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Giorgio Barberio Corsetti dirige Fra Diavolo al Teatro dell’Opera di Roma. E le scene sono realizzate con stampanti 3D
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Fra Diavolo di Daniel Auber è un titolo per chi ama le rarità, in scena al Costanzi dall’8 al 21 ottobre con la  direzione di Rory Macdonald e la regia di Giorgio Barberio Corsetti. L’opera, su libretto di Eugène Scribe, è ispirata alle rocambolesche vicende, romanticamente travisate, del celebre brigante Michele Pezza che agiva nelle vicinanze di Terracina; l’opera fu rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1830 e ripresa al Costanzi una sola volta, nel maggio del 1884, per ben quindici recite. Uno spettacolo che rappresenta un’occasione eccezionale non solo per il titolo raro, ma anche per la scelta fatta dal regista Barberio Corsetti sulle scene, che firma insieme a Massimo Troncanetti e che saranno realizzate con stampanti 3D.

Il ratto d’Europa, di Giorgio Barberio Corsetti a RomaEuropa
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GIORGIO BARBERIO CORSETTI, Il ratto di Europa

10 novembre – 13 novembre 2016

giovedì, venerdì e sabato h 21 – domenica 13 h 17
Aula Ottagonale delle Terme di Diocleziano – Palazzo Altemps

Da sempre impegnato nella sperimentazione delle nuove tecnologiche applicate alla rappresentazione scenica, Giorgio Barberio Corsetti torna a Romaeuropa Festival con il ritratto di un’Europa sospesa tra i fasti della sua storia e le odierne trasformazioni economiche, culturali e sociali.

Se il suo spettacolo, Il ratto di Europa, può funzionare come una macchina del tempo è grazie alla rete GARR, la rete nazionale a banda ultralarga dedicata all’università e alla ricerca fondata con il Patrocinio del MIUR – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che interconnette alla velocità della luce centinaia di luoghi della scienza e della cultura. A questa rete in fibra ottica, che si avvale dei più avanzati strumenti tecnologici, Barberio Corsetti affida il compito di collegare virtualmente siti d’eccezione in una sperimentazione che permette di frammentare lo spazio scenico e riunificare luoghi distanti in un’unica rappresentazione digitalmente aumentata. Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano e Palazzo Altemps ospitano il pubblico e dialogano tra loro attraverso due grandi schermi video. Qui vive Europa, interpretata da Maddalena Crippa, intenta a smistare i collegamenti in diretta e in differita con il Colosseo, Crypta Balbi e Laboratori INFN di Frascati, luoghi a loro volta abitati da altrettanti personaggi simbolici.

Il tempo, spiega il regista: «Abita l’anello di DAPHNE (Double Annular PH Factory for Nice Experiments), l’acceleratore di particelle, e dalla vertigine della materia in movimento collega la ricerca più avanzata con le origini dell’universo, usando il linguaggio scientifico ma anche il linguaggio mitico nella successione delle ere in creazione e distruzione».

Attraverso testi di Seneca, Bhagavadgita e Alex Barchiesi, oltre che suoi testi originali, Barberio Corsetti ci racconta il presente delle migrazioni, delle banche, dei mercati collassati, dell’arte ai tempi dell’IS, dell’Io ai tempi di internet. Quando la possibilità di essere ‘sempre e ovunque’ e la schizofrenica elaborazione di masse d’informazioni annulla il mondo e la sua storia in un eterno presente.


Durata 105′
In collegamento in diretta o differita da Colosseo, Crypta Balbi, INFN – Laboratori Nazionali di Frascati
Uno spettacolo di Giorgio Barberio Corsetti che ne cura l’ideazione e la regia
Testi Seneca, Bhagavadg?t?, Alex Barchiesi, Giorgio Barberio Corsetti
Con Maddalena Crippa, Valeria Almerighi, Gabriele Benedetti, Gabriele Portoghese
Immagini, Video Igor Renzetti
Aiuto regia Ugo Bentivegna
Musiche Gianfranco Tedeschi, Fabrizio Spera
Tecnologie di rete distr-active (distibuted and interactive) Consortium GARR
Produzione Fattore K.
Coproduzione Romaeuropa Festival, Consortium GARR, Polifemo

Remedi-Action, il videoteatro torna alla ribalta nel volume di Jennifer Malvezzi
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Mi rendo conto che una mia recensione di un libro in cui io compaio come citazione nella prima pagina dell’editore Postmedia rischia di non essere credibile. Ma non ci sono dubbi sul fatto che questo libro Remedi-Action. Dieci anni di videoteatro italiano scritto dalla giovane e ben documentata Jennifer Malvezzi, borsista di ricerca all’Università di Parma, sia un ottimo strumento di studio e di ricerca per chiunque voglia ancora addentrarsi in quel “paesaggio elettronico” che componeva la gloriosa arte teatrale degli anni Ottanta. Insomma un libro da consigliare a studenti e docenti e a tutti coloro che vogliono conoscere quel teatro italiano che ha avuto una brillante stagione di sperimentazione e in cui la tecnologia era uno dei linguaggi chiave da sperimentare in una generale e generazionale euforia di contaminazione.

