Presentato in Senato il primo manifesto dedicato all’ambiente della Federazione Italiana Diritti Umani – Comitato Italiano Helsinki realizzato da Imaginarium Creative Studio
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 NO PLANET B by Imaginarium Creative Studio, è il primo dei 12 manifesti del progetto della Federazione Italiana Diritti Umani – Comitato Italiano Helsinki, presentato giorni fa in Senato.

“L’idea è venuta da un fatto realmente accaduto” -spiega Francesca Pasquinucci d IMaginarium-. In spiaggia a Viareggio, una ragazza ha mostrato ai suoi figli una vecchia musicassetta appena trovata in mare, incrostata e intatta nella sua struttura, nel suo involucro e nel suo lunghissimo nastro marrone. Abbiamo così pensato ai suoi possibili effetti distruttivi nel mare: se da una parte il nastro può avvolgersi completamente intorno al corpo degli animali, imprigionando il loro movimento come una piovra che ti strizza con i suoi tentacoli, allo stesso tempo quell’oggetto che rappresenta la musica, intesa come armonia e divertimento se attivato in uno stereo o in un walkman dei suoi tempi, sarebbe invece sott’acqua strumento di una musica distorta e infernale.

foto di gruppo con Pietro Sebastiani, ambasciatore italiano alla Santa Sede, Claudia Laricchia, presidente della Commissione Ambiente e Innovazione della FIDU, Assuntela Messina, Senatrice, Antonio Stango presidente della FIDU,Cristina Finucci, artista architetto e designer, fondatrice del Garbage Patch State, Francesca Pasquinucci, Paola Pardini, direttore del Garbage Patch State.

Personale dell’artista Matilde De Feo | In the Mouth for Cinema per Linguaggi Partenopei, Napoli
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Martedì 16 Ottobre inaugura il secondo appuntamento del progetto “Linguaggi Partenopei” ideato da Dino Morra e Gino Solito, con testi di Valentina Apicerni, e sotto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee.
Artisti del territorio entrano in dialogo attraverso medium differenti con la Sala delle Mura Greche della BRAU – Biblioteca di Ricerca di Area Umanistica della Federico II, un luogo intriso di storia, in cui è ancora possibile creare una connessione tra la cultura del passato e l’arte contemporanea.

“Linguaggi Partenopei” continua il suo programma con Matilde De Feo | In the Mouth for Cinema, saranno presentati quattro video monocanali che mettono in risalto la sua personale ricerca artistica e produzione cross-mediale. Le sue opere sono forme ibride tra scrittura scenica e video, di interazione tra live performance e virtuale, con il leitmotiv in questa occasione della della verbalizzazione del corpo. 
Il sito di Matilde De Feo

Dal bellissimo testo di Valentina Apicerni

Era il 1972 quando con “Your Mouth” Franz Zappa lanciò l’album Waka/Jawaka, lo stesso anno in cui al Lincoln Center di New York va sulla scena “Not I” di Samuel Beckett. Su un palco buio, una figura oscurata e una Bocca femminile logorroica e illuminata dal basso.

Un buco nero di voce, una scena quasi di per sé cinematografica. È di questa immagine che il Times scrisse “in isolation it could be any bodily orfice”, e lo stesso Beckett guardandone la successiva versione televisiva per la BBC ad esclamare “My god, it looks like a giant vulva!”. Organi cavi e umidi. Organi riproduttivi, di specie e di ritmo, ma soprattutto creativi, di vita e di linguaggio. 

I video di Matilde di De Feo, tra cui il sui “Non Io” (2006), sono questa sovrapposizione di forme, un lavoro cross-mediale tra discipline e tecniche, tra pulsioni creative ed erotiche, di interferenze tra corporeità e virtuale.
C’è la phoné, “il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma la musica che sta dietro le parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione”.
C’è l’erotismo, come corpo desiderante, da cui l’ossessione per l’orale, le bocche, ma anche come eros, nella sua accezione di impeto vitale, di cui il corpo e le sue storie sono solo un veicolo. C’è un incessante lavoro di in-maginazione del linguaggio visivo e sonoro, un’immaginazione che si incarna e si verbalizza.
Una sfida ad oggi, in cui la linguistica moderna ci dice che sono le parole a far nascere le cose in quanto conosciamo solo ciò che può essere nominato, ossia che i limiti del linguaggio sono i limiti del mondo conosciuto, ma con Žižek, “questo non ci obbliga a lasciare che esso parli al posto nostro”.
Con Matilde De Feo l’azione performativa e la scrittura scenica si integrano in una rielaborazione elettronica, quindi prettamente contemporanea e sperimentale, che va al di là delle possibili categorizzazioni di video-teatro o digital performance -le categorie tendono sempre alla chiusura- in un lavoro di intersezione di linguaggi, di vite, e di ruoli.

Il “divertissement” interattivo di Orf Quarenghi alla mostra su Pollock a Roma. Intervista all’artista di Anna Monteverdi
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La mostra Pollock e la Scuola di New York, Complesso del Vittoriano sulla pittura gestuale, su Pollock e l’action painting al Vittoriano d Roma ha anche una sezione interattiva a cura di Orf Quarenghi, già collaboratore di Studio azzurro e creatore di speciali dispositivi interattivi per musei ed eventi pubblici: qua  al Vittoriano troviamo un tavolo dove poter esercitarsi nel dripping pittorico. Abbiamo incontrato Orf e gli abbiamo chiesto qualcosa sulla sua installazione ludica.

 

A. Monteverdi: Si dice che Pollock sia tra gli artisti più “riconoscibili” al grandissimo pubblico proprio per il famoso gestus pittorico che tu hai cercato di riprodurre in una modalità digitale. Come lo hai trasformato?

Orf Quarenghi: Si tratta di un divertissement, non di un’opera d’arte, questo è bene premetterlo. L’installazione rappresenta una coda ludica della visita alla Mostra (Pollock e la Scuola di New York, Complesso del Vittoriano). I visitatori possono giocare e “diventare Pollock per un giorno”, come cita la call to action. L’azione consiste nel mimare i gesti dell’action painting di Pollock su un tavolo videoproiettato. I movimenti delle mani vengono tracciati e utilizzati per comporre una grafica realtime che è studiata per simulare un dripping realistico (“fili e goccioloni”). I colori vengono scelti pseudocasualmente: il sistema contiene diverse tavolozze colore campionate da opere reali di Pollock. Quando la sessione di gioco ha inizio, il sistema sceglie casualmente una di queste tavolozze e da lì, periodicamente, sceglie il nuovo colore del dripping.

A.Monteverdi -Puoi descriverci tecnicamente come funziona?

O.Quarenghi C’è un proiettore video in tandem con una telecamera ad infrarossi. Il segnale della telecamera è processato da un’applicazione (OrfWare Mocolo) che identifica i centri di movimento e li trasmette a un sistema di rendering realtime (OrfWare Polipo). Un algoritmo compone questa sequenza di punti in una curva che viene tracciata usando migliaia di sagome di goccioline di vernice.

A.Monteverdi: Oggi sempre più le mostre sono proposti come “emotional experience” da Van Gogh a Modigliani.L’interattività o l’immersività sbandierata da queste società che propongono modalità di visioni con occhiali 3d o immersività addirittura 8k davvero porteranno il pubblico a conoscere meglio l’arte e la pittura?

Orf Quarenghi: Di fronte a grandi proiezioni e ambienti immersivi tendo a diventare analitico e a valutare soprattutto la realizzazione tecnica, purtroppo tendo a perdermi il contenuto e la narrazione. O forse la verità è che c’è poco contenuto e poca narrazione, non lo so. Grandi formati, colori vibranti, molto movimento. Sinceramente mi emoziona di più trovarmi davanti a una coppia di Rothko ben illuminati.

La sensazione è che si tratti più di spettacolarizzazioni che di un approccio culturale e divulgativo.

A.Monteverdi. Nelle Accademie oggi si insegna Multimedialità per i beni culturali, cosa ne pensi e come pensi si possa immaginare una nuova professione di curatore museale  con i new media?

Orf. Quarenghi: In ambito espositivo il video e l’interazione vengono visti come “il cartellone 2.0”. Il che un po’ uccide la ricerca creativa. Oggi esistono player video off-shelf da poche centinaia di euro che contengono tutta la tecnologia necessaria per realizzare ciò che vent’anni fa costruivo per lo Studio Azzurro con sudore, lacrime e sangue (e budget colossali e tempi biblici). Colleghi quattro pulsanti – o sensori di cento tipi diversi – e hai una videoinstallazione interattiva pronta. Il fatto è che a molti committenti questa interattività basta e avanza. Soprattutto se il focus sta nel video – che sia video d’arte o di documentazione.Se il mezzo è il messaggio, allora anche il modello d’interazione è parte dell’opera, e dispiace un po’ vedere che su questo fronte la voglia di esplorare non è poi troppa.

A.Monteverdi. Quali sono le tue installazioni più recenti?

Orf Quarenghi Oltre a quella dedicata a Jackson Pollock. https://www.orfware.com/portfolio/pollock/) ce n’è una che ho dedicato un paio di anni fa al mio pittore preferito di sempre, Paul Klee:

https://www.orfware.com/portfolio/prototree/.

Poi ci sono lavori commerciali, come LightHenge disegnata da Stefano Boeri e realizzata per Edison Energia (https://www.orfware.com/portfolio/lighthenge/), installata in questi giorni a Milano in Piazza 25 Aprile.

A.Monteverdi A proposito del dibattito su A.I. applicata all’arte e Creative robotics, quale è il tuo punto di vista?Questi sistemi aiuteranno a progettare nuove forma d’arte o sarà solo una nuova arte addomesticata al mercato?

Orf Quarenghi Il mercato comanda e segue il gradiente del miglior rapporto di profitto, e quello di arte+tecnologia è un mercato, questo è certo. Altrettanto certo è che continuano ad esserci personaggi dal forte pensiero laterale che cercano e trovano modi di usare strumenti tecnologici per realizzare cose inconsuete e raccontare le loro storie. C’è un mainstream distopico e dispotico (!) che mi spaventa un po’. Conto che ci saranno sempre dei Resistenti ironici, sarcastici e capaci. Spero che il dispotismo del mainstream non li releghi metodicamente nella marginalità. O peggio (sto pensando alla Cina, che mi sembra il modello di futuro più probabile e che non mi piace per nulla).

ORF QUARENGHI

Born 1967 without a definite purpose.
He takes his time until 1982 when he meets a Sinclair ZX 80.
Dazzled, he decides he will grow up as a coder.
Even if a straight path appears in front of him, proceeding in straight lines appears unnatural – as unnatural as coding database applications for banks.
Then he adopts the pinball strategy: bump violently against everything and then bounce away.
He tries to combine computer programming with everything. Study. Music. Graphics. Comics. Creative writing.
On the verge of a TILT in 1996 a collision occurs with a bumper labelled “video-art” and then he bounces at full speed in the tunnel of interactivity.
He finds himself thrown in an unexplored area of the pinball table where he bounces furiously among museums, theaters, academies and workshops, digital video, videogames, CAD-CAM, industrial electronics.
In all this mess, one only solid idea: you must maintain your kinetic energy.

