appeso a una fune e si muove acrobaticamente in un dispositivo scenico dinamico (con soluzioni sceniche differenti nelle due versioni del 1991 e 2013, ma con eguale, potente effetto visivo).
Sarà proprio questo spettacolo a consacrare Lepage come il grande protagonista del nuovo “teatro immagine” ma con un senso profondamente diverso dalla originaria definizione coniata, come è noto, da Bonnie Marranca[6] per Bob Wilson.
Il suo è un “image-based work” in cui il dispositivo scenografico dove vengono proiettate le immagini è progettato per essere tutt’uno con l’artista-acrobata che appare, così, come immerso nel vortice delle immagini in movimento, avvolto dalle atmosfere sempre diverse che accompagnano il “viaggio” del personaggio, costantemente alla faticosa ricerca di un equilibrio interiore e di una pacificazione con i propri demoni interiori o con il passato. Il dispositivo è lo spazio sempre mutevole, della rappresentazione: le immagini proiettate, manipolate in diretta, interagiscono con il corpo dell’attore che vola sopra una macchina-involucro che contiene i dubbi esistenziali di ognuno di noi.
Uno spettacolo del dolore, senza un’ombra di morale.
Les aiguilles et l’opium è la storia di un franco-canadese, Robert, che si trova a Parigi per un lavoro di doppiaggio cinematografico di un documentario sulla presenza d Miles Davis a Parigi, al Festival del Jazz nel 1949; in preda a sofferenze sentimentali e a crisi di solitudine, nella sua camera d’albergo, Robert rivive il proprio intimo dramma di isolamento e dipendenza d’amore proprio nelle figure di due grandi esistenze al bivio: Miles Davis e Jean Cocteau, entrambi dipendenti da droghe (eroina e oppio)[7]. Sia Cocteau che Davis riuscirono a disintossicarsi, il primo inizialmente con l’ipnosi, poi rinchiudendosi per sei settimane in una clinica dove scrisse e illustrò il volume Opium “per lasciare una traccia di questo viaggio che la memoria dimentica”, il secondo con il metodo drastico, noto col nome di cold turkey[8].
Alcuni critici musicali come Arrigo Polillo sostengono che furono proprio le migliorate condizioni di salute la spiegazione dell’improvvisa maturazione della musica di Davis, che lo impose come uno dei protagonisti della scena jazz al Festival di Newport (1955). All’oppio e al dolore per la disintossicazione è dedicata l’opera autobiografica di Jean Cocteau Opium, scritta cinque anni dopo la morte dell’amico Raymond Radiguet: durante questi mesi l’artista surrealista scrive e disegna in un unico atto creativo:
Non aspettatevi che io tradisca. Naturalmente l’oppio rimane unico nel suo genere e l’euforia che procura superiore a quello della salute. Devo all’oppio le mie ore più perfette.Peccato che invece di perfezionare la disintossicazione, la medicina non tenti di rendere l’oppio inoffensivo. Ma qui ricadiamo nel problema del progresso. La sofferenza è una regola o un lirismo?[9]
Uno spettacolo, dunque, sul dolore che accompagna la fine dell’estasi e dell’euforia dovuta alle droghe, ma che può essere anche una nuova fonte di ispirazione:
Il discorso della dipendenza e della disintossicazione è centrale. Sia Davis che Cocteau cercano di uscire dal dolore della loro dipendenza amorosa e lo fanno usando un balsamo, la droga, che crea un’altra dipendenza. E’ un movimento circolare. Entrambi, però, con la droga arrivano a punti della loro produzione artistica, splendidi. Ed entrambi, smettendo, riescono ugualmente a cambiare musica e scrittura facendolo ancora meglio[10].
Coincidenze geografiche uniscono gli artisti nominati: nel 1949 quando Cocteau rientrava in Francia in aereo dall’America (dove era andato a presentare il lungometraggio, L’Aigle à deux têtes, scrivendo la famosa Lettres aux Américains), Miles Davis ritornava negli Stati Uniti, lasciandosi alle spalle Parigi[11], la vita artistica di Saint-Germain-des-Pres e Juliette Gréco, con la quale aveva avuto una breve ma intensa storia d’amore nella stessa camera d’albergo, l’Hôtel La Louisiane in cui si ritrova il protagonista, Robert, che invece ha lasciato il Québec per Parigi, dopo una rottura con il compagno che si trovava a New York.
