Carnalità e pittura. La danza della “physis” di Andréanne Leclerc e Dany Desjardins (Québec) al PARC di Firenze.
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Lo spettacolo di danza contemporanea Sang Bleu della compagnia Nadère Arts Vivant arrivato in Italia il 7 giugno al PARC-Performing Arts Research Centre, Firenze per la 26° edizione di FabbricaEuropa, è un’impressionante e stupefacente sequenza coreografica di corpi elastici, morbidi, carnali e sensuali, e insieme corpi che negano la loro umanità per diventare natura. Ma una natura archetipica: mondo fisico, universo nel suo complesso, insomma quello che Aristotele definiva “physis” che significa in greco, appunto, nascita quindi origine, principio di tutte le cose.

L’immersione nella physis è caratterizzata dalla metamorfosi: e come in un affresco giapponese dove ogni forma di vita è sullo stesso piano d’importanza, facendo tutti parte dell’infinita varietà del creato, così nello spettacolo i corpi si trasfigurano, diventando senza soluzione di continuità, animali, organismi, plancton, fiori, accoppiandosi, replicandosi, distorcendosi.

La straordinaria coreografia dei quebecchesi Andréane Leclerc (danzatrice e contorsionista, fondatrice e direttrice artistica della compagnia Nadère Arts Vivant) e Dany Desjardins (danzatore e artista visivo) annoda umano e non umano, in un continuum di quadri visivi impressionanti perché conducono il corpo all’estremo, in una rappresentazione che riporta alla mente iconografie e immaginari collettivi di forme di vita in divenire, in armonia con la natura o in contrasto con essa: dalle metamorfosi di memoria letteraria (Kafka) a quelle pittoriche (Bacon), alle citazioni cinematografiche (Greenaway). Il linguaggio fisico cerca di riprodurre l’essenza della struttura di animali ed uccelli, pesci e piante trasportandoci da una foresta a un herbarium a una Wunderkammer

PH. PATRICK SIMARD

Il tappeto sonoro (a cura di Olivier Girouard) e l’orchestrazione di luci (lighting designer: Rasmus Sylvest) ci immergono emotivamente in un “altrove” non meglio definito, un regno sensoriale e pittorico abitato da creature mai viste, difformi, che strisciano, prive di scheletro come fossero fuoriusciti da un bestiario medioevale o da un réportage da Falluja, in Iraq. Qua infatti l’epidemia di danni genetici (provocati probabilmente da armi di distruzione di massa come uranio impoverito o fosforo bianco) ha fatto nascere bambini malformati più che a Hiroshima e Nagasaki.

E’ la formazione dei due performer, tra arti circense e arti visive e il reciproco e proficuo scambio artistico, ad aver dato vita a uno spettacolo che si distingue per la sua essenza ibrida, al limite del kitsch cioè – seguendo Charles Baudelaire – dell’ “inatteso, dell’irregolare, del sorprendente, dello stupefacente“.

Il contorsionismo dei corpi, che è la cifra estetica dello spettacolo, però, non rimanda affatto al circo, linguaggio che pure è evidentemente a loro affine, ma a una necessità della nuova danza di approdare a esiti ancora non conosciuti, esplorando e attingendo a forme d’arte anche distanti, reinventandole, riscrivendole, facendole sconfinare l’una nell’altra, provocando una collisione di originale impatto visivo. In qualche modo lo spettacolo –che ha avuto un riconoscimento entusiastico da parte del pubblico fiorentino-  suggerisce una modalità di scambio, un ideale “sporco connubio” tra arti “pure” e “impure”, in una inevitabile condizione postmediale, di “ambivalenza”.

 Zygmunt Bauman in Modernità e ambivalenza (2010) individua nel concetto di “ambivalenza” che romperebbe la pratica del modello strutturale normativo, dell’ordine classificatorio delle categorie estetiche, uno dei temi chiave del contemporaneo:

La situazione si fa ambivalente se gli strumenti di strutturazione linguistica si rivelano inadeguati: o il caso in questione non appartiene a nessuna delle categorie individuate, oppure si colloca in più classi contemporaneamente. In una situazione ambivalente nessuno dei modelli appresi è quello giusto ovvero se ne potrebbe applicare più di uno (…) L’ideale che la funzione nominatrice/classificatrice si sforza di raggiungere è una sorta di ampio archivio che contenga tutte le cartelle che contengono tutti gli oggetti che il mondo contiene: ogni cartella e ogni oggetto sono per,ò confinati in un loro posto distinto. E’ l’impossibilità di realizzare un simile archivio che rende inevitabile l’ambivalenza (…) Classificare consiste negli atti di includere e escludere. Ogni volta che diamo un nome a qualcosa, dividiamo il mondo in due: da un lato le entità che rispondono a quel nome; dall’altro tutte quelle che non lo fanno (…) L’ambivalenza è un effetto collaterale del lavoro di classificazione (…) Quella all’ambivalenza è una guerra suicida.5

Il risultato (che a questo punto è quasi metateatrale, significando la condizione attuale, polimorfica dell’arte stessa) non è altro che una serie di organismi che contengono altri organismi, corpi che ospitano più teste, più sessi, più umori, come frutto di una conflagrazione atomica, o di una manipolazione genetica.

