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KONIC THTR a Belgrado con #14 Skyline: quando la (video)danza esplora la vita (e la filosofia).
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I Konic di Barcellona ovvero Alain Baumann e Rosa Sanchez tra i protagonisti della scena digitale catalana, hanno esplorato nella loro lunga e importante carriera internazionale, ogni anfratto delle tecnologie e lo hanno depositato con cura amorevole sul palcoscenico dandogli una forma magica e sorprendente, amichevole e insieme profonda. Dall’arte interattiva al videomapping alla telematic dance (di cui sono gli indiscussi fondatori) hanno davvero sperimentato ogni genere di tecnologia, disseminando per il mondo le loro proposte artistiche; non a caso sono tra gli artisti più ricercati per giganteschi progetti transfrontalieri finanziati dall’UE come il famoso progetto IAM che li ha visti coinvolti con il Comune di Alghero nel triennio 2012-2015 in una proposta artistica complessa di realtà aumentata e videomapping per i beni culturali in Libano- Egitto- Palestina e Tunisia. Recentemente il loro telematic project Espai No tàctil ha avuto una rappresentazione fisica a Barcellona con una diretta telematica creativa con Santiago del Cile e Strasburgo. La rete viene intesa da Konic non solo come comunicazione ma come prolungamento creativo dello spettacolo.

Ogni loro lavoro teatrale o di digital art è una riflessione sull’umano e sulla trasformazione dell’individuo grazie alle tecnologie, una trasformazione che può ampliare gli orizzonti in modo smisurato offrendo libere  e insolite prospettive  ma solo se non ci limitiamo a essere “giocati” dalle tecnologie, cioè a subire le manipolazioni della scienza e della tecnologia in atto. Vale la pena ricordare la teorizzazione dei Konic, in epoca di piena euforia di videomapping, sul significato di una “mediaturgia” del mapping

Di ritorno dal Bangladesh dove erano stati invitati per un meeting su Cultural Transformation in Digital Ecosystem a Dhaka, li abbiamo incontrati a luglio al Theatre World Congress  di IFTR a Belgrado dove, dopo una lecture sul loro lavoro all’interno degli affollati General panel, hanno proposto una serata speciale con il loro più recente spettacolo di danza interattiva e network performance #14Skyline .

Lo spettacolo intrattiene con il pubblico una relazione inusuale, quasi rituale: non a caso è la musica, la poesia e il canto ad avvicinare nel prologo, l’orecchio e lo sguardo dello spettatore in modo intimista, quasi sussurrato, facendolo entrare delicatamente nella materia teatrale che si snoda attraverso percorsi astratti, suggestioni visive, frammenti di parole e atmosfere sonore immersive. Tutta la tecnologia è live, gestita, manipolata, ricreata e proiettata dal vivo.

Tre sono le postazioni: una scenografia che si eleva come una torre tronca a vortice fatta d listelle metalliche videomappate alla perfezione all’interno della quale Rosa Sanchez si muove interagendo con suoni e immagini, una seconda con un tavolino dove la performer “opera” davanti a un miniproiettore creando maschere video per il suo volto e una terza è lo spazio di azione di Alain Baumann, presente non solo come “tecnico” ma anche come performer a fotografare, riprendere e manipolare immagini proiettandole sui fondali, cambiando continuamente, appunto lo “skylyne” del palcoscenico con un cellulare.

Ogni momento della performance è rivolta a una  specifica sensorialità, ma è il corpo a “geolocalizzare” le coordinate per una sua immersione creativa (e interattiva) nella totalità spaziale. Lo spettacolo dei Konic sembra incarnare al meglio la nozione di Maurice Merleau-Ponty di “teoria del corpo come teoria della percezione”: la nostra esistenza come esperienza primariamente e incondizionatamente spaziale, che vive, connessa con la sua corporeità, lo spazio-immagine che ci circonda. Le forme, vissute in questo frammento di ispirata danza digitale, uniscono definitivamente l’uomo al suo ambiente. Un vero e proprio “approccio fenomenologico” che permette di ri-tracciare continuamente la realtà adeguandola alle immagini della nostra esperienza ma che si sommano, che si confondono anche con le immagini della nostra coscienza.

Il mondo che percepiamo in questo spettacolo è fatto di rimandi all’arte (dai viluppi delle sculture cubo futuriste di Tatlin, ai frammenti astratti futuristi, fino alla glitch art), ma il vero tema è proprio il legame tra coscienza e realtà che ci circonda. Lo spettacolo sembra suggerire come potrebbe diventare la città e il suo “skyline”,  videomappandola con il nostro occhio interiore, sovrapponendola a strati di colorate piazze abitate e vissute, scannerizzando non solo la superficie fisica degli edifici ma anche la nostra memoria, la nostra interiorità psicologica.

La traccia-guida, che è poi il tema portante dello spettacolo, è appunto il magnifico prologo di Rosa Sanchez che invita a “sentire” l’inaudibile, dare forma a pensieri, un momento che è anche un omaggio alla migliore arte d’avanguardia. La danza capta l’invisibile, i sensori colgono aneliti di trasformazione, generando immagini e identità multiple e il nostro volto indossa volontariamente maschere di ciò che siamo o che vorremmo essere, facendoci diventare, nell‘instagrammismo dei nostri tempi, immagini-filtro ovvero magnifici zombie digitali. Il teatro è uno spazio sensoriale frammentato e insieme uno spazio di connessione condivisa, uno skyline digitale che ci contiene con tutti i nostri desideri, sogni, passioni.

Uno spettacolo #14 Skyline di grande forza espressiva e di grande pregnanza concettuale, un concentrato di tutte le tecnologie – quelle che oggi, come ben sappiamo, stanno in qualche APP del nostro cellulare- dove però si insinua il fondamentale messaggio che, in un mondo che vive costantemente sugli schermi,  l’arte (e la vita) stiano piuttosto, nello spazio liminale dell’errore, della latenza, dell’imperfezione, esattamente ciò che la macchina non può e non sa programmare.

Anna Maria Monteverdi

Prossimi appuntamenti in cui sarà possibile vedere #14Skyline:

7 SEPTEMBER : 4th ‘Jornadas Escena Digital’. Barcelona. Spain

28 SEPTEMBER : XV Int. Festival VIDEOMOVIMIENTO / Cuerpo Multimedia. Bogota. Colombia

20 OCTOBER : Festival IDN+ / Mercat de les Flors. Extended version. Barcelona.

 

L’èra della “Digital Projection Art”. Dagli schermi urbani alla proiezione negli spazi pubblici.
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Le superfici proiettabili sono diventate le facciate dei grandi palazzi: dal media building[1] al media façade all’architectural mapping il paesaggio delle metropoli si è ampiamente trasformato e arricchito. Il video mapping (proiezione 3D su architetture), nato come spettacolare forma di intrattenimento luminoso e di digital signage[2] su palazzi e spazi urbani, nei suoi dieci anni di vita[3] ha fatto progressi giganteschi, definendosi come genere artistico con  caratteristiche tecniche proprie, specificità linguistiche (la narrazione audiovisiva breve in 3D) e ambiti sempre più allargati (alle arti performative e installattive).

