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La Traviata di Brockhaus/ Svoboda integrale #liberiamogliarchivi
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https://www.youtube.com/watch?v=MWG0vqVRbQ4

Grazie a THE SCENOGRAPHER RASSEGNA VIDEO https://www.thescenographer.org/video… RETROSPECTIVE The Theatre of Henning Brockhaus La Traviata di Giuseppe Verdi. Direzione: Donato Renzetti. Regia: Henning Brockhaus. Scenografia: Josef Svoboda. Teatro Regio Opera e Balletto Torino. Stagione 2018 – ’19. Allestimento Arena Sferisterio di Macerata.

Legacy of Svoboda-The polyvision
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Dal sito della PERNI SCHEDA SVOBODA

“Svoboda è stato autore di alcuni rivoluzionari allestimenti espositivi.
Celebre il Polyécran all’Expo 1958 di Bruxelles (nella foto), proiezione multipla su otto schermi di forma quadrata e trapezoidale su sfondo nero.
Una messinscena che ha avviato un filone di rappresentazioni simili e che proprio per questo oggi non stupirebbe nessuno, ma che allora destò scalpore per la novità e l’efficacia, richiedendo la soluzione di problemi tecnici di considerevole complessità, in un’epoca in cui le soluzioni computerizzate di proiezione e sincronia dell’audio non erano nemmeno ipotizzate.
L’esperimento fu ripetuto, in modo più sofisticato, all’Expo 1967 di Montréal, dove gli schermi diventarono oggetti tridimensionali di varie forme (cubi, sfere).
Le tecniche di proiezione e le loro interazioni in scena furono per Svoboda un’ulteriore occasione di sperimentazione”.

«Mi sono sempre domandato perché bisognasse proiettare solo su una superficie compatta, e non su fasci di linee mobili, o su frammenti di superfici, o su aste.» 

 Polyekran

Polyekran (literally, “multi-screen”) was conceived by Josef Svoboda in collaboration with Emil Radok and, like Laterna Magika, was presented at the EXPO 58 in Brussels. It was a system of 8 projection screens, carefully positioned within a black space, onto which films and photographs were projected with a musical score, forming an audio-visual composition without live performers.

Polyvision

Polyvision was created for the 1967 EXPO in Montreal. It was a spatial installation comprising three-dimensional mobile objects onto which slides and film images were projected with music, forming different audio-visual compositions.

 

 

http://www.ubu.com/film/leger_ballet.html

 

 

 

 

 

 

Svoboda-Scenographer
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 da http://www.graphicine.com/josef-svoboda-light-and-shadows/

Archiv Narodni Divadlo

http://www.svoboda-scenograf.cz/en/

Frammenti video da INA fra

Data base da PINTEREST

Dalla pagina della società PERONI scheda SVOBODA

Josef Svoboda negli Anni ’40.
Prima di iscriversi nel 1938 alla scuola per falegnami di Praga e in seguito all’Accademia di Architettura, Svoboda lavora per un paio d’anni nella falegnameria del padre, dove sviluppa una perizia e una concretezza artigianale che gli saranno di grande aiuto in seguito.

«Sarò sempre grato a mio padre che mi costrinse, prima che diventassi scenografo, al lavoro manuale. [ … ] Sono convinto che il teatro è e rimane l’ultima opera artigianale del nostro tempo e di quello futuro.»
Josef Svoboda, op.cit., pagg. 18 e 19.

La sua attività di scenografo inizia a Praga nel 1943, ed è subito evidente come si sia già lasciato alle spalle la tradizione pittorica ottocentesca, influenzato invece dal costruttivismo russo e dalle teorie di Gordon CraigAdolphe Appia, che lo porteranno a prediligere l’uso delle forme, dei volumi architettonici, del movimento, degli effetti della fototecnica.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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I racconti di Hoffman, produzione del 1946 del Teatro del 5 Maggio di Praga.

Dal 1946 è direttore di produzione del Teatro del 5 Maggio di Praga, dal 1950 direttore tecnico-artistico al Teatro Nazionale, dal 1968 docente all’Università di Praga, dal 1970 scenografo principale al Teatro Nazionale, dal 1973 direttore artistico di Laterna Magika, gruppo teatrale che raccoglie la sintesi della visione scenografica di Svoboda, mescolando il linguaggio teatrale a quello cinematografico e utilizzando il movimento cinetico-architettonico in un codice scenografico che utilizza schermi multipli, sipari di luce, specchi, laser e proiettori di ogni genere.
Alle responsabilità direttive Svoboda ha sempre affiancato un’intensissima attività di scenografo che lo ha visto impegnato anche in cinema e televisione in celebri produzioni a fianco di registi del calibro di Václav KašlíkAlfréd RadokMilos FormanOtomar KrejcaGiorgio StrehlerHenning Brockhaus.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da Domenica d’agosto, produzione del 1959 del Teatro Nazionale di Ostrava.

L’attività di Svoboda rimane confinata alla Cecoslovacchia fino al 1958.
Da allora il regime, in considerazione della sua fama, non può impedirgli di collaborare sempre più spesso con le più importanti produzioni teatrali del resto del mondo.

«Ho conosciuto il teatro durante la seconda guerra mondiale, quando tra la gente del palcoscenico e chi era in sala si comunicava con parole a doppio senso e con gesti della resistenza. Trovai allora la mia strada, dura e ostinata, che non ho più abbandonato.
Come tutti quelli della mia generazione, ho creduto anch’io che, a guerra conclusa, sarebbe stato possibile costruire un mondo migliore dove solo l’arte libera avrebbe regnato sovrana. E come la maggior parte della mia generazione ho vissuto il disinganno e la delusione; come la maggior parte di noi ho salutato la rivoluzione del novembre 1989 con sollievo e con nuova speranza.»
Josef Svoboda, op.cit., pag. 12.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Negli ‘Anni 60 Svoboda inizia una serie di collaborazioni con i maggiori teatri italiani, che si protrarranno con costanza per quasi quattro decenni e daranno origine ad alcune delle sue interpretazioni scenografiche più memorabili sia di opere liriche che di prosa.