Un riferimento preciso, come ci suggerisce Dany Desjardins viene dalla storia dell’arte: la bellezza atroce e sublime dei corpi nei quadri di Odd Nerdum, il pittore norvegese che la critica considera la “reincarnazione di Rembrandt”, e la fantasmagorica neo-corporeità postapocalittica della serie Chrysalis di Patrick Bernatchez, artista di Montréal. Impossibile però, non fare riferimento anche a Dimitri Papaioannou e al suo Body Mechanic System, dispositivo fisico per distorcere e aggregare illusoriamente i corpi che è alla base di spettacoli-faro della danza contemporanea come The great Tamer.

Cacciatori e prede, talvolta scambiandosi ruoli, si fanno a pezzi nello spettacolo e distruggono l’integrità del corpo, lo fanno degenerare, a metà tra cannibalismo e sacrificio. Ma riproducono anche la bellezza del tempo, la sintesi della Storia: sono figure barocche o primitive, sono volti trafitti dalla luce di taglio dentro un quadro di Caravaggio, sono corpi scultorei, forme classiche di prassitelica memoria, ma anche esseri dionisiaci, in cui si intrecciano mito e storia.

Il titolo dello spettacolo SANGUE BLU vale come un rebus la cui spiegazione per me è una sola: fa riferimento al regno animale nel quale il sangue non è sempre necessariamente rosso ma anche blu o verde. Pare che alcuni artropodi e molluschi (polpi e granchi) riescano a sopravvivere in ambienti prolifici di batteri grazie ad alcune sostanze che rendono il loro sangue blu. Una speranza di vita, dunque, quella dell’evoluzione della specie animale che suona come un monito, un ultimo appello al genere umano a mutare, affinché di lui resti traccia sull’universo.

Lo spettacolo di Nadère arts vivants è frutto di una serie di residenze artistiche e tecniche (Espace Marie-Chouinard, Monument-National, New Dance Alliance New York City, Florence Fourcaudot Dance School; La Chapelle Scènes Contemporaines, Notre-Dame-de-Grâce’s Maison de la Culture and Cultural Center, Sala Hiroshima)  e approdato dopo la prima mondiale a Montréal, direttamente nel nuovo spazio di Fabbrica Europa, il PARC Performing Arts Research Centre, piazzale delle Cascine 7 – Firenze

ANDRÉANE LECLERC e DANY DESJARDINS / Nadère Arts Vivants

Sang Bleu

creato e interpretato da: Andréane Leclerc e Dany Desjardins

suono: Olivier Girouard

luci e direzione tecnica: Rasmus Sylvest

consulente drammaturgia: Nathalie Claude

costumi: Thierry Huard

coproduzione: La Chapelle Scènes Contemporaines, Studio 303, Dany Desjardins

Prima mondiale a La Chapelle Scènes Contemporaines, febbraio 2018

prodotto da: Nadère arts vivants

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Dany Desjardins e Andréane Leclerc

Andréane Leclerc, diplomata alla National Circus School (2001), immagina la contorsione come tecnica del corpo malleabile, capace di generare attraverso la spettacolarità un mondo fatto di sensazioni e immaginari mentali. Dal 2009 l’artista ha creato Di (x), InSuccube, Bath House, Cherepaka, MangeMoi, The Whore of Babylon ed è interprete in progetti internazionali (The Tiger Lilies Perform Hamlet Theater Republic). Nel 2013 ha conseguito la laurea in drammaturgia al Theater Department dell’UQAM e ha fondato Nadère Arts Vivants Company, di cui è direttrice artistica.

Dany Desjardins inizia la sua esperienza artistica attraverso la pittura e il teatro. Dopo aver studiato arte visiva, ha studiato danza a Drummondville, proseguendo la sua formazione alla Montreal Contemporary Dance School. Dal 2007 ha lavorato per diverse compagnie, tra cui Daniel Léveillé Danse, PPS Danse, GAG, CMC, e ha collaborato con i coreografi Catherine Gaudet, George Stamos, David Pressault e Katie Ward. Ha creato le pièce Shitoi & Dordur (2007), All villains have broken hearth (2008), On Air (2009), POW WOW (2011) e Winnin (2014), le ultime due presentate a La Chapelle. I suoi lavori sono stati presentati a Usine C, Tangente, Neighborhoods Dances, Succession View, OFFTA, Short & Sweet e Piss in the Pool.