Pollock e la scuola di New York al Vittoriano a ROMA dal 10 ottobre
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Anticonformismo, introspezione psicologica e sperimentazione: arriva a Roma l’action painting di Pollock e dei più grandi rappresentanti della Scuola di New York.

Dal 10 ottobre l’Ala Brasini del Vittoriano accoglie uno dei nuclei più preziosi della collezione del Whitney Museum di New YorkJackson PollockMark RothkoWillem de KooningFranz Kline e molti altri rappresentati della Scuola di New York irrompono a Roma con tutta l’energia e quel carattere di rottura che fece di loro eterni e indimenticabili “Irascibili”.

Anticonformismo, introspezione psicologica e sperimentazione sono le tre linee guida che accompagnano lo spettatore della mostra POLLOCK e la Scuola di New York.
Attraverso circa 50 capolavori – tra cui il celebre Number 27, la grande tela di Pollock lunga oltre 3m resa iconica dal magistrale equilibrio fra le pennellate di nero e la fusione dei colori più chiari – colori vividi, armonia delle forme, soggetti e rappresentazioni astratte immergono gli osservatori in un contesto artistico magnifico: l’espressionismo astratto.

Sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, con il patrocinio della Regione Lazio e del Roma Capitale – Assessorato alla crescita culturale, la mostra è prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con The Whitney Museum of America Art, New York e curata da David Breslin, Carrie Springer con Luca Beatrice.

ORARI

da lunedì a giovedì 9.30 – 19.30
venerdì e sabato 9.30 – 22.00
domenica 9.30 – 20.30
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Aperture straordinarie
Giovedì 1 novembre 9.30 – 19.30
Sabato 8 dicembre 9.30 – 22.00
Lunedì 24 dicembre 9.30 – 15.30
Martedì 25 dicembre 15.30 – 20.30
Mercoledì 26 dicembre 9.30 – 20.30
Lunedì 31 dicembre 9.30 – 15.30
Martedì 1 gennaio 15.30 – 19.30
Domenica 6 gennaio 9.30 – 20.30
(la biglietteria chiude un’ora prima)

BIGLIETTI

Intero 15€ + 1,50€ prevendita
Acquistabile online

Ridotto generico 13€ + 1,50€ prevendita
Acquistabile online:
visitatori da 11 a 18 anni, visitatori oltre i 65 anni con documento, studenti fino a 26 anni non compiuti (con documento)

Ridotto generico 13€ 
Acquistabile solo in cassa al momento dell’ingresso:

Intervista a Anna Maria Monteverdi su Cosmotaxi di Armando Adolgiso
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Intervista sul sito http://www.adolgiso.it/public/cosmotaxi/201809archive001.asp

Ritorna, graditissima ospite, su questo sito Anna Maria Monteverdi in occasione di un suo nuovo libro pubblicato da Meltemi.
Titolo: Memoria, maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage.
Anna Maria è ricercatrice di Storia del Teatro, Dipartimento di Beni Culturali, Università Statale di Milano; professore aggregato a tempo indeterminato di Storia del Teatro presso la stessa Università; professore aggregato di Storia della Scenografia, coordinatrice della Scuola di Nuove tecnologie dell’Accademia ‘Alma Artis’ di Pisa dove è docente di Culture Digitali.
Ha insegnato per 10 anni Digital video e Drammaturgia multimediale all’Accademia di Brera. Ha pubblicato tra gli altri: Le arti multimediali digitali (con Andrea Balzola, 2005); Nuovi media nuovo teatro (2011).

La considero, e non sono il solo, una delle più grandi menti applicate alla storia e all’interpretazione del tecnoteatro. Lo è perché la sua competenza critica non si limita alla parte scenica del nostro mondo tecnologico, ma abbraccia l’intero universo digitale, le sue implicazioni di linguaggio, i suoi esiti sociologici. Com’è possibile notare in questa conversazione che ebbi con lei.

Fernando Mastropasqua ricorda nella Prefazione che già nel 2005, Monteverdi scrisse la prima monografia su Robert Lepage, uno dei maestri della regìa contemporanea. Ora ritorna sulla figura di questo creatore canadese con accresciuta esperienza e rinnovati strumenti critici.

Continua su http://www.adolgiso.it/public/cosmotaxi/201809archive001.asp

 

Alter Itsuki Doi (JP), Takashi Ikegami (JP), Hiroshi Ishiguro (JP), Kohei Ogawa (JP)-Award of Distinction Ars Electronica 2018
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Alter is a robot developed for the purpose of exploring what it means to be “life-like.” In contrast with the OtonaroidAlter appears to be a machine that has been stripped bare. However, it expresses life-likeness through complex movements. These movements may look haphazard, but change constantly due to the underlying algorithm that mimics the logic of neural circuits of living things. A moment of “life-likeness” emerges as you observe closely—what is that moment like? Attempt to find your own answer to that question.

 

Alter does not move in ways that are determined beforehand; rather, the movements made by the entire body are created in real-time. Furthermore, your responses are perceived by sensors and reflected into the movements. Sensors that measure the distance between Alter and human beings observe the movements of the people around Alter, and send signals to the program. A central pattern generator (CPG) creates a basic rhythm that is cyclical, yet gradually deviates from the original pattern. A neural network of 1,000 nerve cells is recreated on the computer, and Alter “learns” life-like activities based on signals sent from the sensors. Based on computer signals that are rhythmic and changing, compressed air is sent through 42 joints to create smooth movements.

Alter was born through cooperation between a researcher of androids, which are robots that appear identical to human beings, and a researcher of artificial life, who attempts to recreate life on a computer. Both researchers ask the same question: “What is life?”—but the hypotheses on that are different.

Biografie:

Takashi Ikegami (JP)Takashi Ikegami (JP) is a professor at the University of Tokyo. He specializes in artificial life and complexity, and has been known to engage on the border between art and science.

Hiroshi Ishiguro (JP)Hiroshi Ishiguro (JP) received a D.Eng. in systems engineering from Osaka University, Japan in 1991. He is currently Professor at the Department of Systems Innovation in the Graduate School of Engineering Science, Osaka University, and Distinguished Professor of Osaka University. He is also visiting director (group leader: 2002-2013) of Hiroshi Ishiguro Laboratories at the Advanced Telecommunications Research Institute and an ATR fellow. His research interests include distributed sensor systems, interactive robotics, and android science.

Kohei Ogawa (JP)Kohei Ogawa (JP) is a robotics and Al researcher at Osaka University, where he has been an Associate Professor since 2017. He is working on a robotics and interaction study.

Itsuki Doi (JP)Itsuki Doi (JP) is a sound artist and a PhD candidate at the University of Tokyo, Graduate School of Art and Science, where he also received his Master Degree of Science in 2015.

Credits:
Supported by Osaka University and Tokyo University

[help me know the truth] Mary Flanagan (US)-a software-driven participatory artwork for Ars electronica
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[help me know the truth] is a software-driven participatory artwork in which visitors first snap a digital self-portrait (or “selfie”) at the gallery. The image is then sent around the gallery’s network and appears on digital stations located around the gallery. Using the tools of cognitive neuroscience, the faces are manipulated with noise patterns to literally, through time and user input, ‘construct’ the perfect stereotype.

On digital stations in the gallery, visitors are asked to choose between two slightly altered portraits to match the text label shown. By selecting slight variations of the images over time, differing facial features emerge from what are otherwise random patterns that reveal unconscious beliefs about facial features or tendencies related to culture and identity.

http://maryflanagan.com/work/help-me-know-the-truth/

 

[help me know the truth] utilizes Reverse Correlation to investigate how psychological responses to people’s faces might uncover both positive and negative reactions to those who visit the gallery. The viewer/participant chooses between two identical selfies, where different computational noise has been applied. The faces appear somewhat blurry, so the viewer/participant chooses one blurry image over another that might match criteria given. The list of prompts for visitors to the gallery ranges from the politically-charged to the taboo: ”Choose the victim;“ falls after “Indicate the leader“ but might lead to the timely, “Select the terrorist.” Other judgements passed by visitors include identifying which face is the most angelic, kind, criminal, etc. Through choosing faces manipulated by particular noise patterns, facial features emerge that reveal larger thoughts and beliefs about how we fundamentally see each other.

 

Why do people—even internationally—tend to gravitate towards similar stereotypes? Bias against ’the other‘ is a dangerous impediment to a just Twenty-First Century society, in part encouraged by our own neurological structures that have not caught up with our lived realities. Hyper-scale image-based categorization is being deployed in government and surveillance programs worldwide. These processes demand our critical attention. Where do we find the “truth“ about each other this way?

[help me know the truth] raises awareness about the unconscious stereotypes we all carry in our minds, and how these beliefs become embedded in myriad software systems including computer vision programs. My intent is to both utilize and question how computational techniques can uncover the categorizing systems of the mind, and how software itself is therefore subject to socially constructed fears and values. [help me know the truth] provokes discussion about the types of biases that surround us: that we are under global technological surveillance is troubling; that the humans involved in crafting these systems, the systems themselves, and the people brought in to make final calls on various warnings, alerts, and arrests are all products of unconscious biases, is troubling. Perhaps software systems do not help us know the truth at all.

Biografie:

Mary Flanagan (US)Mary Flanagan (US) plays with the anxious and profound relationship between technological systems and human experience. Her artwork ranges from game-based installations to computer viruses, embodied interfaces to interactive texts. In her experimental interactive writing, she’s interested in how chance operations bring new texts into being. Flanagan’s work has been exhibited internationally at venues including The Whitney Museum of American Art, The Guggenheim, Tate Britain, Postmasters, Steirischer Herbst, Ars Electronica, Artist’s Space, LABoral, the Telfair Museum, ZKM Medienmuseum, and museums in New Zealand, South Korea, and Australia. She was awarded an honoris causa in design in 2016, was a fellow in 2017 at the Getty Museum, and in 2018 she was a cultural leader at the World Economic Forum in Davos, Switzerland.

Credits:
Thanks to Jared Segal, Kristin Walker, Danielle Taylor; open source RC software by Dr. Ron Dotsch.
Supported by: The Leslie Center for the Humanities, Dartmouth College

La Chute / The Fall, Boris Labbé (FR)-Ars Electronica 2018- Award of Distinction
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As celestial beings descend to Earth vitiating its population, the world’s order unbalances. Initiated by these terms, a tragic fall leads to the parturition of crucial opposites: Hell and Heaven’s circles.