Il video mapping permette di trasformare qualsiasi superficie in un display video dinamico: software specifici sono utilizzati per distorcere e mascherare l’immagine proiettata e adattarla perfettamente agli schermi o a superfici di forma irregolare. Trattasi di un’arte digitale effimera e immediata, legata indissolubilmente a una forma stabile (architettura o volumi scenografici)[4] che in tempi recenti è stata applicata anche al restauro virtuale dei beni culturali[5] e al teatro.

Nell’articolo intitolato The Poetics of Urban Media Surfaces, Lev Manovich elenca le situazioni in cui sono coinvolti schermi “al di fuori dello spazio di una galleria[6], ovvero quelle esperienze non strettamente legate ad un ambito artistico ma altrettanto ricche di effetti visuali: dagli show room agli spazi al chiuso per performance musicali e vjing.

Gli urban screens seguono la tendenza ormai radicata di una mediatizzazione degli spazi pubblici, collocando in luoghi aperti e collettivi, un elemento tradizionalmente usato negli spazi chiusi nelle differenti declinazioni (cinema e monitor tv). Manovich considera questa presenza di schermi nelle città, un fattore anticipatore della diffusione massiccia e generalizzata dell’Augmented Space, ovvero un nuovo tipo di spazio pubblico che si origina a partire da dati informatici diffusi  o personali.

Fino a pochi anni fa i professionisti che operavano in questo campo venivano chiamati media designer, video designer. Recentemente la United Scenic Artists Local Usa ha proposto una nuova categoria, quella del projection designer[9] o projection artist.

Il campo professionale e quello accademico ha riconosciuto quindi, un valore di “progettualità” all’ambito della “proiezione dal vivo” essendo ormai evidente che l’allestimento, la scelta della location, o dell’edificio dove proiettare (e non il semplice schermo) diventano parte di una “drammaturgia” multimediale di cui la proiezione è l’elemento portante; si interviene sul corpo della facciata, contribuendo a definire l’immagine scenografica con prospettive annesse, a partire da un centro ottico e determinando di conseguenza, anche uno speciale rapporto tra osservatore e creazione artistica.

La dialettica tra ornamento e superficie di proiezione, tra architettura e pittura (sia pur digitale) sta sviluppando stili e tendenze, con frequenti infrazioni tra struttura e deformazioni di immagini, come ci trovassimo di fronte a una macchina cinquecentesca per le visioni anamorfiche o a un prodigio di scenotecnica barocca[10].

Emmanuel Maignan a Trinità dei Monti a Roma.

Il mapping attraverso la proiezione, assolve alla funzione che aveva l’arcoscenico alla fine del Quattrocento, agli albori della nascita del teatro moderno, cioè “la frontiera tra realtà e illusione”[11].  D’altra parte è evidente che la dimensione illusionistica, la ricerca coinvolgente della finta profondità, tipica del video mapping rimanda proprio al teatro.

L’evoluzione del mapping in direzione di una drammaturgia visiva è stato sviluppato dal 2011 in poi, da alcuni gruppi come Urban screen, Telenoika, Anti Vj, Koniclab, Architecture 1024 e Sila Sveta: dopo aver esplorato tutta la casistica di effetti speciali 3D, alcuni artisti iniziano, infatti, a creare nuovi formati ancora generatori di stupore, ma con una maggior propensione alla narrazione. Emblematica la teorizzazione di Koniclab circa la necessità di una drammaturgia sia visiva che sonora e performativa del video mapping architetturale che guardi alla storia del palazzo, alla sua simbolica funzione, al ruolo attribuito a esso dalla comunità e alla tecnologia nel suo complesso,  in un’ottica unitaria di un dispositivo di luce, audio, corpo, architettura:

 Le fondamenta del video mapping si poggiano su concetti che definiscono, strutturano, caratterizzano la tecnica. A nostro avviso i seguenti tre elementi dovrebbero essere tenuti in considerazione quando si sviluppa un progetto che includa questa tecnica. E sono:

l’inter-relazione immagine-oggetto-supporto volumetrico:

la drammaturgia è focalizzata sull’immagine “mappata” sull’oggetto. L’oggetto aumentato è trasformato in un ibrido immagine-oggetto. La narrazione visiva è guidata da questa articolazione oggetto-immagine, e non solo dall’immagine.

il concetto di mapping:  è una pelle fatta di immagini e luce che coprono l’oggetto volumetrico. Una pelle dinamica e flessibile che si adatterà come un vestito all’oggetto su cui è proiettata o visualizzata.

la tecnologia: il video mapping costruisce un dispositivo percettivo unitario composto di luce, immagine, suono, software, hardware, spazio e tempo, architettura, attori e spettatori, e tutti questi elementi insieme, creano un insieme esperienziale e relazionale.

Il mapping deve convivere con il testo drammaturgico, con le azioni dell’attore, con la coreografia e i suoni prendendo parte alla narrativa complessiva del lavoro scenico e contribuendo alla tensione e allo sviluppo della performance attraverso le evoluzioni visive[12].

L’arte del video mapping: Palnoise e Visualia.

Il gruppo catalano Palnoise specializzato in video mapping, ha applicato questa speciale forma di proiezione indifferentemente ad ambiti artistici e commerciali (architectural mapping, stand mapping e micromapping[13]), dando vita a uno speciale stile anche per i live e vj mapping legati per lo più, alla cosiddetta “club culture”. Il loro primo video mapping architettonico risale al 2009 ed era davvero pionieristico: la proiezione avvenne sopra la facciata neoclassica del Teatro El jardì de Figuéres a Girona[14] e il video mapping era una tecnica semi sconosciuta.

