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Alter Itsuki Doi (JP), Takashi Ikegami (JP), Hiroshi Ishiguro (JP), Kohei Ogawa (JP)-Award of Distinction Ars Electronica 2018
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Alter is a robot developed for the purpose of exploring what it means to be “life-like.” In contrast with the OtonaroidAlter appears to be a machine that has been stripped bare. However, it expresses life-likeness through complex movements. These movements may look haphazard, but change constantly due to the underlying algorithm that mimics the logic of neural circuits of living things. A moment of “life-likeness” emerges as you observe closely—what is that moment like? Attempt to find your own answer to that question.

 

Alter does not move in ways that are determined beforehand; rather, the movements made by the entire body are created in real-time. Furthermore, your responses are perceived by sensors and reflected into the movements. Sensors that measure the distance between Alter and human beings observe the movements of the people around Alter, and send signals to the program. A central pattern generator (CPG) creates a basic rhythm that is cyclical, yet gradually deviates from the original pattern. A neural network of 1,000 nerve cells is recreated on the computer, and Alter “learns” life-like activities based on signals sent from the sensors. Based on computer signals that are rhythmic and changing, compressed air is sent through 42 joints to create smooth movements.

Alter was born through cooperation between a researcher of androids, which are robots that appear identical to human beings, and a researcher of artificial life, who attempts to recreate life on a computer. Both researchers ask the same question: “What is life?”—but the hypotheses on that are different.

Biografie:

Takashi Ikegami (JP)Takashi Ikegami (JP) is a professor at the University of Tokyo. He specializes in artificial life and complexity, and has been known to engage on the border between art and science.

Hiroshi Ishiguro (JP)Hiroshi Ishiguro (JP) received a D.Eng. in systems engineering from Osaka University, Japan in 1991. He is currently Professor at the Department of Systems Innovation in the Graduate School of Engineering Science, Osaka University, and Distinguished Professor of Osaka University. He is also visiting director (group leader: 2002-2013) of Hiroshi Ishiguro Laboratories at the Advanced Telecommunications Research Institute and an ATR fellow. His research interests include distributed sensor systems, interactive robotics, and android science.

Kohei Ogawa (JP)Kohei Ogawa (JP) is a robotics and Al researcher at Osaka University, where he has been an Associate Professor since 2017. He is working on a robotics and interaction study.

Itsuki Doi (JP)Itsuki Doi (JP) is a sound artist and a PhD candidate at the University of Tokyo, Graduate School of Art and Science, where he also received his Master Degree of Science in 2015.

Credits:
Supported by Osaka University and Tokyo University

Uscito per la CLUEB il libro di Cinzia Toscano “Il teatro dei robot La meccanica delle emozioni nel Robot-Human Theatre di Hirata Oriza”
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La robotica riveste nella contemporaneità giapponese un ruolo sempre più significativo e negli ultimi decenni si è inserita in maniera quasi naturale in ambiti sociali e lavorativi. Lo studio proposto, attraverso l’analisi del Robot-Human Theatre Project, nato dalla collaborazione tra il drammaturgo e regista teatrale Hirata Oriza e l’ingegnere dell’automazione Ishiguro Hiroshi, cerca di delineare i tratti distintivi della robotica giapponese e delle ricadute a livello sociale e antropologico del suo costante e inarrestabile sviluppo. Focus della ricerca è l’analisi teatrologica dei cinque spettacoli nati in seno al progetto e che vedono in scena attori in carne ed ossa e robot umanoidi e androidi. I, worker (2008), In the heart of the forest (2010), Sayonara (2010/2012), Three sisters android version (2012) e La Métamorphose version androïde (2014), oltre a rappresentare uno dei molteplici volti del connubio tra arte e tecnologia, hanno permesso di compiere un affondo nell’odierna società nipponica. Guardare a queste performance ha consentito di affrontare alcune tra le questioni più urgenti della contemporaneità giapponese: la rielaborazione della tragedia di Fukushima del 2011, gli hikikomori e la relazione uomo-macchina. Lo studio, strutturatosi su una metodologia trasversale si avvale di materiali inediti reperiti durante la ricerca di campo svolta in Giappone a stretto contatto con la Seinendan Theatre Company, fondata nel 1983 e, ancora oggi, guidata da Hirata.