Un senso di angoscia esistenziale, di impossibilità di fuga, di solitudine pervade lo spettacolo. Fanno da contrappunto al racconto teatrale, materiali d’archivio tra cui i concerti di Miles Davis, le sue colonne sonore, le immagini in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta, la musica di Satie e le suggestioni dai disegni di Cocteau e dal suo cinema. Lo spettacolo è anche un modo originale per parlare delle avanguardie, dell’esistenzialismo, del rapporto tra la cultura americana e quella europea.
Immagini molto realistiche di una camera d’hotel che raccoglie le ossessioni dei protagonisti (Cocteau andò a vivere in hotel dopo il ricovero alla clinica Saint-Cloud e Davis si rinchiuse in una stanza per 21 giorni per disintossicarsi dalla droga) e dialoghi di una disarmante quotidianità, si alternano a momenti decisamente visionari: lo spettacolo vira continuamente dalla realtà ad una sua riproduzione sghemba, distorta, maniacale, quella avvertita proprio, attraverso l’abuso di droghe.
Annota Lepage:
Le droghe forniscono uno strumento di trasformazione sia scenico che narrativo (…) Il dolore della disintossicazione ha portato gli artisti a un genuino ritorno all’ispirazione. La trasformazione non avviene solo perché i narcotici ti fanno vedere scarafaggi o alterano il tuo stato d’animo, ma perché ti trasformano a un altro livello.[12]
Uno spettacolo, molto personale, quasi intimo, su cui Lepage dice:
E’ il più soggettivo, il più autocoinvolgente dei miei lavori. Malgrado mi interessino soltanto le nuove drammaturgie e le nuove risorse tecniche, qui mi lascio andare a un approccio intimo-poetico alle forme del dolore, anche convinto come sono che il teatro del XXI secolo debba affrontare questi percorsi, più che basarsi su grandi commedie e tragedie (…) L’estasi per problemi di cuore spinge quasi a un piacere del dolore, e col tempo mutano solo i rimedi estremi, che per l’etereo Cocteau erano gli abusi d’oppio, e per Miles Davis uomo nero di Harlem, era l’eroina. Sì, non è sbagliato definirlo uno spettacolo del dolore, senza un’ ombra di morale[13].
Come non essere d’accordo con Dominique Hasselman che in una recensione on line allo spettacolo di Lepage su un blog francese, scrive: “A ciascuno la sua spirale, a ciascuno la sua dose, a ciascuno la sua sostanza, a ciascuno i propri sogni, a ciascuno le proprie devianze: il mondo sarebbe triste se non esistesse la possibilità di uscire dai limiti[14].
Non più “one-man-show”: “A volte una folla esprime meglio la solitudine”
Lepage nel 2013 riprende lo spettacolo aggiungendo altri attori (oltre a Marc Lebréche, Wellesley Robertson, danzatore e acrobata con una figurante per Juliette Gréco) e modificando il dispositivo scenografico, arricchito della più attuale tecnologia digitale, il videomapping su superficie in movimento, per farne una versione “più matura”; queste le motivazioni:
Ero terrorizzato dall’idea di confrontarmi con i fantasmi dei miei vecchi ideali; cerco sempre di evitare il più possibile di rivisitare i miei primi spettacoli. E poiché non c’è in me neanche un briciolo di nostalgia, ammetto che ho esitato a lungo quando Marc Labrèche mi suggerì di riprendere in mano Gli aghi e l’oppio per metterlo ancora in scena. Creato nel 1991, dopo una dolorosa rottura sentimentale, Gli aghi e oppio voleva essere una riflessione sugli impulsi e sulle circostanze a volte dolorose che portano alcuni artisti a creare, provando a fare un parallelismo tra la dipendenza d’amore e quella dagli