Nel 1987 viene chiamato a Milano dal Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, per la messa in scena in coproduzione con il Teatro alla Scala del dittico brechtiano di rara esecuzione Chi dice sì, chi dice no, con la regia di Lamberto Puggelli.

Affiancato dalla direzione tecnica di Giorgio Cristini, Svoboda crea una scenografia molto asciutta, costruita con pochi fondali increspati in ASC320S – Tela Sceno largh. 320 cm – Ignifugo, qualche scaletta a pioli in legno, alcune proiezioni e luci taglienti che danno vita ad uno spettacolo sobrio, perfettamente centrato sul testo di Bertolt Brecht e sulle musiche di Kurt Weill.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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La collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano culminerà con il Piccolo Teatro, ”Faust, frammenti” parte prima, nel 1989, e parte seconda, 1990, tra le regie più note di Giorgio Strehler.

«Io ero – si capisce – molto curioso di incontrare Giorgio Strehler, e fui ben lieto quando, nel 1989, ne ebbi finalmente l’occasione. Si tratta infatti di uno di quei registi che dominano totalmente l’arte del teatro, così propriamente definita dai tedeschi, con termine intraducibile, Gesammkunstwerk».
Josef Svoboda, op.cit..

Nella foto, una scena de La donna del mare di Henrik Ibsen, allestimento del 1991 del Piccolo Teatro con la regia di Henning Brockhaus e i costumi di Luisa Spinatelli.

Photo © Luigi Ciminaghi / Piccolo Teatro di Milano

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Scena da La regina delle nevi, da Hans Christian AndersenLaterna Magika, Praga, 1979.

Audace sperimentatore, pur fornendo le sue prove più incisive nel confronto con il teatro di prosa e musicale del ‘900, Svoboda ha rivisitato in chiave moderna anche il teatro d’opera classico, con interpretazioni sempre rivoluzionarie, che hanno spesso entusiasmato pubblico e critica, ma che non hanno esitato a scandalizzarne le frazioni più accademiche quando la scelta delle linee interpretative lo richiedeva.

«Nell’arte gli scandali ci sono sempre stati e non c’è ragione per cui non ci debbano essere – il progresso va contro la convenzione e la convenzione si difende. [ … ] La prima del Wozzeck di Alban Berg ha provocato un infarto al sindaco di Praga, ma nemmeno questa tragica circostanza ha potuto diminuire il grande significato dell’opera. [ … ] L’ansia di evitare gli scandali comporta solo l’appiattimento della regia e della messinscena.»
Josef Svoboda, op.cit., pag. 29.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da Odysseus, allestimento di Laterna Magika, Praga, 1979.

Come altri grandi scenografi della sua generazione, Svoboda ha contribuito allo sviluppo di tecniche che hanno rivoluzionato la scenografia del ‘900. Ha sperimentato materiali specchianti, riflettenti e fotoassorbenti di ogni genere. Come altri ha introdotto nel teatro la combinazione di teatro e cinema, le proiezioni multischermo, l’effetto pulviscolo.
Ha perfezionato l’uso del controluce, quello dei cosiddetti ”sipari di luce” e, più di chiunque altro, ha studiato e messo a punto egli stesso nuove tecniche di illuminazione teatrale (basti pensare ai proiettori Svoboda, oggi di comune impiego).
Sul palcoscenico ha espanso gas, nebulizzato liquidi: ha provato tutto quello che gli era possibile provare.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Svoboda è stato autore di alcuni rivoluzionari allestimenti espositivi.
Celebre il Polyécran all’Expo 1958 di Bruxelles (nella foto), proiezione multipla su otto schermi di forma quadrata e trapezoidale su sfondo nero.
Una messinscena che ha avviato un filone di rappresentazioni simili e che proprio per questo oggi non stupirebbe nessuno, ma che allora destò scalpore per la novità e l’efficacia, richiedendo la soluzione di problemi tecnici di considerevole complessità, in un’epoca in cui le soluzioni computerizzate di proiezione e sincronia dell’audio non erano nemmeno ipotizzate.
L’esperimento fu ripetuto, in modo più sofisticato, all’Expo 1967 di Montréal, dove gli schermi diventarono oggetti tridimensionali di varie forme (cubi, sfere).
Le tecniche di proiezione e le loro interazioni in scena furono per Svoboda un’ulteriore occasione di sperimentazione.

«Mi sono sempre domandato perché bisognasse proiettare solo su una superficie compatta, e non su fasci di linee mobili, o su frammenti di superfici, o su aste.»
Josef Svoboda, op.cit., pag. 186.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da La dama di picche di Pëtr Il’ič Čajkovskij al Houston Grand Opera, 1982.

Milena Honzíková, collaboratrice dalla fine degli Anni ’40 e assistente di Svoboda fino alla morte, è tra le persone che meglio ne hanno conosciuto l’approccio artistico.

«Dalla sua prima messinscena fino a quelle odierne non troviamo nemmeno un esempio di allestimento mediocremente illustrativo. [ … ] La personalità in continua evoluzione, la capacità di individuare il punto nevralgico delle singole opere, spiegano la sua caparbia ricerca di materiali e mezzi figurativi sempre nuovi. Sin dal principio egli afferma che lo scenografo non svolge la propria funzione se il suo lavoro non contiene un messaggio personale, insieme all’esperienza umana e alla consapevolezza di quanto sia insufficiente la nostra conoscenza della vita e dell’arte.»
Milena Honzíková, dalla presentazione a I segreti dello spazio teatrale, pag. 7.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Un esperimento che ancor oggi surclasserebbe qualsiasi forma di multimedialità interattiva fu quello di Boston, nel 1965, dove Svoboda ripropose Intolleranza 1960, soggetto di Angelo Maria Ripellino musicato da Luigi Nono.
Su di una serie di schermi predisposti sul palcoscenico venivano proiettate in contemporanea azioni che si svolgevano sul palcoscenico e in studi esterni, per le strade di Boston e tra il pubblico (v. foto).