 

Boris Labbé got the inspiration for his film from reading Dante’s Divine Comedy, but it isn’t an adaptation. In fact, the work gives a sensation of being an amplified imaginary creation that draws upon art, myths, and the history of mankind. The artist was clearly influenced by Bosch’s The Garden of Earthly Delights, Bruegel’s The Fall of the Rebel Angels, Botticelli’s illustration of Dante, Goya’s The Disasters of War and Henry Darger’s In the Realms of the Unreal. With La Chute Boris Labbé continues his experimental research with a new sense of narrative, and pursues his work around loops, metamorphoses, and the intertwined processes of degeneration and regeneration.

The artist uses traditional techniques combined with computer composition editing. The animated sequences consist of Indian ink and watercolor drawings on paper (21 x 30 cm), approximately 4,000 original drawings were needed to create the whole film. The multilayered compositing as well as the camera movements were made with After Effects during the process. Boris Labbé works with a small team of artists, technicians, and animation students who help him to assume this laborious and non-conventional working process. Parallel to the animation process, the musical composition was created by the Italian composer Daniele Ghisi. He’s worked with database existing music, mainly string quartets, edited digitally in a complex multilayered electronic music composition.

Biografie:

Boris Labbé (FR)Boris Labbé (FR). After obtaining a DNAP (National Diploma in Visual Arts) at the School of Art and Ceramics in Tarbes, Boris Labbé continued his studies at EMCA – École des Métiers du Cinéma d’Animation in Angoulême, where he produced numerous projects, including Kyrielle, awarded with the Special Jury’s prize for Graduation Films at the Annecy International Animated Film Festival in 2012. Simultaneously, he developed his work as an artist and film director. He spent one year as an artist member at the Casa de Velázquez in Madrid, Academy of France in Spain. Later on he started his collaboration with Sacrebleu Productions and directed the short films Rhizome (2015), which was awarded the Grand Prize at Japan Media Arts Festival in Tokyo, and the Golden Nica at Prix Ars Electronica in Linz. La Chute (2018) was selected for special screenings at the 57th Semaine de la Critique, Cannes Film Festival.

Credits:
La Chute (The Fall) is an animated short film directed by Boris Labbé and his second collaboration with Sacrebleu Produtions after his last project Rhizome (Golden Nica, Prix Ars Electronica 2016, Computer Animation, Film, VFX).

Produced in France by Sacrebleu Productions, in association with Boris Labbé, La Chute received support from CNC, Ciclic Animation, Fondation Jean-Luc Lagardère, Strasbourg Eurométropole, France Télévisions, and Procirep – Angoa and Sacem.

Director: Boris Labbé
Music: Daniele Ghisi, www.danieleghisi.com
Producer: Sacrebleu Productions, Ron Dyens
Animation: Boris Labbé, Armelle Mercat, Hugo Bravo, Capucine Latrace
Animation trainees: Claire Boireau, Edgar Collin, Johann Etrillard, Jean Gégout, Alexis Godard, María José Suárez
Compositing: Boris Labbé, Sami Guellaï
Calibration: Yves Brua
Mixing: Régis Diebold

BIO

Graphic artist from his beginning, Boris Labbé has been developing, over the last eight years, an approach in animated video. Experiment after experiment, the film he develops tend to leave the spatio-temporal pattern imposed by the classical cinema, evolving towards video installation devices that include major technological revolutions of the past century, crossed with the latest digital technology generations. All his videos, like a part of the experimental film heritage have the emblem of the palingenesis, concept making both appeal to the loop and regeneration : cyclical return of the same events ; regular reappearance of ancestral characters ; perpetual return to life.

Boris Labbé was born in 1987 in Lannemezan (Hautes Pyrénées, France).
He lives and works between France and Spain (Madrid).
He studied at the School of Fine Arts in Tarbes (ESACT) and in the school of animated film in Angoulême (EMCA) until 2011. Then he was member of the Académie de France in Madrid, as resident at the Casa de Velázquez (2011-2012). After that he was in residence at the HEAR – Haute école des arts du Rhin (oct – dec 2013), as well as at CICLIC Région Centre (apr – dec 2014), and in ESCY in Yssingeaux (nov 2015 – apr 2016) in partnership with the DRAC Auvergne and VIDEOFORMES.

His work has been shown in contemporary art exhibitions in France, Spain, Canada and Japan as well as in over one hundred international film and video festivals.
He received many prizes for his work, so as the Special Jury Prize at the Annecy festival in 2012 forKyrielle, the prize for the Best video installation in roBot festival in Bologna and in the Multivision Festival in St. Petersburg for Danse macabre (2013) among others.
This video installation, exhibited in Montreal (March – May 2016), is now concerved in the Cinémathèque Québécoise collection.

At last, after a short tour around the world and several distinctions in renowned festivals (Annecy, Fantoche, BIAF, CutOut Fest, Stuttgart…), his latest short film Rhizome (2015), produced by Sacrebleu Productions, has been awarded by the Grand Prize at Japan Media Arts Festival in Tokyo and the Goden Nica Animation at Festival Ars Electronica in Linz.

130 – il documentario di Lorenzo Magnozzi in Alma Artis Academy. Proiezione giovedì 10 ottobre ore 18
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130 – il documentario

regia e sceneggiatura di Lorenzo Magnozzi

giovedì 10 ottobre 2018 – ore 18.00

ALMA ARTIS PISA  via Santa Maria

La storia ed il lavoro dietro le Cave Michelangelo di Carrara (Italia), uno dei posti più selvaggi e inospitali raccontato da Franco Barattini,  che lega il suo nome al marmo più esportato del mondo.

“Questo documentario nasce dalla necessità di unire in un unico progetto tutte le capacità in campo artistico acquisite durante questi anni di accademia, dalla musica e sound design che sono la mia specializzazione e il mio lavoro, fino al video, al cinema, alla regia, la sceneggiatura, montaggio e tutta la post-produzione audio/visiva.
Un lavoro  durato sei mesi, iniziato con la presa diretta ufficialmente a metà aprile del 2018 e concluso a settembre. 
Un’esperienza lavorativa unica e difficile da descrivere a parole, un’esperienza che più di altre mi ha fatto crescere a livello artistico e organizzativo, un’esperienza che mi ha portato ad organizzare per la prima volta in vita mia un documentario, dall’idea alla realizzazione finale che mi fa essere molto felice e soddisfatto del risultato finale.” Lorenzo Magnozzi

https://www.facebook.com/lorenzo.magnozzi/videos/10216102686267182/?t=10

 

Tomi Janežič: il teatro libera la creatività. Kong Ubu in Norvegia
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SCRITTO DA ANNA MARIA MONTEVERDI

Il regista sloveno Tomi Janežič affascinato da Tarkovsky e da Grotowsky, ha fatto suo, come è noto  rinnovandolo e adattandolo, il metodo dello psicodramma di Jacob Levi Moreno, come  lui stesso spiega: “Una delle definizioni di Moreno era che lo psicodramma non è che un metodo per scoprire la verità con metodi scenici. Non aveva in mente una verità assoluta, ma una verità di una persona e di un gruppo in un preciso momento. Le creazioni attoriali possono crescere in un modo molto organico, partendo dalle tecniche psicodrammatiche. Ed è impossibile che non crescano, perché l’esperienza che suscitano è molto viva (l’azione coinvolge completamente il nostro corpo, le emozioni, la mente, l’immaginazione). Si creano dei rapporti, si creano delle immagini, situazioni, scene molto forti e simboliche perché con questo metodo l’inconscio é libero di esprimersi. Si capisce in un modo penetrante, la storia o un personaggio. Lo psicodramma può essere, oltre che un metodo per esplorare, capire e stare meglio con se stessi e gli altri, anche un modo per esplorare e per capire meglio la propria creatività, la propria arte”.

Al suo “sanguigno” Gabbiano applaudito a Fabbrica Europa nel 2014, considerato ormai, un “classico cechoviano”, è seguito quest’anno su commissione del Trøndelag Theatre di Trondheim (Norvegia) un Kong Ubu davvero singolare.

Il teatro, oggi diretto da Kristian Seltun, fu fondato nel 1937 dall’attore Henry Gleditsch fiero oppositore dell’occupazione tedesca in Norvegia, che pagò il suo attivismo antinazista con la vita, nel 1942. Lo spettacolo è andato in scena il giorno della triste notizia della morte, all’età di 49 anni, di Jernej Šugman, tra i più noti attori teatrali sloveni e curiosamente, proprio interprete principale del pluripremiato Ubu Re diretto da Jernej Lorenci.

Foto tratte dal sito del TEATRO. Trøndelag Theatre

Tomi Janežič ci racconta che UBU Re, scritto nel 1897 da Alfred Jarry e a cui Antonin Artaud dedicò il suo teatro, non è in realtà, così famoso in Norvegia e che per lui il testo era un modo per raccontare non solo la politica e il potere tramite caricature sovra dimensionate, ma anche l’incontro con l’inconscio, con l’irrazionalità, con il sogno e le connessioni associative, con le coincidenze: “C’è una presenza di morte, di violenza, di guerra, di assurdità: lo spettacolo pone delle domande sulla libertà e sulla schiavitù. E’ abbastanza difficile parlare dello spettacolo perché è come un viaggio mentale, una fantasia o un sogno che non serve per scappare ma per confrontare le realtà (sociali e inter/personali) che viviamo”. Lo spettacolo è il risultato di una creazione allargata agli attori: per interpretare la follia di un potere vorace e degenerato si sono basati sui film di Jodorowsky mescolati a eventi personali:  

“E’ uno spettacolo con molta dedizione all’aspetto visivo e tecnico, ed è stato preparato a lungo”. Curiosa la traccia del programma: “La nostra performance? Una “merdosa”’esplosione onirica artistica del mondo UBU – ma non è forse il mondo in cui viviamo? –. Ecco, il nostro piccolo omaggio all’uomo che prima di morire ha chiesto uno stuzzicadenti”.

What is épica? #FuradelsBaus
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CREATION CENTER SUPPORTED BY THE GOVERNMENT OF CATALONIA

Throughout 36 years La Fura dels Baus has developed a method that goes beyond individualities and is articulated around collective work and amalgamation of talent. Now, via Èpica, La Fura wants to project both its creative solvency and its method’s success through a center that reunites learning and experiencing when it comes to creative projects.

Èpica starts out from a central idea: learning is the result of sharing knowledge and experiences. That is why it will build itself on the collective work of different creators, professionals, technicians and scientists who will carry out projects which will later be validated by society through their exhibition.

 

Èpica Foundation’s headquarters are located in an old industrial building remodeled according to the center’s operations. It has several spaces prepared to carry out all kinds of activities, workshops and performances, from a large central room where group exercises are practiced to various areas, corridors and basements through which the audience is walked around during the shows. It is a space in a state of constant improvement that continues to grow and transform with each new activity.