Il segno di Palnoise è definito da un tratto astratto molto riconoscibile: al gioco dei rilievi delle paraste e dei cornicioni dei balconi sottolineati da una linea di luce e a quello della scomposizione dei singoli oggetti architettonici della facciata, si aggiunge una pittura accesa di rosso che si rovescia come vernice definendo un originale elemento pittorico. Sempre a Girona un anno dopo, nel Palazzo della Generalitad che ospitava un antico ospedale e che si estende in larghezza per 48 metri e in altezza per 18 metri, Palnoise crea un mapping fumettistico, ben lontano dalla storia del palazzo che lo ospita di stile barocco spagnolo, immaginandosi uno scenario alla Escher con tanto di scale visionarie, impossibili e continue percorse da figure in nero che entrano ed escono da diverse camere (i riquadri di luce in cui viene scomposto l’edificio). L’apparenza da cartone animato surreale fatta di desolanti figure va in voluta antitesi con il senso della storia dell’edificio ma anche con la sua stessa forma, che diventa in alcuni momenti solo una superficie di proiezione. Il finale prevede invece, l’armamentario tipico del mapping visivo e 3D (ramificazioni, scoppi di colori e fiori). Palnoise applica il video mapping in forma live a scenografie per discoteche ed eventi all’aperto: in alcuni casi vengono costruite intelaiature apposite di grandi dimensioni (come la piramide Maya di 18 metri che faceva da sfondo alla musica live e l’enorme mandala a Juan Gaviota in Guatemala per due edizioni del Guatemala Festival Guat’s up). Queste architetture effimere, costruite in acciaio e vinile vengono smontate a fine evento.

Marko Bolkovic con il gruppo croato Visualia (Marko Bolković, Jean Sambolec e Ania Ladavaccon) ha realizzato nel 2014 un video mapping molto significativo dal titolo Transiency sulla facciata di Casa Pastors a Girona in Spagna; il gruppo ha deciso di iniziare con un semplice processo creativo e uno story board ispirato alla natura: nubi (elemento aereo) che  simboleggiano l’immaginazione da cui emerge l’ elemento acqua (vita), che è collegato ad un processo di nascita (albero) e culmina con la forma più semplice di vita (bruco) diventando una forma complessa (farfalla), che è un simbolo di un’arte libera. La caratteristica del breve ma spettacolare evento video mapping, è la realizzazione interamente in 3D di una narrazione astratta, basata sullo speciale connubbio audio e video che si avvicina all’atmosfera techno e alla club e Vj’ng culture. Un mix esplosivo di effetti optical bianco e neri e forme dai colori flashanti alternati, insieme con il gioco di scomposizione dei singoli elementi architettonici fanno del palazzo storico qualcosa di più di una superficie di proiezione. Articolato su storie di luci, atmosfere romantiche, da sogno e cupe sottolineate dalla musica, il mapping smaterializza il palazzo che diventa qualcosa di liquido o aereo, evanescente e pittorico insieme giocando sul tema della metamorfosi. Un risultato tra i più riusciti del video mapping internazionale che suggerisce come la grammatica del mapping sia sempre più spinta sull’animazione in grafica 3D e musica perfettamente sincronizzata agli effetti visivi e colorati di grande impatto.

 

Le tre fasi del video mapping teatrale.

L’uso delle proiezioni su volumi grazie al video mapping, permette l’inserimento di un elemento sostenibile e non invasivo anche in strutture storiche e architetture protette (come avvenuto nel mapping floreale per il Teatro Olimpico di Vicenza).

L’idea originaria che apre la prima fase di un video mapping teatrale, è quella di usare la facciata dei palazzi nello spazio pubblico, come palcoscenico; emblematici sono gli esempi firmati Urban screen: What’s up è il titolo di una performance video architetturale dove il corpo ingigantito di un personaggio (precedentemente registrato in ambiente green screen) viene incastrato dentro un cubo, a sua volta inscritto nel cubo dell’edificio collocato al centro di Enschede (Olanda). Una situazione comica e surreale allo stesso tempo che propone un evento teatrale un po’ kafkiano, ben giocato nell’illusione tra gli ingombri delle finestre reali del palazzo, raddoppiate in digitale e la superficie virtuale della proiezione. Altro esempio di teatro in verticale, ossia di un palcoscenico/palazzo è evidenziato dalla proiezione progettata sempre da Urban screen nelle coperture architettoniche a forma di vela dell’Opera house di Sidney. Due corpi di danzatori si muovono nello spazio limitato dalle vele, trovando un elemento sia narrativo che coreografico nell’ambientazione generale e nella forma stessa dello spazio in cui sono collocati. Anche in questo caso le immagini sono state registrate precedentemente in green screen in uno spazio che simulava le dimensioni della copertura architettonica.

Il secondo passaggio verso un video mapping teatrale è rappresentato dall’uso dell’interazione tra superficie video mappata e il pubblico, come è evidente nel progetto di Architecture 1024 (Perspective lyrique, 2010) al Teatro dei Celestini a Lione in occasione della annuale Fête des lumiere, e quello di Klaus Obermaier (Dancing house) esposto durante la White Night Košice 2014, in Slovenia. Nel primo esempio la deformazione del palazzo e delle figure annesse era determinata e controllata in tempo reale dalla voce del pubblico  tramite un microfono e un algoritmo di analisi sonora; nel secondo caso è il corpo stesso delle persone che assistono, a volte inconsapevoli, tracciate tramite sistema ottico, a determinare significative storpiature delle immagini e creare una dinamica molto partecipata.

Il terzo passaggio al mapping teatrale è rappresentato dal video mapping architetturale con interazione tra performer e immagine video: un progetto di spettacolo architetturale interattivo abbastanza illuminante è quello di Xavi Bové dal titolo Cycle of Life, con proiezioni su Casa Pastors a Girona. La voce della soprano grazie a un software appositamente creato, permetteva la modificazione delle immagini da un repertorio scelto precedentemente.

L’evoluzione del progetto è Moviments Granados, un show interattivo di musica dal vivo e immagini in tempo reale sulla facciata di Gaudi’, la Pdedrera a Barcellona.

Klaus Obermaier ha pionieristicamente sperimentato a teatro le più ardite modalità tecno scenografiche per spettacolari video mapping e per le sue performance audio video interattive a partire da Apparition presentato al FutureLab di Ars Electronica nel 2012. Così l’artista digitale spiega il concept del lavoro di danza interattiva in cui è il corpo dell’attore a essere tracciato e a diventare supporto per la proiezione:

Le tecnologie interattive liberano l’esecutore dai limiti della coreografia pre-impostata e generano il contenuto visivo in tempo reale. L’obiettivo era quello di creare un sistema interattivo che fosse molto più che semplicemente un’estensione dell’operatore, ma un potenziale partner esecutivo.

I processi computazionali che modellano e simulano la fisica del mondo reale creano uno spazio cinetico in cui la bellezza e la dinamica del corpo umano e la qualità del movimento vengono estese e trasferite nel mondo virtuale.