oppiacei. Così mi sono imposto un duro lavoro di revisione delle vecchie registrazioni VHS d’archivio e ho scoperto che, anche se la scrittura scenica era indubbiamente vecchia, il soggetto non sembrava aver perso la sua rilevanza. Scritto molto prima di Internet, dei social media e dei fatti dell’11 settembre, le domande esistenziali del protagonista sono più universali che mai e la Lettera agli americani di Jean Cocteau sembra quasi profetica. Ma non era sufficiente rimontare lo spettacolo. Sentivo che era necessario approfondire, e completare la scrittura. Perché quando si tratta di sentimenti e di un amore conflittuale, ci sono cose che si comprendono solo molto più tardi
Il movimento del dispositivo di scena è la chiave di lettura della nuova versione e va interpretato come un aggiornamento della macchina assai modesta tecnologicamente parlando, quasi arcaica, della prima versione: in questo nuovo macchinario praticabile a forma di cubo con due lati aperti e rotanti, gli attori si muovono come acrobati ed entrano e escono da aperture laterali, restando in bilico legati a una fune, recitando sottoinsù mentre il dispositivo ruota; le proiezioni in videomapping seguono tale movimento ricreando di volta in volta, l’ambientazione richiesta (la camera d’hotel, la sala di doppiaggio, il concert-hall)
La tecnologia precede: inventa, dispone, prepara, ma a guidarla è la mano dell’uomo. Gli oggetti vengono fatti entrare in scena attraverso botole, da tecnici posizionati dietro il cubo e pronti ad allestire e disallestire il dispositivo. Anche in Jeux de cartes i tecnici, collocati su sedie con ruote sotto la scenografia circolare, permettevano la rapida fuoriuscita di elementi scenici, attraverso varchi invisibili, gli stessi da dove entravano e uscivano gli attori.
Questa modalità adottata anche da Les aiguilles et l’opium, crea una vera dissolvenza incrociata, in cui ogni episodio lascia il posto a quello successivo, distante spazialmente e temporalmente, senza soluzione di continuità dando l’impressione di voler giocare non più solo sulla frontalità teatrale, ma sulle mille variazioni delle inquadrature cinematografiche e confidando sulla capacità di raccordo dell’occhio dello spettatore.
Si perde, però, nell’aggiornamento del “software teatro” dell’ultima versione, la potenza delle immagini-ombra create live nel 1991; così Miles Davis offre il suo braccio a una siringa proiettata e gli oggetti disposti stavolta su un tavolino a vista degli spettatori, raccontano una storia di incontri parigini grazie a una webcam.
Perduta l’artigianalità, si acquista tecnicismo: la macchina-teatro diventa un luna park.
NOTE:
[1] “Abbiamo cominciato a definire il nostro lavoro attraverso tre elementi contenuti nel nome Ex machina. Prima di tutto è stata esclusa la parola teatro, dal momento che non è più la nostra esclusiva preoccupazione. Secondo punto, il nome Ex machina evoca macchineria. Ma per me macchineria non è solo l’imbragatura che fa volare Cocteau in Gli aghi e l’oppio. E’ anche nell’attore, nella sua abilità a recitare il testo, a essere parte di un ingranaggio del testo; ci sono meccanismi anche lì. Terzo punto, noi abbiamo rimosso la parole “deus” dalla frase che in origine annunciava un esito inatteso, sebbene io ritenga che abbiamo mantenuto una dimensione mitica e una senso di ricerca spirituale. Il meccanismo risultante e quello narrativo sono ancora imprevisti, misteriosi e spetta a noi scoprirli”. R. Lepage, Connecting flights, New York, Tcg, 1999, p.23.