Workshop #09 03/12/2018

Information vs Memory

Based on previous research carried out by various entities specialized in different disciplines, workshop participants will develop a polivocal work that will culminate in a final performance before an audience.

Intervallo! L’opera video di Rakele Tombini e Francesco Elelino 
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# INTERVALLI – Rakele Tombini e Francesco Elelino

Al POMEZIA LIGHT FESTIVAL i loro intervallo  dal gusto “vintage” segnalava l’avvicendamento degli artisti sul palco del live set FUN at BEACH

Quello che questa opera vuole trasmettere e l’immagine di un luogo inteso come “coscienza”, omologata attraverso l’utilizzo dei media. Videoproiezioni che hanno come oggetto informazioni televisive e che, tramite immagini digitalmente modificate e glitch art, trasmetteranno l’idea di video come scarto.

 

Urban Media Art. Non solo videomapping. Dalla New Media Façade alla Connecting city art Project alla Projected AR Art.
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Il videomapping non è tramontato ma si è trasformato, dando vita a innumerevoli forme di “projection art”  diventate “projected AR art”.

La prima trasformazione riguarda la tecnologia sempre più semplificata e accessibile e il software sempre meno complicato da usare (scanner 3D da montare direttamente sul proiettore per scansionare la scena); la seconda riguarda la modalità di storytelling.

 Lightform  ha reso questo processo con un sistema hardware e software che permette di scansionare la scena e aggiungere contenuti anche interattivi, semplice e veloce; questa modalità sempre più automatizzata di creazione del videomapping sta portando a una normalizzazione della tecnica, usata in modo massiccio.

Lightform: Design Tools for Projected AR

Anche gli oggetti in movimento e non rigide o uniformi possono essere mappati nell’ambito della Dynamic projection mapping da un paio di anni a questa parte con un software di motion tracking e grazie alla ricerca dell’ Ishikawa Watanabe Laboratory. La differenza come spesso accade, la faranno i contenuti e l’originalità di proposta estetica.

In questo senso vale la pena di parlare dei videomapping di Akira Hasegawa con i suoi Digital (Digital Kakejiku) basati sullo spirito giapponese della transience. Il Kakejiki è una antica forma d’arte pittorica realizzata su rotolo di pergamena. Proiezioni su architetture a stretto contatto con la natura come il Kanazawa Castle, vengono “aumentate” da immagini aventi un movimento lentissimo che sembra ben armonizzarsi con il tema filosofico giapponese dell’impermanenza. Dice l’autore: D-K is an art seen with the mirror of the mind -though there is physically a limit in D-K of the seen space- and it is realization of the soul of Zen meditation culture.

Elenchiamo alcuni progetti di Media Urban Art:

1.Megaphone di E.Paquette e A. Lupien (MOMENT FACTORY).

MOMENT FACTORY

Dallo speaker’s corner alla facciata  urbana che amplifica la tua voce e la tua idea. A Montréal nel 2013 nel Quartier des Spectacles nell’ottobre 2013 viene presentato un progetto di arte urbana politica che si concretizza a seguito di una mobilitazione sociale nel 2012 al tempo del “Moble Spring” che portò nelle strade a manifestare migliaia di giovani e studenti. Quest’opera già nel 2013 metteva in discussione il vero potere dei social richiedendo come alternativa, un ritorno alla piazza luogo naturale per una rivendicazione politica e sociale. Si concretizza come una gigantesca proiezione interattiva di parole nella facciata dell’UQAM con 8 proiettori da 20 mila ansi lumen. Come i partecipanti prendono la parola al microfono la loro voce viene trasformata in tempo reale in immagini di scritte proiettate, lasciando una traccia di ciò che ha detto. L’attività straordinaria del gruppo spazia da show multimedia a pubblicità a videomapping spettacolari a visual giganteschi per concerti col motto di DO it in Public https://momentfactory.com/work/shows/signature-shows

2. Al Pomezia Light Festival la meravigliosa “scatola del vento” del duo FANNIDADA, 

La mappa del POMEZIA LIGHT FESTIVAL

SCATOLA DEL VENTO è una proiezione a energia eolica su schermo artigianale montato su una bicicletta. Questo progetto che manipola video in modo analogico artigianale (da loro riassunto con l’espressione Analogico metamorfico) unisce tante anime, dall’utopistica macchina del sogno alla macchina celibe di Duchamp dal sapore avanguardista fino all’amore per l’energia (e arte) pulita, verde. Come ha commentato Lino Strangis, uno degli spettatori del Pomezia Light Festival: Quest’opera sopravviverà al disastro energetico, quando tutti i Big Data scompariranno dalla faccia della Terra!. Animatori della Comunità Creativa Cavallerizza Irreale di Torino hanno un’idea di ritorno all’analogico seguendo le riflessioni della studiosa di etsetica, Rosalind Krauss: Reinventare il medium:

Quando il nostro percorso nelle arti visive è approdato al video abbiamo sentito la necessità di ristabilire un contatto fisico con le immagini ormai annullato dalle tecnologie digitali. Coniugare la fisicità della materia con l’astrazione del digitale è un cammino che abbiamo intrapreso alla ricerca di un dialogo, non privo di complessità, tra due mondi all’apparenza molto lontani nel tentativo di definire un approccio post-digitale.1Ispirati dal testo di Rosalind Krauss “Reinventare il medium” abbiamo rivolto la nostra ricerca sul segnale video che utilizziamo come materia sulla quale intervenire direttamente senza nessuna mediazione di altre tecnologie se non quelle necessarie a trasmettere il segnale. Per stabilire un contatto con le immagini digitali occorre innanzi tutto convertire il segnale video digitale (HDMI) proveniente dalla videocamera in formato analogico (VGA); quindi interrompere il flusso elettrico che consente la visualizzazione delle immagini per poi ristabilire il contatto utilizzando le mani come conduttore; infine riconvertire il segnale analogico (VGA) in formato digitale (HDMI) per la registrazione. Il contatto delle mani con il segnale analogico dà origine nelle immagini a variazioni cromatiche uniche ed infinite che abbiamo denominato Analogiche Metamorfosi. Tutto questo è possibile grazie alla presenza dell’acqua nel nostro corpo che, in virtù delle sue caratteristiche fisiche di conducibilità elettrica, contribuisce a trasferire una parte di noi, della nostra storia, delle nostre emozioni nelle immagini. Così l’acqua, scomparsa dalla tecnica di produzione delle immagini digitali, torna a prenderne parte sia sul piano fisico che simbolico. Non solo le mani consentono di ristabilire un contatto con le immagini digitali, ma è possibile utilizzare anche altri elementi solo se questi contengono acqua o è l’acqua stessa, mentre preferiamo non utilizzare i metalli poiché per le loro caratteristiche fisiche di conducibilità elettrica non necessitano di acqua. Ogni elemento che entra in contatto con l’immagine non è solo un semplice strumento che consente il passaggio della corrente elettrica ma, con il suo carico di storie legate alla percezione, alla sensibilità ed alla conoscenza umana, porta ad una nuova produzione di senso, forse ad un vero e proprio linguaggio. Il flusso cromatico che si genera da questa interazione rende l’immagine digitale instabile e imperfetta ma risponde a un «tentativo di trovare modi di raffigurare il mondo che sfuggano alla trappola del naturalismo» e della semplice rappresentazione poiché crediamo che “per comprendere com’è davvero il mondo bisogna interessarsi ai diversi modi in cui vengono create le immagini”.

3-18 diciembre de 2018 Information vs. Memory workshop -FURA dels BAUS
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Fundació Èpica (Carrer Velázquez, 36-56, 08911 Badalona, Barcelona)

Place Fundació Èpica (Carrer Velázquez, 36-56, 08911 Badalona, Barcelona)

Fee Gratis euros

Published 04/10/2018

The Information vs. Memory workshop aims to promote the coexistence of humanities, science and technology in a performative context. Based on previous research carried out by various entities invited by the Èpica Foundation and specialized in different disciplines (neuroscience, biology, gastronomy, supercomputing, active aging…), workshop participants will develop a polivocal work that will culminate in a final performance before an audience.

Professional, semi-professional and interested persons over 18 years of age and coming from any discipline (actors, performing arts technicians, plastic artists, scientists, technologists, mechanics, researchers in any field…) will be able to access the course. The objective is to work with a heterogeneous group in order to favor the exchange of knowledge and experiences essential for the workshop.

A total of 20 participants will be selected from among the candidates who apply. The selection will be made according to curriculum, and both academic and professional experience will be taken into account. To apply for the course, those interested should send their cv to info@epicalab.com under the subject “Information Workshop” before October 29th, 2018. Find more information about the workshop on Èpica Foundation website.

https://epicalab.com/

Going ‘Round city. Contact-zone di Vanessa Vozzo e Laura Romano.
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Sempre più Festival propongono percorsi urbani – alternativi, periferici, storici – munendo le persone non più solo di audio-guide ma di App da scaricare sul proprio cellulare.

I riferimenti visivi, filosofici, urbanistici possibili per questo nuovo modo di fare “urban experience” sono molteplici e vanno dal fantascientifico progetto The Walking City di Ron Herron del 1964 (visionario progetto di una città vivente, di una città organismo modellabile e modulabile nonché adattabile agli ambienti circostanti) alla psicogeografia dei Situazionisti legata alla “teoria della deriva” di Guy Debord del 1956. Dagli elementi mobili della città al nomadismo urbano vissuto con un certo margine di creatività, spaesamento e aleatorietà.

Ispirata direttamente all’idea visionaria del gruppo Archigram è l’opera video Walking city del gruppo Universal everything di Matt Pyke vincitore del Premio di Ars electronica nel 2014 per la sezione Computer animation dove una figura astratta in 3D nel corso di una camminata percorre grafica, design, animazione e ovviamente architettura assorbendone le forme.

Grandi suggestioni per un progetto creativo possono venire dallo storico volume di urbanistica L’immagine della città di Kevin Lynch il cui centro focale è la conoscenza del territorio per poter individuare l’identità del luogo, della città e poterla riprogettare. Conoscere una città significa identificare come leggibili alcuni dei suoi tratti peculiari che nella loro relazione con l’osservatore e abitante si possono suddividere in 5 punti che costituiscono l’immagine ambientale: percorsi, margini, nodi, riferimenti, quartieri; a questa geometria immaginaria si unisce l’immagine della città legata all’esperienza, all’emotività e alla relazione individuale che ciascuno intreccia con i suoi spazi (identità, struttura, significato).