Queste due aree principali di ricerca, il sistema digitale interattivo come partner di performance e la creazione di uno spazio cinetico immersivo, costituiscono la cornice artistica di Apparition[15].

 Il video mapping si unisce spesso all’interaction design: l’esempio più clamoroso che ha unito danza e tecnologia 3D, è quello del duo Adrien Mondot e Claire Bardainne con le numerose varianti scenografiche dal primo stupefacente spettacolo Cinematique (2011) create con il software E-motion. Si tratta di spettacoli che sembrano far uscire dal nulla, e solo col movimento delle danzatrici, mondi, geometrie, astrazioni. Artefice del sistema e regista è Adrien Mondot che parla di “paesaggi oni(nume)rici: corpi che compiono evoluzioni con oggetti. In questa costruzione sinuosa ho scelto di sbarazzarmi di tutto ciò che non mi sembrava essenziale. La scenografia, sintetizzata in un immenso spazio di possibili, torna alla sua più semplice espressione: le due pagine bianche di un libro aperto, ancora da scrivere”.

Interamente in mapping sono le proiezioni della nuova versione di Les aiguilles et l’opium di Robert Lepage (2015): in un macchinario praticabile a forma di cubo con due lati aperti e in movimento gli attori si muovono come acrobati; le proiezioni seguono tale movimento ricreando ambientazioni diverse: la camera d’hotel, la sala di doppiaggio, il concert-hall.

Il contenuto in proiezione video mapping si affianca, ormai di consuetudine ai classici fondali anche nell’opera lirica, creando una visione scenografica al passo con la modernità tecnologica, fornendo un incremento visivo su pìù livelli di schermi per un’immersione totale dello spettatore.

Gli esempi di video mapping più originali applicati al teatro d’opera arrivano dal Rossini Opera Festival: citiamo il video mapping per L’italiana in Algeri con motion graphics, modellazione e animazione 3D ideato dalla società D-Wok. La Komisch Opera di Berlin o ha realizzato, inoltre il suo Flauto magico interamente in video mapping senza alcuna scenografia: solo volumi bianchi su cui proiettare immagini ispirate agli anni Venti.  Il mix esplosivo di video proiezioni, graphic art, slipstick comedy e cinema espressionista, tra Murnau e Buster Keaton, ha creato la giusta atmosfera insieme di sogno, incubo e favola. Se la cupa regina della notte diventa nella fantasia del regista Barrie Kosky, una spaventosa Vedova nera, Pamina è ispirata all’attrice degli anni Venti Louise Brooks che trascina nel personaggio un’inconsapevole nota sensuale, provocante ma anche infantile e innocente.

Il giapponese Nobumichi Asai presentò tre anni fa ad Ars Electronica Omote project, primo esempio di Real Time video mapping. Tecnicamente è complicatissimo proiettare sul volto in tempo reale, immagini in movimento: si traccia con massima precisione il volto tramite sensori OptiTrack, processando i dati, facendo opportuni rendering e usando i proiettori. In questo progetto è stato ridotto al minimo il ritardo tra il mapping e la proiezione.  Possiamo solo immaginare quale straordinario effetto potrebbe generare nelle performance dal vivo, per adesso usata una sola volta da Lady Gaga per un omaggio alla rockstar David Bowie, la cui particolare maschera colorata era letteralmente proiettata sul volto della cantante durante un concerto live.

Il progetto Omote è il risultato della collaborazione tra l’artista digitale giapponese Nobumichi Asai, il make up artist Hiroto Kuwahara e l’ingegnere digitale Paul Lacroix. Omote è la parola giapponese per volto o maschera. Dice l’autore:  Il volto è considerato lo specchio che riflette l’anima, una soglia tra l’esteriore e l’interiore; nello spettacolo giapponese classico di musica, il Nogaku i performer usano le maschere per esprimere una moltitudine di emozioni drammatiche. Siamo consapevoli della somiglianza con le maschere Omote del Nogaku e esploriamo ulteriori possibilità di integrazione tra la tecnologia e l’arte classica giapponese. L’ Omote project usa la tecnica di projection mapping per mettere un make up ed effetti digitali sul volto della modella e il tutto in tempo reale[16].

In occasione dell’ #Hiroshimaday il 6 agosto 2017 Asai ha proposto l’evoluzione del suo prototipo nato con Omote: uno straordinario effetto di proiezione dinamica su oggetti e volti in movimento grazie alla collaborazione con il Watanabe Lab di Tokyo. La performance si chiama Inori/Prayer.

Ma la tecnologia che cambierà il volto delle scenografie tecnologiche è il Dynamic projection mapping, per ora allo stato di prototipo. Si tratta di una proiezione dinamica su scenografie (anche superfici non rigide) in movimento con una significativa riduzione del ritardo tra il tracciamento (cioé il riconoscimento del movimento e dell’oggetto) e la proiezione tramite sensori, telecamera con frequenza di 1000 frame al secondo e proiettori ad altissima velocità. Il ritardo infatti, è ciò che determina un disallineamento significativo non tollerabile per l’occhio umano, considerato il fatto che il mapping lavora sull’illusione percettiva.

Mappando alberi

Mapping on trees è il nome di una delle proiezioni di videmapping su alberi degli italiani Apparati Effimeri, una delle strutture più vivaci del panorama dell’arte digitale internazionale che collabora anche per progetti di scenografie in video mapping. Appartiene al progetto Gardenia projection pensata come dicono gli autori per animare giardini e parchi, creando un’atmosfera da sogno, magica e favolosa. Apparati Effimeri era presente a Digital Life 2012 (sezione digitale del Romaeuropa Festival) con la garden projection dal titolo Naturalis historia, una video proiezione su alberi e arbusti veri, appositamente allestiti all’interno dello spazio Ex GIL a Trastevere. La proiezione in tre dimensioni, applicata alla vegetazione che compone il giardino, ha avvolto lo spettatore in un’atmosfera onirica e meravigliosa che ha modificato la percezione dello spazio contribuendo ad amplificarne le prospettive.

Apparati Effimeri approfondisce lo studio degli elementi naturali iniziato con l’esperienza del Parsifal di Wagner diretto da Romeo Castellucci, proseguito con gli antichi erbari di Ulisse Aldrovandi per il progetto Linfa Vitale e giunto qui all’incontro con il testo fondamentale per tutti gli studi di fisica e scienze naturali: l’enciclopedica Naturalis Historia di Plinio Il Vecchio. Il fruitore era immerso in un’ambientazione boschiva alle primi luci dell’alba, quando le foglie acquistano sfumature madreperlacee e tutto accade in una dimensione cangiante e mutevole.

https://vimeo.com/57462779

 

Dal “media design” al “projection design”: guerrilla light projection, digital graffiti e live projection mural.

