Personale dell’artista Matilde De Feo | In the Mouth for Cinema per Linguaggi Partenopei, Napoli
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Martedì 16 Ottobre inaugura il secondo appuntamento del progetto “Linguaggi Partenopei” ideato da Dino Morra e Gino Solito, con testi di Valentina Apicerni, e sotto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee.
Artisti del territorio entrano in dialogo attraverso medium differenti con la Sala delle Mura Greche della BRAU – Biblioteca di Ricerca di Area Umanistica della Federico II, un luogo intriso di storia, in cui è ancora possibile creare una connessione tra la cultura del passato e l’arte contemporanea.

“Linguaggi Partenopei” continua il suo programma con Matilde De Feo | In the Mouth for Cinema, saranno presentati quattro video monocanali che mettono in risalto la sua personale ricerca artistica e produzione cross-mediale. Le sue opere sono forme ibride tra scrittura scenica e video, di interazione tra live performance e virtuale, con il leitmotiv in questa occasione della della verbalizzazione del corpo. 
Il sito di Matilde De Feo

Dal bellissimo testo di Valentina Apicerni

Era il 1972 quando con “Your Mouth” Franz Zappa lanciò l’album Waka/Jawaka, lo stesso anno in cui al Lincoln Center di New York va sulla scena “Not I” di Samuel Beckett. Su un palco buio, una figura oscurata e una Bocca femminile logorroica e illuminata dal basso.

Un buco nero di voce, una scena quasi di per sé cinematografica. È di questa immagine che il Times scrisse “in isolation it could be any bodily orfice”, e lo stesso Beckett guardandone la successiva versione televisiva per la BBC ad esclamare “My god, it looks like a giant vulva!”. Organi cavi e umidi. Organi riproduttivi, di specie e di ritmo, ma soprattutto creativi, di vita e di linguaggio. 

I video di Matilde di De Feo, tra cui il sui “Non Io” (2006), sono questa sovrapposizione di forme, un lavoro cross-mediale tra discipline e tecniche, tra pulsioni creative ed erotiche, di interferenze tra corporeità e virtuale.
C’è la phoné, “il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma la musica che sta dietro le parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione”.
C’è l’erotismo, come corpo desiderante, da cui l’ossessione per l’orale, le bocche, ma anche come eros, nella sua accezione di impeto vitale, di cui il corpo e le sue storie sono solo un veicolo. C’è un incessante lavoro di in-maginazione del linguaggio visivo e sonoro, un’immaginazione che si incarna e si verbalizza.
Una sfida ad oggi, in cui la linguistica moderna ci dice che sono le parole a far nascere le cose in quanto conosciamo solo ciò che può essere nominato, ossia che i limiti del linguaggio sono i limiti del mondo conosciuto, ma con Žižek, “questo non ci obbliga a lasciare che esso parli al posto nostro”.
Con Matilde De Feo l’azione performativa e la scrittura scenica si integrano in una rielaborazione elettronica, quindi prettamente contemporanea e sperimentale, che va al di là delle possibili categorizzazioni di video-teatro o digital performance -le categorie tendono sempre alla chiusura- in un lavoro di intersezione di linguaggi, di vite, e di ruoli.