«Lo scopo fondamentale [ … ] era di trascinare il pubblico e di farlo partecipare intensamente allo spettacolo. Durante il canto di protesta della cantante nera la telecamera riprendeva le persone del pubblico proiettandone l’immagine sullo schermo. La gente si riconosceva e si divertiva.»
Josef Svoboda, op. cit., pag. 77.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da Rusalka di Antonín DvořákTeatro Nazionale di Praga, 1991.

«A un certo punto scambiammo l’immagine dal positivo al negativo, e sullo schermo le persone apparvero tutte nere. Alcuni spettatori incominciarono a protestare, noi li filmammo e li trasmettemmo. Riuscimmo a inserire nello spettacolo persino una dimostrazione che si svolgeva in quel momento davanti al teatro.»
Josef Svoboda, op. cit., pag. 77.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Scena da Il borghese gentiluomo di MolièreAtelier Théâtral di Louvain-la-Neuve, 1990.

Benché inizialmente più attratto dal teatro sperimentale, Svoboda si dovette dedicare fin dai primi allestimenti al teatro d’opera, in seguito apprezzandone però i contenuti e le possibilità artistiche.

«… l’opera non è solo musica, è anche teatro, è la stilizzazione al suo apice. [ … ] Per uno scenografo l’opera è una grande occasione, ma al tempo stesso anche un grosso problema. Egli deve sollecitare la fantasia dello spettatore, ma non soffocarla: non deve far credere niente, ma solo contribuire alla scoperta del senso attraverso precise allusioni. Si potrebbe dire che il suo compito consista nel raggiungere con mezzi realistici un effetto fantastico. E i mezzi devono essere quelli della finzione teatrale. Insomma, l’opera è incredibilmente esigente con tutti i professionisti che vi sono coinvolti.»
Josef Svoboda, op. cit., pag. 65.

Photo © ”I segreti dello spazio teatrale”, courtesy of Ubulibri

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Lucia di Lammermoor, scenografia ideata da Svoboda ancora per l’Arena Sferisterio e caratterizzata dal fondale da lui stesso definito ”psicoplastico” per la sua tridimensionalità e per il modo in cui veniva impiegato, in proiezione e in trasparenza, per far comparire e sparire i personaggi.

«Nella Lucia di Lammermoor una funzione del tutto particolare era attribuita al sipario, delle dimensioni di 30 metri per 15 e dello spessore di 30 centimetri. Questo sipario si ripiegava, si contorceva, si tendeva, si scansava come magma, era un animale – svolgeva insomma un vero e proprio ruolo drammatico, e costituiva inoltre una superficie eccellente per le proiezioni. In tutte e due le messinscene le trasformazioni del pavimento e del sipario erano esattamente programmate.»
Josef Svoboda , op.cit., pag. 184.

Photo © Alfredo Tabocchini

Convegno Le Théatre dans la sphére du Numèrique, Paris, Centre Pompidou (in francese)
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Le premier Rendez-vous du programme de rencontres
« Création numérique, les nouvelles écritures scéniques » s’est déroulé le Vendredi 24 octobre 2003 au Centre Georges Pompidou dans le cadre du Festival Résonances de l’Ircam.

Il programma del convegno 

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Un grand merci à Anna-Maria Monteverdi qui a fait un compte-rendu de la journée

Ce premier Rendez-vous intitulé « Le théâtre dans la sphère du numérique » s’est déroulé face à un important public d’artistes, de chercheurs, de professionnels des arts de la scène et d’étudiants français et étrangers. Après une présentation du programme et de la journée par Anomos et Dédale puis Franck Bauchard, conseiller Théâtre au Ministère de la Culture et de la Communication, Bernard Stiegler, Directeur de l’Ircam, a proposé une introduction générale de la question « arts de la scène et technologies ».

Le programme a ensuite abordé les trois étapes suivantes :

Arts de la scène et technologies, la création contemporaine en perspective historique.
Cette première partie était organisée autour de deux axes :
– Les précurseurs : les avant-gardes de 1900 à 1960.
– Le choc du numérique : quelques expériences significatives de la question « arts de la scène et nouvelles technologies » de 1960 à nos jours.

Les nouvelles formes scéniques, panorama européen.

Il s’agissait ici de dresser un état des lieux européen des acteurs et des projets artistiques, de dégager, par pays ou zone géographique, les grandes tendances actuelles et de montrer comment les caractéristiques culturelles propres à chaque pays influent sur cette question des rapports arts de la scène et technologies. Les questions professionnelles (lieux de production, de diffusion, festivals) ont également été abordées. Les trois zones géographiques qui ont fait l’objet d’une attention particulière sont : l’Europe du Sud (Italie), l’Europe du Nord (Allemagne, Pays-bas) et l’Europe de l’Est (Pologne).

Arts de la scène et technologies, la création contemporaine en perspective historique.