[2] Così il giornalista Oliviero Ponte di Pino sintetizzava tra le pagine de “Il Manifesto” lo spettacolo-saga Trilogie des dragons firmato da Lepage con Théâtre Repère e da lui visto allo Spazio Ansaldo per MilanoOltre: “Una spianata coperta di sabbia, un misero gabbiotto di legno, un palo della luce, pochi oggetti scelti con cura, di immediata efficacia: questo è tutto quel che serve a Robert Lepage e ai suoi otto attori per raccontare, in sei ore, una vicenda che dura ottant’anni, dal 1910 ai giorni nostri, attraverso tre città (Québec City, Toronto, Vancouver)”, “Il Manifesto”, 3 maggio 1985. Su questo spettacolo e sulle produzioni di Lepage fino al 2005 vedi A.M.Monteverdi, Il teatro di Robert Lepage, Pisa, BFS, 2005. Ed inoltre L. Fouquet, Robert Lepage, l’horizon en images, Instant même, 2005
[3]The Blue Dragon è un focus su una delle numerose storie della Trilogia dei Dragoni. Pierre La Montaigne artista del Québec, decide di lasciare il proprio Paese per andare a vivere definitivamente in Cina aprendo una galleria d’arte a Shangai. Pierre lavora a una particolare forma d’arte cinese, la calligrafia. Lasciato a questo punto della sua vicenda, Lepage riapre nel 2008 il capitolo che riguarda Pierre e pone un’attenzione speciale alla sua vicenda personale vent’anni dopo gli eventi già narrati e che il pubblico, fedele alle “puntate” teatrali di Lepage, conosce bene. L’intervista a Lepage su The Blue Dragon è on line (insieme a molti altri saggi sul suo teatro) sul sito www.annamonteverdi.it
[4]Les aiguilles et l’opium: ideazione, scenografia e interprete: Robert Lepage; Musiche: Yves Laferrière, Yvan Ouellet Musica e interpretazione musicale sulla scena: Robert Caux; luci: Jean Hazel e Robert Beauregard: manipolazioni in diretta e regia di palco: Claude Lemay; direttore di scena: Robert Beauregard;creazione della scenografia: Les réalisations N.G.L. inc.
La versione del 2013 con testo e regia di Robert Lepage, ha come interpreti Marc Lebréche (poi Olivier Normand) et Wellesley Robertson III e una figurante femminile sempre diversa. La scenografia è di Carl Fillion. Musiche e concezione sonora: Jean-Sébastien Côté; immagini Lionel Arnould. Il Napoli Teatro Festival lo ha ospitato nel 2016.
[5]Nel triennio 1997/1999 Les aiguilles et l’opium avrà anche una versione spagnola (interpretata sempre da Nestor Sayed) e la tournée toccherà Spagna, Stati Uniti, Messico, Costa Rica, Venezuela, Colombia, Perù, Brasile, Cile, Argentina, Uruguay.
Les aiguilles et l’opium è stato definito dalla critica “un lavoro supervisionario e magico” (“The New York Times”), “brillante, tecnicamente molto sofisticato, che miscela emozione e multimedialità” (“The Observer”), “geniale e sorprendente” (“The New Yorker”); la rassegna stampa italiana della tournée del 1997 (che ha toccato, tra gli altri, il Fabbricone di Prato, L’Arena del Sole di Bologna e il Vascello per RomaEuropa) incorona Lepage come “il Peter Brook del Québec”, “l’astro indiscusso del teatro di ricerca”, “il regista che si muove tra poesia e hight tech”, esaltando dello spettacolo, il riuscito l’impianto scenico multimediale con lo schermo mobile ed estensibile dove venivano proiettate immagini d’archivio con l’interprete sospeso in aria. Renato Palazzi la definisce una “raffinatissima pièce introspettiva” e ne elogia la “perfetta realizzazione di una compiuta ipotesi di espressione multimediale” (Mal d’amore multimediale, “Il sole 24 ore”). Per un errore di traduzione “Il Giornale d’Italia” intitola curiosamente la recensione “Le anguille e l’oppio di Lepage al Vascello”. La rassegna stampa internazionale è stata visionata personalmente presso gli archivi di Ex machina, Québec city.
[6] Dobbiamo a Bonnie Marranca la definizione di Theatre of the Images all’interno della cui categoria il critico americano fondatore del “Performance Arts Journal” ha raggruppato Breuer, Foreman e Wilson e per la seconda generazione, i Mabou Mines e il Wooster group di Elizabeth LeCompte. Il lavoro sull’immagine, il rapporto con le arte visuali e con la new dance diventa infatti, un segno distintivo del teatro sperimentale americano, da Robert Wilson a Richard Foreman a Meredith Monk. Fotografia e cinema costituiscono momenti determinanti, tra gli altri, dello Structuralist Workshop di Kirby (Photoanalysis,Double Gothic). In Italia il teatro-immagine ha visto tra i protagonisti negli anni Settanta, Memé Perlini, Giuliano Vasilicò e Mario Ricci. Cfr.: S.Sinisi, Neoavanguardia e postavanguardia in Italia, in R. Alonge, G.D.Bonino, Storia del teatro moderno e contemporaneo, Torino, Einaudi, 2001.