PH. Anthony Chappel Ross, York Gallery

Proprio al libro di Lynch sembra ispirarsi il recentissimo progetto Contact-zone dell’artista digitale e curatrice d’arte Vanessa Vozzo e Laura  Romano che parte da una ricerca condotta insieme con il Politecnico di Torino, sui concetti di “confine/frontiera come limite geografico, spazio politico, dispositivo di governo su corpi e territori. Il confine fisico terrestre e marino tra gli Stati si frammenta e riconfigura all’interno delle città producendo un dialogo tra nuovi arrivati e abitanti insediati. Siamo il frutto di spostamenti, migrazioni e movimenti ma i nuovi flussi migratori sembrano mettere fisicamente in crisi gli spazi urbani. Il progetto si concentra sulle contact-zones cittadine concependole come nuovi spazi di interazioni possibili. Il progetto si avvale di locative media e interactive media art per realizzare istallazioni, performance, percorsi e tracciamenti. I contenuti audiovisuali seguono un modello narrativo e/o di contro-narrazione con l’obiettivo di riconfigurare la contact-zone attraverso un processo di embodiment, che faccia ri-percepire lo spazio urbano”.

Il pubblico viene invitato a fare un giro intorno a zone che conosce bene ma che sembrano stranamente insolite: piazze frequentate, luoghi di passeggio. Attraverso una specifica APP viene invitato via cellulare a fermarsi, guardarsi intorno, sentire suoni e musiche, poesie, percorrere delle strade, guardare chi le attraversa, osservare anche dei contenuti aggiunti via GIF. Il primo step del progetto è stato un laboratorio guidato da Vanessa Vozzo fondatrice di Officine sintetiche durato 15 giorni, che ha coinvolto 8 studenti dell’Università, del Politecnico e del Conservatorio di Torino e ha portato alla realizzazione di un prototipo di applicazione telefonica in fase testing. Un percorso che mette insieme Urban Studies, Interactive Documentary e Arte Contemporanea attraverso una particolare e suggestiva passeggiata intorno a Palazzo Nuovo accompagnati da suoni, voci, foto, cinemagraphs.

L’Intelligenza Artificiale e la Robotica salverà il mondo (o almeno il Teatro)? cap. 1 ROBOTICA
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Articolo di Anna Monteverdi

Girare per eventi come Ars Electronica di Linz o il Festival della Robotica di Pisa ti fa capire come alcuni concetti tecnici abbastanza difficili  (Realtà aumentata, Robotica, Intelligenza Artificiale) siano diventati non solo pratica quotidiana ma ambiti già ampiamente frequentati e applicati con qualche egregio risultato, anche all’arte e al Teatro.

Se è superata facilmente  la prova dell’ “efficacia computazionale” non altrettanto agevolmente si supera la prova dell’efficacia sul pubblico. Anche in questo caso il consiglio è evitare di recuperare documentazione dalla rete e tentare di capire “dal vivo” cosa significhi davvero fare esperienza di teatro con Robot, con visori immersivi, con l’ausilio di un algoritmo di intelligenza artificiale.

Vogliamo parlare di alcune esperienze viste e fatte in giro per Festival.

  1. L’onnipresente automazione nell’industria 4.0 ha reso, anche grazie a varie pubblicità (marchi di automobili per esempio) il robot Kuka molto familiare. Il braccione che sostituzione l’uomo negli impianti di produzione ad elevata automazione non esaurisce la sua attività dentro una catena di montaggio ad assemblare pezzi perché da qualche anno si è sviluppato un ambito piuttosto curioso definito CREATIVE ROBOTICS. L’icona è proprio il braccione arancione Kuka che ha fatto venire in mente le più strane e bizzarre applicazioni agli artisti al punto che Ars electronica di Linz dl 2017 gli ha dedicato una sezione,

    Ecco altri esempi sempre da ARS ELECTRONICA 2017  questa impressionante opera DOING NOTHING che usa un braccio robotico KUKA Quantec prime controllato in tempo reale dal  KUKA mxAutomation interface. La particolarità dell’opera è che adatta la sua coreografia sull’immediata interazione con il pubblico. Il software usato per l’automazione industriale  HMI/SCADA di COPADATA   dà la possibilità di unire i dati raccolti dagli scanner laser e dalla coreografia preprogrammata, visualizzarli e farli passare attraverso il cloud Microsoft Azure. Emanuel Gollob (emanuelgollob.com) con  Johannes Braumann (UFG, Laboratory for Creative Robotic)

  2. ma nel 2015 il braccione robotico in tandem con proiezioni era diventato una delle star dell’Expo di Milano nel padiglione coreano.

    Il settore del fashion design aveva utilizzato il robottone anche per le sfilate. Famosa quella di Alexander McQueen uno dei più geniali e trasgressivi stilisti della nuova generazione morto nel 2010, che spesso usava tecnologie per i suoi fantascientifici abiti in sfilata.

  3.  

    Le applicazioni nel mondo dell’arte sono diventate numerose; nel mondo del teatro sta spopolando il ROBOT YUMI a due braccia che dirige l’orchestra con il tenore Andrea Bocelli che si presta a questa insolita performance a Pisa. La mobilità del braccio sarebbe quello che lo rende più simile all’uomo, in questo caso a un conductor, L’addestramento un po’ lungo, e forse ci si chiede quale utilità ci sia nel replicare una cosa che un uomo può fare e meglio, ma non ci sono limiti allo show business. E infatti l’attrazione del robot che dirige l’orchestra ha fatto l’effetto sperato in termini di pubblicità, pubblico, media ecc Trattasi di un’unità dual-arm progettata da ABB per settori industriale, che ha appreso i movimenti da eseguire con la  tecnologia Lead-Through Programming a imitazione del direttore  d’orchestra Andrea Colombini. La sincronizzazione  musicale è stata efatta con il software RobotStudio.

    https://www.youtube.com/watch?v=Bl1NlHJGWAw

    L’applicazione in teatro con il robot KUKA come interprete è qualcosa di più recente ma ancora una volta sono grandi Festival di tecnologia ad accaparrarsi l’evento TED conference (2015, Vancouver)e ARS electronica : a loro il merito di aver aperto la strada a un’originale espressione d’arte  teatrale robotica.il taiwanese Huang Yi & KUKA si presentano in un ballo a due a ritmo di un violoncello suonato da Joshua Roman. Colpisce la perfetta sincronizzazione, che non può essere frutto solo di una strabiliante programmazione informatica. Qui per maggiori dettagli https://laughingsquid.com/dancer-performs-ballet-with-single-arm-robot/

    Ad Ars electronica il criptico e infernale participative robotic performance project INFERNO di BILL VORN e Louis-Philippe Demers. 

     

    http://prix2016.aec.at/prixwinner/19611/

    Questo esoscheletro viene fatto indossare da attori ma anche da spettatori rapiti. Una riflessione sulla natura del controllo, sia della macchina che umano,  forzato o volontario,  che aveva anticipato già Marcel.lì Antunez Roca con EPIZOO  che era una riflessione sul Cyborg emerso alla fine degli anni ’80.

  4. Quest’anno ricompare il robot Kuka a danzare mentre la Berlioz Orchestra suona e i danzatori creano coreografie contact di danza urbana con la compagnia SILK Fluegge. sulla musica di Symphonie Fantastique di Berlioz in occasione della Grande Concert Night .
    . La coreografia prevede anche un momento di assolo del robot danzante. Elastici collegati al braccio robotico creavano coreografie aeree di grande impatto.
  5. Nell’intervista la danzatrice Silke Grabinger: dice significativamente a proposito del punto di contatto tra robotica e corpo del danzatore:  Si tratta di trovare qualità e perfezione nell’imperfezione. C’è il corpo che può fare certe cose, puoi allenarlo, ma non puoi mai ripetere un movimento uno a uno. È impossibile Ho ballato lo stesso assolo 1117 volte, ma c’erano 1117 versioni diverse di esso, anche se si tratta dello stesso movimento. Un movimento in sé non è mai imitabile. La ricerca della perfezione esiste, ma in realtà è un fallimento perpetuo. Ci sono sempre piccoli errori che hanno nuove possibilità di reinterpretare le cose. Se ora ci scontriamo con la robotica, con una perfezione apparentemente diversa, ma certamente anche con errori, questo apre anche la porta a nuove interpretazioni. 
    Credit: vog.photo

     

  6. una danza molto meno coreografata questa di The giant robot dance sempre col braccione KUKA

    Anche l’applicazione musicale non è male: ci prova con AUTOMATICA  Nigel Stanford, il robot drummer mi sembra funzioni benissimo!

FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA ROBOTICA 2018 Pisa. SESSIONE “ROBOTICA E TEATRO” a cura di Massimo Bergamasco 1 OTTOBRE (9.00-13.00), DOMUS MAZZINIANA
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FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA ROBOTICA 2018

SESSIONE “ROBOTICA E TEATRO”, 1 OTTOBRE 2018, (9.00-13.00), DOMUS MAZZINIANA, Via Giuseppe Mazzini 71, Pisa
La sessione verterà sull’utilizzo delle nuove tecnologie, quali la robotica, gli ambienti virtuali e altri strumenti immersivi audio-video, l’intelligenza artificiale, per il teatro e la drammaturgia, analizzandone opportunità e limiti relativi agli specifici aspetti della pedagogia, della messa in scena, della performance, e degli effetti scenici. Esperti del settore illustreranno l’impulso che tali tecnologie possono offrire all’arte performativa, alla creazione di ambientazioni dinamiche e adattive, alla spazializzazione scenica e all’interpretazione, alla traduzione dei processi interiori degli attori, e agli effetti di presenza che informazioni immersive sonore e grafiche possono stimolare negli spettatori.
Relatori:
Massimo Bergamasco: Introduzione
Pietro Bartolini: Attore, avatar e robot – il nobile artificio della costruzione del personaggio
Marcello Carrozzino: Ambienti immersivi come palcoscenico virtuale per la drammaturgia e la pedagogia teatrale
Anna Maria Monteverdi : Marionette, automi e scene meccaniche dall’avanguardia a oggi
– Dario Focardi e Pericle Salvini: Teatro e Scienza, A che punto siamo?

LABSELF di TONI GARBINI. Laboratorio teatrale interdisciplinare a Sarzana (SP)
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“Labself”, percorso formativo di teatro, video e cinema, organizzato da Toni Garbini apre le porte presso la Sala Ocra dell’ex mercato di piazza Terzi a Sarzana. Il laboratorio, partendo dal teatro, si muove verso il video e il cinema (sono infatti previsti degli incontri di approfondimento dedicati), tutti possono partecipare (anche chi frequenta, o ha frequentato già un corso solo teatrale) per sviluppare le proprie possibilità espressive e giocare con la propria identità.

Sabato 29 settembre ore 15 sala ocra Sarzana piazza Terzi seconda presentazione di LABYOURSELF! un percorso tra teatro e immagine con la collaborazione di Erman Pasqualetti e Michele Salimbeni! un laboratorio innovativo! (lo dice anche Dan)😬 UN PERCORSO APERTO A TUTTI (anche chi non desidera andare in scena): DALLA LETTURA E COMMENTO DI UN TESTO ALLA REALIZZAZIONE DI UNA MICRO SCENEGGIATURA INDIVIDUALE!

