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Dal sito Molleindustria

RADICAL GAME DESIGN

Uno spettro si aggira per la rete: lo spettro dei political games. Piccoli ed agili videogiochi in grado veicolare messaggi dissonanti. Li vediamo emergere, scomparire e riaffiorare nella spumeggiante galassia di blog, community e portali. Talvolta sono confusi nel sottobosco della scena videoludica amatoriale, talvolta ammiccano dalle pagine patinate delle riviste di costume, talvolta si mascherano da opere d’arte.
Di uno spettro si tratta perchè i political games non esistono, o meglio, sono sempre esistiti: ogni video game – come ogni prodotto culturale – rispecchia la visione del mondo, le convinzioni e le ideologie dei propri autori. Ogni videogame è intimamente politico.

Perché super Mario è un idraulico? Lo si è mai visto aggiustare un tubo? Non si troverebbe meglio nei panni di di un rampante broker di Wall Street, un arrampicatore sociale che aggredisce ogni creatura che, volente o nolente, si ritrovi sulla sua strada? La sua eterna insoddisfazione, il suo continuo correre per piattaforme, la sistematicità con cui liquida gli avversari non può che risultarci sospetta. Nella tipica struttura a livelli dei giochi arcade possiamo ritrovare alcuni importanti caratteri dello yuppismo: l’obbiettivo è raggiungibile solo tramite successi parziali rappresentati da livelli rigidamente sequenziali. L’aggressione, l’individualismo e l’accumulazione fine a se stessa (di punti) è sempre all’ordine del giorno. E’ la miopia liberista, il mezzo che diventa fine, la carriera, il sogno degli anni ’80.

Anno 2010. Il bisogno di mobilità della forza lavoro è cresciuto a dismisura rispetto ai primi anni del millennio. La Tuboflex, la multinazionale del lavoro in affitto, ha creato un complesso sistema di tubature che permettono di dislocare in tempo reale le risorse umane a seconda della domanda.

Al centro della schermata vediamo un impiegato di call center, i telefoni squillano incessantemente. Il giocatore deve cliccare freneticamente per metterli a tacere. Dopo alcuni secondi dalla parte superiore dello schermo compare un grosso tubo che risucchia l’ignaro ometto. Viene sputato un instante dopo alla postazione di un take away di un fast food. Ora il giocatore deve esaudire gli imprevedibili desideri dei clienti: un panino, quattro panini, due panini. Inevitabilmente il giocatore commette errori e le sue chances diminuiscono. Altra riallocazione: l’omino è un babbo natale a pagamento alle porte di un supermercato, il giocatore deve fargli agitare la campanella per intrattenere frotte di bambini. Il ritmo si fa sempre più frenetico, le chances calano fino all’esaurimento. Il personaggio si ritrova sulla strada a mendicare, espulso definitivamente dal mercato del lavoro.

Nell’eterno ciclo di reincarnazioni di un lavoratore precario non esistono miglioramenti di carriera. Abbiamo pensato che si potesse raccontare l’insostenibilità delle attuali condizioni di lavoro flessibile rompendo la tipica logica sequenziale dei livelli. Crediamo che un mercato del lavoro sempre più soggetto alle regole darwinismo sociale provocherà la marginalizzazione dei soggetti più “deboli”. Per evidenziare questo non abbiamo inserito un lieto fine in Tuboflex, il fallimento è inelluttabile e irreversibile. E’ il corrispondente videoludico della tragedia delle opere narrative.

Care amiche, simulare orgasmi è una pratica molto utile se si vuole mantenere una buona intesa col proprio partner. Ogni uomo desidera una donna che impazzisce e strepita durante i rapporti. Purtroppo per via della solita timidezza, molte ragazze non riescono ad inscenare queste piccole performances. Il Simulatore di orgasmi è un semplice gioco che permette di esercitarsi in questa bistrattata arte.

La visuale è una soggettiva di una donna in intimità col proprio partner. La figura di un macho è incombente, i suoi movimenti meccanici e i suoi gemiti si fanno sempre più intensi, l’espressione contratta. Il giocatore deve controllare con l’unico tasto a disposizione l’intensità dei gemiti della donna. Emette grida di piacere e inscena orgasmi multipli, ma è stato troppo eccessivo e veloce e il partner si è accorto della finzione. Game Over. Nuova partita. Memore dei suoi errori il giocatore osserva con attenzione l’espressione del partner, ascolta i suoi mormorii e calibra di conseguenza quelli della sua alter ego. Asseconda con attenzione il climax e solo all’apice simula un potente orgasmo. Ben fatto, il partner non si è accorto di nulla ed è soddisfatto.