[7]Jean Cocteau scrive Opium nella clinica di Saint-Cloud nel 1929 proprio nei giorni di degenza per la disintossicazione. La creatività in forma di scrittura e di segno grafico diventano il modo per sopportare il dolore e per dargli forma artistica: “Scrivo queste righe dopo dodici giorni e dodici notti senza sonno. Lascio al disegno il compito di esprimere le torture che l’impotenza medica infligge a coloro che eliminano un rimedio che sta per diventare un desposta”.
[8]Sul periodo della disintossicazione, Davis racconta: “Stavo male e mi ero stancato di quella roba. Sapete ci si può stancare di tutto, ci si può anche stancare di aver paura. Mi sdraiai sul letto della mia camera e mi misi a guardare il soffitto per dodici giorni di fila durante i quali imprecai contro tutti quelli che non mi piacevano…Era come avere una grave forma di influenza, però un po’ peggio. Vomitavo tutto quello che cercavo di mandar giù. I miei pori si erano dilatati e puzzavo come se fossi immerso nel brodo di pollo. Poi finiì”. M.Crawford, Miles Davis: evil genious of jazz “Ebony”, gennaio 1961. Cit. da A. Polillo, Jazz. La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana, Milano, Mondadori, 1975, pag.717.
[9] J. Cocteau, Oppio, 2001, Sel, Milano (tit. orig. Opium, 1930).
[10] C. Piccino, “Il Manifesto”, 15/10/1997 , Intervista a Lepage.
[11]Nel maggio 1949 Miles Davis attraversò per la prima volta l’Atlantico per partecipare col quintetto di Tadd Dameron al grande Festival del Jazz a Parigi. Non fece una gran figura, in verità: sull’enorme palcoscenico della Salle Pleyel, quel ragazzo dai capelli impomatati, che non sorrideva mai, che suonava in punta di piedi, dava proprio l’impressione di essere impaurito. Non era solo impaurito: era anche annoiato, scoraggiato. Lo confessò lui stesso dopo quando raccontò che proprio al ritorno dal suo viaggio d’oltreoceano cominciò a iniettarsi eroina nelle vene. A.Polillo, Jazz. La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana, Milano, Mondadori, 1975, pag.716.
[13] Intervista a Lepage di R. Di Giammarco, L’amore e l’oppio i turbamenti di Lepage, “la Repubblica”, 15 ottobre 1997.
D.Lafon, Des coulisses de l’histoire aux coulisses du théatre: la drammaturgie québecoise et la Crise d’Octobre, in “Theatre Research International”, n. 1, 1998.
Lepage’s Ring Cycle proved to be the most technically advanced production the Met has embarked upon. Lepage and Met director Peter Gelb are on the record as having tried to imagine the Ring the way Wagner would have staged it if he had access to twenty-first century technology.Video projection and the use of a very unique set required true theatrical innovation and were anything but traditional.
Das Rheingold introduced a high-tech set that rotates, bends and transforms into different shapes — such as a river or a spiral staircase. “It is also a projection screen”, says Lepage. “Whatever configuration it takes, no matter how complicated, it can receive projection and transform itself into all sorts of things. And, of course, the story of the Ring is all about transformation.”
Solutions
The set of 24 swivelling beams formed a myriad of different shapes which, with the aid of complex large scale video projections, created stunning scenic images. The set and Realisations’ projections were used for the entire cycle transforming from walls, into a ceiling, a forest, cliffs and mountain ranges, and even the surface or the bottom of a river through the use of our digital animation and visual effects that generated the simulated 3D imagery.
Though unusual for a Wagner opera, the audience was so enthusiastic about the use of the set and projections during the ride of the Valkyries that it could not restrain itself and started applauding at every performance.
Credits: video: Réalisations, Joël Proulx Bouffard / music: Tab and Anitek (source: freemusicarchive.org, CC License)
Tools Used
Director Robert Lepage chose Realisations to create and integrate 3D interactive effects with the scenography of his production for the Wagner tetralogy.
Realisations combined our video projections and our partner’s Maginaire’s virtual cameras to allow us to project computer-generated images on the stage and décor, creating the illusion of 3D holograms.