Associazione Culturale TEATRO OCRA
Via Canalburo, 139 19038 Sarzana (SP) e-mail. toniteatro@libero.it
tel. 0187 625807
328 1047139/348 8229334

PH LUCA GIOVANNINI

“A View from Within (Endophysical Robotic Perception)”-Festival della Robotica-Pisa, 28 settembre
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-“A View from Within (Endophysical Robotic Perception)

28 Settembre 2018 alle ore 19.00  presso il Museo Della Grafica, Palazzo Lanfranchi, Lungarno Galilei 9, Pisa

 -“A View from Within (Endophysical Robotic Perception) – Phase 2  che si terra’ il giorno 28 Settembre 2018 alle ore 12.00 presso  la Domus Mazziniana, Via Giuseppe Mazzini 71, Pisa

 

 

 

IN libreria Adriano Fabris: Etica per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione
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In che modo le tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno cambiando la nostra vita? Come possiamo interagire correttamente con i dispositivi che utilizziamo sempre di più? Come possiamo abitare in modo sano i mondi virtuali a cui tali dispositivi danno accesso? Per rispondere a queste domande, il libro approfondisce anzitutto i concetti di fondo che ci permettono di capire le varie tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Discute poi, in prospettiva deontologica ed etica, i problemi legati all’uso dei dispositivi più diffusi: i computer, gli smartphone, i sistemi automatizzati di comunicazione. Esplora infine gli ambienti virtuali a cui le tecnologie dell’informazione e della comunicazione danno accesso, con particolare riferimento a Internet. In sintesi, offre una bussola etica per navigare nel gran mare delle tecnologie comunicative, e per non annegarvi.

EDIZIONE: 2018

Editore: CAROCCI

COLLANA: Quality paperbacks (529)

ISBN: 9788843093038

Una città inondata di luci! Successo per la seconda edizione del Pomezia Light Festival.
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Dopo la prima sfavillante edizione del Pomezia light Festival organizzata lo scorso anno da Opificio in collaborazione con il Comune (ventimila presenze in tre giorni, 14 opere e 30 artisti coinvolti, e 4 masterclass con esperti), che ha riunito giovani artisti, organizzatori, progettisti per lavorare insieme a un’idea nuova di città su cui puntare anche per sviluppare una diversa economia del territorio, quest’anno il Festival (che aveva anche un significativo titolo: Smart city) ha ripetuto se non addirittura aumentato, il numero di spettatori e il consenso generale all’evento artistico. Prova della riuscita dell’evento è anche l’attenzione di tantissimi giornali e media sull’evento.

Pomezia Light Festival si colloca così tra i primissimi festival di luci italiani e sale sul podio principale per la qualità dei progetti artistici selezionati e per la comunicazione dell’evento. Opificio ha voluto estendere anche ai ragazzi delle scuole superiori la possibilità di fare esperienza di cinema, video e fotografia coinvolgendoli a documentare le tre giornate di Festival e dedicando loro giornate di studio con esperti del settore. I risultati si vedono sui social: le immagini del festival fanno capolino ovunque, sparse tra instagram e twitter. Nella serata di apertura del venerdì 21 settembre e nella sera di sabato e domenica, un mare di persone ha letteralmente invaso Pomezia: le luci si sono accese alle 21.30 con il videomapping sulla Torre scandito da un ricordo dell’incendio storico dell’edificio e da grafiche 2D e 3D davvero di impatto.

Intorno, ai primi piani nel Palazzo comunale adiacente la Torre Civica, piccole storie determinavano una drammaturgia fatta di luci e corpi: dalle finestre si mostravano ritmicamente figure strane, sottolineate da geometrie di luci, che si muovevano in una sintesi visiva magnifica con la regia di Roberto Renna. Erano dentro un quadro di colori, erano pitture in movimento, quasi istantanee, sogni, visioni, come in uno di quei magnifici affreschi teatrali di Bob Wilson. Teatro, luci e suoni aprono così il Festival che si snodava in vari percorsi. 15 “stazioni” ospitavano installazioni video, quadri luminosi, opere create col neon, piccole azioni interattive di luci, proiezioni sul viale alberato. 

All’interno della Torre civica di Piazza Indipendenza erano ospitate alcune installazioni di light art, di glitch art, sculture digitali: percorrendo le strette scale ci si trovava dentro l’architettura più famosa di Pomezia, simbolo della città, l’ultima “città nuova” fascista nata alla fine degli anni Trenta e che è stata proprio oggetto di una conferenza in programma a cura di Daniela De Angelis. Altre conferenze hanno approfondito il tema dei linguaggi artistici: la televisione (con Roberto Renna), il suono (con Stefano Lentini), il walkabout (con Carlo Infante), il teatro (con A. Monteverdi).

Queste le opere: Art&Neon di Marco di Napoli; Trittico di Fabrizio Sorrentino; New folder di controllo remoto, L’evocazione di Carlo Flenghi, Space dislocation di Nerd Team, 1+1=III di Crono, Futuro antico di Controllo remoto (Murales), Fallen chandelier di Tilman Kuntzel, Scatola del vento di FanniDada (installazione video itinerante) PKK di Hack Lab di Terni

Poi ancora una mostra fotografica (in collaborazione con Alma Artis di Pisa) dal titolo 7 millions di Fabio Mignogna sulla violenza al femminile ospitata all’interno della libreria Odradek fino ad arrivare allo spazio aperto in Piazza San Benedetto da Norcia dove per 3 serate si alternavano alcuni gruppi per realizzare video live su un palcoscenico creato apposta con grande schermo e raccontare le inquietudini urbane e metropolitane sottolineate dal tema che univa tutti i progetti: il “collasso” dentro la “smart city”. L’arte anche quella più nuova e giovanissima si interroga su tematiche urgenti come la fragilità delle città e il loro raggiunto livello di saturazione rispetto all’industrializzazione selvaggia in atto, alla cementificazione, all’inquinamento.

Ci sono riusciti benissimo tutti gli artisti da High Files (Tommaso Rinaldi) a Sims, a Vj Alis, a Rakele Tombini e Francesco Elelino a Gabriele Marangoni. Quest’ultimo, reduce da Ars electronica di Linz ha voluto portare un progetto nuovo creato apposta per Pomezia, un live electronics dal titolo RED NOISE con video realizzati da Angela di Tommaso e gestiti live da Tommaso Rinaldi. Un progetto davvero originale, quasi destabilizzante, che crea un momento di disturbo per far riflettere sullo stato di crisi, sulla condizione di dissonanza in cui oggi viviamo le città.

https://www.facebook.com/PomeziaLF/videos/839781216146242/

Noi citiamo due installazioni che ci hanno colpito moltissimo: le Proiezioni su vapori d’acqua per l’opera Shi Shi Odoshi di Mediamash studio (Luca Mauceri / Jacopo Rachlik) in cui l’immagine sembra un effetto ottico, una specie di miraggio perché la superficie di proiezione non è qualcosa di materico ma viene creata dal vapore scaturito dall’acqua caduta da una canna di bambù o di ferro su una pentola riscaldata da una fiamma con delle pietre. Molti sono gli artisti che usano superfici di proiezione le più diverse e originali (dalle chiome degli alberi alle cascate d’acqua) e l’artista che sta sperimentando di più le proiezioni su superfici impalpabili è sicuramente LOANIE LEMERCIER; ma in questo caso l’attesa del momento in cui l’ultima goccia genera il vapore che permette all’immagine di venire letteralmente alla luce, è parte stessa dell’opera che mira a un raccoglimento interiore dello spettatore come nelle installazioni di Bill Viola.

E poi il candelabro caduto di Tilman Kuntzel che è davvero geniale nel suo corto circuito tra percezione, suono, luce. Il candelabro, delicatissimo fatto di vetri preziosi è appoggiato a terra come fosse appena caduto; dentro alcune lampadine si illuminano a intermittenza, come se stessero per terminare la loro esistenza elettrica. IN realtà sono guidate in questo ossessivo accendersi/spegnersi da una serie di starter collocati in bella mostra in una teca trasparente, manomessi per dare quest’effetto e amplificati in modo da restituire un suono che rimanda proprio al crash, alla caduta. Noi proviamo l’esperienza virtuale di una rovina, una distruzione, che non è mai accaduta, ma di cui i nostri sensi ci informano perché sono stati “ingannati”.

Tilman Kuntzel Fallen Chandelier

Pomezia light Festival ha l’ambizione di seguire il percorso tracciato dai grandi festival europei, dalla Festa di luci di Lyon a Ars electronica di Linz fino a Visualia di Pola in Croazia; un obiettivo che sta prendendo corpo grazie alla passione dei giovani progettisti di Opificio, alla loro competenza acquisita sia sui banchi universitari che sul campo, ma soprattutto al loro desiderio di vivere la loro città in un’ottica completamente nuova, facendo crescere un’idea di economia della cultura che ha un valore immenso, creando i presupposti per una rinnovata identità del luogo da far nascere intorno alla creatività digitale e alla sua formazione. Non sarebbe sorprendente vedere affiancate al Festival le industrie del cinema, le aziende del light designing e del video per creare strutture stabili per l’alta formazione professionale dei giovani. Obiettivo che renderebbe sempre più radicato e ancora  più coerente un progetto di Festival come questo su cui l’Amministrazione di Pomezia ha intelligentemente investito.

Long life to Pomezia Life Festival!

Sabato 29 settembre – ore 21.30 Tempo Reale Festival Limonaia di Villa Strozzi, Firenze ERIKM + PATERAS eriKm Dispositivi elettronici Anthony Pateras Campionatori e sintetizzatori
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Tempo Reale Festival 2018 | SUONO VIVO Y
Limonaia di Villa Strozzi, Firenze

Sabato 29 settembre – ore 21.30
ERIKM + PATERAS
eriKm Dispositivi elettronici
Anthony Pateras Campionatori e sintetizzatori

Cosa succede se uno dei più straordinari “suonatori di dischi” incontra il pianista e compositore australiano Pateras? Che tipo di strumenti suoneranno? Quale percorso sorprendente e innovativo potremo ascoltare? Il francese eRikm, già ospite del Tempo Reale Festival in uno straordinario concerto del 2011, ritorna a Firenze in coppia con le esperienze elettroniche di un musicista affermato, poliedrico polistrumentista e capace di rigenerarsi in tutta la sua carriera musicale. Improvvisazione, ritmo, elettronica: questi gli ingredienti di un concerto esclusivo che chiude la sezione Y del festival con una proiezione verso dimensioni prive di confini, sia in senso geografico che linguistico.