Les précurseurs

Dans le cadre de la section dédiée aux précurseurs, la directrice du Laboratoire de Recherches sur les Arts du Spectacle du CNRS Béatrice Picon-Vallin (qui était absente, mais dont le texte a été lu par Clarisse Bardiot, collaboratrice du programme « Création numérique, les nouvelles écritures scéniques ») a proposé une interprétation de la scène technologique contemporaine qui s’inspire des avant-gardes du 20ème siècle : la scène actuelle serait une dernière contribution au thème de la conquête d’un théâtre de l’expression totale et d’un nouvel espace scénique généré non pas à partir de la peinture ou de la littérature, mais de la lumière et du mouvement :
« La scène architectonique » de Craig, la scène constructiviste ou celle du Bauhaus, génèrent des machines à jouer, échos des recherches de l’avant-garde plastique, capables entre autres innovations radicales, de découper l’espace tridimensionnel en une série de cadres précis dans lesquels et entre lesquels le comédien devra maîtriser le mouvement scénique, le jeu se voyant défini comme maîtrise des formes plastiques dans l’espace. La lumière tend également à éliminer la peinture pour distribuer elle-même dans l’espace qu’elle fluidifie couleurs et mouvements (…) Aujourd’hui, la machine à jouer se fera machine à projeter des images, et le jeu des comédiens devra tenir compte de celles-ci, fixes ou animées, qui peuvent habiter l’espace dans son ensemble, apparaître sur toute surface constituant le dispositif, et non plus seulement sur les écrans suspendus au dessus de la scène ou placés au fond du plateau (comme dans les années 20) – images qui peuvent même capter l’acteur en direct et être retraitées, toujours en direct, images surgies, fantomatiques, toujours au bord de l’évanouissement, de la disparition, par lesquelles l’acteur de chair est redoublé, agrandi, magnifié ou sous surveillance.
(B. Picon-Vallin, Un stock d’images pour le théâtre. Photo, cinéma, vidéo, in B. Picon-Vallin, sous la direction de, La scène et les images, Paris, CNRS Editions, 2001, p.21-22).

Béatrice Picon-Vallin propose une subdivision temporelle en cinq actes de cette histoire du théâtre technologique à laquelle tous les facteurs ont contribué de manière directe, qu’ils soient de nature sociale, politique, idéologique ou économique.

1. Les années 20 en Russie
2. Les années 20-30 en Allemagne
3. Les années 50-60 à Prague
4. Les années 60 aux Etats-Unis
5. Les dernières vingt années du 20ème siècle en Europe et aux Etats-Unis

Béatrice Picon-Vallin a porté une attention particulière au « théâtre de la totalité » de Moholy-Nagy, à l’acteur-marionette d’Oskar Schlemmer et à son célèbre ballet triadique et à Josef Svoboda, le scénographe tchèque, inventeur de la « Lanterne magique » et du système de poly-projections Polyécran présenté à l’exposition universelle de Bruxelles (1958). Des extraits du documentaire  biographique de Denis Bablet Jospef Svoboda scénographe (1983) ont été présentés. Un des extraits montrait le spectacle Intolérance 1960, sorte de manifeste pour une idée d’un théâtre multimédia (ayant de nombreuses implications politiques), qui a été créé en 1960 avec le musicien Luigi Nono sur le livret d’Angelo Maria Ripellino pour la Fenice de Venise dans un premier temps (mais les images furent censurées) et pour Boston dans un second temps. Cette dernière version prévoyait la substitution des images cinématographiques avec un système de reprise télévisuelle à circuit fermé : c’était en somme, comme le rappelle Bablet, « une nouvelle forme d’opéra, un nouveau type de théâtre total ».
Lire le texte de l’intervention de B. Picon-Vallin

Sylvie Lacerte, ex-directrice générale du Find lab (laboratoire international de recherche et de développement de la danse) de Montréal et doctorante à l’UQAM, a proposé l’exemple pionnier des EAT – Experiments in Arts and Technologies — l’organisation fondée conjointement en 1966 par les ingénieurs Billy Klüver et Fred Waldhauer de la téléphonie Bell et les artistes Robert Raushenberg et Robert Whitman. Cette organisation a été lancée lors de la manifestation 9 evenings : theatre and engineering qui s’est déroulée en 1966 à New-York. Il s’agissait de performances qui mêlaient ensemble danse, théâtre, musique et vidéo. Parmi les artistes présents, il y avait : J. Cage, S. Paxton, D. Tudor, R. Rauschenberg, L. Childs. Sylvie Lacerte a travaillé à la reconstruction détaillée de ces œuvres artistiques qui intégraient de façon inhabituelle les technologies. Comme le rappelle la chercheuse dans son texte sur l’histoire de l’EAT, en ligne sur http://www.olats.org :
Pour la mise sur pied de cet événement, un système électronique environnemental et théâtral fut inventé par l’équipe des ingénieurs. Le THEME – Theater Environmental Module – fut mis sur pied pour répondre aux besoins de dix artistes, en fonction de situations théâtrales bien spécifiques. Le THEME, qui n’était pas visible de la salle, permettait entre autres, le contrôle à distance d’objets et la possibilité d’entendre des sons et de voir des faisceaux lumineux provenant de sources multiples et simultanées.

Sylvie Lacerte a montré un extrait d’une des neuf performances, Open score de R. Raushenberg et J. MC Gee (ingénieurs ) avec Franck Stella et Mimi Kanarek, qui jouaient une partie de tennis avec des raquettes dont les manches étaient équipés de micros sans fil qui amplifiaient le bruit de la balle.


