CHNOPS performance interattiva di Massimo MAGRINI e Marianna MIOZZO, presentato al Festival della Robotica di Pisa, in collaborazione con il Laboratorio Segnali e Immagini dell’ISTI-CNR di Pisa e con la produzione MOTUS, prende il nome dagli elementi base della materia vivente (Carbon, Hydrogen, Nitrogen, Oxygen, Phosphorus, Sulphur).
Un percorso “somato-mediale” che fonde movimento, immagine e suono interattivi.
Un’indagine sinestetica ambientata in un laboratorio scientifico distopico parte da un microscopio; la performer passa da essere osservatrice ad essere osservata, esplorando il corpo attraverso prospettive inedite. Oscillando tra scale visive e temporali, CHNOPS crea un’esperienza senza tempo che disintegra, agglomera e riconfigura costantemente riferimenti familiari e meno noti, coinvolgendo lo spettatore a molteplici livelli.
In CHNOPS, i suoni e le videoproiezioni sono generati e controllati in tempo reale dal performer attraverso un sistema informatico che utilizza sensori indossabili e telecamere speciali all’infrarosso: grazie ad esso, il movimento del corpo viene rilevato, interpretato e trasformato in modulazioni visive e sonore.
Marianna Miozzo si diploma come danzatrice contemporanea al Real Conservatorio Profesional de Danza di Madrid, viaggiando poi, in Europa e oltreoceano per motivi di studio. Nel 2018 conosce il Body Mind Centering®, pratica che influenza il suo approccio alla danza. Ha collaborato con artisti e compagnie come La Cabra Cia di Valeria Alonso (Argentina/Spagna), esplorando l’interdisciplinarietà, la sperimentazione e l’ironia. Con Cia Nada Que Ver (Spagna), ha portato la danza in contesti culturali remoti e poco accessibili. La Pochanostra (Messico). Infine con Sharon Fridman (Israele/Spagna): dal 2014 al 2020, ho fatto parte del collettivo Artisti Drama presso il Drama Teatro di Moden con cui ha creato progetti performativi e curato rassegne e festival come Dancewoods Festival, Ugo Festival e Cinedanza.
Dal 2022 collabora strettamente con Massimo Magrini, musicista elettronico, ricercatore e new media artist: insieme ha iniziato una ricerca tra corpo e arti digitali.

Anna Monteverdi: Qual è la caratteristica di questa nuova performance interattiva CHNOPS?
Massimo Magrini Fin dagli anni ’90, presso l’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione del CNR a Pisa, ho lavorato su strumenti per l’interazione gestuale applicati al controllo audiovisivo. Nel tempo abbiamo sviluppato varie tecnologie, basate sui raggi infrarossi o sull’interpretazione in tempo reale dei segnali video. Anni dopo, queste soluzioni sono diventate relativamente popolari, con dispositivi come il Kinect o con sistemi software basati su intelligenza artificiale, come Google Mediapipe.
Le nostre prime sperimentazioni prevedevano un performer la cui gestualità era interamente dedicata al controllo del sistema. Anche se l’effetto era suggestivo, trovavo queste performance piuttosto limitanti: mi interessava di più un dialogo paritario tra i due linguaggi, quello corporeo e quello tecnologico. Avevo provato anche a collaborare con danzatori, ma non ero mai del tutto soddisfatto: il linguaggio era codificato nel corpo del performer, e suono e video finivano per essere una derivazione.
Con Marianna Miozzo è stato diverso. Il suo linguaggio espressivo si è adattato perfettamente, creando una sinergia autentica. Il suo approccio “somatico” trasforma la tecnologia in un’estensione del corpo, dando vita a una sorta di “danza aumentata”.
La nostra collaborazione è iniziata nel 2021, con la sonorizzazione di una sua performance della serie “Brevi Luoghi Mai Accaduti”, presentata al Faito Doc Festival. Era un lavoro site-specific che Marianna portava avanti già da tempo. In seguito mi sono inserito in uno dei suoi spettacoli, Litost, che aveva già replicato molte volte: ho aggiunto un’interazione semplice ma efficace con un tavolo presente nella scena. Questo intervento ha introdotto una nuova dimensione performativa e la versione aggiornata è stata presentata al 100 Hz Festival di Coltano, vicino Pisa.
Tra gli altri lavori in collaborazione ricordo Thorn, una coreografia originale presentata nella Chiesa della Spina a Pisa, e soprattutto AUREA, un’installazione interattiva in cui una coreografia di Marianna, registrata in un luogo abbandonato, viene proiettata in 3D e resa interattiva tramite una videocamera. Un sistema di analisi video rileva il battito cardiaco del visitatore, e ne modula la riproduzione stereoscopica: è come se il corpo dell’osservatore partecipasse direttamente alla danza.
Ci piace anche lavorare su cose più “lo-fi”, come nella serie Microdosi: una sorta di videodanza elettronica, dove riprendiamo brevi azioni performative in luoghi estemporanei e le rielaboriamo audiovisivamente per dargli una nuova dimensione.