In collaborazione con Istituto Francese Firenze
Progetto ideato in collaborazione con Carla Chiti

Festival della Robotica a Pisa-Robotica e Teatro e Umani e Virtuali 1 e 2 ottobre a cura di Massimo Bergamasco (Istituto Superiore Sant’Anna)
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FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA ROBOTICA 2018

Massimo Bergamasco Scuola Superiore Sant’Anna 20 settembre 2018

SESSIONE “ROBOTICA E TEATRO”, 1 OTTOBRE 2018, (9.00-13.00), DOMUS MAZZINIANA, Via Giuseppe Mazzini 71, Pisa La sessione verterà sull’utilizzo delle nuove tecnologie, quali la robotica, gli ambienti virtuali e altri strumenti immersivi audio-video, l’intelligenza artificiale, per il teatro e la drammaturgia, analizzandone opportunità e limiti relativi agli specifici aspetti della pedagogia, della messa in scena, della performance, e degli effetti scenici. Esperti del settore illustreranno l’impulso che tali tecnologie possono offrire all’arte performativa, alla creazione di ambientazioni dinamiche e adattive, alla spazializzazione scenica e all’interpretazione, alla traduzione dei processi interiori degli attori, e agli effetti di presenza che informazioni immersive sonore e grafiche possono stimolare negli spettatori.

Relatori: – Massimo Bergamasco: Introduzione –

Pietro Bartolini: Attore, avatar e robot – il nobile artificio della costruzione del personaggio –

Marcello Carrozzino: Ambienti immersivi come palcoscenico virtuale per la drammaturgia e la pedagogia teatrale –

Anna Maria Monteverdi : Marionette, automi e scene meccaniche dall’avanguardia a oggi –

Dario Focardi e Pericle Salvini: Teatro e Scienza, A che punto siamo?

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SESSIONE “UMANI VIRTUALI”, 2 OTTOBRE 2018, (10.00-13.00), DOMUS MAZZINIANA, Via Giuseppe Mazzini 71, Pisa Gli ambienti virtuali sono uno strumento di ricerca sempre più importante in svariati settori applicativi. Gli scenari simulati richiedono spesso la presenza di personaggi umani animati che agiscono da attori virtuali, da controparte digitale del fruitore, da strumento per studi di ergonomia e human factors. Questa sessione presenterà lo stato dell’arte della ricerca nel settore, alcuni esempi nei domini applicativi più rilevanti e la proposta di una visione per un futuro in cui sempre più spesso gli uomini interagiranno con controparti virtuali e robotiche. 

Relatori: – Massimo Bergamasco: Introduzione –

Marcello Carrozzino : Umani virtuali per la promozione e la disseminazione della cultura –

Lorenzo Landolfi: Intelligenza artificiale per umani virtuali –

Alessandro Filippeschi: Effetti delle misurazioni virtuali sul comportamento degli umani

virtuali

Il progetto musicale SILENT: da Reggio Emilia a Ars electronica di Linz a Lugano. intervista al compositore Gabriele Marangoni
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Il 2018 si è rivelato  un anno d’oro per il compositore e fisarmonicista GABRIELE MARANGONI: presente con ben due progetti musicali al prestigioso Festival di Linz ARS electronica2018 SIlent e Red Noise,  Poi agli Uffizi con la partitura per voce ed elettronica per il concerto di Francesca Della Monica voluta dal direttore Dott. Schmidt per la sala del Caravaggio; 

poi è stato invitato come ospite d’onore al Pomezia Light Festival con un evento live electronics affiancato da Angela di Tomaso aka Aiditi. A Cagliari dove insegna al Conservatorio e dove abita, ha ideato un concerto elettronico in cuffia per il paesaggio delle Saline in collaborazione col FAI e a breve debutterà con le nuove musiche per lo spettacolo tratto dal testo teatrale Hypocrites di Jeton Neziraj, uno dei più noti e controversi autori dei nuovi Balcani. E ancora.. la tournée di SIlent in Svizzera e in Sardegna e un’ antologica dedicata alle sue composizioni per Tempo Reale di Firenze.

Incontriamo il musicista per farci raccontare il poderoso progetto che ha dato vita a SILENT, che prevede artisti non udenti in scena e debuttato al Festival musicale di Reggio Emilia la scorsa primavera. Il mezzo con cui comunicare ai non udenti la partitura  è un oggetto artistico capace di generare suono o vibrazione.  Ai fan della seconda avanguardia musicale ed elettronica non sfuggirà il riferimento al mitico «Handphone Table» o “Tavolo monofonico” (1978) di Laurie Anderson, un semplice tavolo di legno attraverso il quale lo spettatore sente musica appoggiando i gomiti su di esso e le mani alle orecchie, perché il suono vibrando sul legno, passa sul corpo umano e sulle ossa. Agli storici del teatro non sfuggirà invece  il riferimento allo spettacolo con cui Bob Wilson debuttò nell’avanguardia americana nel 1972 offrendo uno “sguardo” intenso e rallentato sul mondo della diversità: The deafman’s glance, Lo sguardo del sordo. 

Silent è un progetto prezioso, un distillato di cura teatrale e musicale, una partitura che disintegra il suono rendendolo contemporaneamente molto concreto; è un congegno musicale che sarebbe piaciuto sia a Cage che a Pierre Schaeffer . Due voci soliste una femminile (Francesca Della Monica) e una maschile si intrecciano a un ensemble di 12 artisti non udenti che producono suoni a partire da un feedback reso visibile da dispositivi vibranti.

A.M.Monteverdi: Parliamo di SILENT. Forse il tuo progetto più ardito e complesso in collaborazione con Tempo reale ma che ti sta dando enormi soddisfazioni: presentato alla Cavallerizza di Reggio Emilia, addirittura ad Ars electronica nell’Opening night e poi in Svizzera al Lac di Lugano anche se in versioni con moduli diversi. Musica in cui viene prevista la performance di artisti non udenti. Puoi raccontare come è nata l’idea della composizione?

Gabriele Marangoni: L’importanza principale per me del progetto Silent è data dalla disabilità, dalla presenza di artisti non udenti. Questo è un punto delicato. Silent  non ha voluto associare questa presenza a un valore sociale che oggettivamente ha e lo riconosciamo. Questo accade spesso in progetti di questo tipo. ma Silent non ha mai avuto questo punto di partenza, è una risposta a una esigenza artistica ed estetica di una ricerca.  Era una mia riflessione: volevo cercare di spingermi lontano dalla mia esperienza, cioè annientare il più possibile i limiti che avevo come persona, come musicista cresciuto con una formazione musicale all’ascolto, con le molte sovrastrutture dettate dallo studio e da un percorso  formativo  come concertista, come compositore, dallo studio della storia della musica, Volevo annientare tutto questo, volevo spingermi in una regione del suono diversa, annientare le “sovrastrutture” intorno al suono, quelle che arrivano da una buona educazione armonica, melodica e sperimentale ma che comunque, sono tutte figlie di un percorso.

Anna Monteverdi E quindi quale è stato il punto di partenza?

Gabriele Marangoni: Mi sono chiesto, Come immagina il suono una persona che non ha accesso a tutto questo universo? E’ risaputo che non sentire con l’udito non preclude il fatto di percepire il suono. Sono voluto entrare in contatto con una esperienza extra personale, quella cioè di andare in una regione dove non sarebbe possibile arrivare perché lontanissima da noi e dalla nostra esperienza e dimensione, come è  la sordità. Se una persona non sente un suono con l’udito, questo non vuol dire che non percepisca o che non viva il suono, l’aspetto di ascolto, uditivo, possiamo considerarlo “un aspetto collaterale”. Volevo entrare in questa dimensione.

Anna Monteverdi: Che tipo di suono hai utilizzato?

Gabriele Marangoni: In Silent ci sono grandi suoni, cioè frequenze importanti,  la composizione  è un po’ come pensata in forme d’onda, che altro non sono che spostamenti di aria, che si possono percepire in parte con l’orecchio ma soprattutto con il corpo, perché entrano nel corpo e risuonano nel corpo. Ci sono frequenze gravi In SIlent,che sono potenti,  più è grave il suono più il cambiamento di pressione all’interno di un’area come un teatro è grande, più la vibrazione è grande. Il suono viene percepito in maniera quasi tribale, primitiva tramite i legni e tramite le ossa del corpo, quindi ci concentriamo sul suo aspetto fisico e non su quello storico o storicizzato come è la musica.

Anna Monteverdi: Quale è la grammatica con cui articolare la composizione?

Gabriele Marangoni  Innanzitutto il progetto è partito da elementi molto basici; ho fatto una grande sintesi, una composizione di un’ora basata su archetipi, il punto, la linea, il ritmo constante, il ritmo in accelerato , in diminuendo e in glissando che è il passaggio continuo da una frequenza acuta o grave e che è come un gesto grafico. Questo era la base di tutta la sintassi. A ognuna di queste articolazioni possiamo attribuire un significato espressivo, emotivo o di comunicazione e che ha un effetto controllabile, conosciuto e a priori su un interlocutore, interprete e pubblico. Su questo si è costruita come una struttura, un edificio, un progetto architettonico, con travi, archi e pilastri su Silent e  su questo scheletro poi sono intervenuti altre articolazioni, altri suoni che hanno riempito e hanno costruito la struttura della composizione.

Anna Monteverdi: Come hai individuato i tuoi attori cantori

Gabriele Marangoni Ho voluto chiamare un ensemble di 12 persone sorde e li ho chiamati per arricchire la composizione, loro con me creano pagine nuove per il mio vocabolario musicale. Ho ricercato con loro le articolazioni,  quelle possibilità che erano espressioni sonore,o  fisiche che loro potevano vivere, riconoscere e controllare come il respiro. Loro non sentono il suono del respiro ma ne hanno una percezione a livello fisico più raffinata e distillata di noi e questa loro gestualità del respiro che porta con sé un suono, loro la potevano controllare dal punto di vista musicale tramite una partecipazione fisica.  Dare loro dei riferimenti in partitura su come respirare, per esempio fare un respiro veloce, non poter più inspirare, ma solo espirare diventava una esperienza, una percezione interna, Ho cambiato il tuo stato d’essere per un attimo facendoti vivere una esperienza di musicalità, stando dentro una forma musicale.

Anna Monteverdi Cerchi una maschera sonora? UN elemento in cui trasformare il loro essere?