Il mio ragionamento sulla “bontà” di questo libro si basa sul fatto che chiunque abbia scritto su questo argomento ovvero il videoteatro, a meno di non averlo vissuto personalmente come spettatore, ha sempre fatto riferimento sostanzialmente, al libro di Andrea Balzola (La nuova ricerca elettronica), a quelli di Valentina Valentini (Teatro in immagine, Camera astratta), a Bruno di Marino (il catalogo Elettroshock) e (of course) agli scritti sparsi di Carlo Infante. Sembrava non ci fosse più nulla da dire sul fenomeno, visto anche che quegli anni erano stati letti nelle recensioni straordinarie (e analiticissime) di critici come Beppe Bartolucci e Franco Quadri.

Quello che ha forse confuso la critica (me compresa) e molti di coloro che hanno tentato di fare una storiografia di  questo fenomeno già tramontato alla fine del decennio Ottanta e consegnato alla memoria e alla fortuna (nel senso latino del termine…), sono proprio questi validissimi scritti di studiosi e teorici tra il 1990 e il 1995 che hanno avuto  sicuramente il merito di portare alla ribalta un fenomeno artistico italiano degno attenzione ma che limitavano (per ragioni editoriali o di scelte personali) la ricerca a un ambito circoscritto di autori e opere.

Evidentemente molto rimaneva ancora da raccontare, e non certo tra i minori: il lavoro pionieristico di Michele Sambin, per esempio, performer video solitario e in seguito col Tam Teatromusica, è stato ingiustamente emarginato o solo parzialmente studiato, per poi essere riscoperto successivamente grazie al Festival Invideo che digitalizzò nel 2004 l’intero archivio di Sambin.pm143dpi300

Non a caso la copertina del libro della Malvezzi è una foto di scena del Tam Teatromusica che anticipa al lettore in qualche modo che il contenuto va nella direzione di una “riscoperta” di un sommerso di qualità.

In sostanza, la visione del videoteatro italiano anche nel percorso di studio di generazioni di studenti, si è sempre limitata ad alcuni esempi-faro (Camera astratta di Studio azzurro e Giorgio Barberio Corsetti/Gaia scienza; Crollo nervoso dei Magazzini; Tango Glaciale di Falso Movimento, Eneide di Krypton). Questo libro ha il pregio di raccontare un videoteatro diverso, certo anche con quegli esempi famosi e con quei protagonisti indiscussi della scena su cui forse era stato già detto quasi tutto, ma attingendo a un universo più ampio, che si apre al videoclip per esempio e alla cultura pop a cui molti autori si richiamavano. E così ecco spuntare le coppie Taroni/Cividin, Dal Bosco/Varesco ecco riemergere Antonio Syxty e le esperienze pionieristiche di distribuzione come Tape connection dell’attivissima Maia Borelli o Soft video (vedi ampia sezione di interviste ai protagonisti).

Il capitolo dedicato ai Magazzini di Tiezzi riporta alla luce, come da archeologia del postmodern, lavori sperimentali del gruppo e materiali inediti frutto di un’accurata ricerca d’archivio come si faceva una volta. Così la distanza cronologica dal fenomeno (per ragioni diciamo generazionali) in realtà, permette all’autrice di inquadrare il fenomeno nella giusta prospettiva critica attuale. La Malvezzi rielabora sulla base di molti testi pubblicati in questi anni sulla videoarte e sul teatro digitale, il videoteatro storico rintracciandone il valore non solo nella memoria ma nella “remediation” come occhieggia il titolo, ovvero ciò che un linguaggio esercita e elabora per riadattarsi a un nuovo ambiente (nel caso specifico al digitale). Quale sarà il volto del videoteatro attuale trasformato? Un discorso che apre scenari importanti considerata l’ampia produzione di performance tecnologiche contemporanee, ormai dimentiche di pionieri e affini.

Ma come non riconsiderare, per esempio, le scene prospettiche fatte di luce e diapositive di Ritorno ad Alphaville e in generale i lavori di Martone come le fondamenta dell’ampia (e spesso poco creativa) produzione di scenografia in videomapping?

Ritorno ad Alphaville, Martone. Foto di Cesare Accetta.
Ritorno ad Alphaville, Martone. Foto di Cesare Accetta.

Ci limitiamo a sottolineare che ben pochi lavori teatrali allo stato attuale delle tecnologie hanno avuto l’impatto e la forza eversiva di Camera astratta che a dirla tutta, fu presentato a Kassel (chissà che ne avrebbe detto Vila-Matas); ed oggi mostrare le testimonianze video a studenti d’accademia e persino a convegni internazionali (come quest’anno alla Sorbonne Nouvelle dove Vincenzo Sansone in un commosso omaggio a Paolo Rosa, ha presentato attività videteatrale di Studio azzurro) ha ancora un impatto tale che sembra giustificare l’affermazione di Rosalind Krauss: Reinventare un medium.

Ottime le schede finali (tratte da video opere ispirate agli spettacoli) che sintetizzano anche a vantaggio della nuova didattica, artisti e tendenze e dove forse, una scheda sul lavoro di Giacomo Verde ci stava bene. Un libro veloce dove come nella valigetta di Duchamp, ci sta dentro tutto. Anche le nostre memorie.