Il video mapping è solo uno degli esempi (forse il più eclatante) di una vastissima produzione artistica piuttosto variegata e sempre in aumento che si è generata non soltanto dalla specificità del digitale (e dei software) ma da una caratteristica ben più evidente: la presenza della proiezione.

Questa modalità d’arte “proiezionale” produce formati effimeri naturalmente performativi e fortemente scenografici; formati che spesso sono collegati tra loro in forma ibrida: dal light painting al live drawing, al projection mapping live performance, dal live projection mural, all’augmented drawing, dal Vj set, al laser painting all’holographic projection dal digital graffiti, al projection installation, al Cave immersive technology[17]. Si tratta di modalità artistiche digitali versatili che stanno abbandonando progressivamente non solo lo schermo ma anche la galleria d’arte per proporsi in un formato proiezionale che si esprime principalmente come “arte pubblica” in esterno.

Le nuove tecnologie entrano nel mondo dell’arte urbana definendo nuove soluzioni artistiche, in cui l’interazione tra artista e superficie attraverso il software è il cuore dell’azione performativa, facendo evolvere sia la videoarte che la street art.

Se la scena teatrale offre ampi margini di sperimentazione ma con le limitazioni del quadro scenico, la strada, la piazza, i portici aprono a possibilità illimitate, leggere e brulicante di connessioni urbane. Negli spazi esterni giochi di luce, mapping e light projection danno vita a uno spettacolo che interagisce col pubblico fuori dai luoghi e dalle modalità convenzionali. Le proiezioni valorizzano i beni culturali dando vitalità a spazi comuni e sociali.

Molti formati di “projection art” sono radunabili nella cosiddetta area della street art projection o della guerrilla light projections: quando si usa la strada come palcoscenico, le possibilità degli spazi artistici sono infiniti, ma assume un valore fortemente simbolico utilizzare aree sottoposte a degrado, dando visibilità alla periferia e alle comunità che la abitano. La scelta è quella di creare un’azione e un’incursione digitale utilizzando anche il light painting, tecnica fotografica che permette di dipingere il soggetto controllando una sorgente luminosa come fosse un pennello.  Una soluzione originale è quella di VJsuave in cui la proiezione è in movimento poiché il proiettore è applicato su biciclette o unità mobili e il pubblico deve muoversi con loro. Nel light painting interattivo si lancia allo spettatore la sfida di diventare artista creando un elemento visivo dinamico e in continua trasformazione, come una fioritura di disegni che si alternano nel tempo.
La natura temporale, effimera, quasi immediata della proiezione, la bassa qualità, la limitatezza della superficie di proiezione, il gesto veloce della “pittura digitale” rende l’azione artistica ancora più significativa e contro il mercato dell’arte ed ogni convenzione estetica. Come sostengono gli “Urban projection”:

Ci piace fare il nostro lavoro per le strade. Chiamala “Projection Art” o Guerrilla Projection”, quello che vuoi, ma è uno dei modi più efficaci ed emozionanti di raggiungere il pubblico e catturarli sorprendendoli. La potenza della proiezione è nella semplicità del mezzo, e quando si usa la strada come tela, le possibilità sono infinite. Potrebbe essere la semplicità di uno slogan, un bellissimo murals realizzato live, disegnato digitalmente da un artista graffitaro o l’interattività dei social – ci sono possibilità illimitate per raggiungere il pubblico e  ricevere feedback.

Alcuni gruppi orientati fortemente all’hacker art e all’attivismo digitale, hanno anche teorizzato l’importanza dell’uso della proiezione di scritte e di luci come “interventi urbani” in forma di slogan, graffiti luminosi o azioni visive, tanto da denominarsi proprio “The illuminator”. Essi sostengono che la proiezione trasforma lo spazio pubblico e porta lo spettatore ad avere una aspettativa fuori dalle normali condizioni ambientali:

Le proiezioni in forma di Guerrilla Art hanno due aspetti principali formali distintivi. Il primo aspetto è che sono eventi transitori, effimeri: ciò è particolarmente evidente nel paesaggio mutevole di una strada cittadina. Più che imporre una grave limitazione al mezzo artistico, questa natura temporale può addirittura migliorare il dialogo urbano che viene “provocato” dalla proiezione. Inoltre, come alter forme più tangibili di arte urbana, le proiezioni di luce sono decisamente “site specific”. Tuttavia, la loro natura non distruttiva e meno invasiva consente alle guerrilla projections di accedere a siti che persino gli artisti di strada più audaci non sarebbero in grado di raggiungere. Le proiezioni di luce non solo creano consapevolezza su un problema, ma possono anche trasmettere un grande senso di potere personale all’osservatore. Le nostre esperienze quotidiane sono inquinate da un ambiente visivo molto commercializzato, per cui attaccando con successo questi spazi direttamente, le proiezioni possono contribuire a trasmettere la sensazione di poter sfidare efficacemente lo spazio politico pubblico occupato da varie corporations, che invade anche le nostre vite.

Nell’ambito della guerrilla projection sono state creati appositivi dispositivi mobili di proiezione: i videoproiettori vengono caricati su biciclette, strani carri o macchine; si tratta di vere e proprie unità mobili di proiezione autosufficienti come quelli usati dagli Urban projections[18]. Come si capisce dal loro nome, essi prediligono spazi urbani, all’aperto, magari abbandonati, a cui riconsegnare un’inaspettata bellezza di cui usufruirà anche il passante; la scelta artistica è quella di creare un’azione e un’incursione digitale che operi di nascosto (salvo poi promuoverla in rete) intaccando minimamente o senza intaccare affatto, muri con scritte video-spray creando “graffiti digitali”. Ispirandosi alla street art creano disegni al tratto veloci, pennellate di luce create con la lavagnetta digitale incrementate dalla musica live oppure segni che vengono esaltati dalla luce e dalla proiezione (come nel caso di Stylus #1 di Rebecca Smith e Pete Barber. Il disegno a mano viene terminato da una tecnica di mapping via Resolume)[19]

I Graffiti Reseach Lab (G.R.L) utilizzano tecnologia open source per le azioni artistiche urbane; sono famosi per aver creato il Laser Tag System[20] un dispositivo composto da un proiettore, un pc portatile, una webcam ed una penna laser e con l’aiuto di un software da loro stessi sviluppato trasformano il raggio laser in una sorta di spray luminoso con cui è possibile disegnare sui muri di palazzi e grattacieli che si trovano a decine di chilometri di distanza dalla loro postazione.