Le choc du numérique 

Dans la seconde section du panorama historique, Christopher Balme, professeur de théâtre et directeur du Département Arts du spectacle de Mayence (Allemagne) a proposé une intervention sous le nom de « Contamination et déploiement ; théâtre & technologies 1960-2003 ».
Dans cette intervention, Balme traçait trois trajectoires du rapport entre théâtre et technologies :
– l’art vidéo
– le théâtre multimédia
– la performance numérique et la performance à travers Internet
Après avoir anticipé les positions anti-technologiques du théâtre des années 60, en particulier celles de Jerzy Grotowski et Peter Brook, Balme a souligné très justement à quel point cette querelle du théâtre et des technologies est un sujet encore largement débattu. Pour la partie relative à la première vague de l’innovation technologique, les expériences artistiques de Nam June Paik, mais aussi celles de Jacques Polieri dans les années soixante ont été évoquées ainsi que les œuvres vidéos de Bill Viola et les spectacles de Giorgio Barberio Corsetti pour la période relative aux années soixante-dix et quatre-vingts. Balme soutient que ces artistes, pourtant éloignés dans leur pratique artistique, ont tous en commun une même attitude esthétique qui cherche à dépasser la dichotomie traditionnelle entre l’art et la technologie. En référence au passage de l’art vidéo à la scène, certains artistes de la soi-disant « scène multimédia » états-uniennes dont le Wooster Group d’Elizabeth Lecompte, pionnier dans l’utilisation sur scène de la vidéo, live et préenregistrée, ont été cités.

Rappelons-nous le spectacle Brace-up ! :


Brace up!
, mise en scène de Elizabeth LeCompte: Scott Renderer, Jeff Webster (sur le grand moniteur), Paul Schmidt (sur le petit moniteur), Kate Valk. (photo © Mary Gearhart)

Leur travail est poursuivi de façon parfaite par John Jesurun et The Builders Association (on se souvient en particulier du spectacle Everything that rises must converge, 1990). L’interaction entre l’action de l’acteur et de la vidéo est un postulat important selon Balme pour le développement de la performance numérique et à travers Internet.

Balme a présenté certains extraits du spectacle de Robert Lepage Les sept branches de la rivière Ota, premier projet théâtral réalisé avec la compagnie pluridisciplinaire Ex Machina dans lequel le metteur en scène canadien développe une trame visuelle faite de silhouettes, corps, images vidéos littéralement mêlés ensemble de façon à former un théâtre d’ombre muet, métaphore visuelle de la persistance de la mémoire d’Hiroshima dans le monde occidental et oriental. Dans la seconde partie, relative au numérique, Balme a parlé de la première performance sur Internet, Hamnet (1993) des Hamnet Players de Stuart Harris.

Il s’agit d’une performance réalisée via un système de chat à travers le canal Internet Relay Chat (IRC) #hamnet. L’essai en ligne de Brenda Danet offre une lecture précise de cette expérience :http://jcmc.huji.ac.il/vol1/issue2/contents.html.

Lire le résumé de l’intervention de Christopher Balme (en anglais)

Les nouvelles formes scéniques, panorama européen.

L’Europe de l’Est : l’exemple de la Pologne
Pour le panorama européen, Izabella Pluta-Kiziak, doctorante à l’Université de Silésie (Pologne), a proposé une intervention intitulée « Entre l’Internet et la réalité post-communiste » avec des fragments vidéos des spectacles de Komuna Otwock : Bez tytulu et Trzeba zabic pierwszego boga.


Desing: Gropius / Dlaczego nie bedzie rewolucji – Komuna Otwock.

La chercheuse a rappelé que le phénomène du théâtre et des nouvelles technologies est totalement différent en Europe de l’Est par rapport à l’Europe de l’Ouest ou aux Etats-Unis. L’actuel changement politique est d’ailleurs un facteur déterminant de ce phénomène. Il existe cependant des implications économiques et de forts liens avec la tradition théâtrale qui freinent une réelle expérimentation dans cette direction.
La chercheuse a proposé :
– un cadre historique de ce que l’on appelle le théâtre alternatif après 1989 et la direction du théâtre de recherche polonais à partir de la question « Peut-on vraiment introduire les nouvelles technologies dans le théâtre polonais après Grotowski et Kantor ? »
– un panorama des manifestations, festivals, centre de ressources. Entre autres, ont été présentés : le Festival international de théâtre alternatif Réminiscences théâtrales à Cracovie, Malta-Festival de Théâtre à Poznan (http://www.malta-festival.pl/) et WRO Centre (http://www.wrocenter.pl/), Centre des arts des médias à Wroclaw (qui organise la biennale des arts des médias).
– La génération des metteurs en scène « plus jeunes, plus talentueux », qui utilisent la vidéo sur scène : Grzegorz Jarzyna avec Psychosis 4.48 ; Anna Augustynowicz, Mloda smiercBalladyna.

Lire le texte de l’intervention d’Izabella Pluta-Kiziak

L’Europe du Nord : l’exemple de l’Allemagne et des Pays-Bas 
Meike Wagner, professeur en arts du spectacle à l’Université de Mayence a présenté deux projets :
– Alientje (2002) du groupe holandais Wiersma & Smeets qui travaille avec des projections, des personnages en papier, des objets filmés avec un simple système audiovisuel. Il s’agit d’un projet pour enfants.

– Cyberpunch (2003) du groupe théâtral de Thomas Vogel à Berlin. Il s’agit d’un projet de « cyberstage » avec des personnages virtuels en interaction avec des marionnettes et des acteurs réels sur scène. Le « cyberstage » de Thomas Vogel est un work in progress.

Lire le texte de Meike Wagner

L’Europe du Sud : l’exemple de l’Italie
Pour le panorama italien, Anna-Maria Monteverdi a proposé une digression sur trois aspects historiques :
– l’héritage du théâtre-images : panorama du théâtre de recherche italien enrichi par la présence des médias sur la scène et l’héritage du théâtre-images des années soixante-dix.
– Le videoteatro italien : de la post avant-garde à la « nouvelle spectacularité » : Giorgio Barberio Corsetti, Studio Azzuro.
– Teatri 90 et la « Troisième vague » : la nouvelle génération du théâtre italien.
Et, comme cas d’étude, Giacomo Verde de Teleracconto et Storie Mandaliche 2.0 ; et la compagnie Motus : « de l’installation au théâtre » (Twin rooms).