L’Intelligenza Artificiale e la Robotica salverà il mondo (o almeno il Teatro)? cap. 1 ROBOTICA
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Articolo di Anna Monteverdi

Girare per eventi come Ars Electronica di Linz o il Festival della Robotica di Pisa ti fa capire come alcuni concetti tecnici abbastanza difficili  (Realtà aumentata, Robotica, Intelligenza Artificiale) siano diventati non solo pratica quotidiana ma ambiti già ampiamente frequentati e applicati con qualche egregio risultato, anche all’arte e al Teatro.

Se è superata facilmente  la prova dell’ “efficacia computazionale” non altrettanto agevolmente si supera la prova dell’efficacia sul pubblico. Anche in questo caso il consiglio è evitare di recuperare documentazione dalla rete e tentare di capire “dal vivo” cosa significhi davvero fare esperienza di teatro con Robot, con visori immersivi, con l’ausilio di un algoritmo di intelligenza artificiale.

Vogliamo parlare di alcune esperienze viste e fatte in giro per Festival.

  1. L’onnipresente automazione nell’industria 4.0 ha reso, anche grazie a varie pubblicità (marchi di automobili per esempio) il robot Kuka molto familiare. Il braccione che sostituzione l’uomo negli impianti di produzione ad elevata automazione non esaurisce la sua attività dentro una catena di montaggio ad assemblare pezzi perché da qualche anno si è sviluppato un ambito piuttosto curioso definito CREATIVE ROBOTICS. L’icona è proprio il braccione arancione Kuka che ha fatto venire in mente le più strane e bizzarre applicazioni agli artisti al punto che Ars electronica di Linz dl 2017 gli ha dedicato una sezione,

    Ecco altri esempi sempre da ARS ELECTRONICA 2017  questa impressionante opera DOING NOTHING che usa un braccio robotico KUKA Quantec prime controllato in tempo reale dal  KUKA mxAutomation interface. La particolarità dell’opera è che adatta la sua coreografia sull’immediata interazione con il pubblico. Il software usato per l’automazione industriale  HMI/SCADA di COPADATA   dà la possibilità di unire i dati raccolti dagli scanner laser e dalla coreografia preprogrammata, visualizzarli e farli passare attraverso il cloud Microsoft Azure. Emanuel Gollob (emanuelgollob.com) con  Johannes Braumann (UFG, Laboratory for Creative Robotic)

  2. ma nel 2015 il braccione robotico in tandem con proiezioni era diventato una delle star dell’Expo di Milano nel padiglione coreano.

    Il settore del fashion design aveva utilizzato il robottone anche per le sfilate. Famosa quella di Alexander McQueen uno dei più geniali e trasgressivi stilisti della nuova generazione morto nel 2010, che spesso usava tecnologie per i suoi fantascientifici abiti in sfilata.

  3.  

    Le applicazioni nel mondo dell’arte sono diventate numerose; nel mondo del teatro sta spopolando il ROBOT YUMI a due braccia che dirige l’orchestra con il tenore Andrea Bocelli che si presta a questa insolita performance a Pisa. La mobilità del braccio sarebbe quello che lo rende più simile all’uomo, in questo caso a un conductor, L’addestramento un po’ lungo, e forse ci si chiede quale utilità ci sia nel replicare una cosa che un uomo può fare e meglio, ma non ci sono limiti allo show business. E infatti l’attrazione del robot che dirige l’orchestra ha fatto l’effetto sperato in termini di pubblicità, pubblico, media ecc Trattasi di un’unità dual-arm progettata da ABB per settori industriale, che ha appreso i movimenti da eseguire con la  tecnologia Lead-Through Programming a imitazione del direttore  d’orchestra Andrea Colombini. La sincronizzazione  musicale è stata efatta con il software RobotStudio.

    https://www.youtube.com/watch?v=Bl1NlHJGWAw

    L’applicazione in teatro con il robot KUKA come interprete è qualcosa di più recente ma ancora una volta sono grandi Festival di tecnologia ad accaparrarsi l’evento TED conference (2015, Vancouver)e ARS electronica : a loro il merito di aver aperto la strada a un’originale espressione d’arte  teatrale robotica.il taiwanese Huang Yi & KUKA si presentano in un ballo a due a ritmo di un violoncello suonato da Joshua Roman. Colpisce la perfetta sincronizzazione, che non può essere frutto solo di una strabiliante programmazione informatica. Qui per maggiori dettagli https://laughingsquid.com/dancer-performs-ballet-with-single-arm-robot/

    Ad Ars electronica il criptico e infernale participative robotic performance project INFERNO di BILL VORN e Louis-Philippe Demers. 