I game designer sono dei ruffiani. Danno ai giocatori la possibilità di impersonare degli eroi valorosi, dei generali o dei temibili criminali per assecondare il desiderio di fuga da una realtà frustrante e noiosa. Così è troppo facile, è possibile invece instaurare un sano rapporto sadomasochistico coi propri fruitori, costringerli in ruoli per nulla piacevoli per stimolarli a ragionare con altri punti di vista.
Nonostante le giocatrici femmine aumentino sempre di più la produzione videoludica rimane ancorata ad una visione fortemente maschilista. I ruoli femminili sono stereotipati: principesse rapite in continuazione, bambole gonfiabili poligonali, premi o prede, nei casi migliori femmine falliche e fatali, incarnazioni elettroniche delle fantasie filmiche di Russ Meyer.
A dispetto dell’ironico testo introduttivo, il Simulatore di orgasmi si rivolge proprio ai giocatori di sesso maschile e cerca di creare un inconsueto controcampo che metta alla luce una tante delle sottili forme di oppressione di genere.

Dal genere (gender) al genere (genre) videoludico. In Queer Power abbiamo spinto all’eccesso l’ambiguo rapporto di identificazione giocatore-avatar facendo leva su un genere molto rigido e molto testosteronico, quello dei picchiaduro.


Queerland è il luogo delle identità negate dalla norma bisessuale dominante. I suoi abitanti hanno generi intercambiabili e copulano seguendo il loro mutevole desiderio.
I giocatori comandano personaggi dalla sessualità mutante e possono accoppiarsi attraverso un complicato gioco di incastri fino al raggiungimento dell’orgasmo di uno dei due o di entrambi.

Lo schema di gioco e il layout ricordano in tutto per tutto quello del filone inaugurato da Street Fighter ma ogni elemento è rovesciato. Anziché picchiarsi fino all’esaurimento dell’energia i personaggi accumulano piacere. Invece di avere un esito binario e chiaro – vittoria-sconfitta, lo scopo dell’incontro è definito dai giocatori. Queer Power vuole essere una trasposizione ludica della Queer theory basata sulla rottura delle norme che disiplinano piacere, desiderio e identità sessuale. In questo caso attaccare un genere videoludico equivale ad attaccare un sistema di valori.

Take a step outside yourself
And turn around
Take a look at who you are
It’s pretty scary
So silly
It is revolting
You’re not much

Con questi versi iniziava Turnaround, una delle più taglienti canzoni del gruppo elettro-punk Devo. Vedersi dall’esterno, nella propria mediocrità, nei propri affanni quotidiani, come ingranaggio di un mostruoso meccanismo. Un passo fuori da se stessi può essere un passo verso l’emancipazione.

Tamatipico è una parodia del virtual pet Tamagotchi ma al posto del famoso pulcino c’è un lavoratore flessibile. Il giocatore può decidere quando mandarlo al lavoro, quando farlo riposare e quando farlo divertire. Le tre opzioni devono essere calibrate per garantire la massima produttività evitando però che il dipendente sia scontento al punto di scioperare o stanco al punto di infortunarsi sul lavoro.

Tamatipico è una trasposizione abbastanza fedele del Job on call, una forma di contratto sempre più diffusa che rende il lavoratore perennemente a disposizione di un’eventuale chiamata al posto di lavoro. La produzione just in time deve ottimizzare al massimo le risorse ad un mercato molto variabile e si trova ad abolire i rigidi orari dell’epoca fordista. Un’organizzazione del lavoro che fatto impedisce ai dipendenti di gestire autonomamente la propria esistenza. Il giocatore del Tamatipico sperimenta l’ebbrezza di sfruttare al massimo il suo dipendente virtuale scandendo arbitrariamente i suoi ritmi di vita. Il cambio di prospettiva, il ribaltamento del rapporto controllore-controllato può cogliere alcuni aspetti di un nuovo paradigma di assogettamento al capitale.