Dal micromapping all’augmented sculture

Il territorio del micromapping e dell’augmented sculture appare la tecnica più richiesta nel campo della pubblicità e dell’arte; si va dalle sculture animate (ovvero volumi su cui vengono proiettate immagini in movimento e animazioni 3D), a singoli elementi di una scenografia oppure sculture su cui la luce imprime “vita”. Jack Projection Mapping Sculpture di Motomichi Nakamura è un’opera creata con software Madmapper commissionata dal Museo d’arte contemporanea di Monterrey.

Protagonista  dell’augmented sculture è sicuramente Pablo Valbuena con uno stile minimale e in bianco e nero riconoscibilissimo. Nelle sue “Augmented scuplture series” una sinfonia di luci bianche e ombre in mapping va a lambire volumi accompagnata ritmicamente da un sonoro dalle atmosfere cupe e drammatiche; sembrano geometrie apparentemente senza storia ma che ricordano le architetture cubofuturiste e quelle delle Bauhaus e delle avanguardie storiche.

Assistere a un’installazione di Pablo Valbuena è un’esperienza teatrale e cinematografica insieme: ricorda sia le scenografie di Svoboda e Craig dalle potenti ombre e luci di taglio che i film animati astratti di Hans Richter. Il segno luminoso va a ridisegnare i segni ottagonali di antiche mattonelle o le forme ripetute dei colonnati creando un’ illusione ottica che su sua stessa ammissione si ispira a una specifica tecnica pittorica del Barocco: il Quadraturismo. Si costruisce così, lo spazio da una scenografia illusoria, che ha una dimensione principalmente mentale e percettiva.

 

NOTE

[1] I media buildings sono edifici con media incorporati.. Sono palazzi, sedi centrali di multinazionali e società, grattacieli, musei la cui superficie è interamente o quasi ricoperta di schermi o scritte a Led. Il primo edificio definibile media building, insieme al Four Times Square di New York, è il Telecom Office Power (2000), costruito a Rotterdam da Renzo Piano.. Questa la definizione di media building di François Burkhardt -docente di Storia e teoria del design, già direttore del Centre de Création Industrielle del Centre Pompidou di Parigi e della rivista Domus: “Il media building è un nuovo tipo architettonico di grande interesse che eserciterà d’ora in poi un profondo influsso sul futuro dei centri urbani, incrociando tre sfere sempre più determinanti per il progetto architettonico: l’economia, le nuove tecnologie e i mass media. Considerato un’utopia ancora negli anni Sessanta, disegnato frequentemente da gruppi d’avanguardia come gli Archigram, questo genere di edificio oggi viene costruito realmente: lo si trova in Times Square a New York, a Las Vegas, a Shanghai: è un edificio che risponde alla domanda di informazione istantanea di una società che si considera società della comunicazione”.

[2] Quando si parla di digital signage si intende l’uso di display elettronici che mostrano video, informazioni, pubblicità o messaggi di pubblica utilità, la réclame in formato elettronico, a LED su schermi LCD o al plasma su touch screen in spazi pubblici.

[3]  Il 2005 è l’anno in cui si svolge la prima edizione dell’Urban Screen Conference ad Amsterdam a cura di Mirjam Struppek che ha posto le basi per le successive conferenze di Manchester e Melbourne nel 2007 e nel 2008. Struppek ha scritto anche un saggio sul tema: Urban potential of public screens for interaction about the mediatization of architecture, in N.Papastergiadis, Ambient Screens and Transnational Public Spaces, Hong Kong University Press, 2016.

[4] Vedi A.M.Monteverdi, L’Arte della superficie in www.ateatro.it

[5]Vedi A.M.Monteverdi, Augmented heritage: Augmented Reality for museums, tourism and cultural heritage in AA.VV., Handbook of Research on Emerging Technologies for Cultural Heritage in corso di pubblicazione.

[6] L. Manovich, The Poetics of Urban Media Surfaces, in Firstmonday.org, n.4. Numero speciale su Urban Screens, 2008.

[7] L. Colini, L. Tripodi, Urban Screens, in Digimag.it, n° 27, Marzo 2007.

[8] Ivi.

[9] Nel 2010 la Yale School of Drama ha proposto corsi e Master in Projection Design.

[10] Rimando alla mia relazione “The Mediaturgy of Video mapping” per il convegno alla Sorbonne, giugno 2015 L’acteur et l’écrans. Gli atti del convegno sono in corso di stampa.

[11] Cfr.: E. Tamburini (Il quadro della visione. Arcoscenico e altri sguardi ai primordi del teatro moderno,  Roma, Bulzoni, 2004) che ben documenta la nascita e l’evoluzione dell’arco scenico, in relazione alla prospettiva applicata a teatro.

[12] A.M.Monteverdi, Le regole per una drammaturgia del mapping secondo i Koniclab nel sito annamonteverdi.it. Parte del saggio è contenuto anche in A.M.Monteverdi, Reale o virtuale. Dal monumentismo digitale al video mapping teatrale in S. Arcagni I media digitali e l’interazione uomo-macchina Aracne editore Roma. 2015.

[13] Per “stand mapping” si intende un mapping applicato al design di stand, show room o interni. La peculiarità di questa forma di “vetrina digitale” è la versatilità con cui è possibile cambiare arredamento, creare nuovi ambienti e generare video di presentazioni e sfilate in tempo reale. Per micro mapping applicato all’ambito commerciale e promozionale si intende una videoproiezione su un singolo oggetto per mettere in risalto e rendere dinamico il prodotto nelle vetrine.

[14] Commissionato dalla Casa de Cultura di Girona il video mapping di Palnoise era inserito nell’evento Giroscopi cultural. Le dimensioni della proiezione erano 25×20 metri.

[15] Scheda del lavoro sul sito di Klaus Obermaier.

[16] Si rimanda all’intervista ad Asai sul sito annamonteverdi.it

[17] CAVE sta per Cave Automatic Virtual Environment. Dal sito https://www.tomshw.it/articoli/3d-realta-virtuale-e-tecnologia-immersiva-il-futuro-53535-p7  “CAVE è una stanza che combina tecnologie di rendering stereoscopico e il motion tracking per fornire uno spazio virtuale senza soluzione di continuità. I proiettori a corto raggio creano immagini di due muri e un piano di una stanza con più videocamere che osservano l’utente. I proiettori proiettano immagini 3D attive riprodotte da un server che usa schede video Nvidia Quadro. Mentre il computer traccia il movimento, il sistema di proiezione adatta e cambia la posizione e il campo visivo”. Nonostante la concorrenza potenzialmente rappresentata, almeno per quanto riguarda la realtà aumentata, dall’Oculus Rift e dai Google Glass per la visualizzazione immersiva e interattiva, la loro bassa risoluzione (1280×720 totale, con ogni occhio limitato a 640×720) richiederebbe comunque uno schermo almeno a 1080, motivo per cui viene preferito in molte circostanze, il Cave con proiettori a corto raggio che creano immagini di due muri e un piano di una stanza con più videocamere che osservano l’utente.