     

    http://prix2016.aec.at/prixwinner/19611/

    Questo esoscheletro viene fatto indossare da attori ma anche da spettatori rapiti. Una riflessione sulla natura del controllo, sia della macchina che umano,  forzato o volontario,  che aveva anticipato già Marcel.lì Antunez Roca con EPIZOO  che era una riflessione sul Cyborg emerso alla fine degli anni ’80.

  4. Quest’anno ricompare il robot Kuka a danzare mentre la Berlioz Orchestra suona e i danzatori creano coreografie contact di danza urbana con la compagnia SILK Fluegge. sulla musica di Symphonie Fantastique di Berlioz in occasione della Grande Concert Night .
    . La coreografia prevede anche un momento di assolo del robot danzante. Elastici collegati al braccio robotico creavano coreografie aeree di grande impatto.
  5. Nell’intervista la danzatrice Silke Grabinger: dice significativamente a proposito del punto di contatto tra robotica e corpo del danzatore:  Si tratta di trovare qualità e perfezione nell’imperfezione. C’è il corpo che può fare certe cose, puoi allenarlo, ma non puoi mai ripetere un movimento uno a uno. È impossibile Ho ballato lo stesso assolo 1117 volte, ma c’erano 1117 versioni diverse di esso, anche se si tratta dello stesso movimento. Un movimento in sé non è mai imitabile. La ricerca della perfezione esiste, ma in realtà è un fallimento perpetuo. Ci sono sempre piccoli errori che hanno nuove possibilità di reinterpretare le cose. Se ora ci scontriamo con la robotica, con una perfezione apparentemente diversa, ma certamente anche con errori, questo apre anche la porta a nuove interpretazioni. 

    Credit: vog.photo

     

  6. una danza molto meno coreografata questa di The giant robot dance sempre col braccione KUKA

    Anche l’applicazione musicale non è male: ci prova con AUTOMATICA  Nigel Stanford, il robot drummer mi sembra funzioni benissimo!

Le partiture-scultura 3D di Lino Strangis: conversazione con l’artista
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Il computer artist Lino Strangis ci ha abituato alla sua fascinazione per i nuovi strumenti offerti dalle tecnologie digitali che nelle sue mani diventano alchemicamente qualcosa di incredibilmente affascinante. Forse non tutti sanno per esempio, che si può usare la realtà virtuale per modellare letteralmente la materia di cui sono fatti se non i sogni almeno le sculture; artisti come Strangis e Quaiola sono già attivi da tempo sperimentando modalità creative molto originali, il primo seguendo una linea più astratta e artigianale, il secondo più vicino alla “robot live-sculpture”.

Con i nuovi software di modellazione sculpting in Virtual Reality a mano libera come  Medium di Oculus  per esempio, si lavora sul volume e non sulla superficie e si riesce a gestire geometrie in maniera fluida dopo un preventivo esercizio di adattamento all’ambiente virtuale, un insolito laboratorio di scultura completamente immersivo.

Si chiama Partitura spaziale la serie di sculture firmate da Strangis generate da una progettazione grafica, seguita da una modellazione “performativa” in Realtà virtuale tramite Oculus rifts (e relativi software) e create materialmente tramite stampante 3D con ritocco di penna 3D. Un procedimento che lascia davvero a bocca aperta per un risultato che fa intravedere nuove strade persino per una delle più tradizionali delle “beaux-arts”.

La partitura in scultura 3D assume la forma di un “totem di crome”, un prezioso e raffinato oggetto di  arte incisoria del XXI secolo dove le note fuori dal pentagramma sono state la base per una improvvisazione creativa, con gli strumenti grafici messi a disposizione dalla Realtà Virtuale.

Lino Strangis, artista sui generis, autodidatta e forse persino amanuense digitale, spiega la ragione di questa sua propensione per un “ecclettismo digitale” che nasconde una ricerca di libertà artistica assoluta, totale; dice l’artista:

Il senso sociale e politico sta nel fatto che l’arte deve essere libera, una scultura si genera dalla realtà virtuale, anziché su qualcosa scritto su un foglio. E’ anche un contenuto politico, perché abitui le persone a vedere e  a comporre e interpretare in modo diverso.