Take a step outside the planet
Turn around and around
Take a look at what you are
It’s pretty scary

Nella Londra dell’ottocento le ciminiere delle industrie annerivano di fuliggine il cielo, i lavoratori immigrati dalle campagne erano costretti a vivere in condizioni degradate, i bambini a lavorare precocemente. Era palese a tutti il prezzo da pagare per la modernità.
La globalizzazione dei capitali e la deterritorializzazione della produzione ha reso tutto più sfuggente. L’impatto che la produzione industriale ha su ambiente e società è distribuito su scala globale. I processi che stanno alla base di ogni prodotto sono difficilmente rintracciabili, le cosiddette esternalità negative come l’inquinamento, lo sfruttamento indiscriminato del territorio e della manodopera sono scaricate sui paesi economicamente meno avanzati.
Quello che troppo spesso sfugge alle miopi elitès liberiste è che indirettamente e sul lungo termine queste devastazioni sono destinate a ripercuotersi su tutto il globo. La fine del mondo non è un evento. E’ un processo. Che è in corso.
Occorre un nuovo tipo di approccio critico e nuovi strumenti che colgano le contraddizioni del capitale in una visione di insieme. Per dirla coi Devo occorre fare un passo fuori dal pianeta per capire quanto sia spaventosa la nostra situazione.


Nel McDonald’s videogame il giocatore è tenuto a controllare ogni fase del processo di produzione del sandwich: dal pascolo alla macellazione, dalla gestione del fast-food a quella del marchio. Deve tenere sotto controllo quattro sezioni, corrispondenti a quattro diversi segmenti della filiera dislocati geograficamente. Il novello manager si accorge rapidamente che per avere sopravvivere è costretto ad abbattere foreste tropicali e sottrarre terreno fertile alle popolazioni del terzo mondo per far spazio ai pascoli e alla coltivazioni del foraggio. Per aumentare la produzione di carne dovrà riempire di ormoni e di farine animali i propri bovini. Per mantenere efficiente il fast food dovrà maltrattare i propri dipendenti. E per aumentare la clientela dovrà lanciare le più subdole campagne pubblicitarie. Ogni azione sconsiderata può provocare l’ostilità di vari settori dell’opinione pubblica, i lavoratori possono picchettare il negozio, gli ambientalisti proclamare un boicottaggio, le associazioni dei consumatori denunciare la compagnia per le intossicazioni alimentari. Il giocatore si trova stretto nella morsa del capitale, fra la brama di denaro del consiglio di amministrazione e una clientela giustamente indignata e conflittuale.

Pensiamo che la testualità nonlineare e le simulazioni in particolare abbiano delle grandi potenzialità come riduttori di complessità. Con una simulazione è possibile descrivere sistemi complessi in modo facilmente comprensibile. E’ più facile comprendere un’intricata rete di retroazioni come può essere un sistema sociale o economico, manipolandone un suo modello ludico piuttosto che leggendone una descrizione lineare. Giocare ad un videogame consiste in buona parte a scoprire il funzionamento di un meccanismo che non è immediatamente palese. Il gioco è un processo conoscitivo radicalmente diverso da quello riduzionista ed analitico basato sulla scomposizione e la valutazione dei singole parti. Le simulazioni sitmolano a considerare l’oggetto modellizzato come un unico organismo in cui ogni elemento è strettamente interrelazionato con gli altri. E’ precisamente il tipo di approccio olistico ed universalista che sta alla base del pensiero ecologista.

Certo la modellizzazione non è un procedimento neutro o scientifico, è sempre e comunque una semplificazione della realtà, un’interpretazione effettuata a partire da valutazioni soggettive e da dati che potrebbero risultare errati. Le simulazioni sono teorie interattive, visioni del mondo personali anche quando lasciano un ampio spazio di azione al giocatore.
Non tutti sono sufficientemente alfabetizzati alla testualità non lineare per capire questo passaggio.
C’è il rischio che molta gente rimanga ingannata dalla verosimiglianza e dalla ricchezza di certe simulazioni da considerarle oggettive, così come le generazioni passate consideravano lo schermo televisivo una semplice finestra sul mondo. Ora sappiamo che non è così, che la democrazia si fonda sulla possibilità di avere a disposizione molteplici punti di vista. Fornire visioni alternative, modelli alternativi, magari mettendo in crisi quelli dominanti è precisamente il compito del game designer critico.

Tornando al discorso iniziale, non è vero che i political games sono fantasmi. Sono semplicemente quei giochi che dichiarano aperamente la propria faziosità dimostrando così che tutti i giochi sono faziosi.

Paolo Pedercini
Febbraio 2006

 

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