[18] Gli Urban Projections usano la “light cycle”, un curioso dispositivo mobile di street art che trasporta un proiettore digitale ad alta luminosità, un Ipad, un macbook pro, un sistema di amplificazione Sonora un gruppo elettrogeno.  Viene usato per portare arte digitale in spazi pubblici e come un mezzo per trasformare aree in disuso.

[19] Stylus è un progetto di pittura murale digitale inventato da Pete Barber e Rebecca Smith. Combina insieme il video projection mapping e imagine create a mano in una forma di performance live. I due elementi interagiscono per creare un ambiente di luce pittura e immagini in movimento.

[20] http://www.digicult.it/it/digimag/issue-030/graffiti-research-lab-writers-as-hackers-as-artists/

NETWORKED PERFORMANCE WOKSHOP HELD BY R. SÁNCHEZ & A. BAUMANN, KÒNICLAB (Barcellona)
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//NETWORKED PERFORMANCE WOKSHOP HELD BY R. SÁNCHEZ & A. BAUMANN, KÒNICLAB (BCN) #Dance #NetworkedPerformance

Stage projects that are carried out in real time and simultaneously from distant places over the Internet, making a unique show for the audience. In this course, we will explore the new stage narratives, made possible using telematics technology. A study of several techniques in which the authors have specialized throughout their trajectory: real time composition through the Internet, networked and distributed shows and live interaction with video cameras.

Participants will have the opportunity to enjoy other #TelematicSceneactivities that will take place in the Fabra i Coats, with two practical experiences that will complete the program.

LIMITED CAPACITY. The course requires prior registration >>http://bit.ly/2x4zxra

Where: Fabra i Coats (Barcelona)
When: October, 5th 2017
Hour: From 17h to 19h
Price: 20€ (charged on the day of the course)
Pre-registration: http://bit.ly/2x4zxra (Limited Capacity)

+info: www.koniclab.info

Interview to KONIC THTR: interactive and telematic performances
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Kònic thtr is an artistic platform based in Barcelona dedicated to contemporary creation at the confluence between arts, new technologies and science. The main activity beeing focused on the application of interactive technologies to artistic projects. Rosa Sánchez & Alain Baumann are generating the conceptual, creative and technological ideas in Konic Thtr. Since 1990 they co-direct the activities of that artistic platform and by their projects they promote the meeting and collaboration between artists, theoreticians and technologists of varied disciplines and countries, who are invited to share their creative and research proposals. Rosa Sánchez. Multidisciplinary and multimedia artist, performer & choreographer. Artistic director and co founder of Konic thtr. Alain Baumann. Musician, multimedia artist and researcher of new systems for producing sound. He is in charge of the interactive systems used by Konic thtr. Both have and extensive knowledge and experience of working with new technologies applied to performance, dance, installation and theatre.

Konic is specialized in interactive theater with the use of sensors and in recent years your poetry is almost entirely devoted to the so-called network theater or telematic performance. For a long time the artists have tried to concretize the utopia of connecting minds and bodies at a distance. What is your definition of that and your goal as theater artists and not only as a digital artists?

 Connecting minds and bodies at a distance is not a utopia anymore. Maybe it does not take place as we were used to imagine when we were watching science fiction movies, but the connection definitely exists. The whole planet is now covered by a transparent but very active layer of connection between people from different cultures, ideas and ways of perceiving life. As performers and theatre artists, we have always been interested in bringing the ‘outside’ to the theatre, and show the way in which our society is evolving, very closely linked to the way the available technology is evolving. We are interested in the concept of distributed event, networked, as it combines the concept of Telematics with that of network, particular of the digital media

As theatre and performance artists we are always attracted by the exploration of new experiences with the audience. When we started to be interested by telematic works, one of the things that attracted us was the way the piece is experienced by the performers and by the audience. In this type of work, there is a different concept of what the show is and how the audience can perceive it. The stage is spread across countries and sometimes distributed on the Internet, and the audience is attending the show in the different countries where the event takes place. The audience assisting locally in each node will see a different setting on stage, combined with the information received from the other performers and countries. The audience at each location can therefore have a completely different perception of the same piece. This is something that is quite interesting, and although it might also happen in a theatre show in which different members of the audience can see and live a different experience of the same show, in the case of telematics there is always a part (the other part) that can only be seen as a visual and sonic representation.

Your shows (Before the beep, Cuerpo sms) have to do with the mediated image of the person, through thousands of devices and media that speak of us, photographs, social networks, and have to do with his relationship with the media and how they can create or deform personality.Is it a general media critic towards overall social excessive use of media?

 In Before the Beep we wanted to explore how our cultural context, highly mediatized, constructs and determines our behaviour and the way in which we communicate. The use of social networks, Internet and the apps we have installed on our inseparable mobile devices are creating new communication codes, and establish new, more playful, social relations. The society has become more proactive and we take this into account when we invite the audience to participate actively during the show. Ask them for instance, by sending phrases through their mobile phone, to bring the semantics of a situation that the actors have to follow. In Before the Beep, we are not really making a criticism about the excessive mediation of our society as much as asking ourselves – and the audience – where can we situate the membrane that separates the private space from the public space on the Internet. A Connected Room of my Own (El Cuarto Propio Conectado) from author Remedios Zafra was a source of inspiration for this piece. In Before the Beep, we also ironize on some situations brought by that intensive use of communication devices, as for example one performer is calling by phone the other performer on stage at sight, something which we experience everyday when people are meeting in crowded areas and cannot see each other even though they are a few feet from each other.

Could you explain exactly how does a network performance work? how one could connect, or partecipate actively and what kind of interactivity do you create? In addition, connected with this, what kind of thematic and dramaturgy (visual, aural) did you created with these specific media?

 One of the particularity of network performances is that since they are based on internet networks, they are built on the paradigm of nodes. In theory there could be as many nodes as one wishes. The practice is a bit different, and is technologically complex. Most of the projects we have developed were made possible thanks to a strong technological support and high-speed networks. This is how we can share images between one end of the world and another with good image and sound quality and nearly without delay in the transmission. We have made one piece ‘Arts en Viu en las Llars’ (Live arts from your home) that connected many nodes in which we invited 20 people to take part to a kind of ‘social dance party’ from the comfort of their homes. It was a fantastic project; these people which we did not know at all were suddenly taking an active part in the piece, dancing in front of their webcams. The result of the piece was specifically for the Internet and the visual dramaturgy was based on the creation of visual spaces in which a dancer from our company and the people participating from their home were dancing together.