Sull’inedito procedimento l’artista di Lamezia spiega:

Modello una forma con un software Medium già in dotazione di Oculus Rift, e lo creo in un luogo virtuale, con il casco Oculus, attraverso simulazioni di tecniche virtuali o altre più classiche; il primo passaggio è individuare e modellare una forma base, la principale, nel caso di Partitura è la croma e poi successivamente, espando la forma nello spazio, Io ho disegnato un modulo che era una semplice croma, poi il sofware mi ha permesso di distribuire nello spazio questo modulo grazie alla gestualità che simula in tutto e per tutto una modellazione classica; poi questa forma viene articolata e sovrapposta, ma senza un progetto predeterminato, tutto viene trovato sul momento.

Sarà la fine della scultura propriamente detta?

Lino Strangis, Partitura spaziale n.7

E’ sicuramente una nuova frontiera, un nuovo modo di fare scultura,  ma non sono tra quelli che dicono: “C’è una Tecnica nuova smettiamo  con le altre”.

La curiosità dell’opera sta anche nella performance pre-produttiva che ricorda i movimenti coreografici del corpo e della mano di Jackson Pollock mentre sgocciola il colore nelle sue enormi tele,  impressi nei ritratti fotografici e filmici di Hans Namuth (1950)

La performance dunque, come matrice del segno artistico:

E’ una improvvisazione che genera la scultura ed è a sua volta una improvvisazione musicale, per partiture, una specie di danza pollockiana effettivamente, un movimento nello spazio per segnare queste forme.

Se riprendessi me stesso mentre faccio questa cosa potrebbe essere una performance. Una specie di Action 3D sculture.

Significa ritornare al segno tradizionale dunque?

Mi interessa superare la differenza, andare oltre la separazione tra ciò che fai nel mondo reale e ciò che fai in quello virtuale, non è importante una separazione ma una congiunzione degli opposti, Mi interessava dimostrare chele  arti grafiche e la computer art si uniscono.  In effetti oggi con questo software è possibile lavorare col corpo e con le mani, Non c’è più una vera distinzione tra arte che si fa al computer e arte che genera una scultura vera.

Dopo la modellazione?

Il procedimento continua, prendo il file esportato in estensione STL o OBJ e poi  stampo questa scultura  in 3D in stereolitografia (SLA); sulla base della grandezza della stampante che ho a disposizione  posso decidere come farla grande.  

Quanto tempo occorre?

7 ore per stampare queste sculture, poi c’è il ritocco

Quanto incide il procedimento della macchina su quello artigianale?

All’inizio avevo la percezione che appena fatto il file sarebbe stata la macchina a fare tutto, invece devo stare lì, fare la calibratura, devi assistere la macchina.

Articolo di ANNA MONTEVERDI

Lino Strangis è un artista mediale (videoarte, realtà virtuali interattive, sound art e musica sperimentale). Nato a Lamezia Terme il 19/01/1981, vive e lavora a Roma, Pisa e Torino. Dal 2006 partecipa a numerosi festival, mostre e rassegne storiche internazionali in Italia e all’estero e tiene diverse esposizioni personali in gallerie private e prestigiosi musei tra cui MACRO (Roma), MAXXI (Roma), MUSEO PECCI (Prato), Fabbrica del Vapore (Milano), Museo Riso (Palermo), MAUTO (Torino), PAN (Napoli), GAMC (Viareggio), Medienwerkstatt Bethanien (Berlino), White Box Museum of Art (Pechino), muBA (S.Paulo). Attivo anche come sound e multimedia performer, autore di musiche e sonorizzazioni per se stesso ed altri artisti è impegnato anche come curatore, critico indipendente e organizzatore di eventi: ha fondato il gruppo curatoriale Le Momo Electronique e dal 2011 è direttore artistico del C.A.R.M.A. (Centro d’Arti e Ricerche Multimediali Applicate). Importanti sono anche i suoi impegni nel campo delle installazioni ambientali e delle scenografie multimediali e interattive: dal 2011 collabora agli spettacoli teatrali di Carlo Quartucci e Carla Tatò, ha realizzato le video-scenografie per spettacoli musicali quali SHAMANS OF DIGITAL ERA (che ha anche ideato e curato) e il 70° GALA CONCERT del conservatorio nazionale del Kazakistan.