The lack of precision in the human eye for seeing real volumetric images created these illusions triggered by the artists’ movement and voices. Opera patrons did not have to wear special glasses since we were able to develop a new technology that allowed projected 3D images on stage to be seen without special eyewear.
SuperLux: Smart Light Art, Design and Architecture for Cities, edited by Davina Jackson, is the world’s first comprehensive monograph surveying recent milestones and triumphs using digital systems for lighting urban environments. The book’s three main pictorial sections focus on projects that use light to animate architecture and media screens, new forms of lighting in industrial zones and public areas, and interactive installations in urban spaces.
Its 272 pages include more than 400 images of post-2008 examples of energy-effective light installations – illuminated buildings, bridges, streets, parks, plazas, media walls, public interiors, water systems and gallery spaces, including interactions and augmented reality games using mobile devices.
Description
In recent years, new lighting technologies have been used to illuminate cities and towns in creative, energy-efficient ways. “Smart Light” is now a widely used term for the new technologies and ecological ideas that are transforming nighttime atmospheres and spectacular Smart Light festivals are awing audiences around the world.
Featuring more than 120 public artworks, design installations, and architectural elements, SuperLux is a visual celebration of the ingenuity and artistry of the latest lighting technology. The book’s three sections focus on projects that use light to animate architecture and media screens; new lighting in former industrial zones and new public areas, including wayfinding and street lighting; and interactive installations in urban spaces. Each is punctuated with essays by leading experts and designers on this remarkable new phenomenon.
As our public buildings, public spaces, and even homes become increasingly interactive, intelligent lighting design will become ever more relevant to our lives. SuperLux is an exciting introduction for designers, architects, artists, and anyone intrigued by the power of light.
Contributors
Davina Jackson
Author
Davina Jackson is a Visiting Research Fellow at Goldsmiths College of Art, University of London, and former editor of Architecture Australia magazine. Her previous books include Next Wave: Emerging Talents in Australian Architecture.
The images and editorial texts are punctuated by guest essays from leading European scholars and light art designers, including Professor Peter Weibel (founder-director of the ZKM Media Arts Center), Professor Mary-Anne Kyriakou (founder of the first three Smart Light festivals), Dr Vesna Petresin (multimedia artist), Dr Thomas Schielke (curator and writer), and Professor Peter Droege (Chair of the World Renewable Energy Council).
Additional highlights of this timely volume are Dr Schielke’s Timeline of Luminous Structures since the 13th century, Professor Droege’s proposal for designers to subscribe to the SuperLux Code of Energy Conduct, European Space Agency photographs of cities at night from the International Space Station, and a list of notable city light festivals, approved by European festivals curator Bettina Catler-Pelz.
The book has been approved by UNESCO as a contribution to the United Nations’ 2015 International Year of Light and Light-based Technologies.
SuperLux: Smart Light Art, Design and Architecture for Cities is published globally by Thames and Hudson, London, 2015, ISBN 9780500343043. Cover photograph (above) shows Mer-veille, a LED installation by Yann Kersalé, illuminating metal filigree screens around the new MuCEM building in Marseille, by architect Rudy Ricciotti. Photo Lisa Ricciotti/MuCEM.
The book’s Australian press release is here and the international press release is here.
Pomezia Light Festival is one of the first Festival of Light Art that takes place in Lazio and the first ever been in the Agro Romano. The Festival of the small town near Rome aims at gathering those artists who make of light their main way of expression, by using new and old technologies. This type of event is particularly suited to a dual action at a urbanistic level: on the one hand the enhancement of places, buildings, particularly interesting structures and on the other the critical re-reading of architectural problematic situations.
Our purpose is to create in the city of Pomezia a reference point for artists interested in this type of events, in order to share and facilitate the discovery of this new-born form of producing art and entertainment through digital technology and its use.
The first edition invites artists to reflect on a contemporary topic and to produce design proposals based on these reflections. The central theme is augmented reality, as enhanced perception of the reality that surrounds us. This perceptual growth takes place when the information received is increased or decreased in content, through an intervention of mechanical and technological kind.
The call is open to all! Download the files and find out how to take part in the first edition of Pomezia Light Festival!