Gabriele Marangoni Ho avuto contatto con loro attraverso la fisicità, io ho dovuto trasformare la mia idea concettuale in un’idea fisica, e loro hanno lavorato con me sull’imitazione. Più che creare la maschera, era creare un feedback per loro, il dispositivo è ciò che mi ha permesso questo. Le superfici vibranti rendono concreto ciò che loro fanno. All’inizio loro non sapevano controllare i suoni ma quando si sono accorti che qualsiasi azione che  compivano aveva un feedback in vibrazione che gli tornava nel corpo, la prima domanda inevitabile dal punto di vista umano è stata Ma anche il pubblico sentirà questo? Le articolazioni che farai diventano vibrazioni   trasformate in tempo reale e quindi si, il pubblico percepisce questo. Il minimo gesto va nell’ambiente esterno e poi il suono si trasforma in vibrazione.  La meditazione, l’OM è un suono che diventa vibrazione, la preghiera, la litania…ritorniamo a quello, a quelle tradizioni sacre e tribali insieme.

Anna Monteverdi Questa musica dà una forte esperienza prima di tutto a chi esegue, poi cosa rimane di tutto questo?

Gabriele Marangoni Resta un aspetto sociale, inevitabilmente ed è quello che ho avuto nel rapporto coi sordi. Per la prima volta per molti di lor, hanno capito che possono produrre e percepire musica con qualsiasi cosa. Una di loro mi ha detto: “Ma allora qualsiasi cosa, per esempio se batto i denti, quella è musica?” Io ho detto “Si, certo”.

Anna Monteverdi: E loro di fronte a questa risposta anti accademica?

Gabriele Marangoni Sono rimasti colpiti perché loro erano da sempre esclusi dalla musica, la differenza che dobbiamo ricordare è tra musica e musicalità. Cage è storia, nel 2018 è un classico, io lo metto insieme a Frescobaldi! Fa parte della storia.

Anna Monteverdi: Quindi il suggerimento è: Vai oltre i tuoi limiti.

Gabriele Marangoni Era tutto un azzardo, nasce tutto dalla mia immaginazione e mi sono buttato senza rete di protezione, non avevo alcuna esperienza di lavoro con non udenti, ho voluto usare il loro “parlato”, perché in modo diverso  ma loro parlano con una voce sillabica, frammentata che da compositore mi sembra bellissima. C’è un non controllo meraviglioso..

Anna Monteverdi Non controllo che riguarda le altezze?

Gabriele Marangoni No su quello si può lavorare, parlo di controllo ritmico, testuale, loro cercano di dire delle parole ma poi non le dicono veramente, le vocali per loro sono difficili, e si crea un grammelot bellissimo che a scriverlo e poi trovare un soprano o una voce che lo interpreti sarebbe un’impresa ardua. Finita una sessione di prove un uomo mi ha detto che quello che produceva era brutto perciò non parlava; voleva accertarsi della mia buona fede e mi ha detto “Tutti mi dicono che ciò che produco con la voce non va bene, allora ho smesso di parlare con mia figlia, allora perché tu mi dici che la mia voce è bella?

Anna Monteverdi Perché non hai sentito la necessità del drammaturgo anche per raccontare queste storie?

Gabriele Marangoni Perché nell’idea iniziale c’era un’idea di suono totalitaria, mi sono concentrato solo su quello; è vero non c’è drammaturgia, mi interessava solo una indagine legata al suono, era un work in progress sulla fune a un’altezza vertiginosa. Dopo aver visto la prima a Reggio Emilia sto pensando di svilupparlo ulteriormente. Ma prima era un salto nel buio.

Anna Monteverdi Wilson traduceva questa diversità in un rallentamento esasperato che ti fa precipitare in una dimensione completamente altra. Ti senti soddisfatto della forma del tuo “differente” teatro musicale?

Gabriele Marangoni Sono estremamente soddisfatto e contento e in taluni aspetti il risultato finale ha sorpassato l’aspetto che avevo ideato, sono estremamente contento. Ora che ci sarà una ripresa a Lugano il progetto verrà ampliato.  Una specie in “Silent reload”  il 29 gennaio 2019 a Lugano al LAC.

Anna Monteverdi: Francesca Della Monica non è solo un’esecutrice ma una inventrice di partiture e trame, interpreta straordinariamente Sylvano Bussotti, Cage…è davvero una certezza.

 

Gabriele Marangoni Francesca la chiami perché vuoi la sua voce, non solo una soprano, lei ti porta non solo quello che tu hai scritto ma anche quello che lei ha dentro. Conoscevo la natura musicale di Francesca che adoravo,  ci accomuna un approccio di rispettosa “anarchia” della partitura. Lei doveva essere un elemento controllabile. La prassi era quella di definire una parte al dettaglio senza vie di fuga, ma con un po’ di mestiere alcune parti che erano difficilissime, necessitavano di qualche soluzione più vicina alle sue corde.. Lei ha dato un apporto personale importante. Nel duetto con la voce maschile  ho lasciato 3’27” liberi, improvvisando. 

Anna Monteverdi: Parliamo della scena.

Gabriele Marangoni La complessità di questo è anche una complessità tecnologica. Sembra un palco molto semplice ma dietro ci sono due giorni di cablaggio e un giorno interno di sound test. Usando queste frequenze e suoni così particolari non si può prescindere dall’ambiente, dallo spazio dalla dissonanza del luogo, ogni volta bisogna calcolare la traiettoria di propagazione delle onde in base alle distanze, in base ai materiali che costituiscono la sala, ai soffitti agli elementi architettonici, Bisogna riprogettare uno schema acustico; fare un progetto acustico e poi gestirlo in tempo reale è estremamente difficile e  delicato perché sono suoni fragili, distruttibili, microsuoni, onde sonore che possono anche  far saltare l’impianto di amplificazione. Una gestione veramente complessa; ci sono “quintalate” di dati per secondo che si codificano e decodificano. Questo aspetto tecnologico non poteva che essere affidato a una delle realtà più preparate Tempo reale che ha coprodotto il progetto con il quale in un anno ho progettato  tutta la parte elettronica live sia la diffusione che la regia del suono.

Ringrazio Francesco Giomi che ha subito aderito al progetto, e poi Damiano Meacci e Francesco Caciago con cui ho collaborato per la realizzazione del progetto e che sono presenti in scena.

SILENT – visioni dal limite della percezione 
ideazione e composizione: Gabriele Marangoni
direttore: Dario Garegnani

SECRET THEATER ENSEMBLE 

soprano : Francesca Della Monica
voce maschile con tecniche estese : David W.Benini
percussioni : Gabriele Genta
progettazione installativa : Micol Riva
preparatrice e coordinatrice ensemble sordi : Aurora Cogliandro

TEMPO REALE 
Sound design: Francesco Casciaro
Live electronics : Damiano Meacci
Regia e proiezione del suono : Francesco Casciaro

interprete LIS : Francesca Fantauzzi

coordinatrice e assistente di produzione : Giulia Soravia

in coproduzione con Tempo Reale
in collaborazione Ente Nazionale Sordi Reggio Emilia

 

Contact zone- Vanessa Vozzo e Laura Romano
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Contact-zones 2018 long-term project curato da Vanessa Vozzo e Laura Romano intorno al concetto i “confine/frontiera” come limite geografico, spazio politico, dispositivo di governo su corpi e territori.

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Contact-zones è un long-term project curato da Vanessa Vozzo e Laura Romano intorno al concetto i “confine/frontiera” come limite geografico, spazio politico, dispositivo di governo su corpi e territori. Il confine fisico terrestre e marino tra gli Stati si frammenta e riconfigura all’interno delle città producendo un dialogo tra nuovi arrivati e abitanti insediati. Siamo il frutto di spostamenti, migrazioni e movimenti ma i nuovi flussi migratori sembrano mettere fisicamente in crisi gli spazi urbani.
Il progetto si concentra sulle contact-zones cittadine concependole come nuovi spazi di interazioni possibili.
Il progetto si avvale di locative media e interactive media art per realizzare istallazioni, performance, percorsi e tracciamenti. I contenuti audiovisuali seguono un modello narrativo e/o di contro-narrazione con l’obiettivo di riconfigurare la contact-zoneattraverso un processo di embodiment, che faccia ri-percepire lo spazio urbano.

 

 

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2018 Contact-zones Test 1 Photogallery

Photos by Niccolà Mazzon e Federico Primavera

http://www.officinesintetiche.it/?portfolio=contact-zones-2018

Anna Monteverdi presenta il libro su Lepage a LIbriamoci della Spezia il 5 ottobre, Mediateca Regionale. Introduce il videomaker e videoattivista GIACOMO VERDE
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Anche alla Spezia verrà presentato il volume di Anna Monteverdi appena uscito per Meltemi MEMORIA MASCHERA E MACCHINA NEL TEATRO DI ROBERT LEPAGE.

Appuntamento quindi alla Mediateca Regionale Ligure di Via Firenze della Spezia  alle 17,30. presenta l’artista video Giacomo Verde, docente all’Accademia Albertina di Torino.

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Memoria, maschera e macchina sono termini interscambiabili nel teatro di Robert Lepage, regista e interprete teatrale franco-canadese considerato tra i più grandi autori della scena contemporanea che usa i nuovi media; se la sua drammaturgia scava l’io del personaggio portando alla luce un vero e proprio arsenale di memorie personali e collettive, la macchina scenica video diventa il doppio del soggetto, specchio della sua interiorità più profonda. La perfetta corrispondenza tra trasformazione interiore del personaggio e trasformazione della scena determinano la caratteristica della macchina teatrale nel suo complesso che raffigura, come maschera, il limite tra visibile e invisibile.

Il volume contiene interviste a Robert Lepage e allo scenografo Carl Fillion, e un’antologia critica con saggi di Massimo Bergamasco, Vincenzo Sansone, Erica Magris, Giancarla Carboni, Francesca Pasquinucci, Andrea Lanini, Ilaria Bellini, Sara Russo, Elisa Lombardi, Claudio Longhi.

Qua il book trailer a firma di Alessandro Bronzini.


Anna Maria Monteverdi è ricercatore di Storia del Teatro all’Università Statale di Milano e docente aggregato di Storia della Scenografia. Insegna Cultura digitale alla Alma Artis Academy di Pisa ed è coordinatrice della Scuola di Arti e Nuove tecnologie dell’Accademia. Esperta di Digital Performance già docente di Digital video e Drammaturgia multimediale all’Accademia di Brera, ha pubblicato: Nuovi media nuovo teatro (FrancoAngeli 2011), Rimediando il teatro con le ombre, le macchine e i new media (Ed.Giacché 2013), Le arti multimediali digitali (con A. Balzola, Garzanti 2005). Videodocumentarista teatrale ha realizzato tre documentari sul regista e interprete Andrea Cosentino, sul regista sloveno Tomi Janezic e sul drammaturgo del Kosovo Jeton Neziraj che è stato acquistato dalla Rai5 e trasmesso il 27 marzo 2017 in occasione della Giornata mondiale del Teatro.

www.annamonteverdi.it

http://www.libriamocisp.it/2018/evento/anna-maria-monteverdi-memoria-maschera-e-macchina-nel-teatro-di-robert-lepage-meltemi-2018/

 

 

 

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