Le regole per una drammaturgia del mapping secondo i Koniclab
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Sempre alla ricerca di nuovi territori tecnologici da esplorare e sperimentare drammaturgicamente (dal videoteatro alla videodanza interattiva alle videoinstallazioni alle performance telematiche) la compagnia catalana Koniclab approda negli ultimi anni quasi naturalmente al videomapping sia negli spazi pubblici che nei teatri, genere che nasce con una intenzione promozionale diventando un passaggio “obbligato” per lanciare grandi marchi nel campo automobilistico, della moda, della tecnologia.

Si è passati dai manifesti pubblicitari inquadrati e stampati alle insegne al neon fino al digital signage (la réclame in formato elettronico, a led su schermi LCD o al plasma su touch screen in spazi pubblici). Il termine videomapping spesso viene scambiato con urban screens, coniato storicamente la prima volta dalla pioniera degli studi sulle superfici digitali urbane, Mirjam Struppek[4] nel 2005; fu usato per la prima volta al primo Urban Screens Conference ad Amsterdam a cui seguirono quella di Manchester e Melbourne, nel 2007 e 2008. L’estetica del videomapping che ha un gran debito nei confronti di panorama e diorama e delle diverse fantasmagorie della cultura popolare ottocentesca[1] ma anche nei confronti degli studi sugli scorci prospettici in pittura, sul quadraturismo, sull’effetto pittorico illusorio di sfondamento volumetrico. Si può dire allora che il video mapping e l’architectural mapping sono la prosecuzione ideale, in epoca di realtà aumentata e di dispositivi immersivi, delle macchine ottiche e degli esperimenti anamorfici del Seicento. Come ci ricorda Thomas Maldonado, la civiltà occidentale è diventata una produttrice e consumatrice di trompe-l’œil nella sua tendenza avanzata verso l’iperrealismo: “La nostra è stata definita una civiltà delle immagini. (…) Questa definizione sarebbe più vera, se aggiungessimo che la nostra è una civiltà in cui un particolare tipo di immagini, le immagini trompe-l’œil, raggiungono, grazie al contributo di nuove tecnologie di produzione e di diffusione iconica, una prodigiosa resa veristica. Ciò appare chiaro con l’invenzione della fotografia e poi, in modo più evidente, con quella della cinematografia e della televisione. La conferma più incisiva viene, oggi, dall’avvento della grafica computerizzata, soprattutto se si pensa ai suoi ultimi sviluppi finalizzati alla produzione di realtà virtuali.”[3]

Il videomapping di Koniclab a ottobre 2014 per Girona (Spagna)è legato al progetto europeo IAM. La proiezione è avvenuta sopra una facciata di un palazzo del XVII secolo. Il videomapping era inserito nel programma delle ‘Jornades app’ un Festival Festival legato alle attività del progetto europeo IAM. ENPI CBC MED di cui Koniclab è partner. Ramificazioni, colori e un pulsare di luci e creazioni visive in movimento che anima la proiezione di PROCESSUS che ha al centro il sentimento della vita, essendo la struttura un edificio che negli anni ospitava un antico ospedale e una farmacia storica. I corpi proiettati ci riportano anche alla dimensione teatrale, e la struttura diventa un immenso palcoscenico in uno spazio pubblico. La narrazione visiva suggerisce spazi e tempi lontani ed evoca territori ultraterreni resi tangibili da geometrie e ramificazioni che lambiscono l’architettura reale e virtuale insieme in una composizione sonora e visiva che unisce elemento astratto e reale insieme, immagine e immaginazione. Il rosa è il colore dominante che mescola il sentimento di vita a quello di amore.Abbiamo chiesto ai fondatori Rosa Sanchez e Alain Bauman cosa significa creare teatro con il videomapping dal punto di vista del programmatore e del performer.

Dalla nostra personale esperienza nel mettere in pratica questa tecnica capisco che nel videomapping ci sono diverse tendenze, formalizzazioni e modi con cui creare e tradurre l’idea di proiettare immagini in superfici non convenzionali. Mi voglio riferire al videomapping e al suo uso sul palco come elemento drammaturgico della performance. Le fondamenta del videomapping si poggiano su concetti che definiscono, strutturano caratterizzano la tecnica. A nostro avviso i seguenti elementi dovrebbero essere tenuti in considerazione quando si sviluppa uno spettacolo sul palco che includa questa tecnica. E sono:

L’inter-relazione immagine-oggetto-supporto volumetrico, trasmette il fatto che la drammaturgia è focalizzata sull’immagine “mappata” sull’oggetto.Questo per dire sull’oggetto aumentato trasformato in un ibrido immagine-oggetto. La narrazione visiva è guidata da questa articolazione oggetto-immagine, e non solo dall’immagine . Quindi , l’oggetto dovrebbe idealmente essere correlato con le composizioni visive proiettate su di esso.