Motus est une compagnie de théâtre basée à Rimini (Italie) et dirigée par Daniela Nicolò et Enrico Casagrande. Ex Generazione Novanta, Motus est une jeune compagnie qui s’inscrit d’ores et déjà parmi les compagnies historiques. Leur théâtre traverse depuis toujours les territoires les plus variés de la vision : cinéma, vidéo, architecture, photographie…, une visio éclectique et multiforme, irrespectueuse des spécificités de genre qui transpose sur scène les techniques du cut up, du découpage, du mixer et du montage. Dans le projet Rooms qui atteint son point culminant avec Twin Rooms, ils mettent en scène De Lillo et le cauchemar de la vidéosurveillance. La ville comme une mosaïque de micro-visions – énorme « digital room » contiguë à la scène-dispositif représentant une chambre d’hôtel – accueille un amas incontrôlable d’images et une tentation psychotique à leur consommation.

Giacomo Verde est « médiactiviste », computer artist et technoperformer. Il a construit son esthétique sur l’idéologie dulow tech pour socialiser les savoirs technologiques. Par le biais du théâtre, il soutient la cause de la démocratie et de l’accès aux technologies et pose la question politique des images télévisuelles. Le teleracconto — ou le fait de filmer en direct des objets en gros plans, conjointement à leur vision sur moniteur (critique ironique de l’univers médiatique) selon une modalité théâtrale (techno) narrative pour enfants — est devenu un procédé clé de son théâtre : les images sont créées en live et les effets numériques constituent la toile de fond vidéo qui se modifie suivant le cours de la narration en OVMM inspiré des Métamorphoses d’Ovide. C’est une manière d’affirmer de façon provocatrice que « la télévision n’existe pas » et que « toutes les images sont abstraites ». Storie Mandaliche 2.0 (2003) créé avec Zonegemma et Xear.org est l’un des premiers exemples de spectacle interactif appliqué à une dramaturgie hypertextuelle (textes d’Andrea Balzola).

LA WALHALLA MACHINE: LEPAGE e WAGNER
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Lepage l’inarrestabile: dal Cirque du soleil a Wagner.

Pubblicato su Interactive Performance e su Carte Sensibili e in A.M. Monteverdi, Rimediando il teatro con le ombre, con le macchine, con i new media, La Spezia, Ed. Giacché, 2012.

Un successo senza fine

Chi visita il sito ufficiale di Ex Machina, la struttura di Robert Lepage con quartier generale a Québec City, fa fatica a crederci. Il numero di allestimenti e produzioni (concerti, spettacoli di prosa e d’opera, installazioni luminose, proiezioni videoarchitettoniche, pubblicazioni fotografiche d’arte) che la R. L. inc. firma annualmente è impressionante, come impressionante è il numero di spettacoli in tournée contemporaneamente in tutto il mondo da anni, cosa assolutamente impensabile per qualunque produzione italiana.
La Face Cachée de la Lune (che ha debuttato nel 2001) è di ritorno da un tour in Grecia, Andersen Project (realizzato nel 2005) è stato negli States nel 2012, Le Dragon Bleu è ora in Canada, Eonnagata in Giappone, The Nightingale and Other Short Fables in Olanda, Lypsinch in Australia, mentre New York ha chiuso l’anno 2011 con Il crepuscolo degli dei a firma di Lepage al Metropolitan.

Nel giro di pochi anni Lepage ha firmato uno spettacolo di ispirazione shakesperiana (The Tempest), interpretato da nativi in esclusiva per una regione del Canada, il Wendake; una gigantesca proiezione videoarchitettonica sui silos del porto di Québec City per i 400 anni della fondazione della città (The Image Mill) e due scenografie per il Cirque du Soleil (compagnia internazionale di nuovo circo con base a Montréal, fondata nel 1984 da Guy Lalibertè e Daniel Gauthier). Si tratta di Totem (2010, set designer Carl Fillion) Ka (2005, spettacolo stabile al MGM Theatre di Las Vegas; set designer Mark Fischer, l’architetto che ha firmato anche i concerti dei Pink Floyd e degli U2; una scheda completa suWikipedia).

Ma la vera fatica titanica lo ha visto impegnato, a partire dal 2008, nella regia dell’intera tetralogia wagneriana per il Metropolitan di New York diretto dal maestro James Levine. Il ciclo dell’Anello dei Nibelunghi è stato inaugurato la scorsa stagione con Das Rheingold e Die Walküre, è proseguito con Siegfried  nell’ottobre 2011 e si è concluderà nel gennaio 2012 con Die Götterdämmerung; l’intero ciclo verrà riproposto al MET nella sua interezza tra il 25 aprile e il 2 maggio 2012. Ogni produzione di Lepage è un evento accolto con enorme entusiasmo dal pubblico (ma non sempre con eguale entusiasmo dalla critica), a cui seguono girandole di premi, riconoscimenti prestigiosi che a loro volta attirano nuove commissioni milionarie. Anche il MIT di Boston lo ha recentemente insignito di un premio, l’Eugene McDermott Award in the Arts.
E’ passato molto tempo dall’epoca in cui, per finanziare i suoi primi film negli anni Novanta, come ricordava in un’intervista, era irritato alla sola idea di andare a chiedere finanziamenti per i suoi progetti artistici, a un “civil servant“. Oggi sono le grandi Fondazioni, i teatri internazionali a contenderselo a suon di milioni di dollari.