These projects are highly collaborative, and the dramaturgy that is created depends on how we work with the other partners. Most of the times it is a dramaturgy based on the body, and the choreographed images of the bodies. On the encounter between the remote bodies. The result is usually abstract, and is very much composed live, recreating a virtual space where all the performers intercommunicate, projected on stage and in dialog with the live performers.

The central idea is that one of presence. ..Dance is your language on the scene. How can you manage a dance, a coreography at a distance, using images of distant bodies?

 This is exactly the key. We are working with the images of distant bodies and with the bodies present on stage, fed back as images to the other nodes. It is somehow like creating a live videodance. The choreography is not between real bodies, but between their visual (and sometime sonic) representation and the way the cameras capture them. At the same time, there is always a presence, and it is quite easy to loose the sense of what is real and what is virtual, when we have the representation (filmed) of the actual space, superimposed or juxtapose with the images from the ‘other’ space. The shift between the actual and the virtual becomes seamless and it makes the image coming from the other side become a body that is also ‘present’. In our more recent pieces we also start to explore the virtual encounter. In this case, the dancers share on unique virtual three dimensional space, rather than video, and they are represented by digital graphical or sound elements in this space. The information we receive from the dancer is that of their movement in ‘their’ space, and we reconstruct a virtual space in which they all appear together, creating a common virtual choreography. This is something that we are keen to explore in relation with the concept of (tele)presence.

To carry out projects so complex, with rich technology and with a need for fast connection, you needed telematic nodes but also human connections with various artistic groups and cultural spaces in the world. How have you made this network of partnerships given that there are very few artists who are dedicated to this aspect of the theater?

Since we started to work with technology in the early Nineties, we have developed a work praxis in which we generally involve many different partners. Collaborating with technological specialists, but also universities as research partners that can help us to find ways to develop new tools. Since the year 2000, a strong interest from technological experts working in the field of research in high-speed communication technologies has been to open their field of work to the humanities and cultural fields. This means that there are now spaces more or less all around the world where there will be the right people with similar interests. The difficulty is to connect all the elements – the artistic team, the high-speed Internet technologist, and the space to which this high speed connection arrives (most of the time universities). These are new fields to be explored by both artists and technologists and good collaboration is possible while mutual interest exists. Live arts are challenging to networks, as they rely on the interaction between the performers, and the real-time interaction between remote spaces and with high quality audio and video is still a challenge, even for advanced networks. This means that there can be some symbiosis between the artists and the technologists in this case.

Do you consider your art as a politic theater?

 To some extend, yes. There are rarely any direct political slogans in our pieces but our proposals are developed with the intention to trigger reflexion in the viewers. Our proposals are usually intended to be destabilizing, hence critical with the dominant system.

 Which is the effects on the audience to this new type of performance?

 It is quite clear that there is a growing interest of people to access cultural offer via the Internet. Streaming is for us a part of the pieces that we do in this field of telematics. We compose it as an autonomous piece, of videodance or videocreation, which is forming part of the whole work. We detect a growing interest in this type of proposals. On one hand, the audience assisting in the theatre is enthusiastic to see performers that are acting from a remote location with the local performers. On the other hand, there is a part of the audience that experiences the event from the Internet, viewing the piece live as streaming.

 The effect on the audience depends on how you show the work, on how open the audience is to come and see something that is unconventional and it also sometimes depends on their age. In Kònic we like to make pieces that are unconventional, and so the audience who come to see us has to connect with the unconventional (whatever this might mean). That said, the audience does not necessarily have to see this as a new type of performance, it is just not conventional, but we still have the intention to transmit emotions and create a live event in the same way as any other theatre piece or live event. In the case of telematics, the audience has sometimes asked us to communicate with the other node, just as if they wanted to make sure that it was real!

Some years ago there was an authentic euphoria for the possibilities of the theatre to create with media a collective piece-performance: there are some examples of net drama, using chat rooms, and some experimentation of mixing video scenography from external of theatre by webcam and texts. But it finished into few years without creating nothing real special and unforgettable. Now some groups are devoted to this aspect like you, I quote Rimini Protokoll. DO you think that this genre, could renewal the contemporary theatre?

The net dramas and other similar experiments were a great way to explore the possibilities of the Internet for rizhomatic creation, but maybe at that time nor the audience nor the technology was ready for a satisfying experience of the work (which would be a first step to make them unforgettable). Since the beginning of theatre, technological advances made the apparition of new artistic genres possible. The work of Rimini Protokoll or of Kònic Thtr would not be possible without the new communication and interaction spaces offered by the Internet or social networks.

There are many people out there creating very interesting works, and the technological changes are making it easier for the audience to be connected to new proposals. We are very interested in pieces that are using the media in a somehow transgressive form, rather trying to reproduce a new version of the old, and this is in our opinion a key to renewal. As well as creating new trends, the way in which contemporary theatre pieces are developed is marked by the way the society apprehends these new communication spaces. These new genres can reach audiences that conventional theatre cannot reach, and it will also open new spaces for artistic expression. An example that comes to mind are the Flash Mobs for instance, and how this type of intervention has become widespread very quickly thanks to the social networks

 Do you think to use videomapping for future shows, considering your important experience in this tecnique?

Right now we are very interested in exploring the great possibilities of Video Mapping onto architectural elements but also on stage. We are partner of the European project IAM, a project that was initiated by a group of people in Italy, who are specialists in video mapping, technical experts such as Enzo Gentile and Anughea Studio and media-art history expert like you. The project is proposing the use of Video Mapping for enhancing cultural heritage and this means that we are immersed in the exploration of this technique. Videomapping offers incredible possibilities for live performances, especially for showing work in large scales and on architectural elements, but it also has great possibilities in theatre. We are now preparing a piece to be premiered at the end of 2014 that is based on architectural VideoMapping.

 Could you tell something about the IAM experience and your important role for the internationals projects?

 IAM is a great project that combines technology and culture. We are really pleased to be part of this project in which different pilot projects are being developed around the same concept: enhancing cultural and natural heritage through Augmented Reality, Video Mapping and other technological tools. In this project we are involved in coordinating a series of festivals that will happen every year around this theme. We want it to be a festive event in which technologist and heritage specialists can meet and find affinities. It is a great experience for us, and of course there will be Video Mapping!

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