Infine, portiamo avanti anche Pratiche Somatofoniche, una serie di workshop rivolti a danzatori interessati a espandere il proprio linguaggio unendo movimento somatico e sensori. Il corpo in questo caso produce suono in modo sinestetico, e questo tipo di ascolto modifica la qualità del movimento, suggerendo anche nuove possibilità coreografiche che restano valide anche senza sensori.
Personalmente, come artista sonoro, porto avanti diversi progetti. Il principale è Bad Sector, attivo da più di trent’anni, molto noto negli ambienti dell’elettronica radicale, specialmente nei circuiti “industrial”. A volte Marianna mi accompagna nei live, aggiungendo una dimensione coreutica che in questi contesti è rara, ma molto apprezzata.
Un altro progetto a cui tengo molto è Olhon, in collaborazione con lo speleologo Riccardo Nucciotti (Zairo). Lavoriamo esclusivamente a partire da registrazioni ambientali fatte in luoghi estremi e inaccessibili, come grotte profonde.
Mi piace anche continuare con lavori più concettuali, come quello con EGO/VIRGO, l’osservatorio gravitazionale di Cascina. In questo caso sonorizzo eventi divulgativi utilizzando texture sonore ottenute direttamente dai segnali gravitazionali. Proprio con Marianna stiamo finendo un video 360/VR in cui il movimento all’interno dell’osservatorio si intreccia con ambientazioni sonore immersive create a partire dai dati rilevati.
Per concludere, voglio citare anche DERMA, un progetto in cui, insieme a Riccardo Bianchi alla voce, esploriamo una sorta di synthwave italiana anni ’80, rivisitata con suoni contemporanei. È un progetto più accessibile, che mi diverte molto proprio perché contrasta con le altre cose più… “seriose” che faccio.
Anna Monteverdi: Puoi raccontare il tuo percorso artistico, il tuo incontro con Magrini e il focus del progetto CHNOPS?
Marianna Miozzo: Io e Massimo abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 2021, venendo da ambiti artistici diversi: lui dalla musica, io dalla danza. Il mio approccio è di tipo somatico, legato all’embodiment, cioè all’abitare pienamente il corpo, non solo dal punto di vista fisico ma anche relazionale. Il corpo entra in relazione con se stesso – prima di tutto sul piano anatomico – e poi si apre alla relazione con l’esterno: ambienti, atmosfere, stimoli sonori, sensori…
Ho lavorato molto con progetti site-specific, perché mi interessa creare nei luoghi che hanno già una storia e una memoria, e che “parlano” da soli. Non parto mai da una scena neutra, come può essere il teatro nella sua forma classica di “scatola nera”. Mi chiedo piuttosto: “Come posso entrare in un paesaggio che è già stato dipinto?”. Raccontare la memoria dei luoghi attraverso il corpo è sempre stato uno dei miei interessi principali. Con le tecnologie e con Massimo, abbiamo cominciato a lavorare sull’uso dei sensori in scena. Per me, i sensori sono diventati come dei veri e propri partner di danza: non solo
accompagnano il mio movimento, ma rispondono a esso, modificandolo. E accade anche il contrario: il mio corpo si adatta al feedback che riceve. Si crea un ciclo continuo in cui corpo e suono si nutrono a vicenda. E questa modalità di relazione è molto vicina al tipo di pratica somatica che porto avanti.
Nel progetto CHNOPS, siamo partiti da un’idea, da un concetto, ma poi abbiamo lasciato che i materiali emergessero, li abbiamo accolti e seguiti. L’intento iniziale era quello di creare una sorta di “atlante anatomico”, lavorando sull’incontro tra corpo e tecnologia. Da lì, è nato un ambiente scenico distopico, in cui c’è un laboratorio rappresentato da un microscopio. All’inizio, sono un’osservatrice che guarda dei microrganismi… ma poi, piano piano, divento io stessa l’organismo osservato.
Attraverso i sensori, ma anche grazie agli stati fisici e ai “paesaggi interiori” catturati dalla telecamera, questo microrganismo – il mio corpo – assume diverse qualità e si trasforma. Lo spettacolo nasce proprio dal desiderio di entrare dentro il corpo e vedere cosa c’è. Ci siamo ispirati anche a riferimenti cinematografici, come Viaggio allucinante, che è ambientato all’interno del corpo umano. L’idea di creare una scenografia che riproducesse l’interno del corpo mi affascinava molto. Un altro riferimento importante è stato l’immaginario di David Cronenberg, così come l’estetica retrofuturista, in cui si mescolano elementi del passato e del futuro.
Come duo, io e Massimo lavoriamo cercando di allontanarci dai codici più canonici della danza e della musica. Dal punto di vista coreografico, ci interessa generare atmosfere e azioni corporee che stimolino l’immaginazione, sia in chi guarda che in chi sta in scena. E dal punto di vista tecnologico, cerchiamo sempre di aprire “dimensioni altre”, spazi immaginativi che rendano l’esperienza più ricca, più sensoriale, più viva.