L’opera: a great meaning place
Nonostante il notevole cambio di scala rispetto ai palcoscenici e al pubblico degli inizi, la coerenza artistica di Lepage è degna di nota. Il regista e interprete quebecchese trasporta temi, motivi e idee del teatro di ricerca in territori a esso insoliti: negli stadi per i megaconcerti pop o nelle opera houseper i classici della musica lirica, veicolando in spettacoli per il grande pubblico la profondità narrativa, la visionarietà immaginifica e l’ingegno tecnico che caratterizza i suoi spettacoli teatrali. Le sue scene impongono anche un certo impegno acrobatico agli attori/ballerini/cantanti: la struttura metallica ideata per il Growing Up Tour, che si staccava da terra per salire verso l’alto, obbligava Peter Gabriel a cantare a testa in giù; in Ka gli artisti precipitano dall’alto di una piattaforma; nel ciclo wagneriano i cantanti cavalcano imponenti quanto virtuali cavalli, in bilico su una struttura alta otto metri.Nella piattaforma ideata per la tetralogia di Wagner è il movimento stesso della macchina scenica (insieme con le luci e le proiezioni) a creare una drammaturgia e un interessante dialogo con l’attore: alzandosi verticalmente, disponendosi perpendicolarmente essa evoca molteplici “luoghi”: montagne altissime, profondità marine, campi di battaglia. Quando si attraversano altri territori dell’arte la qualità della ricerca teatrale non si disperde, ma si estende ai diversi luoghi dello spettacolo, modificandone le convenzioni:

I’ve worked a lot with Peter Gabriel; his music isn’t operatic, but he creates big, popular gatherings to which architecture, dance and music are all invited. Opera needs a major makeover; the large opera houses are too in thrall to their conservative patrons. Opera should be a place for art forms to meet. It includes music, litterature, architecture, set designing, fine arts, choreography. Opera is a great meaning place.”

E’ proprio nell’ambito dell’opera che Lepage si è cimentato per la prima volta con la sua sperimentazione scenica più ardita, un’architettura in grado di accogliere immagini 3D ed effettistica cinematografica: l’ha utilizzata nella regia de La Damnation de Faust da Berlioz nel 1998 (rimasto in repertorio all’Opera di Parigi dal 2000 al 2005).

 

Per la regia del ciclo wagneriano, Lepage ha chiamato a collaborare, oltre al solito Fillion, anche i collaboratori tecnici, artisti, videomaker, i creatori di effetti visivi, persino i produttori esecutivi del Cirque du Soleil, forse gli unici in grado di garantire un allestimento all’altezza di un teatro dalla fama colossale come il Metropolitan di New York.
Anche Josef Svoboda disegnò le scene della tetralogia di Wagner Der Ring des Nibelungen, e addirittura per tre volte: al Covent Garden a Londra (1974-76), al Grand Théâtre di Ginevra (1975-77) e al Théâtre Antique d’Orange, in Francia (1988). La versione londinese, in cui lo scenografo cecoslovacco utilizzò il laser, è quella più vicina alla ipertecnologica versione di Lepage. E tra Svoboda e Lepage non bisogna dimenticare la versione “techno” dell’Anello dei Nibelunghi a firma della Fura dels Baus. 

Nella versione del 2008 de L’anello dei Nibelunghi per il Metropolitan di New York diretto dal maestro James Levine, Lepage vi aggiungerà anche un sistema di motion capture che cattura i movimenti dei cantanti e integra attori e immagini in una scena dall’aspetto di un enorme videowall. Un modo, come lui stesso racconta, per “tentare di illustrare l’energia della musica di Berlioz, estenderla non decorarla“. La tecnologia amplifica l’energia della musica perché:

“The survival of the art of theatre depends on its capacity to reinvent itself by embracing new tools and new languages. In a way, innovators in both arts and sciences walk on parallel paths: they have to keep their minds constantly open to new possibilities as their imagination is the best instrument to expand the limits of their fields.”

 E’ impossibile dissociare Lepage dal suo giovane e altrettanto geniale stage designer Carl Fillion, con il quale crea da sempre quelle macchine sceniche per le quali è universalmente acclamato. Con lui ha dato vita al mondo d’ombre viventi e video di The seven streams of the river Ota, al dispositivo roteante di Elsinore, il marchingegno per il suo più folle progetto di one-man-show; ai pannelli scorrevoli, specchianti e proiettabili di La face cachée de la lune. E’ Carl Fillion a spiegare il segreto con cui egli trasforma un’unica scena, da un’idea iniziale discussa insieme con Lepage, in un vortice infinito di luoghi:
I like to transform the scenic environment by creating elements that move and turn, on stage, in full view of the audience. My main visual signature as a designer can be found in the way I sculpt the space and keep it in motion.
 