Il concetto di mapping:  è una pelle fatta di immagini e luce che coprono l’oggetto volumetrico. Una pelle dinamica e flessibile , che si adatterà come un vestito per l’oggetto su cui è proiettata o visualizzata.

La tecnologia, nel  comprendere che la mappatura sta costruendo un dispositivo percettivo composto di luce , immagine, suono , software, hardware , spazio e tempo, architettura, attori e spettatori , e tutti questi elementi insieme, crea un insieme esperienziale e relazionale .

Questi tre concetti sono una chiave importante per noi comprendere e integrare la tecnologia nel lavoro di Konic quando questo include la proiezione di videomapping nel lavoro scenico e lo rende parte di una drammaturgia della performance.Il mapping deve convivere con il testo drammaturgico, con le azioni dell’attore, con la coreografia e i suoni prendendo parte alla narrativa complessiva del lavoro scenico e contribuendo alla tensione e allo sviluppo della performance attraverso le evoluzioni visive.

Possiamo considerarlo come uno spazio trattato, o come una scenografia dinamica , che porterà dinamiche , storie , azioni nel tempo , dalla sua evoluzione audiovisiva . I media coesistono con gli attori e /o ballerini e portano alla performance un altro strato in una gerarchia orizzontale con gli altri elementi che la compongono . Possiamo pensare a un lavoro globale , in cui le diverse discipline e materiali partecipano alla narrazione e composizione dell’opera .  Il pubblico , dalla nostra esperienza , percepisce la performance nel suo complesso ed è spesso sorpreso dal dialogo intimo e in qualche modo magico stabilito tra luce -immagine-suono- oggetto o architettura- e gli attori / corpi , che darà la scala umana e le proporzioni porterà la scala umana e proporzioni umane-finzionali. Quando la proiezione è interattivo , offre una partecipazione diretta del pubblico nella performance , che poi coesisterà con gli attori e poi potrà diventare una parte del mondo fittizio, e fare un ulteriore passo da essere sociale a diventare parte attiva dello spettacolo.

Qual è stato il concept per il videomapping di Girona? 

SI trattava di un intervento in uno spazio pubblico, e questo conferisce una serie di caratteristiche che sono piuttosto differenti dai mapping sulla scena che ho descritto prima. La performance si basava sull’architettura di una facciata ma si basava anche sulla storia dell’edificio. L’edificio è per noi un contenitore dinamico di informazioni che sono state generate nel corso del tempo. Abbiamo esplorato modi per estrarre l’essenza della storia di questo edificio e sintetizzarlo in un viaggio di 14 minuti proiettato sulla facciata. Essendo un vecchio ospedale che aveva a che fare quindi con la vita e la morte di molte persone che sono passate attraverso le sue dipendenze. Questo ospedale conteneva anche la più antica farmacia della Catalogna dove venivano usate piante medicinali. La narrativa video ci porta dal DNA dell’edificio, dalla formazione cellulare della vita, dalla pelle dell’edificio al corpo dell’edificio, le stanze e le piante mediche mostrate nella forma di fotografia presa dall’archivio storico dell’edificio. Alla fine della performance, un punto di svolta evoca la morte, come omaggio a tutte quegli esseri viventi che hanno trovato una fine, è espresso dalle immagini di parti del corpo che sono frammentate ma tuttavia ancora viventi.

 


[1] A. Darley, Videoculture digitali, Milano, FrancoAngeli, 2006, pp.71-74

[2] L’anamorfismo è un effetto di illusione ottica per cui una immagine viene proiettata sul piano in modo distorto, rendendo il soggetto originale riconoscibile solamente guardando l’immagine da una posizione precisa. Come ci ricorda Jurgis Baltrušaitis: “L’anamorfosi – parola che compare nel Seicento, benché si riferisca a combinazioni già note da tempo – inverte della prospettiva elementi e princìpi: essa proietta le forme fuori di se stesse invece di ridurle ai loro limiti visibili, e le disgrega perché si ricompongano in un secondo tempo, quando siano viste da un punto determinato. Il procedimento si afferma come curiosità tecnica, ma contiene una poetica dell’astrazione, un meccanismo potente di illusione ottica e una filosofia della realtà artificiosa.” J. Baltrušatis, Anamorfosi o magia artificiale degli effetti meravigliosi, Milano, Adelphi, 1969, p. 13.

[3] T. Maldonado, Reale e virtuale, Feltrinelli, Milano, 1992, p. 48.

[4] Mirjam Struppek ricercatrice e curatrice è specializzata sul tema dello spazio pubblico e nuovi media; è tra i fondatori dell’Urban screens e  dell’International Urban Screens Association (IUSA).