 Per la regia del ciclo wagneriano, Lepage chiamerà ancora Fillion e si trascinerà dietro proprio i collaboratori tecnici, artisti, videomaker, i creatori di effetti visivi, persino i produttori esecutivi del Cirque du soleil, forse gli unici in grado di garantire un allestimento all’altezza di un teatro dalla fama colossale come il Metropolitan Square Garden di New York.
Per l’atmosfera del Crepuscolo degli dei la scena si libera di ingombranti oggetti per ospitare un unico monstrum leonardesco che sembra uscito dalle mani di un alchimista d’altri tempi, un erede naturale della fantasia avanguardista di Svoboda. La flessibilità e la trasformabilità, come in tutte le scenografie di Lepage, sono le caratteristiche primarie di questaWalhalla Machine e respirano insieme con l’attore che le sovrasta. Nel corso dell’intervista contentuta in Wagner’s Dream, lo stesso Lepage rivela che l’idea della macchina che contiene tutti gli ambienti gli è venuta in mente pensando all’Islanda, alla sua formazione vulcanica e tettonica, alle sue crepe e solchi dovuti alla lava, agli avallamenti e insieme alle enormi montagne, concentrati tutte in uno stesso paesaggio, tra ghiaccio e fuoco. Ancora una volta, come già accadeva in Elsinore, anche se in scala decisamente più ridotta, e poi anche con Ka, il gigantesco dispositivo progettato per il Cirque du Soleil in cui l’attore recita mentre tutto è in movimento, la macchina ha una conduzione “manuale”. La tecnologia precede: inventa, dispone, prepara, ma a guidarla è la mano dell’uomo. Ecco allora il protagonista incontrastato della scena, l’enorme macchina progettata da Fillion per l’intera tetralogia, vera opera di ingegneria meccanica, fatta di 45 assi di 9 metri di fibra di vetro ricoperta di alluminio, mobili autonomamente l’uno dall’altro e che si sollevano e ruotano a 360° grazie a un complesso sistema idraulico che permette un gran numero di forme differenti, diventando la spina di un dragone, una montagna o il cavallo delle Valchirie
Gli attori-cantanti, spesso meno agili e longilinei degli atleti del Cirque du Soleil, sono collocati sopra la struttura in posizioni davvero difficili: in alto, in bilico, scivolando sulle assi, arrampicandosi. I cantanti hanno anche dei “doppi” in veste di acrobati, che li doppiano nei movimenti troppo complessi.
La prima scena del Rheingold, con la famosissima ouverture con l’arpeggio in miB (che introduce il leitmotiv dello scorrere del fiume, delle onde, in un crescendo di strumenti), è il preludio alla scena delle Ondine, le figlie del Reno custodi dell’oro del loro padre. Questa scena ha sempre destato molte preoccupazioni per i registi, a causa della difficoltà di immaginare una scena che si svolge sott’acqua. In alcuni casi l’acqua è realmente presente in teche trasparenti in cui le Ondine sono sommerse (come nella versione della Fura dels Baus), ma di solito per simulare le onde vengono utilizzate stoffe azzurre, facilmente eliminabili dalla scena (come nella regia di Marininski per il Covent).
Lepage immagina tre sirene che scivolano in questo azzurro elettronico, con leggerezza, calandosi dalla macchina, nuotando o lasciandosi andare a corpo libero con il solo aiuto di una fune; intorno a loro una proiezione piccole pietre di mare e bollicine. Lepage spiega che:
“What happens in Das Rheingold is that we’re in a world of mists and lightning, and fire and water, an elemental realm. That’s why the set is morphing into these elements that remind us of rocks and spines. As we move on, and the Ring tells the story of demigods and human being and eventually of society, and social classes and ranks, the set slowly moves toward architectural propositions.”
 L’inclinazione dei piani si presta a un gioco di voli di scale che fa ricordare i disegni di Adolphe Appia per Wagner.
I movimenti dell’architettura di scena (costruita da Scène Éthique di Montréal) avvengono con intervalli da 5 o 10 minuti e sono controllati in parte a mano in parte da un computer. Un’uso – pare – strabiliante e fortemente realistico del 3D senza visori da parte del pubblico, è stato creato per le scene della foresta in Siegfried. Qua l’animazione con i movimenti possibili della macchina.
 Così Lepage:
It was important that we create a theatre machine that would be similarly versatile—a set that had its own life and could actually go through different metamorphoses but, at the same time feel very organic. Very early on, we decided to create a spine to the set that allows us to move things and articulate things. So the set is actually not only illustrating some of the ideas in the Ring, but it’s also literally supporting the characters and the ideas…it was important for us that the set be very nimble, very flexible, very adaptable, and alive, so that it not only moves, but it also breathes”.
 La chiameranno la Walhalla machine, qua in azione per la Cavalcata delle Walkirie. E, da vera diva, strappa applausi a scena aperta. Ecco il trailer ufficiale del MET di New York:
 Sulla superficie di questi assi che somigliano a tasti di un gigantesco pianoforte e che nei movimenti ricordano un po’ i mostri fantasy di Dune, vengono proiettate immagini in videomapping, a mostrare alberi della foresta, caverne, le acque del Reno. Sono state usate sia immagini statiche che immagini interattive, quest’ultime ottenute grazie a un sistema di motion tracking da telecamere.Réalisations con Maginaire inc., hanno realizzato gli effetti video 3D e interattivi gestiti dal software Sensei.
La macchina scenica complessiva è di tali proporzioni e di tale pesantezza (45 tonnellate) che il Metropolitan ha fatto sapere di aver rinforzato il palcoscenico. I giornali hanno parlato di “un’affascinante combinazione di complessa tecnologia e semplicità estetica”, “traditionale e rivoluzionario” ma anche di una produzione “troppo simile a un musical di Broadway” mentre il N.Y. T. va giù ancora più pesante e titola la recensione: Ring V/s Spider man.
Produzione dunque, che rimarrà negli annali anche per l’impiego di una tecnologia avanzatissima e per il numero straordinariamente alto di tecnici e progettisti, e di conseguenza, per essere forse uno dei più costosi allestimenti teatrali di tutti i tempi (si parla di sedici milioni di dollari). Cosa che non sembra aver preoccupato molto Peter Gelb, general manager del Metropolitan dal momento che ha venduto l’esclusiva della diretta HD ai teatri e ai cinema di quaranta Paesi. Per Lepage, dunque, un sold out esteso a tutti i media del pianeta.
Per chi non ha potuto vederlo dal vivo al MET può comunque vedere lo spettacolo in video grazie al cofanetto di 5 dvd appena messi in distribuzione per la Deutsche Grammaphone. Il costo non è per tutti, ma è sempre minore del biglietto per lo spettacolo teatrale (che arrivava fino ad alcune migliaia di euro). Nel cofanetto i 4 dvd corrispondono alle quattro opere (pur legate in un unicum come voleva Wagner, dalla storia, la saga germanica dei Nibelunghi) ovvero Das RheingoldDie WalküreSigfried,Gotterdämmerung. Il quinto dvd è il documentario Wagner’s Dream”: più che raccontare il processo creativo, mostra il dietro le quinte (o meglio, in questo caso, il “sotto le quinte”) della mostruosa macchina tecnologica progettata dal mago delle scene di Lepage, Robert Fillion.